L'indennizzo da emotrasfusione e vaccinazione obbligatoria

13 Marzo 2015

L'art. 27-bis della L. 11 agosto 2014, n. 114 sulla procedura per ristorare i soggetti danneggiati da trasfusione con sangue infetto, da somministrazione di emoderivati infetti o da vaccinazioni obbligatorie, è la conclusione di un lungo iter di natura legislativa e processuale, oltre che norma emanata dallo Stato Italiano per soddisfare gli obblighi di adozione di misure generali in esecuzione della “sentenza pilota” della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 3 settembre 2013. In tale articolo è riconosciuta una somma di denaro a titolo di equa riparazione, subordinata non solo alla verifica dei requisiti di legge ivi previsti, ma anche alla formale rinuncia all'azione intrapresa nei confronti dello Stato anche in sede sovranazionale.
Il quadro normativo e giurisprudenziale

L'art. 27-bis della L. 11 agosto 2014, n.114 sulla procedura per ristorare i soggetti danneggiati da trasfusione con sangue infetto, da somministrazione di emoderivati infetti o da vaccinazioni obbligatorie, è la conclusione di un lungo iter di natura legislativa e processuale, oltre che norma emanata dallo Stato Italiano per soddisfare gli obblighi di adozione di misure generali in esecuzione della “sentenza pilota” della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo M.C. ed altri c. Italia del 3 settembre 2013 (CEDU 3 settembre 2013, ricorso 5376/11). In tale articolo è riconosciuta una somma di denaro a titolo di equa riparazione, subordinata non solo alla verifica dei requisiti di legge ivi previsti, ma anche alla formale rinuncia all'azione intrapresa nei confronti dello Stato anche in sede sovranazionale.

Il quadro legislativo e giurisprudenziale che ha portato all'emanazione dell'art. 27-bis è particolarmente complesso e necessita di un riepilogo per punti al fine di comprendere il testo della nuova normativa.

Infatti il legislatore è intervenuto più volte nella materia dell'indennizzo, da ultimo con la L. n. 114/2014, al fine di regolare con somme predeterminate i danni permanenti subiti da pazienti ai quali erano stati trasfusi sangue o emoderivati infetti.

Il numero dei danneggiati da trasfusioni infette è straordinariamente elevato e, pertanto, è sorta la necessità di disciplinare in modo uniforme gli indennizzi onde evitare la proliferazione di contenziosi seriali, basati sostanzialmente sulla responsabilità contrattuale della struttura sanitaria.

L'intervento legislativo si è reso necessario in quanto numerose pronunce giurisprudenziali (v. Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2011, n. 15453; Cass. civ., S.U., 11 gennaio 2008, n. 576 e Cass. civ., S.U., 11 gennaio 2008, n. 581) hanno retrodatato fino all'inizio degli anni '70 la responsabilità degli enti pubblici (Ministero della Salute, Regione, A.S.L. o ex U.S.L.L.) per i danni causati ai pazienti, con conseguenze risarcitorie importanti.

Infatti, fin dagli anni '70 venne accertata la relazione tra l'incremento delle transaminasi - valori della funzionalità epatica rilevabili con esami ematochimici - ed il virus dell'epatite (definito non “A” e non “B”), verifica che, ove effettuata, avrebbe consentito, almeno in via indiretta, di escludere donatori ”a rischio”: il che nella maggior parte dei casi non avvenne.

In sostanza la giurisprudenza ha accertato la responsabilità oggettiva degli enti per non avere escluso donatori che avevano contratto il virus dell'epatite B o dell'epatite C ben prima dell'isolamento dei virus stessi, avvenuto nel 1978 per l'epatite “B”, e nel 1989 per l'epatite “C”: infatti, l'esame della funzionalità epatica dei donatori avrebbe evitato il contagio delle forme di epatite non ancora scoperte, essendo già conosciuto il nesso tra l'aumento dei valori delle transaminasi e la presenza dell'infezione, se già manifesta - ovviamente - al momento del prelievo ematico.

Con il primo intervento legislativo, la L. n. 210 del 25 febbraio 1992, venne stabilito l'importo dell'indennizzo per coloro che avevano subito danni permanenti da contagio con sangue infetto: l'art. 2 prevedeva un indennizzo fisso e una indennità integrativa speciale, detta “IIS”.

Tuttavia, tale legge nulla diceva circa la rivalutazione degli indennizzi; soltanto nel 2005 la Corte di Cassazione (Cass., sent., 28 luglio 2005, n.15894) dichiarò che l'importo fisso e l'IIS dovevano essere entrambi rivalutati annualmente a decorrere dalla contrazione della malattia in base alla variazione degli indici Istat (la prassi ministeriale di rivalutare solo la componente tabellare dell'indennizzo non era in linea con un'interpretazione conforme ai principi costituzionali, giacché la misura dell'indennizzo «se non è rivalutata per l'intero nelle sue componenti, non sarebbe equa rispetto al danno subito, da rapportare al pregiudizio alla salute». Il credito, infatti, ha natura assistenziale, dato che si inserisce nel sistema della sicurezza sociale dei cittadini).

Il legislatore intervenne nuovamente con la L. n. 229 del 29 ottobre 2005, riconoscendo un indennizzo ulteriore, in aggiunta a quello già previsto dalla L. n. 210/1992, in caso di danno da vaccinazioni obbligatorie: era previsto che tale importo fosse rivalutato annualmente secondo gli indici Istat. Con la L. n. 244 del 24 dicembre 2007 tale indennizzo ulteriore venne esteso anche ai casi di «sindrome da talidomide».

Tuttavia, nonostante il dettato legislativo volto a rivalutare annualmente gli indennizzi, la Corte di Cassazione (Cass., sent., del 13 ottobre 2009, n. 21703, in Corriere del Merito, 2011, 11, 1067) mutò orientamento, ritornando alla precedente interpretazione che prevedeva la rivalutazione annuale solo dell'indennizzo base e non dell'IIS, secondo il seguente ragionamento:

  1. secondo il canone di interpretazione letterale, imposto dall'art. 12, comma 1, preleggi, la L. n. 210/1992 non disciplina l'indennizzo in questione «nella sua globalità» ma lo divide in due parti, regolate in due distinti commi, prevedendo letteralmente la rivalutazione annuale soltanto per la prima parte;
  2. l'indennità integrativa speciale serve ad impedire o attenuare gli effetti della svalutazione monetaria onde è ragionevole che il legislatore non ne abbia previsto la rivalutazione;
  3. l'art. 32 Cost. garantisce la tutela della salute ma non impone scelte quantitative al legislatore, salvo il principio di equità ossia di ragionevolezza degli indennizzi (cfr. Cass. civ., sez. lav., 19 ottobre 2009, n. 22112 in Resp. civ., 2010, 10, 653 nota di Dragone).

Dopo tale arresto giurisprudenziale venne emanato il d.l. n. 78 del 31 maggio 2010, con il quale veniva fornita l'interpretazione autentica dell'art. 2 della L. n. 210 del 25 febbraio 1992: la somma corrispondente all'importo dell'IIS non era rivalutata secondo il tasso di inflazione. Inoltre, veniva stabilito che le misure prese in virtù di un titolo esecutivo contenente la rivalutazione della somma di cui sopra cessavano di avere effetto dalla data di entrata in vigore del decreto stesso (si veda in proposito l'art.11, comma 13 e comma 14, d.l. n. 78/2010).

Il d.l. n. 78/2010 fu oggetto di numerose questioni di legittimità costituzionale ed il Giudice delle Leggi con la sentenza n. 293 (Corte. Cost. 9 novembre 2011, n. 293, in Foro It., 2011, 12, 1, 3209) ritenne violato il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.. La Consulta specificò che i commi 13 e 14 dell'art. 11 del d.l. n. 78/2010) sancivano una disparità di trattamento tra le persone affette dalla sindrome da talidomide e quelle affette da epatite a seguito di trasfusioni, entrambe titolari di un indennizzo secondo quanto previsto dalla L. n. 210/1992. In effetti l'IIS era rivalutata annualmente in base al tasso di inflazione per la prima categoria di persone (ai sensi della L. n. 244 del 24 dicembre 2007 summenzionata), ma non per la seconda.

Rimaneva aperta la questione dell'efficacia nel tempo della pronuncia della Corte costituzionale: secondo il Ministero della Salute l'incostituzionalità dell'art. 11 del d.l. n. 78/2010 poteva decorrere solo dall'entrata in vigore della L. n. 244/2007.

Con l'ordinanza n. 10769 (Cass., ord., 21 giugno 2012, n. 10769) la Corte di Cassazione ha smentito la tesi del Ministero. Il Giudice di legittimità ha osservato che la Corte Costituzionale non aveva posto limiti temporali alla pronunzia di incostituzionalità e aveva dichiarato incostituzionale anche il comma 14 dell'art. 11 del d.l. n. 78 del 2010, il quale disponeva la cessazione degli effetti di tutti i provvedimenti emanati al fine di rivalutare l'indennità integrativa speciale.

L'intervento della corte europea dei diritti dell'uomo

Con la “sentenza pilota” ricorso 5376/11 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha stabilito che il d.l. n. 78/2010 ha leso il principio di preminenza del diritto nonché il diritto dei ricorrenti ad un processo equo come stabilito dall'art. 6 della Convenzione (in quanto la norma in questione stabiliva criteri che determinavano l'esito di procedimenti pendenti, privavano di effetti tanto le decisioni favorevoli ai ricorrenti, quanto gli eventuali ricorsi proposti contro le decisioni che rigettavano le domande di rivalutazione dell'IIS), oltre all'articolo 1 del Protocollo 1, a causa dell'assenza di un equo bilanciamento tra il diritto dei singoli danneggiati e l'interesse generale della comunità: la Corte infatti ha attribuito particolare importanza al fatto che l'IIS rappresentasse più del 90% dell'importo globale dell'indennizzo corrisposto agli interessati e che mirava a coprire i costi dei trattamenti sanitari da loro sostenuti.

La CEDU ha anche ritenuto che le violazioni dipendessero da un problema strutturale della legislazione interna ed ha invitato lo Stato convenuto a fissare un termine inderogabile entro il quale garantire la realizzazione rapida ed effettiva dei diritti dei ricorrenti danneggiati entro sei mesi dal giorno in cui la sentenza CEDU è diventata definitiva, in collaborazione con il Comitato dei Ministri, versando un importo corrispondente alla rivalutazione dell'IIS ad ogni persona che beneficia dell'indennità di cui alla legge 210/1992, a partire dal momento in cui gli è stata riconosciuta e indipendentemente dal fatto che l'interessato abbia avviato una procedura per ottenerla.

L'art. 27-bis della legge 114 del 2014

I soggetti interessati dalla norma in questione sono i soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e i soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti ai sensi dell'art. 2, comma 361, L. n. 244/2007, che hanno presentato la domanda di adesione alla procedura transattiva entro la data del 19 gennaio 2010.

La norma di legge in esame prevede la corresponsione «a titolo di equa riparazione» di “una somma di denaro” in “un'unica soluzione” pari ad Euro 100.000 in favore dei soggetti danneggiati da sangue o emoderivati infetti e di Euro 20.000 in favore dei soggetti danneggiati da vaccinazione (ovvero dei loro aventi causa, qualora l'istante sia deceduto).

L'articolo 27-bis stabilisce che gli importi di cui sopra vengano corrisposti entro il 31 dicembre 2017 (sulla base di una graduatoria stilata in relazione alla gravità della patologia ed all'indice di disagio economico) e che i requisiti per poter accedere alla procedura di ristoro sono:

  1. l'avere promosso vertenza di risarcimento danni entro il 31 dicembre 2007;
  2. l'avere presentato istanza di adesione a transazione entro il 19 gennaio 2010;
  3. l'avere ottenuto il riconoscimento dell'esistenza del nesso causale tra la patologia ed il trattamento trasfusionale o la vaccinazione;
  4. l'avere ottenuto il riconoscimento dell'iscrizione della patologia ad una delle otto categorie di cui alla tabella A allegata al D.P.R. n. 834/81.


La norma in esame rappresenta pertanto un passo avanti dello Stato Italiano verso l'adozione delle misure generali richieste dalla CEDU, rimanendo salva la possibilità alternativa di proseguire nella procedura transattiva prevista dalla L. n. 244/2007, con i criteri e limiti ivi stabiliti.

La soluzione prescelta, tuttavia, non appare del tutto soddisfacente. Visto il contenzioso abnorme e i numerosi ricorsi pendenti innanzi alla CEDU (da ultimo n. 16178/2013 A.A.e altri c. Italia – comunicato al Governo italiano il 13 gennaio 2014), lo Stato Italiano avrebbe potuto definire in modo più coraggioso le richieste risarcitorie in essere con quei provvedimenti strutturali, anche retroattivi, che è stato invitato ad emanare e di cui chiederà conto il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, organo che ai sensi dell'articolo 46, comma 2, CEDU, è deputato a controllare l'esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo.

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