Micropermanenti e delimitazione del risarcimento dopo la pronuncia della Consulta n. 235/2014: regime transitorio e non solo

Antonino Barletta
17 Novembre 2014

Alcune questioni di legittimità costituzionale prese in esame dalla Consulta in relazione all'art. 139 Cod. Ass. nella pronuncia n. 235 del 2014 involgono l'interpretazione degli artt. 24 Cost. e 6 CEDU.In particolare, i giudici a quibus, e in ispecie i Tribunali di Brindisi e di Tivoli e il Giudice di pace di Recanati, avevano richiesto inter alia di chiarire se le modalità di liquidazione di tali danni in base a criteri tabellari ministeriali non costituiscano un ostacolo all'attuazione effettiva della tutela giurisdizionale in materia di risarcimento, in relazione al principio dell'integrale riparazione del danno, ai sensi degli artt. 24 Cost. e 6 CEDU.
Accertamento delle c.d. lesioni micropermanenti e determinazione dei danni risarcibili tra diritto e processo: un'occasione mancata da parte della Consulta

Alcune questioni di legittimità costituzionale prese in esame dalla Consulta in relazione all'art. 139 Cod. Ass. nella pronuncia C. Cost. n. 235/2014 (su cui cfr. D. Spera, Riverberi sulla tabella milanese della pronuncia costituzionale sull'art. 139 Cod. Ass., in Ri.Da.Re.; M. Hazan, La Consulta e il danno alla persona nella r.c. auto: così è e così pare, ivi; M. Bona, Corte costituzionale n. 235/2014: cestinatela!, ivi) involgono l'interpretazione degli artt. 24 Cost. e 6 CEDU.

In particolare, i giudici a quibus, e in ispecie i Tribunali di Brindisi e di Tivoli e il Giudice di pace di Recanati,avevano richiesto inter alia di chiarire se le modalità di liquidazione di tali danni in base a criteri tabellari ministeriali non costituiscano un ostacolo all'attuazione effettiva della tutela giurisdizionale in materia di risarcimento, in relazione al principio dell'integrale riparazione del danno, ai sensi degli artt. 24 Cost. e 6 CEDU.

In proposito la Corte costituzionale si è limitata a replicare che tali censure non sarebbero pertinenti o comunque fondate “poiché la limitazione del diritto risarcitorio, che i rimettenti paventano, attiene alla garanzia dell'oggetto di tale diritto, e non all'aspetto della azionabilità in giudizio”.

Per altro verso, pronunciandosi sulla richiesta pregiudiziale di restituzione degli atti, la stessa Consulta ha compiuto taluni rilievi che potrebbero apparire non del tutto congruenti. Difatti, a proposito del meccanismo dell'art. 32, commi 3-ter e 3-quater decreto liberalizzazioni (d.l. n. 1 del 2012, conv. con mod. dalla l. n. 27 del 2012), il Giudice delle leggi ha incidentalmente osservato che “tali nuove disposizioni … in quanto non attinenti alla consistenza del diritto al risarcimento delle lesioni in questione, bensì solo al momento successivo del suo accertamento in concreto, si applicano conseguentemente ai giudizi in corso”.

Del resto, a proposito del carattere processuale e conseguentemente dell'applicabilità ai giudizi pendenti dell'art. 32, commi 3-ter e 3-quater decreto liberalizzazioni le considerazioni della Consulta riposano sulle congruenti riflessioni espresse sul punto dagli autori (cfr. M. Rossetti, Il danno biologico, in Libro dell'anno del Diritto 2013, Treccani-on line, 2013, § 3.3; D. Spera, Art. 32, commi 3 ter e 3 quater, della l. 27/2012: problematiche interpretative, in Danno e resp., 2013, 224 s.), benché anche in tal caso si tratti di disposizioni che, dal punto di vista applicativo, limitano la risarcibilità delle lesioni micropermanenti, in relazione alla necessità di un accertamento medico-legale “strumentale e obiettivo”.

In realtà, a parere di chi scrive, la Corte costituzionale non sembra essersi avveduta dello spessore dei rilievi, sollevati dai giudici di merito, là dove essi presuppongono la natura processuale anche delle norme sulla quantificazione del danno in relazione alle lesioni di lieve entità. Un confronto più approfondito con i principi processuali nella prospettiva costituzionale avrebbe consentito di superare incertezze di non poco momento e di affrontare con maggiore coerenza il delicato problema della valenza delle disposizioni sulla liquidazione.

Alla definizione di tale questione, peraltro, consegue anche la riferibilità del sistema di liquidazione del danno di cui all'art. 139 Cod. Ass. ai giudizi pendenti, nonché la definizione delle norme applicabili alle controversie caratterizzate da elementi di estraneità all'ordinamento: si pensi alla necessità di stabilire se applicare le norme della lex fori o la diversa lex loci applicabile ai sensi del Reg. CE n. 864/2007 o quella comune alle parti di cui all'art. 62, comma 2, l. n. 218 del 1995.

Lo standard di accertamento del danno e l'entità del risarcimento: due aspetti strettamente collegati alla necessità di stabilire in concreto l'esistenza del danno

La necessità di un accertamento obiettivo del danno e di procedere all'integrale risarcimento si ricollega alla funzione e alla struttura della tutela risarcitoria, com'è già stato ben evidenziato dalle Sezioni Unite nelle sentenze di San Martino. In particolare, il rilievo secondo cui è “compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, … provvedendo alla … integrale riparazione” (così Cass., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972, in Giust. civ., 2009, I, 913) è proteso ad evidenziare la peculiarità del ruolo del giudice nell'ambito del processo risarcitorio, soprattutto per ciò che concerne l'accertamento in concreto del c.d. danno-conseguenza e la quantificazione del danno risarcibile. La definizione di tali questioni, resa necessaria dall'esercizio dell'azione risarcitoria, richiede la collaborazione tra il giudice e le parti: ciò del resto caratterizza tutti gli accertamenti dei fatti lesivi (A. Barletta, Extra e ultra petizione. Studio sui limiti del dovere decisorio del giudice civile, Milano, 2012, 114 ss.). Il giudice è garante della corretta attuazione della tutela risarcitoria, determinando l'entità del risarcimento in base a parametri di tipo oggettivo, e allo stesso tempo è garante della corrispondenza del risarcimento all'integralità di quanto dovuto per la riparazione del pregiudizio. L'accertamento del danno si ricollega direttamente alla verifica circa l'utilità concreta della tutela richiesta e, allo stesso tempo, risponde all'attuazione del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva ai sensi degli artt. 24 Cost. e 6 CEDU: è per tale ragione che, in applicazione del principio di collaborazione, è richiesta una più attiva “partecipazione” del giudice nell'ambito dei giudizi risarcitori, anche tramite il ricorso alle presunzioni semplici e all'equità integrativa ex art. 1226 c.c.

Le disposizioni di cui all'art. 139 Cod. Ass. non sono estranee ai principi riferibili ai giudizi risarcitori. La funzione di tali disposizioni è precisamente quella di circoscrivere le suddette potestà ufficiose nei giudizi sulle lesioni c.d. micropermanenti da circolazione stradale e da natanti. Sul piano dell'accertamento del danno risarcibile si richiede che la decisione venga adottata in stretta correlazione con le evidenze medico-legali, normalmente per il tramite di una verifica in sede di c.t.u.; mentre in sede di liquidazione il ricorso all'equità integrativa viene circoscritto da parametri predeterminati e dal margine consentito alla “personalizzazione” del risarcimento dei danni (analogamente Cass. civ., 7 giugno 2011, n. 12408, in Giur. it., 2012, 1307, con nota di D. Spera).

Il bilanciamento di interessi confliggenti – riferito dalla sentenza n. 235 del 2014 al sistema di liquidazione sancito dall'art. 139 Cod. Ass. – corrisponde a quella valutazione che, in assenza di parametri predeterminati, il giudice compie da sé nell'ambito della propria decisione equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c.: in altre parole, il legislatore del codice delle assicurazioni si sostituisce, in relazione ai giudizi risarcitori in materia di circolazione stradale e di natanti, a quella potestà che la giurisprudenza di legittimità riserva al giudice di merito e che inerisce alla formazione del convincimento sull'esistenza del danno. Per altro verso, il limite all'esercizio di tale potestà è – come noto – quello della ragionevolezza, ossia lo stesso limite a cui fa riferimento la Consulta nel confermare la legittimità del sistema di liquidazione stabilito ai sensi dell'art. 139 Cod. Ass. per la suddetta categoria di danni.

La disciplina della liquidazione del danno di cui all'art. 139 Cod. Ass., quindi, deve essere collocata nell'ambito delle regole istruttorie, ispirate dalla peculiare applicazione del principio di collaborazione tra parti e giudice che è propria dei giudizi di risarcimento dei danni. In ispecie, il “meccanismo standard di quantificazione del danno” (l'inciso è proprio di Corte cost., n. 235 del 2014) di cui all'art. 139 cod. rappresenta una delimitazione legale delle prerogative decisorie del giudice sulla questione di fatto (o mista di fatto-diritto) attinente alla esistenza del danno risarcibile, volta a definire con precisione le modalità con cui provvedere all'accertamento in concreto dei danni di lieve entità ed alla misura con cui monetizzare tali danni.

Come e perché è possibile affermare la “natura” processuale delle norme sull'accertamento medico-legale e sulla quantificazione del danno delle lesioni micropermanenti

Venendo ad una delle principali questioni affrontate dalla Corte costituzionale, è il vero che, ad es., l'ambito della “liquidabilità del danno morale” può costituire in concreto un “ ‘limite' apposto dalla normativa impugnata alla integrale risarcibilità del danno biologico” (così Corte cost. n. 235 del 2014), anche se, come ben chiarisce la stessa Consulta, sul piano della risarcibilità un'esclusione del danno morale a norma dell'art. 139, comma 2, Cod. Ass. non può essere in alcun modo affermata, essendo perfettamente riferibile all'ampia nozione di danno biologico contenuta in tale disposizione.

Ma più in generale la disciplina della liquidazione influisce sulla risarcibilità del danno solo in considerazione del risultato pratico-applicativo e non dal punto di vista logico-giuridico. Gli autori, infatti, distinguono nettamente “il problema della delimitazione dei danni risarcibili (il ‘se' della risarcibilità)” rispetto alla “necessità della ‘liquidazione', ossia la determinazione della misura (il ‘quanto' della risarcibilità)” (gli incisi sono di U. Breccia, Le obbligazioni, Milano, 1991, 653). Quest'ultimo aspetto, in ispecie, è quello preso in considerazione dall'art. 1226 c.c., là dove consente il ricorso alla c.d. equità integrativa “se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare”, nell'ambito della valutazione dei risultati istruttori acquisiti al processo. Una volta verificata l'esistenza di un pregiudizio risarcibile, infatti, occorre stabilire la precisa entità del pregiudizio, completando in tal modo il primo (parziale) accertamento sull'esistenza del danno.

Certo se le innovazioni apportate dal decreto liberalizzazioni avessero escluso la possibilità di liquidare il danno morale tale rilievo avrebbe avuto implicazioni sul versante costituzionale; tuttavia, per l'appunto tali implicazioni si sarebbero semmai poste esclusivamente dal punto di vista dell'effettività della tutela giurisdizionale ai sensi degli artt. 24 Cost. e 6 CEDU. Del resto, la medesima giurisprudenza costituzionale e quella europea fondata sulla CEDU vanno nel senso di una ben più estesa applicazione delle disposizioni appena richiamate rispetto alla mera “azionabilità in giudizio”.

In mancanza di una compiuta presa di posizione da parte della Consulta occorre essere cauti, tanto più che la giurisprudenza di legittimità ha parteggiato non di rado per il carattere sostanziale delle norme in materia di prova (cfr., ad es., in tema di onere della prova Cass. civ., S.U., 14 gennaio 2009, n. 564, in Giust. civ. Mass., 2009; Cass. civ., sez. II, 28 marzo 2007, 7581, in Giust. civ. Mass., 2007; Cass. civ., sez. II, 18 marzo 2004, n. 5484, in Giust. civ. Mass., 2004; Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2001, n. 717, in Giust. civ. Mass., 2001, la quale ha ritenuto altresì il rilievo sostanziale delle norme sull'efficacia probatoria della scrittura privata e dell'annotazione del creditore di cui all'art. 2708 c.c.; diversamente però Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2007, n. 10947, in Giust. civ. Mass., 2007; Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1997, n. 7183, in Giust. civ. Mass., 1997). Occorre tener presente, però, che molti arresti in tal senso sono stati adottati in relazione all'individuazione dei motivi di ricorso per cassazione proponibili avverso le pronunce adottate secondo equità ai sensi dell'art. 113, comma 2, c.p.c. Quindi, è possibile che essi siano stati in qualche modo condizionati dall'intento di limitare l'ammissibilità al giudizio di legittimità; giacché l'affermazione secondo cui le violazioni delle norme sul convincimento del giudice costituiscano errores in procedendo avrebbe garantito il vaglio della Cassazione.

Gli autori hanno offerto un quadro più distaccato e coerente a proposito della natura delle norme che si collocano sul crinale del diritto e processo, in particolar modo in materia di prova. In particolare, la lezione di Chiovenda, ripresa ed attualizzata da Denti, mi sembra ancora quella più sicura, sul piano metodologico ed applicativo: “Se il legislatore pone una nuova norma probatoria perché, ispirandosi alle mutate condizioni della civiltà, della società, della morale pubblica, la ritiene conforme allo scopo di assicurare un migliore risultato alle liti, sia dal punto di vista della bontà intrinseca delle decisioni, sia della semplicità e della prontezza del procedimento, sono queste ragioni processuali di riforma, e la norma che a queste è dovuta, sia che estenda, sia che limiti i mezzi di prova, troverà applicazione in ogni processo avvenire, in qualunque tempo sia accaduto il fatto che deve provare” (così G. Chiovenda, La natura processuale delle norme sulla prova e l'efficacia della legge processuale nel tempo, ora in Saggi di diritto processuale civile, I, Roma, 1930, 243). Il criterio teleologico sulla funzionalità del processo è preferibile rispetto a quelli più fluidi e incerti basati sulle conseguenze applicative delle norme di volta in volta utilizzate e sulla loro possibile efficienza causale sull'esito della decisione nel merito, similmente a quanto avviene in base all'indirizzo statunitense dell'outcome-determinitative test enunciato dalla Corte Suprema in Erie Railroad Company v. Tompkins, 304 US 64 (1938), il quale è fondato sulla considerazione “agnostica” secondo cui “The line between procedure and substance is hazy” (per una critica a tale indirizzo, fondata su un più “scientifico” metodo teleologico, cfr. V. Denti, Intorno alla relatività della distinzione tra norme sostanziali e norme processuali, in Riv. dir. proc., 1964, 256 ss., spec. 260 s.; a conclusioni sostanzialmente analoghe approda, di recente, R. Garnett, Substance and procedure in private international law, Oxford, 2012, 16 s., 154).

Applicando il metodo chiovendiano, occorre verificare se la riforma operata dal legislatore del codicedelle assicurazioni sia o meno finalizzata all'obiettivo (strumentale) di una più efficiente attuazione del diritto al risarcimento del danno di lieve entità e cioè se l'art. 139 Cod. Ass. persegua lo scopo processuale di conseguire un “miglior risultato delle liti”. Il che riteniamo sia avvenuto proprio nell'ambito di quella valutazione ponderata e bilanciata, in considerazione di tutti gli interessi coinvolti, che ha ora ricevuto l'apprezzamento della Consulta (per un approfondimento cfr. D. Spera, Riverberi sulla tabella milanese della pronuncia costituzionale sull'art. 139 Cod. Ass., cit.; M. Hazan, La Consulta e il danno alla persona nella r.c. auto: così è e così pare, cit.; v.. però, i rilievi critici di M. Bona,Corte costituzionale n. 235/2014: cestinatela!, cit.). In ultima analisi, proprio il miglioramento della funzionalità del processo sembra essere il fine sotteso all'introduzione di un sistema volto a definire metodi oggettivi di accertamento e parametri legislativi di liquidazione delle lesioni micropermanenti ai sensi dell'art. 139 Cod. Ass., coerentemente con le “conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza medica in relazione ai primi (nove) gradi della tabella” (l'inciso è di Corte Cost. n. 235/2014).

Questioni di diritto transitorio: l'applicazione ai giudizi pendenti dell'art. 139 Cod. Ass.

Alla luce di quanto precede è agevole confermare la congruità dei rilievi incidentali compiuti dalla Consulta rispetto alla valenza processuale delle norme sull'accertamento obiettivo, secondo i canoni propri della scienza medico-legale, sulla cui base ben può affermarsi l'applicabilità del canone di diritto transitorio proprio delle norme di tale “natura” secondo cui tempus regit actum.

Analoga considerazione vale pure riguardo alle disposizioni sulla quantificazione delle lesioni di lieve entità da circolazione stradale e di natanti. Del resto, la giurisprudenza della Cassazione in materia di liquidazione del danno nei giudizi risarcitori o di determinazione dell'indennizzo sulla base di parametri predeterminati va proprio nel senso dell'applicazione della regola tempus regit actum: “Il valore del punto da porre a base della liquidazione è quello vigente al momento della liquidazione, in quanto il risarcimento deve avvenire con le regole vigenti al momento della aestimatio (a nulla rilevando l'epoca del danno). Ciò in applicazione di un risalente e incontrastato principio, reiteratamente affermato con riferimento alle più diverse fattispecie (Cass. pen., S.U., 9 maggio 2001, imp. Caridi, la quale ha ritenuto che nella liquidazione della riparazione per ingiusta detenzione debba trovare applicazione il “massimale” vigente all'epoca della liquidazione, anche quanto la custodia cautelare sia stata sofferta in epoca antecedente all'entrata in vigore di esso; Cass. civ., 20 agosto 1991, n. 8965, secondo cui nella liquidazione del danno patrimoniale futuro da riduzione della capacità di guadagno occorre porre a base del calcolo il reddito della vittima al momento della liquidazione, e non quello (minore) percepito al momento del sinistro)” (così Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2012, n. 7932, in Giust. civ. Mass., 2012: pertanto, a mente del principio appena citato la S.C. ha rilevato un vizio da insufficiente liquidazione del danno non patrimoniale in relazione alla sentenza impugnata in quanto nel caso di specie si era proceduto al risarcimento del danno biologico in base alle tabelle vigenti al momento in cui era occorso l'evento causativo del danno e non quelle – migliorative per il danneggiato – vigenti al momento della pronuncia della sentenza di condanna).

Tale principio – a parere di chi scrive – andrebbe applicato sempre in relazione alle norme sulla liquidazione del danno, indipendentemente da considerazioni quali il carattere più o meno innovativo rispetto ai previgenti parametri di legge, il relativo margine di scostamento, ed ancora il carattere favorevole o meno per il danneggiato. A prevalere, infatti, deve essere l'indagine sulle finalità della riforma: la regola tempus regit actum è riferibile alla nuova formulazione dell'art. 139 Cod. Ass. in relazione al migliore esercizio delle prerogative del giudice in tema di equità integrativa che tale disposizione mira a garantire in relazione ai giudizi in materia di sinistri stradali e da circolazione di natanti (v. supra al paragrafo che precede).

Considerazioni (anche comparate) in tema di applicazione della lex fori riguardo alla liquidazione del danno

Il tema della “natura” delle norme sulla quantificazione del danno ha importanti riflessi in ordine all'identificazione della legge applicabile, essendo principio universalmente affermato quello secondo cui in materia processuale deve prevalere la lex fori.

La questione vede contrapposti approcci non collimanti negli Stati Uniti, ove si tende ad affermare la valenza sostanziale di tutte questioni suscettibili di incidere sull'esito del giudizio di risarcimento. Alla base di tale ricostruzione vi è una considerazione empirica che tipicamente ricorre in base al outcome-determinative test (cfr. R. J. Weintraub, Choice of Law for Quantification of Damages: A Judgement of the House of Lords Makes a Bad Rule Worse, in 42 Texas Int. Law Rev., (2007), 311 ss., spec. 320 ss., a critica della giurisprudenza inglese su cui v. appena infra). In Inghilterra, invece, prevale l'applicazione della lex fori, proprio in considerazione del carattere processuale delle norme sulla quantificazione del danno. In proposito Lord Hoffmann, nel pronunciarsi sul caso Harding v. Wealands,deciso dalla House of Lord nel 2006 ([2006] UKHL 32), ha osservato che nel sistema inglese di diritto internazionale privato le questioni attinenti alla quantificazione del danno sono sempre state riferite alla disciplina del processo.

Benché sia sin qui mancato un approfondimento riguardante la “natura” delle questioni attinenti alla quantificazione del pregiudizio risarcibile, la posizione della Cassazione è assai prossima a quella propria del diritto inglese. Sempre nel 2012, infatti, la S.C. ha statuito che le questioni sulla quantificazione non siano suscettibili di essere equiparate alle altre questioni che si possono porre nell'ambito di una causa risarcitoria con elementi di estraneità all'ordinamento (Cass., sez. III, 18 maggio 2012, n. 7932, cit.), ritenendo non riferibile alla quantificazione del danno la legge comune delle parti di cui all'art. 62, comma 2, l. n. 218/1995, applicabile alle questioni di merito (tra cui vengono incluse – in un obiter dictum – l'identificazione delle voci di danno risarcibile, le presunzioni di responsabilità e finanche l'onere della prova). Difatti, in materia di liquidazione vengono applicate le norme della lex fori, pur sulla base di considerazioni “sostanziali” correlate alla struttura dell'illecito aquiliano: “il luogo dove il danneggiato abitualmente vive, e presumibilmente spenderà o investirà il risarcimento a lui spettante, è … un elemento esterno e successivo alla fattispecie dell'illecito, un posterius, come tale ininfluente sulla misura del risarcimento del danno”. Gli è che, però, l'opzione volta a garantire “uno standard minimo per tutti i danneggiati nel territorio italiano, senza distinzioni” (gli incisi citt. sono di Cass. civ., n. 7932/2012) risulta certamente più facile da essere condivisa, movendo dal rilievo processuale della questione in discorso e dalla necessità di radicare la formazione del convincimento del giudice sul quantum a parametri oggettivi ed unitari riferibili all'accertamento di esistenza del danno.

Conclusioni

Il mancato confronto con gli artt. 24 Cost. e 6 CEDU ha limitato l'angolo visuale della Corte costituzionale in relazione alle questioni attinenti alla liquidazione del danno di lieve entità derivante dalla circolazione stradale e di natanti, affermando la legittimità costituzionale dell'art. 139 Cod. Ass. in base a considerazioni di “natura” sostanziale e non anche dal punto di vista – che appare più corretto – dell'effettività della tutela risarcitoria. Difatti, il “meccanismo standard di quantificazione del danno”, di cui all'art. 139 cod. costituisce una delimitazione legale rispetto alle potestà equitative sull'esistenza in concreto del danno, in relazione al quale il giudice provvede una volta stabilita e definita la questione della sua risarcibilità.

La definizione della valenza processuale delle disposizioni sottoposte al vaglio della Consulta avrebbe giovato alla coerenza complessiva della pronuncia n. 235 del 2014, poiché avrebbe permesso di apprezzare nella corretta prospettiva le finalità delle disposizioni di cui all'art. 139 Cod. Ass., ossia in quella tesa ad “un miglior risultato delle liti”, fornendo il giusto corredo al peculiare vaglio di ragionevolezza compiuto dalla stessa Consulta in relazione al sistema legale di liquidazione in relazione alle lesioni micropermanenti.

La ricostruzione in senso processuale del sistema di quantificazione del danno di cui all'art. 139 Cod. Ass. è congruente con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità in relazione alle questioni di diritto transitorio e di diritto internazionale privato che si pongono in materia di liquidazione: anche se ciò, sino a questo momento, è avvenuto al fuori di un quadro interpretativo volto a riferire con coerenza le disposizioni sulla liquidazione alla disciplina del processo. Difatti, in caso di successione nel tempo dei parametri fissati per la quantificazione del danno la Cassazione si uniforma alla regola (processuale) tempus regit actum, applicando quelli vigenti al momento della aestimatio; mentre nel caso di applicazione di legge straniera ai sensi dell'art. 62 l. n. 218/1995 si fa comunque riferimento alle norme sulla quantificazione del danno stabilite dalla lex fori.

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