La rilevanza dei testimoni nella lotta al contrasto delle frodi assicurative

Andrea Penta
19 Settembre 2017

Tra le previsioni contenute nella legge concorrenza merita un approfondimento quella di cui all'art. 135 cod. ass., volta a ridurre, quanto più possibile, il rischio di testimonianze false, mediante l'aggiunta dei commi 3-bis, 3-ter e 3-quater.
Il contesto normativo dei commi 3-bis, 3-ter e 3-quater

Nell'ottica di introdurre e poi implementare un sistema di contrasto alle frodi assicurative nel ramo rca (basato sulla conservazione e sulla consultazione dei dati significativi relativi ad ogni sinistro denunciato ad una impresa assicurativa nello stesso operante), con l'art. 135 cod. ass. (d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209) era stata prevista per la prima volta la costituzione di una “banca dati sinistri”, dall'allora ISVAP, dalla quale attingere per acquisire elementi di valutazione sulla genuinità delle allegazioni del preteso danneggiato. La disposizione delegava l'IVASS all'emanazione delle norme di dettaglio ed attuative.

L'art. 135 ha avuto una vita travagliata (M.ROSSETTI, in Il Quotidiano Giuridico, Milano). Invero, solo nel 2009 venne emanato un provvedimento attuativo da parte dell'ISVAP (Provvedimento 1 giugno 2009 n. 31), cui seguì il Provvedimento del 25 agosto 2010 n. 2827, il quale stabilì le circostanze di fatto in presenza delle quali i soggetti abilitati possono consultare in modalità on line la banca dati sinistri (cc.dd. “parametri di significatività”), ed il Provvedimento del 10 agosto 2010 n. 2826, che disciplinò le modalità tecniche di trasmissione dei dati dalle imprese all'IVASS.

Fino ad allora, e per certi versi tuttora, il contrasto alle frodi avveniva (con risultati, a dire il vero, alquanto insoddisfacenti) in ambito penale (tenendo presente della procedibilità a querela del delitto di truffa, e della mitezza della pena, che sovente faceva scattare la prescrizione), sul piano civile (soprattutto attraverso l'esercizio, da parte dei giudici, del potere, disciplinato dall'art. 256 c.p.c., di denunciare al pubblico ministero i testimoni apparentemente reticenti o falsi) e sul piano amministrativo (mediante, soprattutto, i poteri ispettivi e di controllo dell'autorità di vigilanza). Peraltro, i predetti poteri sono stati attribuiti all'IVASS soltanto dall'art. 21 d.l. 18 ottobre 2012 n. 179 (conv. nella l. 17 dicembre 2012 n. 221).

Il d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito nella l. 24 marzo 2012, n. 27) ha, poi, da un lato, previsto i servizi antifrode - sotto forma di misure organizzative interne - che le imprese assicuratrici hanno l'obbligo di costituire (art. 30, comma 1) e, dall'altro, aumentato da una a tre le banche dati originariamente previste, aggiungendo a quella dei sinistri (già contemplata anche dall'art. 120 del d.lgs. n. 196/2003) le anagrafe dei testimoni e dei danneggiati (sul punto si segnala altresì il documento 24/2015 IVASS) e prevedendo che le stesse siano alimentate dalle informazioni che le imprese assicuratrici hanno l'obbligo di trasmettere, entro sette giorni (lavorativi) da quello in cui hanno ricevuto la denuncia di sinistro dal proprio assicurato o la richiesta di risarcimento da parte del danneggiato (art. 32, comma 3-bis, lett. a). Questa articolazione aveva l'obiettivo di consentire un distinto livello di accessi, anche con riferimento ad una singola banca dati, in relazione alla natura del soggetto ed alla finalità della consultazione.

In seguito è stata istituita, con D.M. 11 maggio 2015 n. 108, quella che è la principale fonte di dati, rappresentata dall'“archivio informatico integrato”, ovvero una enorme banca dati costituita dalla connessione delle banche dati gestite dall'IVASS, dal PRA, dall'Archivio Nazionale Veicoli, dall'UCI e dalla CONSAP.

Il Provvedimento IVASS 1 giugno 2016 n. 23

Le norme attuative previste nell'art. 135 cod.ass. sono state emanate con il Provvedimento IVASS 1 giugno 2016 n. 23 (in G.U. 10 giugno 2016 n. 134), il quale ha stabilito chi deve alimentare le banche dati antifrode (in principal modo, le imprese di assicurazione), quali dati vanno alle stesse inviati, le modalità con le quali vanno trattati questi dati e chi può consultare le banche.

I dati da inviare all'IVASS sono, in particolare, indicati dall'art. 6, comma 2, del Provvedimento 23/2016, e sono costituiti non solo dagli elementi ovviamente essenziali per la ricostruzione del fatto (luogo, tempo, responsabile, danneggiato, veicoli), ma anche da elementi a corredo, quali le generalità dei testimoni e dei professionisti che assistono le parti (e quindi, deve ritenersi, avvocati e medici legali) e l'indicazione degli ospedali dove la vittima assume essere stata curata (a tal riguardo, Rossetti, cit., fa il significativo esempio del sinistro avvenuto in un determinato quartiere di una città e della scelta della vittima di farsi curare nel pronto soccorso di un ospedale situato all'altro capo della città, evenienza che fa sorgere legittimi sospetti, vieppiù allorquando il danneggiato abbia bisogno di cure urgenti). Senza pretese di esaustività, per dati si intendono gli estremi del sinistro, i nomi di testimoni e danneggiati, i nomi dei professionisti incaricati di seguire il sinistro e delle carrozzerie/officine di riparazione, tutti gli elementi della valutazione del danno, compresi quelli sanitari o clinici e, infine, le somme pagate ed i nomi di chi le ha incassate. In questo modo dovrebbe essere più semplice riconoscere e verificare le generalità di soggetti che, “di professione”, vengono puntualmente coinvolti (anche solo come testimoni) in sinistri stradali e in pratiche di indennizzo. Non sono rari, del resto, gli esempi in cui i medesimi individui, in un sodalizio di complicità, sono una volta danneggiati e un'altra testimoni l'uno dell'altro.

Permanendo l'obbligo di trasmissione dei dati fino all'esito del giudizio risarcitorio, se, ad esempio, nel corso del giudizio di appello dovessero essere ammesse nuove prove, ovvero dovessero essere sentiti testimoni ritenuti inammissibili in primo grado, l'assicuratore del responsabile dovrebbe trasmetterne le relative generalità all'IVASS.

I dati trasmessi all'IVASS conservano efficacia e visibilità per dieci anni, ma il regolamento prevede un sistema di “affievolimento progressivo” (così Rossetti, cit.). Dopo cinque anni dalla “definizione del sinistro”, ovvero dal pagamento o dalla rinuncia del danneggiato, i dati vengono cancellati dalla banca dati, e trasferiti in un “archivio segreto”, accessibile solo per “esigenze di giustizia penale” o su richiesta dei titolari dei dati medesimi. Rossetti, cit., ritiene, tuttavia, che tale norma non inibirebbe al giudice civile di chiedere informazioni all'IVASS sui contenuti di questo “archivio segreto”, soprattutto perché il Provvedimento 23/2016, essendo un regolamento amministrativo, non può derogare all'art. 213 c.p.c. Dopo dieci anni dalla definizione del sinistro, invece, vengono cancellati tutti i dati che consentano di identificare le persone fisiche a vario titolo coinvolte nel sinistro e nella sua gestione (parti, avvocati, medici legali, sanitari), ma i dati (anonimi) continuano ad essere conservati dall'IVASS, così epurati, per sole finalità statistiche.

Le possibilità di consultazione sono molteplici: numero di sinistri presenti per ciascuna targa (o numero di telaio), codice fiscale o partita Iva immessa, numero di sinistri per singolo soggetto.

Viene avallata la scelta di "graduare" l'accessibilità alle informazioni contenute nelle suddette banche di dati in ragione del numero di "parametri di significatività" emersi in occasione della prima verifica effettuata (obbligatoria) da parte dei soggetti preposti (soprattutto le imprese di assicurazione), Qualora all'esito di tale consultazione emergessero almeno due“parametri di significatività”, le imprese sarebbero, infatti, tenute ad effettuare una nuova e più dettagliata consultazione e specifici approfondimenti, dandone evidenza nel fascicolo del sinistro.

Le banche dati, peraltro, creano la difficoltà di bilanciare l'interesse alla tutela del mercato assicurativo dalle frodi con l'interesse a mantenere la riservatezza (cfr., sul punto, il parere n. 441 espresso dal Garante per la protezione dei dati personali il 10 ottobre 2013).

La legge annuale per il mercato e la concorrenza n. 124 del 4 agosto 2017

È nel contesto delle previsioni finalizzate a prevenire le frodi nel settore delle assicurazioni obbligatorie per la rca che si inserisce la Legge annuale per il mercato e la concorrenza n. 124 approvata il 4 agosto 2017 (GU Serie Generale n.189 del 14 agosto 2017) dopo un lungo e travagliato iter e l'ennesimo voto di fiducia richiesto in Parlamento.

Tra le previsioni nella stessa contenute merita un approfondimento quella di cui all'art. 135, volta a ridurre, quanto più possibile, il rischio di testimonianze “costruite a tavolino”. La tecnica legislativa prescelta è stata quella di aggiungere, in fine, all'art. 135 cod. ass. i commi 3-bis, 3-ter e 3-quater.

Quanto all'ambito applicativo (in relazione al quale va segnalato che la cerchia dei testimoni da indicare va ristretta a quelli in grado di fornire utili elementi per la esatta ricostruzione della dinamica dell'incidente), la prima peculiarità che balza agli occhi è che, per quanto l'intentio legis sia chiara e l'obiettivo perseguito senz'altro meritevole, non si è avuto il coraggio di estendere la disciplina sulla identificazione di eventuali testimoni oculari anche agli incidenti che abbiano provocato solo danni alle persone o danni sia alle persone che alle cose (cfr. l'incipit del comma 3-bis: «In caso di sinistri con soli danni a cose»). Attesa la irragionevolezza della scelta, non è da escludere profili di illegittimità costituzionale, in base all'art. 3 Cost., vieppiù se si considera che il pericolo di testimoni “artefatti” si presenta alla stessa stregua in entrambi i casi. La previsione riduce drasticamente, almeno sul piano processuale, la sua pratica applicabilità, atteso che, di norma, sinistri con danni alle sole cose vengono definiti, dati i bassi costi che implicano, in sede stragiudiziale.

L'anomalia è acuita dalla circostanza che, come è noto, per ottenere il risarcimento il danneggiato da sinistro stradale causato da veicolo non identificato non ha alcun obbligo di presentare una denuncia o una querela contro ignoti, la cui sussistenza o meno non è che un mero indizio, da valutarsi assieme a tutti gli altri eventualmente esistenti per stabilire se sussista il diritto al risarcimento (Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 2013, n. 4784). Ciò sulla base del principio consolidato per cui, se è vero che l'omessa denuncia all'autorità non è idonea, in sé, a escludere che il danno sia stato effettivamente causato da veicolo non identificato, è altrettanto vero che l'intervenuta denuncia o querela contro ignoti non vale, in sè stessa, a dimostrare che tanto sia senz'altro accaduto (Cass. civ., sez. III, 12 marzo 2014, n. 5642). Invero, il danneggiato il quale promuova richiesta di risarcimento nei confronti del Fondo di garanzia per le vittime della strada, sul presupposto che il sinistro sia stato cagionato da veicolo o natante non identificato, ha l'onere di provare che il sinistro si sia verificato per condotta dolosa o colposa del conducente di altro veicolo natante e che questo sia rimasto sconosciuto, ma a quest'ultimo fine è sufficiente dimostrare che, dopo la denuncia dell'incidente alle competenti autorità di polizia, le indagini compiute o quelle disposte dalla autorità giudiziaria, per l'identificazione del veicolo o natante investitore, abbiano dato esito negativo, senza che possa addebitarsi al danneggiato l'onere di ulteriori indagini articolate o complesse, purché egli abbia tenuto una condotta diligente mediante formale denuncia dei fatti ed esaustiva esposizione degli stessi. Da ciò consegue, però, per quanto sia considerato (cfr., di recente, Cass. civ., sez. III, 31 ottobre 2014, n. 23150) insolito il contegno serbato dal danneggiato che all'atto del ricovero si limiti riferire alla Ps di essere stato investito da un motoveicolo che aveva proseguito la marcia e che solo a distanza di tempo, nel rendere sommarie informazioni, abbia precisato la dinamica del fatto, fornendo precisazioni che sarebbe stato ragionevole riferire nella immediatezza (se non altro per facilitare la sollecita attivazione degli accertamenti finalizzati alla identificazione della responsabilità), non può escludersi, proprio nelle ipotesi più gravi (e che, quindi, per l'entità dei valori economici in gioco, maggiormente si prestano a frodi), la possibilità per la presunta vittima di indicare solo in un secondo momento il nominativo di persone, a suo dire, presenti al momento del sinistro. La discrasia, a mio modo di vedere, si aggrava allorquando l'asserita vittima renda dichiarazioni al drappello di pubblica sicurezza presso il nosocomio in cui ci si sia recata per le cure del caso.

Alla luce della omessa previsione, andrà probabilmente rivisto quell'orientamento della giurisprudenza di legittimità che, a fronte di un comportamento complessivamente reticente e omissivo da parte del danneggiato in ordine alla dinamica dell'incidente, valutava la mancata presentazione di una denuncia-querela quale indice della inattendibilità della testimonianza fornita dal danneggiato e della non veridicità dei fatti (Cass. civ., sez. VI, 19 marzo 2012, n. 4360).

Essendo stato espressamente operato il riferimento alla identificazione«di eventuali testimoni sul luogo di accadimento dell'incidente», il raggio di azione della norma non si estende ai testimoni de relato, i quali cioè abbiano appreso circostanze rilevanti ai fini della ricostruzione della dinamica dell'incidente da testimoni oculari. In ambito processuale, la disposizione trova il suo inquadramento nell'ambito del comma 1 dell'art. 257 c.p.c., allorquando alcuno dei testimoni si sia appunto riferito, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone. La stessa si riflette indirettamente altresì sull'art. 281-ter c.p.c., in quanto è a dubitarsi che il giudice potrà tuttora disporre d'ufficio la prova testimoniale, formulandone i capitoli, quando le parti nella esposizione dei fatti si saranno riferite a persone in grado potenzialmente di conoscere la verità. Sul punto, comunque, sembra di assistere ad un difetto di coordinamento.

Condivisibilmente l'identificazione di eventuali testimoni può risultare, oltre che dalla denuncia di sinistro, dalla lettera di costituzione in mora inoltrata all'impresa di assicurazione del danneggiato.

Con riferimento alle modalità di esternazione, si fa, anche qui, secondo me, in modo anomalo, dipendere la sanzione processuale non solo dall'inerzia dell'asserito danneggiato, ma anche dalla mancata risposta al sollecito indirizzatogli dall'impresa assicurativa [«… in mancanza (di indicazione dei testimoni nella denuncia di sinistro o comunque nel primo atto formale del danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione), (la stessa) deve essere richiesta dall'impresa di assicurazione con espresso avviso all'assicurato delle conseguenze processuali della mancata risposta. In quest'ultimo caso, l'impresa di assicurazione deve effettuare la richiesta di indicazione dei testimoni con raccomandata con avviso di ricevimento entro il termine di sessanta giorni dalla denuncia del sinistro e la parte che riceve tale richiesta effettua la comunicazione dei testimoni, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione della richiesta»]. Argomentando a contrario, in mancanza di tale richiesta, ben potrebbe, infatti, il danneggiato, nel corso del successivo giudizio, indicare per la prima volta propri testimoni, beneficiando di fatto di una sorta di rimessione in termini, nonostante la imputabilità a lui stesso della iniziale omissione.

Non viene stabilito quali siano le conseguenze, sempre sul piano processuale, dell'invio della richiesta sollecitatoria oltre il termine di 60 giorni dalla denuncia di sinistro, del suo inoltro non a mezzo di lettera raccomandata a/r e del riscontro della stessa, da parte del danneggiato, oltre il termine di 60 giorni all'uopo concessogli. È a ritenersi, peraltro, che, mentre nel primo caso, e sempre che il ritardo imputabile alla compagnia assicuratrice non evidenzi (per l'esorbitanza) il proposito di allungare a dismisura lo spatium deliberandi di 60 giorni ad essa riconosciuto dagli artt. 145 e art. 148 cod. ass., il destinatario debba, ciò nonostante, effettuare la comunicazione dei testimoni, nella seconda evenienza, non potendosi applicare il principio del raggiungimento dello scopo (e, a maggior ragione, il disposto di cui all'art. 1335 c.c.), l'omesso invio della lettera raccomandata equivale ad una sostanziale mancanza di sollecito, in quanto costituisce un atto necessario per porre in grado il soggetto che assume di essere stato danneggiato da un sinistro di conoscere fin dalla fase stragiudiziale le conseguenze processuali della mancata indicazione dei testi (tanto è vero che la richiesta dell'impresa di assicurazione deve contenere l'«espresso avviso all'assicurato delle conseguenze processuali della mancata risposta»). Fermo restando che è, ovviamente, rimesso alla compagnia provare, in un eventuale successivo giudizio (è in quest'ottica che va letta la previsione a tenore della quale «Il giudice dispone l'audizione dei testimoni che non sono stati indicati nel rispetto del citato comma 3-bis nei soli casi in cui risulti comprovata l'oggettiva impossibilità della loro tempestiva identificazione»), la conoscenza effettiva del sollecito, è a dubitarsi che quest'ultima possa essere desunta aliunde dal tenore della risposta alla richiesta integrativa inviata, ai sensi dell'art. 148, comma 5, cod. ass., dall'impresa al danneggiato in caso di richiesta risarcitoria incompleta. Avuto riguardo alla terza evenienza, la formulazione della norma («l'identificazione dei testimoni avvenuta in un momento successivo comporta l'inammissibilità della prova testimoniale addotta») sembrerebbe deporre, pur in assenza di una qualificazione in termini di perentorietà del termine, nel senso della irrilevanza di una indicazione tardiva (ritiene che la implicita natura perentoria di un termine si evince dalla stessa gravità della sanzione prevista Trib. Bari, sez. I, 4 ottobre 2016, n. 4974, in Red. Giuffrè 2016). A favore di questa interpretazione si pone altresì la previsione che ammette la rimessione in termini, ma solo a istanza della parte interessata e a condizione che questa dimostri di essere incorsa nella decadenza per una causa a essa non imputabile (Cass. civ., sez. I, 13 giugno 2008, n. 16026). Sul punto, il Consiglio di Stato è intervenuto, affermando che «Al di fuori del sistema processuale nel quale è inserito l'art. 152, comma 2 c.p.c., che esprime un criterio interpretativo comune ogni qual volta siano stabilite cadenze temporali per il compimento degli atti del processo, la perentorietà di un termine non deve essere espressamente stabilita potendo la stessa desumersi anche implicitamente dalla ratio legis e dalle specifiche esigenze di rilievo pubblico che lo svolgimento di un determinato adempimento entro un prefissato arco temporale è inteso a soddisfare (Cons. St., sez. VI, 16 gennaio 2005, n. 73).

Le ripercussioni sui tempi di definizione stragiudiziale delle vertenze

Condivisibilmente il dies a quo di decorrenza del secondo termine concesso al danneggiato è stato identificato nella ricezione della raccomandata.

Tuttavia, non può non osservarsi che l'intero subprocedimento in tal guisa disciplinato rallenterà di molto i tempi per definizioni stragiudiziali delle vertenze. Invero, per quanto l'art. 145 cod. ass. prevede, come è noto, che, nel caso si applichi la procedura di cui all'art. 148, l'azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, possa essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni (ovvero novanta in caso di danno alla persona) decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all'impresa di assicurazione il risarcimento del danno, è evidente che, coincidendo con tale termine quello ora previsto per la tempestiva indicazione dei testimoni da parte della potenziale vittima ed essendo tenuta (“deve”) la compagnia, in difetto, a concedere ulteriori 60 giorni per l'incombente, l'offerta prodromica ad una eventuale definizione stragiudiziale della vertenza (e, con esso, lo spatium deliberandi minimo che deve precedere, a pena di improponibilità, l'instaurazione del giudizio) subirà uno slittamento che (contemplando altresì i tempi di ricezione delle due raccomandate con a/r) non potrà essere inferiore a 130 giorni. Occorre, infatti, considerare che, alla stessa stregua delle richieste integrative di documentazione lacunosa allegata, solo la conoscenza e l'audizione dei testimoni che eventualmente abbiano assistito all'incidente può mettere l'impresa assicurativa nelle condizioni di effettuare una istruttoria preliminare (non esplorativa, ma) completa, strumentale alla formulazione di una eventuale offerta ristoratrice o al rifiuto motivato della stessa ovvero di presentare, nelle ipotesi in cui è prevista, querela ai sensi dell'art. 124, comma 1, c.p. (cfr. art. 148, comma 2-bis, cod. ass. inserito dall'art. 32, comma 3, lettera b, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27 e successivamente dall'art. 1, comma 213, del d.lgs. 12 maggio 2015, n. 74). Sembra, dunque, essersi in presenza di un difetto di coordinamento con l'art. 145 cod. ass., non adeguatamente valutato.

Certo è, invece, che la prescritta indicazione dei testi non rientra tra gli elementi indefettibili che devono essere inseriti nella richiesta risarcitoria, i quali tuttora si sostanziano nell'indicazione degli aventi diritto al risarcimento e del luogo, dei giorni e delle ore in cui le cose danneggiate sono disponibili, per non meno di cinque giorni non festivi, per l'ispezione diretta ad accertare l'entità del danno.

Si rivela opportuna la previsione dell'onere dell'impresa di assicurazione di procedere, a sua volta, all'individuazione e alla comunicazione di eventuali altri testimoni, entro un ulteriore termine di 60 giorni, al fine di assicurare una discovery anticipata da ambo i lati.

I risvolti sul piano processuale

Fatte salve le risultanze contenute in verbali delle autorità di polizia intervenute sul luogo dell'incidente, l'identificazione dei testimoni avvenuta in un momento successivo comporta, come anticipato, l'inammissibilità della prova testimoniale addotta. Il giudice dovrà, quindi, in sede di ammissione, operare un esame sulla base della documentazione prodotta dalle parti, concentrando la propria attenzione sull'avvenuto rispetto dei termini e sul tenore delle raccomandate.

In merito alla individuazione dei confini della prova dell'oggettiva impossibilità della tempestiva identificazione dei testimoni, nella nozione rientra senz'altro il caso della impossibilità sia di rintracciare il soggetto che di individuarlo e di identificarlo, come, di regola, avviene allorquando il testimone si allontani repentinamente o il danneggiato, siccome in movimento alla guida di un'auto, non sia nelle condizioni di arrestare immediatamente il moto. Il caso più frequente nella prassi non è, invece, neppure astrattamente configurabile: quello della necessità di recarsi immediatamente presso il più vicino presidio ospedaliero per sottoporsi a tempestive cure, presupponendo lo stesso (anche) lesioni alla persona. Pur tuttavia, la previsione presuppone, sul piano pratico, una individuazione postuma del teste attraverso elementi acquisiti medio tempore oppure la presentazione spontanea dello stesso a distanza dall'evento dannoso, circostanze che, nel caso di incidenti con danni alle sole cose, appaiono di complicata verificazione.

Soluzioni de iure condendo

Nel solco di quanto previsto dall'art. 135, gli uffici giudiziari potrebbero dotarsi di un elenco informatico dei testimoni, all'interno del quale far rifluire, su segnalazione dei magistrati, il nominativo dei soggetti in relazione ai quali è stata disposta la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica per il reato di falsa testimonianza. Ciò consentirebbe di creare una banca dati di immediata rilevazione, dotata eventualmente di appositi alert volti a richiamare la situazione su situazioni anomale. È evidente che in siffatta evenienza occorrerebbe adottare misure preventive e idonee al fine di assicurare la riservatezza, la sicurezza e l'integrità dei dati e delle comunicazioni e, in particolare, atte ad evitare dispersioni o l'intercettazione dolosa delle informazioni personali. Inoltre, i responsabili della tenuta del registro, all'interno dei vari uffici giudiziari, dovrebbero essere vincolati al segreto, venendo considerati personalmente responsabili per la violazione degli obblighi di riservatezza.

In un'ottica dissuasiva o general-preventiva, e, comunque, con il fine di accentuare l'effetto dissuasivo delle menzionate banche dati rispetto a possibili comportamenti fraudolenti, potrebbe rivelarsi opportuno dare adeguata evidenza della loro esistenza e dei connessi trattamenti di dati personali a coloro che, a vario titolo, possono trovarsi coinvolti in un sinistro (oltre che i contraenti e gli assicurati, anche i danneggiati ed i testimoni). Infatti, atteso che, in base all'art. 13, comma 5, del Codice sulla privacy, il titolare del trattamento non è tenuto a rendere un'informativa preventiva ove i dati personali siano raccolti presso terzi e trattati in base ad un obbligo di legge o di regolamento, gli interessati potrebbero restare all'oscuro circa le operazioni di trattamento cui sono soggetti i dati personali che a loro si riferiscono. In tale contesto potrebbe, quindi, risultare utile, già in sede di raccolta dei dati (tipicamente in occasione della compilazione del modulo di "Constatazione amichevole di incidente–Denuncia di sinistro"), dare contezza (anche attraverso un'informativa sintetica) dei trattamenti connessi all'istituzione delle predette banche dati e delle responsabilità derivanti da eventuali testimonianze false o reticenti, ben potendo tale soluzione, benché non obbligatoria in base alla legge, riverberare comunque effetti positivi (in termini di sensibilizzazione e responsabilizzazione) a beneficio, oltre che dei predetti interessati, dei soggetti nella cui disponibilità pervengono, a vario titolo, i dati.

Last, but non least, sarebbe opportuno vigilare sul corretto esercizio dell'attività di certificazione da parte degli esercenti di professioni sanitarie.

Guida all'approfondimento

S.TAURINI, Assicurazioni private, a cura di M. Hazan, Milano, 2015

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