Mutamento della domanda di adempimento in domanda di risoluzione del contratto

20 Giugno 2014

In ambito di contratto a prestazioni corrispettive, Tizio si risolve ad agire in giudizio per sentire condannare Caio all'adempimento degli obblighi originariamente assunti.Tuttavia, nel corso del giudizio, perdurando l'inadempimento del convenuto e avendo mutato interessi e convinzioni, Tizio si risolve a mutare domanda e a chiedere pertanto ex art. 1453, comma 2, c.c. la risoluzione del contratto. Oltre a domandare la restituzione della prestazione eseguita, Tizio può anche chiedere contestualmente e dunque nel medesimo processo, il risarcimento dei danni conseguiti alla cessazione degli effetti del regolamento negoziale?

In ambito di contratto a prestazioni corrispettive, Tizio si risolve ad agire in giudizio per sentire condannare Caio all'adempimento degli obblighi originariamente assunti.

Tuttavia, nel corso del giudizio, perdurando l'inadempimento del convenuto e avendo mutato interessi e convinzioni, Tizio si risolve a mutare domanda e a chiedere pertanto ex art. 1453, comma 2, c.c. la risoluzione del contratto. Oltre a domandare la restituzione della prestazione eseguita, Tizio può anche chiedere contestualmente e dunque nel medesimo processo, il risarcimento dei danni conseguiti alla cessazione degli effetti del regolamento negoziale?

Ai sensi del secondo comma dell'art. 1453 c.c. la risoluzione per inadempimento di un contratto può essere domandata anche quando il giudizio è stato iniziato per ottenere l'adempimento. La scelta di chiedere l'adempimento dunque non è irrevocabile e la parte può dunque mutare la propria originaria determinazione e chiedere la risoluzione. Viceversa, come noto, non è ammissibile operare in senso contrario e cioè domandare l'adempimento laddove l'originaria domanda era di risoluzione per inadempimento.

Di norma, il contraente è stimolato all'iniziativa risolutoria per un triplice ordine di motivi:

  • ottenere la cancellazione del sinallagma;
  • conseguire la restituzione della propria prestazione ove già eseguita;
  • ottenere la riparazione del pregiudizio che abbia già eventualmente sofferto a causa dello scioglimento del rapporto.

Nell'interpretazione giurisprudenziale della norma, vi è stato aperto e vivace contrasto sulla possibilità di formulare la domanda di risarcimento del danno, contestualmente a quella di risoluzione del contratto per inadempimento nel corso dell'identica azione originariamente promossa per ottenere la condanna del convenuto all'adempimento.

L'orientamento restrittivo nega che la deroga alla regola del divieto di “mutatio libelli” sancita dal secondo comma dell'art. 1453 c.c. possa estendersi fino ad ammettere la ulteriore domanda di risarcimento del danno consequenziale a quella di risoluzione. (Cass. sez. II, 23 gennaio 2012, n.870).

E ciò fa principalmente per i seguenti motivi:

  • la domanda di risarcimento è domanda del tutto diversa per petitum e causa petendi rispetto a quella originaria;
  • la domanda risarcitoria affiancata alla (consentita) domanda di risoluzione trovano preclusione nel disposto di cui agli artt. 183 e 345 c.p.c. comportando l'introduzione di un tema d'indagine mai prospettato prima;
  • le norme processuali che precludono la proposizione di domande nuove incontrano nel disposto dell'art. 1453, comma 2, c.c. una deroga eccezionale che non ammette alcuna ulteriore estensione. (Cass. sez. lav., 27 marzo 2004, n. 6161 e Cass. sez. lav., 16 giugno 2009, n. 13953; eguali principi in Cass. sez. III, 14 marzo 2013, n. 6545).

La pronunce che ammettono la possibilità di affiancare la domanda risarcitoria contestualmente al passaggio al rimedio ablativo delle risoluzione contrattuale, motivano principalmente come segue: a) l'istanza risarcitoria è sempre ammissibile in quanto domanda accessoria sia di quella di adempimento che di quella di risoluzione come previsto in claris ex art. 1453, comma 1, c.c. (Cass. sez. II, 31 maggio 2008, n. 26325);

b) la deroga ex lege alle norme generali processuali tale da ammettere la sostituzione della domanda di risoluzione a quella di adempimento, non può non ammettere la correlativa introduzione della richiesta di danni da risoluzione ancorché diversi per essenza e quantità da quelli chiesti unitamente all'originaria domanda di adempimento (Cass. sez. III, 19 novembre 1963, n. 2995; incidentalmente: Cass. civ. S.U., 18 febbraio 1989, n. 962);

c) è ammesso che in occasione della mutatio, possa essere formulata ex novo, contestualmente alla domanda di risoluzione, anche quella di restituzione del praestatum. La facoltà di mutare la domanda di adempimento in quella di risoluzione in deroga al divieto di mutatio libelli di cui agli artt. 183, 184 e 345 c.p.c. è ammessa in primo e secondo grado di giudizio ed anche in sede di rinvio. E ciò con il solo limite che si resti nell'ambito dei fatti posti a base della inadempienza originariamente dedotta senza introduzione di alcun nuovo tema di indagine (Cass. sez. II, 27 novembre 1996, n. 10506 e Cass. sez. II, 27 maggio 2010, n. 13003).

Il contrasto giurisprudenziale è stato finalmente risolto dalle SSUU con sentenza n. 8510/2014 Rel. Giusti che permette di dare contestualmente risposta anche al quesito posto mediante l'enunciazione del seguente principio di diritto: “La parte che ai sensi dell'art. 1453, comma 2, c.c. chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere l'adempimento, può domandare, contestualmente all'esercizio dello ius variandi, oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale”

Principio motivato coi passaggi motivazionali qui di seguito riassunti:

a) l'art. 1453 c.c. accordando al contraente deluso la facoltà di scegliere tra la condanna del debitore all'adempimento e la risoluzione del contratto, non vincola il contraente ad una scelta irrevocabile (cfr. Cass. civ. S.U., 18 febbraio 1989, n. 962);

b) nei contratti a prestazioni corrispettive, l'azione di adempimento e quella di risoluzione pur presentando diversità di petitum, mirano entrambe a soddisfare lo stesso interesse del creditore soddisfatto, consistente nell'evitare il pregiudizio derivante dall'inadempimento della controparte (Cass. civ. sez. II, 29 novembre 2011, n. 15171);

e) quando l'attore in luogo dell'adempimento chiede la risoluzione, non si limita a precisare o modificare la domanda già proposta: ne muta l'oggetto. L'azione di risoluzione è nuova rispetto a quella di adempimento: la trasformazione della domanda di adempimento a quella di risoluzione rappresenta un'autentica mutatio libelli; consegue che il passaggio dalla domanda di adempimento a quella di risoluzione ammesso ex art. 1453, comma 2, c.c., costituisce una deroga alle norme processuali che precludono il mutamento della domanda nel corso del giudizio e la proposizione di domande nuove in appello, a conduzione che i fatti costituitivi del diritto fatto valere in giudizio restino immutati;

f) l'interpretazione estensiva del secondo comma dell'art. 1453, comma 2, c.c. offendo al contraente non inadempiente la possibilità di estendere la propria domanda al piano risarcitorio, permette di realizzare nell'ambito dello stesso processo il completamento sul piano giuridico ed economico degli effetti che si ricollegano allo scioglimento del contratto;

g) la disciplina dell'art. 1453 c.c. in quanto dettata senza pretesa di completezza, non esclude che, in occasione dell'esercizio dello ius variandi, si affianchino pretese che, quale quella risarcitoria, hanno funzione complementare rispetto al rimedio base;

h) Precludere di azionare la tutela complementare restitutoria e risarcitoria nell'ambito dello stesso giudizio a chi in prima battuta abbia chiesto in giudizio la condanna della controparte all'adempimento e si sia poi rivolto alla tutela risolutoria, vanificherebbe la finalità di concentrazione che il codice civile ha inteso perseguire accordando al contraente in regola, lo ius variandi nel corso di uno stesso ed unico giudizio;

i) si è al di fuori dell'operatività del regime delle preclusioni posto che nella fattispecie il codice civile permette per ragioni di effettività e concentrazione della tutela, di far valere la pretesa risarcitoria contestualmente al mutamento della domanda di adempimento in quella di risoluzione del contratto, garantendo nel contempo il diritto di difesa e il diritto al contraddittorio in condizioni di parità. Il divieto di nova è dunque derogato anche al fine di evitare la moltiplicazione di giudizi in relazione alla medesima fattispecie (vedasi analogicamente: art. 948, comma 1,c.c. in abito di azioni a difesa dalla proprietà; l'art. 2378, comma 2, c.c. come riformato ex d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 nell'ambito del diritto delle società per azioni; l'art. 345 c.p.c. che accorda la possibilità di domandare, tra l'altro, il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza impugnata).

In definitiva, sarebbe irrazionale costringere l'attore a promuovere successivi giudizi per far valere il progressivo ampliarsi del danno, in presenza di un comportamento dannoso in atto al momento della domanda o di un evento dannoso che non ha ancora esaurito i suoi effetti (così Cass. civ. sez. III, 10 novembre 2003, n. 16819).

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