Vittime di reati violenti intenzionali: la Cassazione rimane in attesa della CGUE

Redazione Scientifica
16 Settembre 2015

La Cassazione, chiamata ad esprimersi sulla questione relativa alle vittime di reati violenti intenzionali e la mancata attuazione della Direttiva 2004/80/CE da parte dello Stato italiano, con ordinanza interlocutoria ha deciso di attendere le risposte della Corte di Giustizia dell'Unione europea, impegnata sul tema in due cause. Non resta dunque che attendere le risposte che perverranno dalla Corte di Giustizia.

Vittime di reati e attuazione della Direttiva 2004/80/CE: l'ordinanza della Suprema corte. Chiamata ad esprimersi per prima sulla questione, la Cassazione ha deciso di attendere le risposte della Corte di Giustizia UE, impegnata sul tema in due cause, la C-601/14 (Commissione Europea c. Repubblica Italiana) e la C-167/15 (X c. Presidenza del Consiglio dei Ministri).

Il caso. Una ragazza - nata all'estero, ma residente a Torino - era stata sequestrata, percossa e violentata da due stranieri poi datisi alla fuga nelle more del procedimento penale. I reati erano stati accertati dalla magistratura penale, sennonché la vittima non aveva alcuna chance di conseguire un qualsiasi risarcimento del danno dai due criminali. Pertanto sulla base dei principi fissati dalla Corte di Giustizia a partire dal caso Francovich, aveva promosso azione civile nei confronti della Presidenza del Consiglio per l'accertamento della responsabilità statale per la mancata attuazione della Dir. 2004/80/CE del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo dei danni riportati dalle vittime di reati violenti intenzionali.

Le tesi della vittima a sostegno dell'inadempimento dell'Italia. La Dir. 2004/80/CE dispone che: «Tutti gli Stati membri provvedono a ché le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime» (art. 12, § 2). Secondo l'attrice torinese, quindi, lo Stato dovrebbe garantire sia alle vittime residenti in Italia che ai quelli di altri Stati membri UE in transito sul nostro territorio, la seguente tutela: un indennizzo «equo ed adeguato», ciò allorquando il reo sia rimasto sconosciuto oppure si sia sottratto alla giustizia o non sia perseguibile o non abbia risorse per risarcire i danni. L'art. 18 Dir. imponeva al legislatore di:

  1. attuare detto sistema risarcitorio/indennitario nazionale entro il 1° luglio 2005;
  2. attuare entro il 1° gennaio 2006 le disposizioni inerenti l'indennizzo in questione nei casi transfrontalieri (cioè nell'ipotesi di straniero rimasto vittima in Italia e di italiano vittima in un altro Stato membro dell'Unione europea).

Il d.lgs. 9 novembre 2007, n. 204, pur recando il titolo «Attuazione della Dir. 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reato», non ha istituito il «sistema di indennizzo nazionale» generalizzato previsto dall'art. 12, § 2, Dir. 29 aprile 2004, n. 80, imprescindibile per garantire sia la sia la tutela delle vittime residenti in Italia e qui lese, sia la tutela delle vittime “in transito” in Italia (Art. 12, § 1: «Le disposizioni … riguardanti l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori»). Per l'attrice, l'Italia si sarebbe sottratta agli obblighi imposti dalla Direttiva, garantendo soltanto le vittime di reati già contemplate dalle leggi speciali (essenzialmente reati di mafia ed atti di terrorismo).

I giudizi di merito. Il processo avviato dalla ragazza è la “causa pilota” in materia. Sia il Tribunale di Torino che la Corte di Appello piemontese le diedero ragione (Trib. Torino, sez. IV, 26 maggio 2010, n. 3145,; App. Torino, Sez. III, 23 gennaio 2012, n. 106).

  1. Il Tribunale cos' delineò l'inadempimento «nessuna norma di diritto interno riconosce … il diritto al risarcimento per reati intenzionali violenti diversi da quelli già regolamentati dallo Stato prima ancora dell'entrata in vigore della direttiva»; la direttiva «non pare attribuire agli stati nazionali di poter scegliere i singoli reati intenzionali violenti che possono formare oggetto di risarcimento, ma anzi impone loro di prevedere un meccanismo indennitario per tutti i reati intenzionali violenti e dunque anche per i reati di violenza sessuale – reati contro la persona di evidente natura violenta e intenzionale». Pertanto il Tribunale condannò la Presidenza a risarcire la somma di € 90.000 per le «conseguenze morali e psicologiche». In appello le tesi della vittima furono condivise anche dalla Procura Generale torinese. Il Sostituto Procuratore così si espresse: «La tesi dell'appellante [la Presidenza del Consiglio], secondo cui lo Stato sarebbe libero di scegliere se e quando adottare le misure ritenute più congrue, appare priva di pregio giuridico […] e degrada l'obbligazione della Direttiva 2004/80/Ce a mero guscio vuoto».
  1. La Corte d'Appello confermò l'inadempimento: «è certo che l'Italia non ha stabilito un sistema di indennizzo per le vittime di violenza sessuale e pertanto è inadempiente»: «In realtà, il D.lgs., 6 novembre 2007, n. 204 … non ha dato completa attuazione alla Direttiva stessa, poiché si è limitato a regolare la procedura per l'assistenza alle vittime di reato […], ma non ha dato attuazione al disposto dell'art. 12, par. 2». La Corte ridimensionò la condanna a € 50.000, ritenendo che dovesse trattarsi di un «indennizzo» e non di un «pieno risarcimento».

Gli sviluppi successivi nella pendenza del giudizio di Cassazione. Nel periodo tra l'impugnazione della sentenza e l'odierna ordinanza sono intervenute novità di estremo rilievo. Il Tribunale di Milano ed il Tribunale di Roma, aderendo all'impostazione torinese, hanno riconosciuto a loro volta l'inadempimento (Trib. Roma, sez. II, 8 novembre 2013, n. 22327: efferato omicidio “comune”; Trib. Milano, Sez. I, 26 agosto 2014, n. 10441: lesioni personali e violenza sessuale). Tuttavia, è poi intervenuta un'ordinanza della Corte di Giustizia UE, che ha ritenuto la Dir. 2004/80/CE circoscritta ai soli casi “transfrontalieri” (CGUE., sez. VI, 30 gennaio 2014, causa C-122/13). La Corte ha comunque lasciato una porta aperta alla prospettiva della discriminazione alla rovescia tra vittime italiane e straniere, però non prendendo posizione sul punto in quanto il giudice rimettente (Trib. Firenze, sez. II, ord., 20 marzo 2013) non aveva illustrato i motivi per cui dinanzi a questa disparità di trattamento il diritto nazionale gli imponesse di scongiurare tale differenziazione. L'interpretazione restrittiva sostenuta dalla Corte di Giustizia, oltre a non convincere il Tribunale di Milano, non ha persuaso neppure la Commissione Europea, che il 22 dicembre 2014 ha presentato ricorso avverso l'Italia, radicando così la causa C-601/14. Queste le sue conclusioni: «Constatare che la Repubblica italiana, avendo omesso di adottare tutte le misure necessarie al fine di garantire l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, è venuta meno all'obbligo di cui l'art. 12, paragrafo 2, Dir. 2004/80/CE». Infatti: «La direttiva 2004/80/CE istituisce un sistema di cooperazione tra le autorità nazionali per facilitare l'accesso delle vittime di reato in tutta l'Unione europea ad indennizzo adeguato nelle situazioni transfrontaliere. Il regime opera sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. Per garantire l'operatività di tale sistema di cooperazione, l'art. 12, paragrafo 2, della direttiva impone agli Stati membri di essere dotati o di dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime. Tale obbligo deve essere inteso come riferito a tutti i reati intenzionali violenti e non riguarda soltanto alcuni di essi. L'ordinamento italiano prevede un regime nazionale di indennizzo delle vittime di reato costituito da una serie di leggi speciali relative all'indennizzo di determinati reati intenzionali violenti, ma non prevede un sistema generale di indennizzo che riguardi le vittime di tutti i reati che il codice penale italiano individua e qualifica come intenzionali violenti. In particolare, l'ordinamento italiano non prevede un sistema di indennizzo per i reati intenzionali violenti della c.d. «criminalità comune» non coperti dalle leggi speciali. Di conseguenza, va constatato che la Repubblica italiana è venuta meno all'obbligo di cui l'articolol'art. 12, paragrafo 2, Dir. 2004/80/CE». Infine, il Tribunale di Roma a sua volta non convinto dall'ordinanza della Corte di Giustizia, il 13 aprile 2015, dando luogo alla causa C-167/15, ha presentato domanda di pronuncia pregiudiziale con questi quesiti: «Se la Dir. 2004/80/CE (art. 12, par. 2) debba essere interpretata nel senso che osti ad una legge nazionale di recepimento che, rinviando per l'erogazione delle elargizioni a carico dello Stato alle previsioni di leggi speciali a favore della vittima di reato, non riconosca alla vittima del reato violento comune l'accesso ad un sistema sostanziale tendenzialmente generale di indennizzo e disciplini solo gli aspetti procedurali, per i profili transfrontalieri, di accesso al sistema stesso»; «se la direttiva […] debba essere quindi interpretata nel senso di imporre un sistema sostanziale tendenzialmente generale di protezione da parte dello Stato o comunque avente un contenuto minimo e, in questo caso, quali siano i criteri per determinare quest'ultimo».

L'ordinanza interlocutoria della Cassazione. A fronte dei predetti sviluppi la Suprema corte ha ritenuto opportuno attendere gli esiti dei due giudizi che attualmente pendono dinanzi alla Corte di Giustizia, dunque disponendo il rinvio della causa a nuovo ruolo. Non resta che attendere le risposte che perverranno dalla Corte di Giustizia.

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