La tutela risarcitoria nei giudizi possessori

17 Giugno 2014

La lesione del possesso come fatto illecito. Con il presente contributo si vogliono evidenziare, sotto il profilo pratico, le principali problematiche connesse alla particolarità del giudizio possessorio, caratterizzato dalla presenza di una doppia fase, a cognizione sommaria e a cognizione ordinaria. In particolare vengono esaminate le questioni circa la ammissibilità di una domanda autonoma di risarcimento del danno “sganciato” dalla domanda di reintegrazione del possesso nonché la delicata problematica inerente al termine di prescrizione dell'azione di risarcimento del danno. Infine, verranno svolte alcune considerazioni in merito al momento di proponibilità della domanda risarcitoria, tenuto conto dell'orientamento giurisprudenziale che cristallizza negli atti introduttivi della fase sommaria le domande che le parti possono svolgere nel giudizio possessorio.
La lesione del possesso come fatto illecito

La lesione del possesso come fatto illecito. Con il presente contributo si vogliono evidenziare, sotto il profilo pratico, le principali problematiche connesse alla particolarità del giudizio possessorio, caratterizzato dalla presenza di una doppia fase, a cognizione sommaria e a cognizione ordinaria. In particolare vengono esaminate le questioni circa la ammissibilità di una domanda autonoma di risarcimento del danno “sganciato” dalla domanda di reintegrazione del possesso nonché la delicata problematica inerente al termine di prescrizione dell'azione di risarcimento del danno. Infine, verranno svolte alcune considerazioni in merito al momento di proponibilità della domanda risarcitoria, tenuto conto dell'orientamento giurisprudenziale che cristallizza negli atti introduttivi della fase sommaria le domande che le parti possono svolgere nel giudizio possessorio.

Chi sia stato spogliato del possesso o turbato nel godimento dello stesso, secondo l'opinione tanto in dottrina quanto in giurisprudenza può ottenere, oltre alla tutela specifica accordata dal codice civile, ossia la reintegrazione o la manutenzione (artt. 1168-1170 c.c.), anche il risarcimento del danno subito a causa della lesione possessoria: tale danno consisterebbe nel mancato o diminuito godimento del bene per il periodo intercorrente tra l'avvenuto spoglio o molestia e la ricostituzione della situazione possessoria.

Sul fondamento della tutela risarcitoria

Due sono le teorie sul punto.

Secondo una prima e più risalente impostazione si constata che la legge, accordando una tutela incondizionata al possessore che subisce uno spoglio o una molestia nel possesso, non può che prevedere una reazione piena. Si aggiunge, quindi, che non esiste reintegrazione o manutenzione che possa dirsi completa se non sia integrata dal risarcimento del danno per il mancato o diminuito godimento del bene. Risarcimento che dovrà quindi calcolarsi in base al valore del mancato godimento nel periodo di tempo intercorrente tra lo spoglio o molestia e la ricostituzione della situazione possessoria. In tale prospettiva il danno sarebbe in re ipsa, poiché non potrebbe per definizione esistere alcuno spoglio o turbativa che non produca un mancato o diminuito godimento del bene oggetto di possesso.

Secondo altra e più convincente teoria, il diritto al risarcimento del danno altro non sarebbe che il naturale corollario degli ordinari principi relativi al fatto illecito. Nel senso che il fondamento del risarcimento, lungi dal derivare direttamente dalla disciplina legislativa in materia di tutela del possesso, deve essere fatto risalire dall'art. 2043 c.c. Con la conseguenza che da un lato il risarcimento del danno deve essere oggetto di specifica e autonoma domanda; dall'altro, che per l'accoglimento della domanda occorre dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti specifici richiesti dalla disciplina della tutela aquiliana.

Ad esempio, con la recente sentenza della Cass. civ., Sez. I,1 giugno 2012,n.8854 è stato ribadito che “Non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno derivante dalla privazione del possesso di un immobile in modo violento o clandestino (che si configura come fatto illecito) nel caso in cui la parte non abbia fornito la prova dell'esistenza e dell'entità materiale del pregiudizio e la domanda non sia limitata alla richiesta della sola pronuncia sull'"an debeatur", non essendo allora ammissibile il ricorso al potere officioso di liquidazione equitativa del danno.”

Nella motivazione, la Corte di Legittimità ha, invero, confermato, innanzitutto, che il potere di decidere secondo equità ai sensi dell'art. 1226 c.c. può essere esercitato anche d'ufficio (cfr. Cass., civ.,sez. I, 11 dicembre 2007, n. 25943; Cass., civ.,sez. III, 9 agosto 2007, n. 17492; Cass. civ., 11 novembre 2005, n. 22895), e quindi indipendentemente da un'istanza di parte, la quale può dunque essere proposta anche in comparsa conclusionale, configurandosi come una mera sollecitazione all'esercizio del potere officioso del giudice.

La previsione di tale potere non dispensa, secondo la Corte, tuttavia la parte dalla prova dell'esistenza e dell'entità materiale del pregiudizio subito, essendo il suo esercizio subordinato alla condizione che risulti impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, e non venendo comunque meno l'onere di fornire gli elementi dei quali la parte possa ragionevolmente disporre, affinché l'apprezzamento equitativo sia, per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili ai fini della determinazione dell'equivalente pecuniario (cfr. Cass., civ,sez. VI,sent. 19 dicembre 2011, n. 27447; Cass., civ., sez. III,30 aprile 2010, n.10607; Cass., civ., sez. II, 7 giugno 2007, n. 13288).

A tale principio, specifica la Suprema Corte, “non fa eccezione l'ipotesi in cui il danno da risarcire sia conseguenza della privazione del possesso perpetrata in modo violento o clandestino, configurandosi lo spoglio come fatto illecito, soggetto alle ordinarie regole della responsabilità aquiliana, ivi compresa quella che pone a carico del danneggiato l'onere di fornire la prova del pregiudizio subito, in mancanza della quale non può dunque essere pronunciata in suo favore la condanna al risarcimento, non risultando ammissibile il ricorso all'equità per la liquidazione del danno (cfr. Cass., sez. II, 29 novembre 2006, n. 25241; Cass., 3 giugno 1975, n. 2203). Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento del danno in considerazione del mancato adempimento dell'onere probatorio da parte del ricorrente, non apparendo pertinente il richiamo di quest'ultimo ai precedenti giurisprudenziali che, facendo leva sulla potenzialità dannosa dello spoglio e sulla portata meramente dichiarativa della sentenza di condanna generica, ritengono ammissibile una siffatta pronuncia, con il conseguente rinvio ad un successivo giudizio dell'accertamento in ordine non solo alla misura, ma alla stessa esistenza di un danno risarcibile (cfr. Cass., Sez. II, 2 agosto 1990. n. 7748; Cass. 21 febbraio 1981, n. 1053; Cass., 11 maggio 1979, n. 2690). Non risulta, infatti, che il ricorrente abbia, con il consenso della controparte, limitato alla pronuncia sull'an del risarcimento la domanda originariamente proposta, con la conseguenza che il giudice di merito non avrebbe potuto emettere una sentenza di condanna generica e rimettere la liquidazione del danno ad un separato giudizio, essendo tenuto, in ossequio al principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, a liquidare il danno in base agli elementi acquisiti al processo, ovvero, come è in concreto accaduto, a rigettare la domanda per difetto di prova (cfr. Cass., sez. III, 15 marzo 2007, n. 5997; Cass., sez. II, 10 aprile 2000, n. 4487).”

La Corte di Cassazione ha anche specificato che “In tema di azioni possessorie, non costituisce domanda nuova, perché inclusa nella originaria domanda di reintegrazione in forma specifica del possesso, la successiva richiesta di risarcimento dei danni in forma generica proposta a seguito della sopravvenuta indisponibilità del bene.” (Cass., civ.,Sez. II, sent.29 novembre 2006n. 25241).

Il contenuto della tutela risarcitoria

Come ogni risarcimento di un danno patrimoniale, sulla cui funzione compensativa non si può dubitare, il danno per il mancato o diminuito godimento del bene nel periodo compreso tra lo spoglio e la ricostituzione della situazione possessoria, si esplica nel prodursi in capo al possessore spogliato di concrete perdite economiche o mancati guadagni.

Si rileva una recente sentenza del Tribunale di Lecce che ha affermato che “La domanda di risarcimento del danno da lesione nel possesso nel procedimento possessorio va proposta con l'atto introduttivo della fase sommaria, poiché la fase di merito è deputata essenzialmente all'approfondimento delle questioni di rito e di merito già emerse nella fase sommaria. La lesione del possesso abilita a chiedere il risarcimento del solo danno consistente nella privazione del possesso stesso, danno che va tenuto distinto da forme di diminuzione patrimoniale discendenti solo in modo mediato dalla lesione del possesso, come quelle prestazioni che, in base a diverso ed autonomo titolo (diritto reale o inadempimento contrattuale) il possessore abbia eventualmente diritto di pretendere dall'avversario.” (Trib. Lecce, sez. I, 11 maggio 2010).

La sentenza merita segnalazione in quanto riassume alcuni dei principale profili problematici in materia di risarcimento del danno in ambito di tutela possessoria.

In sintesi, la sentenza, ha statuito che:

- la legislazione vigente non prevede il risarcimento del danno conseguente alla lesione del possesso;

- tuttavia, la prevalente giurisprudenza ritiene che il risarcimento del danno spetti non solo in caso di lesione di un diritto, ma anche in caso di lesione di altre posizioni giuridicamente rilevanti alle quali l'ordinamento riconosce tutela; poiché il possesso configura una situazione di fatto giuridicamente tutelata, deve concludersi che la sua lesione o molestia dia diritto a chiedere il risarcimento del danno conseguente;

- secondo l'orientamento dominante della dottrina e della giurisprudenza il possesso abilita a chiedere il risarcimento del solo danno consistente nella privazione del possesso stesso, danno che va tenuto distinto da forme di diminuzione patrimoniale discendenti solo in modo mediato dalla lesione del possesso; in particolare la sentenza rinvia alla risalente pronuncia del 1996 della Corte di Cassazione, in cui è stato affermato che nell'ambito del giudizio possessorio l'azione di risarcimento deve riguardare soltanto i danni subiti per il perduto godimento del bene, ovvero per la lesione conseguente al sofferto spoglio e non anche il risarcimento di quelle prestazioni che, in base a diverso ed autonomo titolo (diritto reale o inadempimento contrattuale) il possessore abbia eventualmente diritto di pretendere dall'avversario (v. Cass., n. 1211/1996).

Si osserva che la distinzione è stata ribadita anche in altre pronunce anteriori e successive: "In tema di reintegrazione nel possesso, il venir meno della ragion d'essere della tutela possessoria per intervenuta decadenza rende inammissibile anche il risarcimento del danno derivante da un comportamento lesivo che tragga origine dallo spoglio, che è in tal caso soltanto un profilo della tutela accordata dall'ordinamento al diritto soggetto del leso al fine di assicurarne la piena reintegrazione. Ne consegue che l'azione per il risarcimento del danno ha natura possessoria quando il danno consista nella sola lesione del possesso, e quindi soggiace alle regole dettate per quella tutela in ordine al termine di decadenza per proporla, mentre non ha natura possessoria, e rientra nella previsione generale dell'art. 2043 c.c., sottraendosi quindi a quelle regole, quando si lamenti anche la lesione di altri diritti del possessore, sicché la privazione del possesso non esaurisca il danno, ma si presenti come causa di altre lesioni patrimoniali subite in via derivativa dallo spogliato." (v. Cass., n. 25899/2006, conforme Cass., n. 1093/1989).

In conseguenza dei suddetti principi, il Tribunale prosegue affermando che dovrebbero essere tenuti distinti quei danni che sono direttamente e immediatamente dipendenti dallo spoglio (il mancato godimento del bene), da quei danni che solo in modo mediato discendono dallo spoglio, ma presuppongono, oltre alla lesione dello stato di fatto, anche la lesione di una posizione di diritto soggettivo assoluto (quale il potere di disporre giuridicamente del bene, insito nel diritto di proprietà a norma dell'art.832 c.c.) o di un diritto soggettivo relativo (come nel caso di effetti pregiudizievoli riconducibili ad un inadempimento contrattuale). La lesione di un diritto reale o di un diritto di credito ha presupposti e contenuti diversi dalla lesione della situazione di fatto del possesso.

La sentenza del Tribunale di Lecce affronta inoltre il problema del momento in cui la domanda risarcitoria deve essere formulata.

Aderendo all'orientamento giurisprudenziale che identifica la fase di merito come una prosecuzione della fase sommaria, il Tribunale ha conseguentemente statuito che essendo la fase di merito deputata essenzialmente all'approfondimento delle questioni di rito e di merito già emerse nella fase sommaria, “è tardiva e quindi inammissibile la domanda di risarcimento del danno per lesione del possesso, svolta dalla Beta srl nella comparsa di risposta depositata nella fase di merito in data 10 luglio 2009.”.

Certamente la problematica sollevata dal Tribunale di Lecce risulta di fondamentale importanza.

In particolare ci si può chiedere la compatibilità di tale percorso argomentativo con la possibilità di agire in via autonoma per il risarcimento del danno con un giudizio sganciato dalla domanda di reintegra del possesso.

Tuttavia, appare evidente che le questioni si posizionano su piani differenti.

Invero, il discorso del Tribunale di Lecce appare condivisibile se si considera che ormai il giudizio possessorio è considerato caratterizzato da una doppia fase, sommaria la prima e a cognizione piena la seconda, che tuttavia non è confondibile con il rapporto tra il giudizio cautelare e il giudizio di merito.

Effettivamente, l'art. 703 c.p.c. richiama le disposizioni di cui al procedimento cautelare uniforme in quanto compatibili, ma non effettua un rinvio sic et simpliciter.

Pertanto, le conclusioni cui è pervenuto il Giudice di Lecce appaiono pienamente condivisibili, in quanto la Corte di Cassazione ha più volte ribadito, sin dalle sezioni unite del 1998 (cfr. Cass. S.U, 24 febbraio 1998, n. 1984) che la fase di merito comporta un approfondimento delle questioni affrontate nella fase sommaria, ma non consente un allargamento dell'oggetto delle pretese, che debbono coincidere nelle due fasi.

Problema invece differente risulta essere la possibilità di agire in via autonoma per domandare il risarcimento da lesione possessoria, che non risulta affatto negata dalla giurisprudenza ma che pone, più che altro, un problema in merito alla possibilità di estendere alla domanda risarcitoria le decadenze previste per la tutela possessoria immediata.

Meritano inoltre una segnalazione due pronunce della Corte di Cassazione:

- Cass., sez. 6 - 2, 3 aprile 2012, n. 5334 secondo cui “In tema di tutela del possesso, ove sia stato accertato, con sentenza passata in giudicato, l'illecito consistente in plurime molestie subite dai possessori di un immobile nell'esercizio del loro potere sulla cosa, tale limitazione temporanea del possesso si traduce in un concreto pregiudizio di carattere patrimoniale, perdurante fino al ripristino dello "status quo ante". Ne consegue che, sussistendo la certezza del danno "in re ipsa" nelle sue varie componenti, il giudice, a fronte dell'obiettiva difficoltà di determinazione del "quantum", deve fare ricorso ad una valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., adottando eventualmente, quale adeguato parametro di quantificazione, quello correlato ad una percentuale del valore reddituale dell'immobile, la cui fruibilità sia stata temporaneamente ridotta.”;

- Cass., sez. II, 5 giugno 2012,n. 9043 secondo cui “La privazione del possesso conseguente all'occupazione di una parte di un terreno altrui costituisce un fatto potenzialmente causativo di effetti pregiudizievoli, idoneo a legittimare la pronunzia di condanna generica al risarcimento del danno, la quale si risolve in una "declaratoria iuris" che non esclude la possibilità di verificare, in sede di liquidazione, la reale esistenza del danno risarcibile.”.

Sul termine di prescrizione della domanda risarcitoria

Su tale delicata questione è intervenuta la Corte di Cassazione specificando che “In tema di reintegrazione nel possesso, il venir meno della ragion d'essere della tutela possessoria per intervenuta decadenza rende inammissibile anche il risarcimento del danno derivante da un comportamento lesivo che tragga origine dallo spoglio, che è in tal caso soltanto un profilo della tutela accordata dall'ordinamento al diritto soggettivo del leso al fine di assicurarne la piena reintegrazione. Ne consegue che l'azione per il risarcimento del danno ha natura possessoria quando il danno consista nella sola lesione del possesso, e quindi soggiace alle regole dettate per quella tutela in ordine al termine di decadenza per proporla, mentre non ha natura possessoria, e rientra nella previsione generale dell'art. 2043 c.c., sottraendosi quindi a quelle regole, quando si lamenti anche la lesione di altri diritti del possessore, sicché la privazione del possesso non esaurisca il danno, ma si presenti come causa di altre lesioni patrimoniali subite in via derivativa dallo spogliato.” (Cass., civ.,sez. II, 5 dicembre 2006,n. 25899).

Ha infatti evidenziato la Corte di Legittimità che il venir meno della ragione d'essere della tutela possessoria, per intervenuta decadenza, rende del pari inammissibile anche il risarcimento del danno derivante da un comportamento lesivo che tragga origine proprio dallo spoglio, trattandosi di una situazione non più tutelabile ed essendo il diritto al risarcimento in tal caso nient'altro che un profilo della tutela accordata dall'ordinamento al diritto leso al fine di assicurarne la piena reintegrazione; che l'azione per il risarcimento del danno ha dunque natura possessoria quando il danno si fa consistere nella sola lesione del possesso, ed essa soggiace in tal caso alle regole dettate per quella tutela in ordine al termine di decadenza per proporla, mentre non ha natura possessoria, e rientra nella generale previsione di cui all'art. 2043 c.c., sottraendosi quindi a quelle regole, quando si lamenti non la lesione del solo possesso, ma anche altri diritti del possessore, sicché la privazione del possesso non esaurisca il danno, ma si presenti come causa di altre lesioni patrimoniali subite in via derivativa dallo spogliato (cfr. sul punto anche Cass., civ., n. 1093/1989).

Sul punto si sottolinea tuttavia che con la sentenza Cass., 27 ottobre 2005, n.20875, la Corte aveva statuito che “La domanda di risarcimento del danno consistente nella diminuzione patrimoniale sofferta per il tempo in cui si è protratto lo spoglio o la turbativa del possesso, avendo contenuto possessorio, può essere proposta congiuntamente all'azione di reintegra o di manutenzione del possesso; essa, tuttavia, non rimane soggetta alla preclusione annuale di cui all'art.1168 c.c., trovando applicazione, in tema di illecito extracontrattuale, il termine di prescrizione stabilito dall'art. 2947 c.c.”.

In motivazione la Corte evidenzia che lo spoglio costituisce atto illecito che obbliga colui che lo ha commesso al risarcimento dei danni, consistenti nella diminuzione patrimoniale sofferta per il tempo in cui esso si è protratto. La domanda di risarcimento dei danni conseguenti al sofferto spoglio o alla turbativa, avendo contenuto possessorio, ben può essere esperita congiuntamente all'azione di reintegra o di manutenzione da chi abbia subito lo spoglio o la molestia.

Inoltre, la valutazione dei danni predetti può essere eseguita dal giudice di merito, anche d'ufficio, in via equitativa quando non riconosca piena attendibilità agli elementi probatori offerti dall'attore circa l'esatto ammontare del danno patito, precisandosi che l'azione risarcitoria non è soggetta alla preclusione annuale dell'art. 1168 c.c. ma, trattandosi di illecito extracontrattuale (art. 2043 c.c.) alla prescrizione dell'art. 2947 c.c., senza alcuna ulteriore specificazione.

Non appare, pertanto, esservi un orientamento univoco sulla questione.

Tuttavia, se si ritiene che la domanda risarcitoria non derivi direttamente dalla normativa posta a tutela del possesso bensì dall'ordinario principio del neminem laedere, non si comprende il motivo di agganciare la domanda risarcitoria al termine decadenziale previsto dagli artt. 1168 c.c. e ss. e non al termine di prescrizione di cui all'art. 2947 c.c.

Salvo, si ritiene, l'ipotesi in cui la domanda risarcitoria sia proposta come forma di risarcimento del danno in forma specifica, in quanto in questo caso la domanda di risarcimento non si aggiunge ma si sostituisce alla tutela possessoria e quindi non potrebbe, in questo caso, essere aggirato il termine decadenziale previsto dalla legge.

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