L’applicazione del principio indennitario alle polizze infortuni

Alessandro Bugli
17 Giugno 2014

L'applicazione del principio indennitario alle coperture assicurative infortuni non mortali è stato fatta oggetto – direttamente o indirettamente - di numerose pronunce giurisprudenziali negli ultimi anni, prima fra tutte Cass., S.U., n. 5119, 7 dicembre 2001 – 10 aprile 2002 (Cass., S.U., n. 5119/2001). La risposta generalmente data è in termini affermativi. La conseguenza non è di poco conto. Per di più finisce per porsi in contrasto con quanto avviene quotidianamente sul mercato. Fare applicazione del principio indennitario dovrebbe comportare l'impossibilità per l'assicurato di richiedere un indennizzo più elevato del danno concretamente patito e, qualora abbia stipulato più assicurazioni infortuni, l'impossibilità di domandare più indennizzi per il medesimo evento lesivo quando il totale delle somme che andrebbe ad incassare finisca per superare tale limite (limite che nel nostro caso, per di più, non è di facile quantificazione).
Limiti all'indennizzo concretamente ottenibile

L'applicazione del principio indennitario alle coperture assicurative infortuni non mortali è stato fatta oggetto – direttamente o indirettamente - di numerose pronunce giurisprudenziali negli ultimi anni, prima fra tutte Cass., S.U.,n. 5119, 7 dicembre 2001 10 aprile 2002 (Cass., S.U., n. 5119/2001). La risposta generalmente data è in termini affermativi. La conseguenza non è di poco conto.

Per di più finisce per porsi in contrasto con quanto avviene quotidianamente sul mercato.

Fare applicazione del principio indennitario dovrebbe comportare l'impossibilità per l'assicurato di richiedere un indennizzo più elevato del danno concretamente patito e, qualora abbia stipulato più assicurazioni infortuni, l'impossibilità di domandare più indennizzi per il medesimo evento lesivo quando il totale delle somme che andrebbe ad incassare finisca per superare tale limite (limite che nel nostro caso, per di più, non è di facile quantificazione).

Il tema è di straordinario interesse per tutti coloro che hanno stipulato una polizza infortuni e lo è ancor di più per quelli che ne abbiano più di una.

Non è infrequente che accada che si sia stipulata un'assicurazione infortuni a titolo individuale per invalidità permanente e morte e, allo stesso tempo, in quanto titolare di una carta di credito, si disponesse già - tra i servizi accessori - di un'ulteriore copertura per il medesimo rischio.

Che cosa fare in caso di infortunio?

La risposta deve essere data in termini differenti a seconda che si guardi alla posizione della giurisprudenza maggioritaria (e di una parte non trascurabile della dottrina) oppure che si abbia riguardo delle prassi del mercato.

Per la giurisprudenza maggioritaria, l'assicurato non potrà mai ottenere, a titolo di indennizzo, più del danno effettivamente patito. In questo senso si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella nota pronuncia n. 5119/2002 «All'assicurazione contro infortuni non mortali, in quanto partecipe della funzione indennitaria propria dell'assicurazione contro i danni va applicata la disciplina di cui all'art. 1910 c.c. [articolo su cui si tornerà a breve] al fine di evitare che, mediante la stipulazione di più assicurazioni per il medesimo rischio, l'assicurato, ottenendo l'indennizzo da più assicuratori consegua un indebito arricchimento».

Ove, invece, si guardi all'operatività quotidiana delle imprese di assicurazione, la risposta dovrebbe essere data in termini totalmente opposti: normalmente, il singolo potrà richiedere il pagamento di tutti indennizzi assicurativi relativi alle diverse coperture in essere.

Quali sono gli argomenti utilizzati dalla giurisprudenza per sostenere il proprio orientamento?

Quando ci si approccia allo studio dell'assicurazione, la prima nozione data è che i contratti di assicurazione si distinguono in due grandi famiglie: vita e danni. La assicurazioni vita assolvono ad un fine para-previdenziale o di investimento, erogando un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana; le garanzie danni consentono all'assicurato di ottenere un indennizzo al verificarsi di un sinistro.

Le regole applicabili al settore vita (art.1919-1927 c.c.) sono diverse da quelle del settore danni (art.1904-1918 c.c.). Tertium non datur.

Le assicurazioni danni sarebbero presidiate dal - più volte citato - principio indennitario, mai richiamato o definito espressamente dalla legge, ma desumibile da diverse disposizioni del codice civile, tra cui:

a) l'art. 1882 «l'assicurazione è il contratto col quale l'assicuratore … si obbliga a rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro»;

b) l'art. 1905c.c. «L'assicuratore è tenuto a risarcire … il danno sofferto dall'assicurato in conseguenza del sinistro»;

c) l'art. 1910 c.c. «Nel caso di sinistro, l'assicurato può chiedere a ciascun assicuratore l'indennità dovuta secondo il rispettivo contratto, purché le somme complessivamente riscosse non superino l'ammontare del danno»;

d) l'art. 1916 c.c. «L'assicuratore che ha pagato l'indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell'ammontare di essa, nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili (disposizione, quest'ultima, volta a permettere all'assicuratore di recuperare presso il responsabile del danno quanto versato all'assicurato a titolo di indennizzo).

Ora, che le assicurazioni danni siano presidiate dal principio indennitario pare difficilmente contestabile (un copertura danni a garanzia del valore del personal computer potrà consentire all'assicurato di incassare un indennizzo assicurativo, o più indennizzi assicurativi, il cui importo massimo non potrà/dovrà superare, nel massimo, il valore del bene stesso assicurato).

Cosa ben più difficile è comprendere se con un contratto di assicurazione infortuni, il singolo contraente abbia inteso coprirsi da un vero e proprio danno alla persona oppure garantirsi, attraverso un'operazione di risparmio, le risorse per far fronte, secondo una logica para-previdenziale, al mutamento delle condizioni di vita a seguito dell'infortunio.

La garanzia infortuni nel novero dei contratti assicurativi danni

La più celebre pronuncia che ha riguardato la materia (Cass., S.U., n. 5119/2001, già richiamata in avvio) afferma che la garanzia infortuni – limitatamente alla componente di garanzia per gli eventi non mortali – rientrerebbe, a pieno titolo, nel novero dei contratti assicurativi danni. La garanzia infortuni, si legge nella sentenza, rientrerebbe nel novero delle assicurazioni contro "le disgrazie accidentali" e non vi sarebbe dubbio che il verificarsi di un infortunio sia fonte di danno per chi lo patisce.

Una volta qualificata come assicurazione danni, la polizza infortuni non potrebbe che essere sottoposta al principio indennitario (principio per il quale, l'indennizzo ottenibile dall'assicurato in occasione di un sinistro non può mai superare l'ammontare del danno effettivamente patito).

Stando così le cose, l'assicurato non potrà chiedere al proprio assicuratore (se uno solo) o ai diversi assicuratori (se più di uno) un indennizzo che superiore al quanto di pregiudizio concretamente sofferto.

Ora, anche a voler ammettere – in linea con questa giurisprudenza – che il contratto di assicurazione infortuni rientri tra le coperture del ramo danni, resta da chiedersi come vada quantificato il danno, il cui ammontare si porrebbe come limite massimo oltre il quale l'indennizzo non può essere corrisposto, se non violando le logiche riparatorie/indennitarie?

Le Sezioni Unite non hanno fornito una risposta a questa domanda.

Nella loro sentenza, i giudici di legittimità, dopo aver affermato a chiare lettere la natura indennitaria della polizza infortuni, hanno finito (sorprendentemente) per sostenere la difficoltà, al limite dell'impossibilità, di “rapportare la misura dell'indennizzo ad un danno di consistenza obiettivamente accertabile”, arrivando così - in fatto - a negare la loro premessa e, cioè, l'applicazione del principio indennitario alla polizza infortuni.

L'inapplicabilità in concreto del principio indennitario parrebbe essere la prova provata del fatto che questo tipo di polizza non possa essere qualificata come assicurazione del ramo danni. Ma sul punto torneremo in seguito.

Il riferimento alla “perdita della capacità generica di svolgere un qualsiasi lavoro”

Alcuni autori non si sono arresi alle conclusioni delle Sezioni Unite, e volendo trovare una regola utile per la quantificazione del danno concretamente indennizzabile, hanno sostenuto che la polizza infortuni sarebbe una copertura danni volta a garantire all'assicurato l'indennizzo del danno non patrimoniale (di carattere biologico) patito in occasione infortunio.

Tra questi, spicca uno dei più importanti interpreti della materia: il giudice Marco Rossetti.

Questa tesi parte dall'assunto che là dove le polizze infortunio facciano riferimento alla “perdita in misura totale o parziale, della capacità generica di svolgere un qualsiasi lavoro, indipendentemente dalla professione dell'assicurato”, intendano fare riferimento al danno biologico nella sua nuova concezione post sentenze di San Martino 2008 (Cass., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972 e ss.).

La dizione “capacità lavorativa generica”, secondo questo orientamento, sarebbe impropria, retaggio di un'epoca in cui non si riconosceva l'autonoma risarcibilità del danno alla salute, e conseguentemente non potrebbe che individuare altro che il danno alla persona biologico (così l'Autore: «la riduzione o perdita della capacità lavorativa generica è un pregiudizio […] necessariamente ricompreso nel danno biologico» M. Rossetti, Le assicurazioni contro i danni, Padova, 2012, 591 e ss.).

L'argomento francamente non convince. Ne è riprova il fatto che le polizze infortuni, nella stragrande maggioranza, individuino propri barèmes e non facciano alcun riferimento alle tabelle tribunalizie per il risarcimento del danno alla persona o agli articoli 138 e 139 Cod. Ass. in tema di danno biologico nei sinistri della strada. In più, a dire il vero, anche a voler sostenere che con la locuzione “capacità lavorativa generica” si volesse fare riferimento al vecchio lemma utilizzato dai giudici per risarcire il danno alla salute, oggi l'orientamento giurisprudenza pare essere diverso da quello descritto dall'Autore: la capacità lavorativa generica costituisce un «danno patrimoniale, che non è affatto necessariamente ricompreso nel danno biologico, e la cui sussistenza dev'essere accertata caso per caso dal giudice di merito» (Cass., sez. III, 16 gennaio 2013, n. 908, in Arch. Giur. Circolaz., 2013, 7/8, 750).

Ciò posto, premessi seri dubbi sull'orientamento della giurisprudenza per cui la polizza infortuni sarebbe sottoposta al principio indennitario, proviamo comunque a vedere a quali effetti conduce una simile interpretazione della ricostruzione offerta dall'Autore.

Versamento di un indennizzo superiore o inferiore alle tabelle Milanesi o RC Auto

Per cominciare, la polizza infortuni non potrebbe mai prevedere il versamento di un indennizzo superiore alle tabelle di danno alla persona di fonte tribunalizia (o, forse, di quelle della RCA per quanto riguarda gli infortuni della strada) e, dove si sia in presenza di più polizze infortuni sarebbe, sì, possibile richiedere più indennizzi, ma solo nel limite massimo poc'anzi detto.

Di più, tale interpretazione condurrebbe necessariamente a una ulteriore ricaduta, tutt'altro che trascurabile, e che merita qui di essere accennata: qualora l'infortunio fosse conseguenza dalla condotta dolosa o colposa di terzi (si pensi ad un sinistro stradale) e l'assicurato fosse già stato risarcito dal terzo responsabile, la copertura infortuni non potrebbe operare. Infatti, una volta che il terzo abbia totalmente risarcito il danno biologico cagionato all'assicurato, questi non potrebbe più dirsi danneggiato e, come tale, non avrebbe più alcun diritto a percepire alcun indennizzo. Questa tesi ha già trovato accoglimento in una parte della giurisprudenza, la quale ha negato il diritto all'indennizzo all'assicurato ove questi sia già stato risarcito dal terzo danneggiante o dalla sua compagnia di RC (in questo senso Trib. Monza 3 febbraio 2005, in Resp. civ. e Prev., 2005, 772; Trib. Trieste, 15 dicembre 2004, in Dir. Trasporti, 2006, 2, 620; Trib. Roma, 15 marzo 2007, in Redazione Giuffrè).

E così, la regola dovrebbe valere anche all'opposto.

Il danneggiante o la sua assicurazione di RC, infatti, potrebbero rifiutare o ridurre l'ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato in tutte quelle occasioni in cui avessero conoscenza del fatto che questi sia già stato indennizzato dalla sua polizza infortuni.

Infatti, una volta che il danneggiato sia stato soddisfatto integralmente dalla sua compagnia infortuni, non dovrebbe – ragionevolmente - poter più richiedere nulla al materiale danneggiante (stando al disposto dell'art. 1916 c.c., «l'assicuratore che ha pagato l'indennità – qui la compagnia della polizza infortuni - è surrogato … nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili – il danneggiante e la sua eventuale compagnia di RC»). Solo la compagnia assicurativa infortuni che si sia surrogata nei diritti del proprio assicurato potrebbe richiedere tali importi.

E' propria di questi giorni una pronuncia della Cassazione che ha fatto proprie tali conclusioni (Cass. Civ, n. 13233/2014, Cons. Rel. Marco Rossetti).

Si legge, infatti, nella sentenza: “L'assicurazione contro gli infortuni non mortali costituisce un'assicurazione contro i danni ed è soggetta al principio indennitario, in virtù del quale l'indennizzo non può mai eccedere il danno effettivamente patito. Ne consegue che il risarcimento del danno dovuto alla vittima di lesioni personali deve essere diminuito dell'importo da questa percepito a titolo di indennizzo da parte del proprio assicuratore privato conto gli infortuni”.

Le conseguenze, si noti, sono tutt'altro che trascurabili per le imprese assicuratrici e, soprattutto, per i loro assicurati per gli infortuni.

Tanto premesso, qual è la risposta a interrogativi quali: esiste un limite all'indennizzo concretamente ottenibile da una polizza infortuni? È possibile ottenere più indennizzi assicurativi a fronte di un medesimo infortunio?

La risposta data dalla giurisprudenza è in termini recisamente negativi.

Ci pare, tuttavia, che sussistano argomenti per contestare l'orientamento fatto proprio dagli organi giudicanti. L'errore ci pare risiedere proprio nella sussunzione del contratto infortuni, sempre e comunque, all'interno della categoria delle assicurazioni danni.

La funzione para-previdenziale della garanzia infortuni

Guardando alle proposte assicurative presenti sul mercato, si scopre che buona parte dei contratti assicurazioni infortuni quantificano l'indennizzo riconoscibile in funzione dell'ammontare del premio versato. Ciò induce a riconosce in consimili operazioni, vere e proprie operazioni di risparmio previdenziale, finalizzate ad assicurarsi «mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita in ipotesi di infortunio» (utilizzando qui la nota definizione di assistenza e previdenza sociale di cui al dettato dell'art. 38, c.2, della Carta Costituzionale) e non tanto coperture per garantirsi avverso ai danni (patrimoniali e non) derivanti dall'infortunio.

Il fatto, poi, che il legislatore del Codice delle Assicurazioni abbia inserito nominalmente la copertura “infortuni” all'interno del ramo danni (v. art. 2, comma 3, Cod. Ass.) non ci pare di per sé considerazione determinante. La distinzione è di origine europea e fa riferimento più a profili amministrativi e gestionali dell'impresa di assicurazioni che alla causa del contratto in sé considerata. Ne è riprova il fatto che lo stesso Codice consente anche alle imprese autorizzate all'esercizio del ramo vita di garantire consimili rischi, sebbene in via accessoria (cfr. art. 2, comma 2, Cod. Ass.).

Se si vuole guardare a che cosa accade ogni giorni sui mercati, ci pare corretto affermare che la categoria “contratto infortuni” riassuma in sé strutture negoziali molto diverse tra loro e che dovrebbero essere ricondotte - a seconda dei casi – alle logiche assicurative vita e danni.

Si pensi ad una copertura infortuni che prevede il rimborso delle spese mediche sostenute in ipotesi di sinistro. Non pare potersi dubitare che l'operazione soddisfi esigenze indennitarie e, come tale, rientri nel ramo danni. In questo caso, parrebbe, infatti, illogico consentire all'assicurato di farsi rimborsare più volte la medesima fattura medica, in ragione del numero di polizze contratte.

In altri casi: vedi le comuni coperture infortuni in cui l'indennizzo è tanto più elevato quanto maggiore è il premio pagato per assicurarsi, la funzione para-previdenziale sembra dover prevalere su quella indennitaria e condurre, quindi, a riconoscervi una causa molto più prossima al ramo vita.

Reperire la causa del contratto, avendo riguardo alla struttura che le parti hanno dato al singolo contratto, non ci pare poi un'ipotesi così peregrina, data l'evoluzione dei mercati, il progressivo superamento della tipizzazione negoziale civilistica e il progressivo sviluppo di strutture negoziali atipiche, note nella prassi dei commerci, ma non per queste disciplinate integralmente dalla legge (ne sono esempi: il leasing, il renting di autoveicoli, i contratti di mediazione creditizia e di brokeraggio assicurativo…).

La stessa legge ha fatto propria questa impostazione. Si pensi all'assicurazione per le malattie gravi (c.d. polizze dread disease) o alle coperture per la non autosufficienza (c.d. assicurazioni long term care -LTC) inserite nel ramo vita o nel ramo danni a secondo della struttura complessiva dell'operazione negoziale. Se si pensa alle coperture LTC, IVASS (a quel tempo, ancora, ISVAP), nel suo regolamento n. 29 ha stabilito che: « E' classificata nel ramo vita IV l'assicurazione […] che copre il rischio di non autosufficienza per invalidità grave dovuta a malattia, infortunio o longevità, quando la prestazione consiste nell'erogazione di una rendita. […] è classificata nel ramo danni 2. Malattia quando la prestazione consiste nel risarcimento, totale o parziale, del costo per l'assistenza ovvero in una prestazione in natura, nei limiti del massimale assicurato». Se la distinzione operata da IVASS ha valore meramente amministrativo e gestionale, non pare potersi dubitare che, leggendo la norma, le sorti del contratto siano legate all'obiettivo perseguito dall'assicurato: se una prestazione in forma di rendita o, viceversa, rimborso o prestazione in natura. Altro tema, che qui non sarà affrontato, è semmai quello di comprendere se le compagnie danni (e non solo quelle del vita) possano concludere contratti di assicurazione “infortuni” con matrice para-previdenziale, di risparmio e fondati su logiche di accumulo. Nessun rilevo è stato, tuttavia, mai mosso in tal senso dall'Istituto di Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS).

La soluzione interpretativa sin qui proposta potrebbe, quindi, far salvo il diritto all'indennizzo (o agli indennizzi) dell'assicurato, potendosi/dovendosi verificare se nel caso concreto la causa del contratto (o dei contratti) infortuni sottendano logiche indennitarie “danni” o para-previdenziali “vita”, non sottoposte al principio indennitario.

Questa soluzione ci sembra più funzionale di quella immaginata dalle Sezioni Unite nella più volte citata sentenza del 2002.

I giudici di legittimità, in quell'occasione, sono arrivati a sostenere che il contratto di assicurazione infortuni, sarebbe un contratto a doppia causa: “danni” per la componente di garanzia relativa all'infortunio non mortale e “vita” limitatamente alla copertura eventuale del rischio morte conseguente all'evento infortunante (“All'assicurazione contro le disgrazie accidentali non mortali, in quanto partecipe della funzione indennitaria propria dell'assicurazione contro i danni, si applica l'art. 1910, commi 1 e 2, c.c. […] Detta norma, invece, non trova applicazione in caso di assicurazione contro gli infortuni mortali, essendo questa forma di assicurazione assimilabile all'assicurazione sulla vita”).

Se ciò fosse applicato in concreto, si dovrebbe ammettere che le regole applicabili al contratto infortuni – se quelle del vita o del danni - non sarebbero conoscibili ex ante, al tempo della stipula, bensì solo in un momento successivo ed eventuale: cioè al verificarsi del sinistro (cfr. M. Hazan – A. Santelia, nota a Cass., Sex Un. n. 5119/2002, in Diritto e Giustizia, 2002, fasc. 21, 17). Per questa ragione, la soluzione offerta non soddisfa affatto.

Tentativi di colmare la “lacuna” normativa

Anche il legislatore si è interessato della vicenda, proponendo la modifica del Codice Civile e la previsione ex novo di regole ad hoc per il contratto di assicurazione infortuni (che diventerebbe un terzo genere assicurativo: del ramo danni, ma con regole sue proprie). Si vede il disegno di legge (AS593/ 15° legislatura (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Ddlpres&leg=15&id=00210010&part=doc_dc-relpres_r&parse=no&stampa=si&toc=no)

« Onorevoli Senatori […] Deve quindi essere normativamente ed inequivocabilmente previsto che una persona possa stipulare più contratti di assicurazione per il rischio infortuni, pagando, ovviamente più premi […] L'ultima considerazione che Vi chiedo di valutare è che qualsiasi risarcimento od indennizzo si abbia a ricevere per un danno alla salute esso resta comunque una umana convenzione essendo impossibile la restitutio in integrum del bene leso. Tale convenzione è estremamente soggettiva e comunque lacunosa. Sia libero quindi il cittadino consumatore di cautelarsi volontariamente e preventivamente pagando i premi assicurativi che il suo stato economico gli consente senza che interpretazioni «indennitarie» basate su falsi principi di «economicità sociale» gli rendano impossibile ricevere risarcimenti o indennizzi per i quali ha versato cospicui premi assicurativi che già nello stato di formazione statistica le imprese proponenti hanno certamente valutato ».

In conclusione, esiste un contrasto evidente e non ancora sanato tra quanto affermato dalla giurisprudenza in tema di assicurazione infortuni e quanto, invece, accade quotidianamente sui mercati. Il tutto con grave danno delle ragioni degli assicurati/danneggiati, i quali potrebbero ritrovarsi a scoprire solo al tempo del sinistro di essersi assicurati inutilmente.

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