La trasmissione ereditaria delle proprietà digitali. Il problema (dei codici) di accesso ai dispositivi e i diritti degli eredi

Alessandro Benni de Sena
13 Settembre 2016

L'Autore, dopo alcune considerazioni sul rapporto tra il diritto alla privacy, il diritto di proprietà e la successione mortis causa, definisce l'obbligo del produttore di consentire l'accesso al dispositivo. Altra questione è l'individuazione di un diritto degli eredi ai dati personali/familiari archiviati, distinguendo la natura di tali beni. Ammessa la trasmissione mortis causa dei diritti su tali beni, si individuano gli strumenti a tutela dei diritti degli eredi.
La contestualizzazione

Un noto produttore di strumenti di comunicazione ed informatica è balzato di recente agli onori della cronaca statunitense per una questione molto delicata. Uno degli attentatori della strage di San Bernardino in California, dove trovarono la morte 14 persone oltre ai due attentatori, aveva uno smartphone, al quale l'FBI voleva accedere per recuperare dati e contatti. Tuttavia, senza il codice di accesso il dispositivo era inaccessibile. Si è cercato di aggirare il sistema accedendo al servizio secondario Cloud (letteralmente la “nuvola” dove sono custoditi i dati dei back-up degli utenti) “resettandone” la password. A quanto pare, però, tale modifica (attraverso un computer col quale non era stata effettuata la sincronizzazione dall'utilizzatore), senza il previo sblocco del dispositivo, ha impedito il servizio di back-up dei dati più recenti alla Cloud. Inoltre, dopo un certo numero di tentativi di inserire il codice il dispositivo si blocca definitivamente.

In sostanza, quindi, senza il codice il dispositivo e i dati più recenti diventano inaccessibili dall'esterno, sia direttamente, sia indirettamente attraverso la Cloud. Il dispositivo è nuovamente utilizzabile effettuando un ripristino che, però, cancella tutti i dati presenti mediante inizializzazione.

A parte la peculiare diatriba di oltreoceano sulla privacy (che si inserisce nello scandalo degli ultimi anni su un piano di sorveglianza di massa delle telecomunicazioni da parte della National Security Agency degli Stati Uniti) e che pare aver trovato recente soluzione (nel senso che l'FBI sarebbe riuscita ad accedere al contenuto del dispositivo), la questione è anche squisitamente civilistica nel nostro ordinamento giuridico.

Le questioni

Il tema di indagine trae origine dall'accessibilità alle proprietà digitali in caso di morte del titolare, specie ove l'accessibilità stessa dipenda da credenziali note solo al titolare-defunto.

Se vi fosse un lascito di password, questo si presta ad essere immaginato come il legato di cassetta di sicurezza “virtuale”.

Nel nostro caso, invece, il defunto nulla ha previsto e il codice non è conosciuto dagli eredi. Si tratta di capire quali diritti abbiano gli eredi (e quali eredi) del defunto sulle proprietà digitali custodite e non altrimenti accessibili, in mancanza del codice di accesso del software che gestisce l'hardware.

Infatti, data la variegata natura delle proprietà digitali, l'interesse ad accedere a quei documenti informatici (e la relativa legittimazione) è senza dubbio rilevante. In tali dispositivi, sempre più sofisticati e capaci di gestire diverse funzionalità al pari di elaboratori più complessi, potrebbero essere custoditi non semplicemente video e foto che richiamano quei beni familiari che in altri tempi avremmo chiamato carte, documenti, ritratti e ricordi di famiglia, ma anche documenti che potrebbero involgere il diritto morale e patrimoniale di autore (archivi di creazioni intellettuali, informazioni di know-how, etc.). Pertanto, l'analisi della fattispecie dovrà, di volta in volta, confrontarsi anche con la particolare natura della proprietà digitale considerata.

Nel caso che ci occupa, in caso di successione mortis causa, gli eredi che non siano in possesso del codice non possono accedere alle proprietà digitali contenute nei dispositivi. Allora, può il produttore essere obbligato a “violare” il suo stesso software per consentire l'accesso ai dati senza il codice?

Al di là della questione della privacy, strumentale ad una ragione di marketing, appare oggettivo che il produttore abbia voluto progettare un sistema operativo per l'inviolabilità dello stesso, per cui il codice è necessario per accedere ai dati contenuti nel dispositivo. L'utente sa (o dovrebbe sapere) che senza il codice non potrà accedere a quei dati. Il dispositivo, però, potrà tornare ad essere utilizzato, inizializzando il dispositivo, ma perdendo così i dati precedentemente salvati e custoditi.

La responsabilità del produttore, privacy, diritto di proprietà e trasmissione ereditaria

Prima di tutto occorre interrogarsi sulla qualificazione giuridica del contratto col quale si cede licenza di software ed hardware: di regola viene ritenuta vendita (per una differenziazione di varie ipotesi, P.E. Sammarco, Software e esaurimento del diritto, in Dir. informatica, 2012, 1033; Id., I contratti dell'informatica, in Diritto civile, diretto da Lipari e Rescigno, vol. III Obbligazioni, t. III I contratti, Giuffrè, 2009, 755 e ss.).

A mente delle regole generali, non appare configurarsi un vizio, inteso come imperfezione concernente il processo di produzione, fabbricazione o di formazione che renda la cosa inidonea all'uso per il quale è destinata o ne diminuisca in modo apprezzabile il valore, ai sensi dell'art. 1490 c.c..

Al di là del fatto che il vizio è un'imperfezione materiale, il dispositivo è stato progettato proprio con questa peculiarità e, comunque, è perfettamente riutilizzabile, inizializzandolo. Non vi è un'inidoneità funzionale integrante un vizio di fabbricazione, ossia un malfunzionamento o una difformità dai requisiti per cui il sistema non esegue quello che dovrebbe. Del pari, non vi è un difetto, inteso come errore o bug del software, che opera esattamente come programmato e concepito.

Neppure l'inaccessibilità senza codice può configurare una mancanza di qualità essenziali (art. 1492 c.c.), intese come inerenti alla natura della merce e gli elementi essenziali e sostanziali che, nell'ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie piuttosto che in un'altra.

Quand'anche si arrivasse sostenere l'esistenza di un vizio rilevante e si superassero gli stretti termini di decadenza e prescrizione, gli effetti dell'azione di responsabilità (risoluzione del contratto e risarcimento del danno) non risponderebbero all'interesse primario di ottenere l'accesso ai dati.

Non diversamente se si guarda alla disciplina consumeristica, senza considerare la limitazione del danno risarcibile (art. 123 Cod. consumo) al danno alle persone (morte o lesioni personali) oppure alla distruzione o deterioramento di cosa diversa dal prodotto difettoso.

Da ultimo, anche si volesse intraprendere un'azione risarcitoria aquiliana, il danneggiato si troverebbe di fronte ad una prova diabolica: provare il contenuto del dispositivo al quale non si ha accesso. Sia pure con riferimento alle cassette di sicurezza, «nel caso in cui venga asportato un documento contrattuale contenuto in una cassetta di sicurezza, il cliente ha l'onere di provarne il testo effettivo (nella specie si tratta di un contratto di lavoro riservato) per ottenere la condanna della banca al risarcimento dei danni derivanti dall'impossibilità di esercitare i diritti in esso riconosciuti» (App. Milano, 11 gennaio 2000, in Banca borsa tit. cred., 2001, II, 439). Si potrà fare ricorso alle prove testimoniali sul contenuto (Cass. civ., sez. I, 10 settembre 1999, n. 9640; Cass. civ., sez. I, 4 giugno 2012, n. 8945), ma non si potrà valorizzare una presunzione come fatto noto, per derivarne da essa un'altra presunzione, la c.d. praesumptio de praesumpto (Cass. civ., sez. I, 9 aprile 2002, n. 5045). Detto diversamente, la sussistenza del danno non patrimoniale mai può essere ritenuta in re ipsa, ma va sempre debitamente allegata e provata da chi lo invoca, anche attraverso presunzioni semplici (Cass., sez. II, 12 ottobre 2012, n. 17490).

Della disciplina speciale, però, interessa un'altra disposizione: l'art. 117 lett. b, Cod. consumo) secondo cui il prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze tra cui l'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere.

Se la norma non è direttamente applicabile, non sussistendo un vero e proprio vizio, introduce un concetto più ampio, quello di ragionevole previsione dell'uso del prodotto e dei comportamenti del consumatore.

Più in generale, tale regola richiama anche il principio di precauzione, che si fonda sull'analisi del rischio che comprende oltre che la valutazione del rischio la sua gestione.

Sia chiaro che tali regole e principi sono applicabili ad ambiti assai diversi (responsabilità per prodotti difettosi e responsabilità da attività pericolosa) e sarebbe almeno discutibile una loro trasposizione nel problema che ci occupa. D'altra parte, il sistema operativo o software è un programma per elaboratore responsabile del diretto controllo e della gestione dell'hardware, per cui è lecito aspettarsi un modo per risolvere determinati problemi assolutamente prevedibili.

Detto diversamente, il produttore non può ignorare il rischio di perdita (anche incolpevole) del codice di acceso (caso di scuola dell'amnesia) e non può ignorare il diritto di trasmettere ai propri eredi (o agli aventi diritto) il contenuto digitale.

L'opposizione ferma della tutela della privacy anche nei confronti del cliente o dei suoi eredi finirebbe per portare ad una limitazione (inammissibile) di trasmettere i propri beni mortis causa. Si tratterebbe, paradossalmente, di un vulnus al concetto stesso di proprietà privata e della possibilità sottesa di trasmissione ereditaria.

Vero è che la privacy e le norme di repressione dei delitti informatici (a titolo esemplificativo artt. 615 ter e ss. c.p.) mirano a tutelare la sicurezza dei dati da attacchi esterni, non da legittime richieste del titolare o dei suoi eredi o aventi causa.

Pertanto, dal punto di vista contrattuale il produttore non può opporre fondatamente la tutela della privacy per sottrarsi alla richiesta del cliente che abbia incolpevolmente perso il codice oppure dei suoi eredi.

Per le stesse ragioni neppure potrebbe obiettare che la mancata adozione di cautele da parte del cliente/defunto implicherebbe la volontà di distruggere o comunque di non trasmettere agli eredi i dati contenuti nel dispositivo alla sua morte. Evidentemente si tratterebbe di una volontà presunta, non contenuta in un atto che abbia i requisiti di forma e di sostanza di un testamento oppure in un atto inter vivos (un mandato post mortem ad exequendum, ad esempio per distruggere il materiale, vero essendo che il produttore non ha la disponibilità materiale del dispositivo e non potrebbe eseguire l'incarico e il soggetto incaricato rimarrebbe indeterminato).

Senza considerare che una volontà dismissiva di un diritto dovrebbe essere inequivoca ed espressa: assai difficilmente ricollegabile alla mera non trasmissione dei codici di accesso di un dispositivo.

Richiamando una diversa fattispecie, ma che presenta forti analogie, a nessuno verrebbe in mente di affermare che il defunto, per il solo fatto di non aver effettuato un lascito di cassetta di sicurezza, avrebbe inteso escludere gli eredi dai beni ivi custoditi. Anzi, la banca che abbia ricevuto comunicazione della morte dell'intestatario non può consentire l'apertura della cassetta, se non con l'accordo di tutti gli aventi diritto o secondo le modalità stabilite dall'autorità giudiziaria (art. 1840 comma 1 c.c.).

Al di là del rapporto con la privacy, il produttore potrebbe obiettare di non avere un obbligo di far accedere al contenuto del dispositivo, che rimane nella disponibilità e nella responsabilità del cliente. Questo aspetto lo vedremo successivamente.

La natura dei dati: dai ricordi di famiglia alle opere dell'ingegno. Diritti degli eredi e legittimazione ad agire

Come accennato, il contenuto del dispositivo può essere assai ampio in relazione alla natura dei beni ivi archiviati.

Si potrà avere il caso dell'interesse dei famigliari ad avere quelle foto o video del proprio caro non altrimenti accessibili.

Si potrà avere anche il caso dell'interesse ad accedere ad opere dell'ingegno.

I ricordi di famiglia, le carte, i ritratti, i documenti (che non siano rappresentativi di diritti, naturalmente) hanno un indubbio valore morale, ma altra cosa è verificare se rientrino nel patrimonio ereditario: a stretto rigore, di regola sono suscettibili di trasmissione mortis causa i soli rapporti patrimoniali, non strettamente personali. La particolare natura dei beni familiari ha storicamente diviso la dottrina circa la loro inclusione o meno nel patrimonio ereditario valorizzando o meno il valore morale a discapito di quello patrimoniale, con evidenti conseguenze sul piano successorio (per una disamina, M.D. Bembo, Carte, documenti, ritratti, ricordi di famiglia, in Tratt. di dir. delle successioni e donazioni, diretto da Bonilini, I, La successione ereditaria, pagg. 779 ss.).

Si pone, quindi, l'antico problema di individuare il regime normativo di tali beni.

Ad esempio, in tema di vendita di eredità, si è ritenuto che essa comprenda solo i rapporti aventi carattere patrimoniale, rimanendo esclusi quelli che, pur trasmessi all'erede, abbiano carattere strettamente familiare, come appunto i ricordi e i documenti di famiglia (D. Rubino, La compravendita, Giuffrè, 1971, pag. 144; in senso contrario, Al. Fedele, La compravendita dell'eredità, Torino, 1977, pag. 193 ss., che valorizza l'aspetto patrimoniale unito anche ad un possibile notevole interesse affettivo o morale, per cui, data l'ampiezza dell'oggetto della compravendita dell'eredità e l'assenza di una norma espressa di esclusione, tali beni rientrano nell'oggetto del trasferimento, salva una diversa volontà delle parti).

Una cosa appare certa: trattandosi pur sempre di beni mobili, non è sostenibile una loro estinzione, non costituendo diritti inscindibilmente legati alla persona del titolare.

D'altra parte, la legge speciale sul diritto d'autore sembra presupporre la sopravvivenza dei diritti sulla corrispondenza e sui ritratti (artt. 93 e 96 l. aut.).

Secondo i più, le carte, i documenti, i ritratti e i ricordi di famiglia costituiscono oggetto della successione e ad essi si applicano le regole successorie (Bonilini, L'oggetto della successione – Introduzione, in Tratt. di dir. delle success. cit., pag. 297; Bembo, op. cit., 788), salvi i contemperamenti legati alla natura dei beni in oggetto (ad esempio, quei diritti iure proprio e non iure successionis che spettano non agli eredi in quanto tali, ma a soggetti legati da stretti vincoli familiari). Il diritto di proprietà sulle carte e sui documenti familiari dovrebbe trasmettersi agli eredi, salvi gli eventuali diritti determinati dalla legge speciale, per i quali vi sarebbe uno statuto “speciale”: la trasmissione di certi beni e diritti è favore dei prossimi congiunti legati col defunto da un vincolo familiare e non agli eredi in quanto tali (come avviene, appunto, per il coniuge, i figli e gli altri soggetti indicati dall'art. 23 l. aut. per il diritto morale di autore).

Si è anche ritenuto, in tema di divisone ereditaria, che l'art. 736 c.c. abbia portata amplissima, cosicché l'obbligo di rimettere i documenti riguarderebbe i documenti della più varia natura, comprendendo l'eredità sia dal punto vista patrimoniale, sia morale, ossia le carte e i ricordi di famiglia. In questo senso, già l'art. 707 c.c. prevede l'obbligo per l'esecutore testamentario di consegnare all'erede, che ne faccia richiesta, i beni dell'eredità non necessari all'esercizio del suo ufficio. Tali beni, sebbene la cosa non sia affatto pacifica, sarebbero propri i ricordi di famiglia, così chiudendosi il cerchio circa la comprensione di tali beni nel patrimonio ereditario.

D'altra parte, non dimentichiamo che l'art. 587 c.c. prevede l'ammissibilità di disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento, purché contenute in un atto che abbia la forma del testamento anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale. Dunque, si può evincere un concetto ampio di testamento (e di successione).

Oltre ai ricordi di famiglia, nei dispositivi potrebbero essere archiviate opere dell'ingegno, per le quali troveranno applicazione gli art. 23 e 24 della L. n. 633/1941, nonché gli artt. 2575 e ss. c.c.

Non dimentichiamo che il datore di lavoro, salvo patto contrario, è titolare del diritto esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della banca dati o dell'opera di disegno industriale creati dal lavoratore nell'esecuzione delle sue mansioni (artt. 12 bis e ter l. aut.). Più in generale, il prestatore di lavoro subordinato ha diritto di essere riconosciuto autore dell'invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro, essendo poi i diritti e gli obblighi delle parti relativi all'invenzione regolati dalla leggi speciali (art. 2590 c.c.).

Detto diversamente, oltre agli eredi o ai famigliari stretti, anche soggetti terzi qualificati potrebbero avere interesse e legittimazione ad agire per accedere a quei dati sui quali abbiano un diritto patrimoniale di utilizzazione e sfruttamento. Di più: se normalmente il dispositivo è un bene aziendale, il datore di lavoro è il proprietario che potrebbe agire direttamente in tale veste, con una forte agevolazione sul piano probatorio, avendo conservato la fattura di acquisto del prodotto quanto meno per evidenti ragioni fiscali. Naturalmente il problema presuppone che il datore di lavoro non sia a conoscenza del codice di accesso, ad esempio per averlo il dipendente modificato senza alcuna comunicazione.

Licenza e configurabilità di un obbligo del produttore a far accedere al contenuto del dispositivo

Fino ad ora abbiamo cercato di verificare che possa sussistere un diritto di succedere/accedere a quei beni archiviati nel dispositivo, vuoi per un fenomeno di successione mortis causa, vuoi per ragioni di diritto di utilizzazione economica, a seconda della natura e dello statuto del bene in esame.

Altra cosa è verificare che il produttore possa essere obbligato a “violare” il suo stesso sistema operativo per accedere ai dati/beni.

In linea del tutto generale, di regola le società che gestiscono i social network (aspetto diverso dal nostro) rigettano le richieste di accesso dei famigliari all'account del defunto per due ordini di motivi. Da una parte, invocano le strette regole federali a tutela della confidenzialità delle comunicazioni elettroniche; dall'altra, eccepiscono che non avrebbero la possibilità di accertare la legittimazione dell'istante in base alle norme successorie di ciascun ordinamento nazionale.

Nel caso che ci occupa, lo sblocco del software implica l'accesso non solo a dati come file video o immagini etc., ma anche a tutti gli altri servizi e/o applicazioni come la posta elettronica e i social network. Dunque la questione si potrebbe riproporre, ma l'uso del condizionale è d'obbligo.

Il sistema operativo “è il programma per elaboratore responsabile del diretto controllo e della gestione dell'hardware e delle sue operazioni di base” all'interno del dispositivo (P.E. Sammarco, Hardware e software preinstallato: profili di collegamento negoziale, in Dir. informazione e informatica, 2015, 355). Comanda un dispositivo di archiviazione/gestione di dati che necessita di un codice per aprire la “serratura”. Non è un caso che abbiamo esordito accostando il lascito del codice ad un legato di cassetta di sicurezza.

Il produttore non potrà negare la possibilità di accedere ai beni archiviati nel dispositivo, ovvero non potrà ignorare il diritto di proprietà e il diritto di successione mortis causa in tale diritto, anche alla luce, come si è detto, della prevedibilità della questione, praticamente fisiologica, essendo il sistema operativo il mezzoattraverso cui accedere e gestire i dati. Proprio tale strumentalità finalizzata ed essenziale del programma stesso deve consentire la possibilità di accesso.

La licenza di uso del software (per comodità ci riferiamo all'ultima versione reperibile nel sito internet del noto produttore, agg. al 17/09/2015, denominata iOS91) non pare contenere clausole di ostacolo.

A parte le (assai “dubbie”) clausole di esonero della responsabilità per vizi, interessa la possibilità di trasferire la licenza di software: “non è consentito dare in locazione, in leasing, in prestito, vendere, ridistribuire o concedere in sublicenza il Software iOS. Tuttavia è consentito trasferire in maniera permanente tutti i diritti relativi al Software iOS a terzi, in caso di trasferimento di proprietà del Dispositivo iOS, a condizione che: (a) il trasferimento riguardi il Dispositivo iOS e tutto il Software iOS, inclusi tutti i componenti, i supporti originali, il materiale stampato e la presente Licenza; (b) non venga conservata nessuna copia totale o parziale del Software iOS, comprese eventuali copie memorizzate su computer o su altro dispositivo di archiviazione dati; e (c) la parte ricevente il Software iOS legga e accetti i termini e le condizioni della presente Licenza”.

È, dunque, ammessa la trasferibilità dei diritti al software unitamente al dispositivo, nel cui concetto rientra anche il trasferimento a causa di morte. D'altra parte, se la cessione del software con l'hardware è assimilata alla compravendita, non vi sarebbero legittime ragioni per limitarne la circolazione.

Esclusa la presenza di un vizio, il produttore non sarà responsabile, ma non potrà sottrarsi alla richiesta di assistenza invocando la tutela della privacy e neppure l'intrasferibilità del dispositivo.

Il problema, poi, sembra ridursi notevolmente guardando alla garanzia contrattuale annuale (qui facciamo riferimento a quella datata 02/03/2016), ove si legge “La presente Garanzia non si applica a: (…) (j) Prodotti Apple oggetto di furto secondo quanto riferito ad Apple dalle autorità competenti o di cui non si è in grado di disattivare il codice abilitato o le altre misure di sicurezza previste per impedire l'accesso non autorizzato, laddove non si riesce a dimostrare in alcun modo di essere l'utente autorizzato del prodotto (es. fornendo la prova d'acquisto).”

A contrario, dunque, il produttore è in grado e disponibile ad effettuare l'assistenza. Naturalmente, trascorso l'anno l'intervento non sarà coperto da garanzia, ma sempre possibile.

Gli eredi sono i legittimi proprietari del dispositivo. Il produttore potrà accontentarsi, come per qualsiasi altra richiesta di assistenza anche fuori garanzia, di individuare il richiedente.

Non dimentichiamo che si tratta pur sempre di un bene mobile, soggetto ad un sistema di pubblicità e di tutela legati al possesso.

Non tutti conservano od hanno la “prova di acquisto”, tanto più se la garanzia è spirata o se si tratta di un regalo o sia stato il dispositivo successivamente ceduto ad esempio tra famigliari.

In sé, poi, uno scontrino non reca il nome dell'acquirente e ciascuno potrebbe richiedere con esso lo sblocco qualificandosi come legittimo proprietario.

Vero è che il produttore, di fronte ad una richiesta di aggirare i sistemi di sicurezza, legittimamente richiede una certa attenzione. Trattandosi di bene mobile, dovrebbe bastare la dichiarazione degli eredi, del caso documentata. Il produttore, come visto, non potrebbe invocare la tutela della privacy a discapito dell'avente diritto.

In caso di rifiuto, non appare esperibile, a stretto diritto, la petitio hereditatis (art. 533 c.c.), in quanto il produttore non è possessore dei beni ereditari. È altresì vero, però, che l'azione è stata riconosciuta anche contro il debitore dell'eredità e per recuperare un credito (A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale Delazione e acquisto dell'eredità Divisione ereditaria, in Tratt. di dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, XLII, Giuffrè, 1961, pag. 245). In sostanza, se il debitore nega il debito, il creditore dovrà fornire la prova dell'esistenza dello stesso. Se, però, non nega il debito, ma contesta la qualità di erede dell'attore, costui deve provare la sua qualità di erede, dunque, si tratta di azione di petizione di eredità, per nulla differente da un'azione tendente a recuperare una cosa corporale in forza del titolo di erede. Secondo i più, tuttavia, il tenore letterale della norma non lascia spazio a tale estensione (per i primi riferimenti, si veda almeno C. Coppola, La petizione di eredità, in Tratt. di dir. delle successioni e donazioni cit., I, pag. 1453-1454).

In sostanza, se il produttore contesta la qualità di erede, sarà esperibile un'azione di mero accertamento, che prescinde dal possesso dei beni ereditarî.

A stretto rigore, poi, un'azione petitoria sarebbe difficilmente azionabile, in quanto il produttore non possiede o detiene i beni (art. 948 c.c.). Dubbia è anche l'esperibilità dell'actio negatoria a mente dell'art. 940 co. 2 c.c., se sussistono turbative o molestie (in questo caso date da un comportamento omissivo), poiché manca il presupposto dell'affermazione di altri di diritti sulla cosa.

Vi sarebbe la possibilità di tutela possessoria. In particolare, anche colui che ha subito uno spoglio non violento o non clandestino può chiedere di essere reintegrato nel possesso, se sussistono le condizioni di cui all'art. 1170 co. 2 c.c., così non ricorrendo la limitazione dell'azione di manutenzione relativa ai soli beni immobili e universalità di mobili (art. 1170 co. 3 c.c.). Come è noto, pur denominata azione di manutenzione, l'azione tutela specificamente chi abbia subito uno spoglio, analogamente all'azione di reintegrazione (che non sarebbe esperibile trattandosi di spoglio non qualificato da violenza o clandestinità).

Il problema è che, tecnicamente, lo spoglio è integrato non solo dalla privazione del possesso, ma anche dall'apprensione da parte dell'autore dello spoglio. Circostanza questa che non ricorrerebbe nel caso in esame. Bisogna allora ammettere la possibilità di tutela anche nei confronti di molestie di diritto, venendo il possesso messo in dubbio o in pericolo.

Sarà, poi, ammissibile anche un'azione personale contrattuale, fondata sull'obbligo del produttore di consentire l'accesso ai beni archiviati.

Come emerso dalle condizioni di garanzia convenzionale, tale operazione di sblocco è prevista (altra cosa è la copertura o meno dell'intervento nella garanzia dal punto di vista economico).

In ogni caso, il produttore non può negare il proprio consenso e la propria attività per consentire il recupero dei dati altrui, tramite lo sblocco del proprio software. In un certo senso la posizione è simile a quella descritta dall'art. 843 c.c., se non fosse che non stiamo discorrendo di proprietà fondiaria. Ma l'obbligo del produttore discende direttamente dall'obbligo di fornire un sistema operativo strumentale alla tutela/gestione di dati e che, dunque, non rischi di mettere in pericolo il diritto stesso di proprietà dei beni custodibili.

Residuale è l'azione di risarcimento danni, che naturalmente non mira a conseguire quel bene della vita primario che è il recupero dei ricordi familiari, ferma la “prova diabolica”, cui si è fatto cenno sopra: il danneggiato dovrebbe provare il contenuto dei beni ai quali non si ha accesso.

Da ultimo, qualsiasi condanna all'accessibilità ai dati potrebbe scontrarsi col pervicace rifiuto del produttore di ottemperare. In tal senso, appare opportuna l'applicazione dell'art. 614-bis c.p.c., come modificato dall'art. 13 d.l. 27 giugno 2015, n. 83 conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132. Il Giudice, si richiesta di parte, col provvedimento di condanna potrà fissare la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Naturalmente la somma di denaro dovrà essere di entità tale da costituire un effettivo stimolo ad eseguire la sentenza da parte della multinazionale.

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