Il trasferimento del giudizio risarcitorio in sede arbitrale secondo il d.l. n. 132/2014

Antonino Barletta
16 Febbraio 2015

Il d.l. n. 132 del 2014 (convertito con modificazioni dalla l. n. 162 del 2014) disciplina il trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili pendenti, quale misura di "degiurisdizionalizzazione" e deflazione dell'arretrato. Questo istituto rappresenta un'alternativa transitoria rispetto alla normale conduzione del processo, essendo circoscritto alle cause già pendenti avanti al tribunale o in grado di appello.
Ambito di applicazione della nuova disciplina in tema di trasferimento in sede arbitrale con finalità deflattive

La disciplina del trasferimento in sede arbitrale riecheggia l'enfatica titolazione del d.l. n. 132 del 2014 (convertito con modificazioni dalla l. n. 162 del 2014), ove compare appunto il riferimento a misure di “degiurisdizionalizzazione” e deflazione dell'arretrato in materia civile, ribadita dalla rubrica dell'art. 1 (“Eliminazione dell'arretrato e trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili pendenti”). Ai sensi dell'art. 1, comma 1, d.l. n. 132 del 2014 tale istituto rappresenta, tuttavia, un'alternativa dichiaratamente transitoria rispetto alla normale conduzione del processo, giacché è circoscritto alla definizione delle cause già pendenti avanti il tribunale o in grado d'appello (e quindi anche i giudizi di secondo grado avanti la corte d'appello, ma il dato letterale non è tale da escludere l'applicabilità dell'istituto in discorso ai giudizi in unico grado avanti la medesima corte d'appello) alla data dell'entrata in vigore del suddetto decreto (13 settembre 2014).

L'ambito di applicazione dell'istituto è ulteriormente circoscritto dal limite generale dell'arbitrabilità di cui all'art. 806 c.p.c. (ossia ai diritti non indisponibili), a cui si aggiunge l'esclusione delle controversie in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, attenuata però dalla modificazione inserita in sede di conversione del decreto, volta a consentire l'applicazione dell'istituto in discorso alle controversie che si fondano esclusivamente su un contratto collettivo, che preveda la possibilità di ricorrere all'arbitrato (secondo lo schema già tratteggiato dall'art. 806, comma 2, c.p.c.).

Ulteriore limite – intrinseco alla natura privata dello strumento arbitrale – è il carattere volontario del ricorso all'arbitrato, a mente dell'impossibilità di sostituire la scelta delle parti di deferire la decisione della controversia agli arbitri con un atto autoritativo, come risulta costantemente affermato dalla Corte costituzionale dal 1977 (sent. n. 127/1977) in poi. Peraltro, l'accordo delle parti si perfeziona di regola in sede giudiziale attraverso una “istanza congiunta” rivolta al tribunale o alla corte d'appello (art. 1, comma 1, d.l. n. 132/2014) e non solo nella forma scritta prevista all'art. 807 c.p.c..

L'istituto del trasferimento in sede arbitrale è stato da subito accolto da un generale scetticismo degli autori e delle categorie professionali interessate, al punto da bollare come “velleitario ed illusorio” il proposito del legislatore di abbattere in tal modo l'arretrato della giustizia civile (A. Briguglio, Nuovi ritocchi in vista per il processo civile: mini-riforma ad iniziativa governativa, con promessa di fare (si confida su altri e più utili versanti) sul serio, in www.giustiziacivile.com, § 1.1; dubbi circa l'effettiva incidenza pratica dell'istituto sono stati espressi da A. Carratta, P. D'Ascola, Nuove riforme per il processo civile: il d.l. n. 132/2014, in www.treccani.it, § 2.1). Ed in effetti, occorre tenere presente diversi possibili ostacoli che si oppongono ad una diffusa applicazione del trasferimento delle controversie civili in sede arbitrale (analogamente G. Scarselli, Luci ed ombre sull'ennesimo progetto di riforma del processo civile, in www.foroitaliano.it, § 3):

  • la mancata scelta dell'arbitrato che sta alla base dell'istaurazione del processo;
  • la prevedibile avversione dei debitore verso uno strumento più rapido e snello per la decisione delle controversie;
  • le maggiori limitazioni in sede d'impugnazione della decisione arbitrale rispetto a quella dei giudici statali;
  • i maggiori costi che le parti devono sostenere la definizione della causa;
  • le eventuali opacità nella nomina degli arbitri, nel caso in cui le parti non provvedano direttamente a tale nomina.

Nondimeno, se confrontiamo tali analisi con le peculiarità proprie dei giudizi risarcitori, le diffuse valutazioni in senso pessimistico a proposito del nuovo istituto del trasferimento della causa arbitrale potrebbero lasciare il posto a considerazioni (almeno) più sfumate e possibilistiche.

Innanzitutto è bene rammentare l'impraticabilità o comunque la rara applicazione in concreto dell'arbitrato nei casi di responsabilità extracontrattuale e di responsabilità c.d. da contatto sociale. In secondo luogo, non di rado nei giudizi risarcitori il convenuto non ha affatto interesse a ritardare la definizione della controversia, soprattutto ove si tratti di un'impresa assicuratrice.

In conseguenza, i punti critici che interessano in questa sede sono soprattutto gli ultimi tre, tra quelli precedentemente enunciati. Rinviando l'esame delle questioni che possono insorgere in relazione all'impugnazione del lodo su una causa risarcitoria (v. infra § L'impugnazione del lodo pronunciato successivamente al trasferimento delle cause risarcitorie), è d'uopo sottolineare che l'art. 1, comma 5, d.l. n. 132/2014 tiene ben presente la necessità di un contenimento dei costi che nascono in sede arbitrale, demandando al Ministero della giustizia l'emanazione entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione di un regolamento per stabilire parametri ridotti per il compenso degli arbitri rispetto a quanto stabilito dal d.m. n. 55/2014. Inoltre, la deroga all'art. 814, comma 1, secondo periodo, c.p.c. (sancita sempre all'art. 1, comma 5, d.l. n. 132/2014) esonera le parti dalla solidarietà tra loro in ordine al pagamento di tale compenso. Inoltre, il comma 5 bis, aggiunto in sede di conversione, è volto all'introduzione con il citato decreto ministeriale di criteri per l'assegnazione degli arbitrati basati sulle competenze professionali dell'arbitro e su meccanismi preordinati a garantire procedure di designazione trasparenti.

Sugli aspetti appena considerati, perciò, la valutazione circa la funzionalità dell'istituto in discorso deve essere sospesa nell'attesa che venga emanato il menzionato regolamento del Ministero della giustizia. Sin d'ora, tuttavia, non può nascondersi la perplessità per la mancata introduzione d'incentivi ed esenzioni fiscali o crediti d'imposta in relazione ai contributi già versati al momento dell'iscrizione della causa al ruolo in caso di trasferimento in sede arbitrale.

Tratti salienti del trasferimento del giudizio risarcitorio in sede arbitrale

Il rinvio alle norme dell'arbitrato (titolo VIII, libro IV del codice di rito) esclude in prima battuta che il legislatore del 2014 abbia inteso istituire un nuovo genus di arbitrato. Non mancano, tuttavia, peculiarità tali da far ritenere che si tratti un'ipotesi speciale di arbitrato e che in caso di trasferimento di una causa già pendente in sede arbitrale le parti possano esplicare un'autonomia privata più circoscritta rispetto a quella che normalmente trova espressione nell'ambito dell'arbitrato in base alle disposizioni comuni. Più precisamente, si ritiene che l'art. 1 d.l. n. 132/2014 dia luogo a una nuova ipotesi di arbitrato facoltativo da legge e che il richiamo alle norme generali in materia di arbitrato sia consentito implicitamente nei soli limiti di quanto è compatibile con le disposizioni dettate in caso di trasferimento.

Di seguito ci limitiamo a sintetizzare le maggiori peculiarità della disciplina arbitrale applicabile in caso di trasferimento di una causa già pendente ai sensi dell'art. 1 d.l. n. 132/2014.

Il passaggio in sede arbitrale implica il perfezionarsi di un (sub)procedimento che inizia con la proposizione dell'istanza congiunta – effettuata fino al momento della precisazione delle conclusioni e prima dell'apertura della fase decisoria – e prosegue (non concludendosi immediatamente) con un provvedimento volto ad accertare la sussistenza delle condizioni all'uopo stabilite (art. 1, comma 2, d.l. n. 132 del 2014): pertanto, dovrebbe escludersi la possibilità di eccepire l'incompetenza degli arbitri ai sensi dell'art. 817 c.p.c. L'effettivo trasferimento in sede arbitrale si dovrebbe realizzare poi con l'accettazione da parte degli arbitri, consentendo solo dopo tale momento la cancellazione della causa dal ruolo (non espressamente disciplinata dall'art. 1 d.l. n. 132/2014, ma presupposta dal riferimento alla riassunzione al comma 4 del medesimo articolo, in caso di ritrasferimento del giudizio avanti il giudice statale) e la prosecuzione del procedimento avanti gli arbitri, fermi restando, in ispecie, gli effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale.

La composizione del giudice arbitrale è collegiale, salvo che le parti devolvano la decisione ad un arbitro unico per le controversie di valore inferiore a 100.000 euro.

Gli arbitri sono nominati concordemente dalle parti o dal presidente dell'ordine del circondario in cui ha sede il tribunale (o la corte d'appello) tra gli avvocati iscritti da almeno cinque anni all'albo dell'ordine circondariale.

Del tutto peculiare all'istituto disciplinato dal d.l. n. 132/2014 è la previsione secondo cui la prosecuzione del giudizio in sede arbitrale avvenga mantenendo le preclusioni e le decadenze già maturate nel processo (arg. dai commi 2 e 3 dell'art. 1 d.l. n. 132/2014). Ciò comporta la necessità di confrontarsi con alcune disposizioni usualmente non riferibili all'arbitrato. In primo luogo, infatti, dovrà applicarsi avanti gli arbitri il divieto di nuove domande, salva restando solo la possibilità di precisare e modificare le conclusioni, sempre che non si siano già verificate nel processo anche le preclusioni di cui all'art. 183 c.p.c. Rispetto alle preclusioni già maturate deve trovare applicazione l'art. 153 c.p.c., mentre di regola non è necessario applicare l'intero sistema di preclusioni anche in relazione alle decadenze non ancora realizzatesi al momento della translatio iudicii. Difatti, alle attività difensive ancora consentite è riferibile unicamente la previsione generale secondo cui gli arbitri si regolano nel modo che ritengono più opportuno (art. 816-bis, comma 1, c.p.c.).

Il lodo arbitrale è destinato ad acquisire gli stessi effetti della sentenza, il che esclude la possibilità di proseguire il processo con un arbitrato irrituale. Del resto, la prosecuzione del procedimento con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale risulta in sé difficilmente compatibile con un arbitrato destinato a concludersi con una mera determinazione con effetti negoziali. Occorre poi rammentare che secondo la giurisprudenza di legittimità l'arbitrato irrituale non sarebbe applicabile nelle controversie in cui è parte la pubblica amministrazione (Cass., S.U., 16 aprile 2009, n. 8987, su cui s.v. cfr. A. Barletta, Il “nuovo” arbitrato irrituale e il suo ambito di applicazione, in Sull'arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 50 ss.) e ciò non consentirebbe il trasferimento della causa avanti agli arbitri con il meccanismo dell'art. 1, comma 1, ult. parte, d.l. n. 132/2014 (v. infra § Il trasferimento dei giudizi risarcitori contro la pubblica amministrazione).

Sebbene manchi un espresso richiamo in tal senso, il lodo emanato dopo il trasferimento è suscettibile di acquisire l'efficacia esecutiva e l'idoneità ad essere trascritto o annotato solo con il procedimento di omologazione ai sensi dell'art. 825 c.p.c., non essendo possibile riconoscere al provvedimento arbitrale emanato ai sensi dell'art. 1, comma 3, d.l. n. 132/2014 effetti ulteriori a quelli previsti dall'art. 824-bis c.p.c.(analogamente A. Briguglio, Nuovi ritocchi in vista per il processo civile, cit., § 1.9).

Una delle previsioni che lascia più perplessi è quella che consente di trasferire agli arbitri anche i processi in grado d'appello (nello stesso senso A. Briguglio, Nuovi ritocchi in vista per il processo civile, cit., § 1.7; A. Carratta, P. D'Ascola, Nuove riforme per il processo civile, cit., § 2.1). In relazione a tale ipotesi, peraltro, è prevista un'articolata disciplina volta ad accelerare la definizione della causa in sede arbitrale (arg. dall'art. 1, comma 4, d.l. n. 132/2014).

Le disposizioni dedicate al giudizio d'appello non possono essere acriticamente riferite all'arbitrato, anche se il trasferimento avvenga appunto in tale grado del processo. Nondimeno, non sembra possibile ritenere che il trasferimento della causa in sede arbitrale comporti una rinuncia alla sentenza di primo grado, che renderebbe assai incerte le conseguenze dell'estinzione del procedimento in caso di mancata pronuncia del lodo nel termine previsto all'art. 4 comma 1, d.l. n. 132/2014 (in tal senso però A. Briguglio, Nuovi ritocchi in vista per il processo civile, cit., § 1.7, secondo il quale tale rinuncia sarebbe condizionata all'emanazione del lodo). All'arbitrato è comunque applicabile il divieto di ius novorum (art. 345 c.p.c.), nonché – ritengo – la struttura dispositiva e sostitutiva del giudizio d'appello, conformata, però, nel senso di attribuire agli arbitri la causa già decisa in primo grado in modo tendenzialmente ampio e automatico, salvi gli effetti del giudicato formatosi in ragione dei limiti dalla domanda d'appello. Deve escludersi, invece, l'applicabilità all'arbitrato delle norme sul c.d. filtro e le disposizioni di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c.

Il trasferimento dei giudizi risarcitori contro la pubblica amministrazione

La legge di conversione ha aggiunto all'art. 1, comma 1, d.l. n. 132 del 2014 un riferimento alle controversie in materia extracontrattuale di valore non superiore a 50.000 euro in cui è parte la pubblica amministrazione. In questo caso, infatti, è previsto che il consenso alla richiesta avanzata dalla parte privata di promuovere il procedimento arbitrale s'intende prestato, salvo il caso in cui la stessa pubblica amministrazione non espliciti il proprio dissenso per iscritto entro trenta giorni dalla richiesta. Il legislatore stabilisce in tal caso un procedimento volto a perfezionare un accordo compromissorio, attraverso la tacita accettazione della pubblica amministrazione, ripercorrendo in linea generale lo schema del silenzio-assenso, sin qui utilizzato solo per attribuire all'inerzia della stessa amministrazione il valore di un provvedimento amministrativo di accoglimento dell'istanza presentata da un privato.

Tale previsione – evidentemente – si pone a deroga della norma che subordina il trasferimento della causa davanti agli arbitri alla proposizione di un'istanza congiunta delle parti. La disciplina dinanzi descritta sembra consentire la formazione di un accordo anche stragiudiziale. Nel caso in cui l'istanza venga proposta solo dopo il decorso del termine dei trenta giorni, essa dovrà essere corredata dalla proposta formulata alla pubblica amministrazione. In tal caso, il giudice potrà provvedere solo una volta sentite le parti, per dar modo alla pubblica amministrazione di eccepire l'eventuale dissenso scritto opposto alla richiesta dell'altra parte.

Il trasferimento in sede arbitrale potrà trovare applicazione solo in relazione alle cause pendenti di fronte al giudice civile, pertanto risultano esclusi i processi instaurati con l'esercizio dell'azione di condanna avanti il giudice amministrativo ai sensi dell'art. 30 c.p.a.

L'impugnazione del lodo pronunciato successivamente al trasferimento delle cause risarcitorie

I provvedimenti pronunciati dagli arbitri nell'ambito di giudizi risarcitori trasferiti ex art. 1 d.l. n. 132/2014 potranno essere impugnati ai sensi degli artt. 827 e ss c.p.c. ove si tratti di lodi parziali (consistenti ad es. in condanne generiche o provvisionali), ovvero lodi definitivi.

Per quanto attiene alle possibili limitazioni in sede d'impugnazione per nullità ex artt. 828 ss. c.p.c. è bene tener presente, in primo luogo, che il trasferimento previsto dall'art. 1 d.l. n. 132/2014 presuppone (come abbiamo visto) la natura rituale dell'arbitrato scelto dalle parti. Per altro verso, si devono tenere presente i limiti all'impugnazione del lodo per nullità sanciti dall'art. 829, comma 3, c.p.c. in ordine ad eventuali violazioni di norme di diritto attinenti alla decisione di merito, che potranno essere fatte valere solo ove ciò sia consentito dalle stesse parti o dalla legge. Occorre rammentare, però, che è sempre ammessa l'impugnazione del lodo per contrarietà all'ordine pubblico. La limitazione all'impugnazione per violazione di legge – introdotta dal d.lgs. n. 40 del 2006 – è senz'altro applicabile ratione temporis ai trasferimenti in sede arbitrale effettuati in base al d.l. n. 132/2014, dovendosi applicare estensivamente il riferimento alla “domanda di arbitrato”, che l'art. 27, comma 4, d.lgs. n. 40/2006 richiede che sia proposta successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto (2 marzo 2006). Deve prevalere, infatti, la considerazione secondo cui la domanda giudiziale, in qualunque momento proposta ai fini dell'instaurazione del processo pendente al momento del trasferimento, assume rilievo ai fini del trasferimento in sede arbitrale sulla base di un accordo che si perfeziona nel vigore della riforma del 2006.

In ogni caso, nell'ambito dei giudizi risarcitori avanti gli arbitri devono essere applicati i principi in tema di accertamento e liquidazione del danno, che appunto un orientamento consolidato della giurisprudenza mette in relazione al carattere rituale dell'arbitrato adottato dalle parti e alla conseguente applicazione a quest'ultimo delle norme processuali civili vigenti, in quanto compatibili con la struttura privata di tale giudizio (Cass., sez. I, 14 febbraio 2014, n. 3558, in Giust. civ. Mass., 2014; Cass.,sez. I, 8 aprile 2004, n. 6931, in Giust. civ. Mass., 2004).

In particolare, gli arbitri potranno procedere alla liquidazione dei danni in via equitativa nell'ipotesi in cui sia mancata del tutto la prova del loro preciso ammontare, stante l'impossibilità del danneggiato di procedere a tale determinazione sulla base di elementi congrui ed idonei al fine considerato, ovvero ove sussista una considerevole difficoltà in ordine all'espletamento di una precisa quantificazione (Cass., sez. I, 14 febbraio 2014, n. 3558, cit.; Cass.,sez. I, 8 aprile 2004, n. 6931, cit.).

Occorre rammentare, poi, il tradizionale limite all'impugnazione del lodo in ordine alla decisione sui fatti rilevanti per la definizione del merito. Pertanto, la determinazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. è censurabile solo per vizi della motivazione (Cass. sez. I, 11 ottobre 2006, n. 21802, in Giust. civ. Mass., 2006). Più precisamente, il vizio di motivazione del lodo arbitrale può rilevare come causa di nullità del lodo stesso solo ove la motivazione sia del tutto assente, o sia carente al punto da non consentire di comprendere l'iter logico del ragionamento seguito dagli arbitri e di individuare la ratio della decisione adottata. Costituisce, invece, violazione di legge suscettibili di essere fatta valere ai sensi dell'art. 829 c.p.c. l'eventuale accertamento della risarcibilità in re ipsa, al di fuori delle ipotesi in cui ciò sia eccezionalmente consentito (Cass. sez. I, 11 ottobre 2006, n. 21802, cit.). Tale violazione è sempre suscettibile di essere fatta valere, pur dopo la riforma del 2006, perché contraria a ragioni d'ordine pubblico (anche) processuale, in considerazione della necessità di procedere, di regola, alla determinazione della misura del risarcimento (quantum debeatur) sulla base delle prove acquisite nel procedimento.

Deve escludersi, invece, la possibilità di censurare la determinazione operata in sede arbitrale in base ad elementi presuntivi semplici, ad es., facendo riferimento al c.d. danno figurativo; poiché il ricorso a nozioni di comune esperienza ovvero a elementi indiziari espressamente indicati nella motivazione del lodo arbitrale non può essere oggetto di censura in sede l'impugnazione per nullità. In tema di liquidazione equitativa, le critiche che possono muoversi rispetto alla decisione di merito pronunciata dagli arbitri si devono riferire solo alla congruità, logicità e pertinenza degli elementi indiziari considerati dagli arbitri (App. Milano, 25 maggio 2007, in Giur. mer., 2007, 4).

Una questione d'indubbio rilievo applicativo – anche in considerazione della numerosità dei procedimenti in astratto interessati al trasferimento in sede arbitrale ai sensi dell'art. 1 d.l. n. 132/2014 – riguarda la possibilità o meno d'impugnare il lodo arbitrale per violazione delle tabelle a cui in taluni casi la legge fa rinvio per la determinazione del danno (ad es., dall'art. 139 Cod. Ass.), o a cui comunque la giurisprudenza riconosce valore cogente in relazione alla liquidazione equitativa del danno (cfr., in ispecie, Cass., 30 giugno 2011, n. 12408, in Giust. civ. Mass., 2011; Cass. 7 giugno 2011, n. 12408, in Giust. civ. Mass., 2011). Anche in questo caso si deve ritenere che l'eventuale mancato rispetto delle tabelle sia sempre impugnabile per contrarietà all'ordine pubblico (anche) per ragioni processuali. In proposito tuttavia sarebbe auspicabile un espresso intervento legislativo, onde fugare possibili incertezze sul piano interpretativo suscettibili di mettere a repentaglio il sistema volto a contenere le liquidazioni del danno (anche) non patrimoniale: esigenza particolarmente avvertita dal legislatore, ad es., in relazione ai sinistri occorsi nella circolazione di veicoli e natanti. Difatti, come si avuto già avuto modo di osservare (cfr. A. Barletta, Micropermanenti e delimitazione del risarcimento dopo la pronuncia della Consulta n. 235/2014: regime transitorio e non solo, in Ri.Da.Re, spec. § 2), la disciplina della liquidazione del danno predeterminata in via normativa costituisce un“meccanismo standard di quantificazione del danno” (l'inciso è di Corte cost., n. 235 del 2014, su cui cfr. D. Spera, Riverberi sulla tabella milanese della pronuncia costituzionale sull'art. 139 Cod. Ass., in Ri.Da.Re; M. Harzan, La Consulta e il danno alla persona nella r.c. auto: così è e così pare, ivi; M. Bona, Corte costituzionale n. 235/2014: cestinatela!, ivi) volto a circoscrivere le prerogative decisorie del giudice sulla questione di fatto (o mista di fatto-diritto) attinente alla esistenza del danno risarcibile, definendo con precisione e in modo vincolante per tutti i giudici (anche privati) le modalità con cui provvedere all'accertamento in concreto dei danni ed la misura con cui monetizzarli.

L'incertezza interpretativa a cui si è appena accennato, inoltre, potrebbe essere ovviata sottoponendo espressamente gli arbitri all'applicazione delle suddette tabelle.

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