Legge Pinto: incostituzionale applicare i termini di ragionevole durata anche al procedimento di indennizzo

Redazione Scientifica
23 Febbraio 2016

La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis della Legge Pinto (L. 24 marzo 2001, n. 89) come aggiunti dall'art. 55, comma 1, lett. a), numero 2), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dall'art. 1, comma 1, l. 7 agosto 2012, n. 134, in riferimento agli artt. 3, comma 1, 111, comma 2 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 Cedu.

La vicenda. La Corte d'appello di Firenze, con sei ordinanze, sollevava la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 2-bis e 2-ter della Legge Pinto (L. 24 marzo 2001, n. 89) come aggiunti dall'art. 55, comma 1, lett. a), numero 2), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dall'art. 1, comma 1, l. 7 agosto 2012, n. 134, in riferimento agli artt. 3, comma 1, 111, comma 2 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 Cedu.

In particolare il Giudice fiorentino era stato chiamato a «pronunciarsi su domande di condanna all'equa riparazione, conseguenti all'eccessiva protrazione di procedimenti regolati a loro volta dalla L. n. 89/2001 (…)». Secondo gli stessi giudici le norme predette sarebbero «incompatibili con quanto previsto, sulla base dell'art. 6 Cedu, dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e dalla stessa giurisprudenza di legittimità consolidatasi prima della novella recata dal d.l. n.83/2012, anche in forza dell'art. 111, comma 2, Cost.».

Ius receptum. Invero, principio consolidato nella giurisprudenza Cedu è quello per cui lo Stato, già inadempiente all'obbligo di assicurare la ragionevole durata di un processo, sia gravato da un peculiare onere di diligenza; sicchè «il diritto all'equa riparazione dovuta a causa dell'eccessiva protrazione di un procedimento disciplinato dalla l. n. 89/2001 andrebbe soddisfatto con particolare celerità, mentre non sarebbero a tal fine adeguati i termini previsti in via generale, con riferimento all'ordinario processo d cognizione».

Le stesse Sezioni Unite civili (Cass., n. 6312/2014) avevano ritenuto «congruo il termine di durata di un anno, per l'unico grado di merito del procedimento regolato dalla l. n. 89/2001, e quello di un ulteriore anno, relativamente al giudizio di legittimità previsto da tale legge, per complessivi due anni».

L'incostituzionalità. La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale esclusivamente in riferimento all'art. 2, comma 2-bis, difatti:

  • lo Stato ha il dovere di concludere il procedimento volto all'equa riparazione del danno da ritardo maturato in altro processo in termini più celeri di quelli consentiti nelle procedure ordinarie, come più volte affermato dalla Corte europea;
  • l'art. 6 Cedu preclude quindi al legislatore nazionale di consentire una durata complessiva del procedimento regolato dalla l. n. 89/2001 pari a quella tollerata con riguardo agli altri procedimenti civili di cognizione.

In conclusione, «la disposizione impugnata, imponendo di considerare ragionevole la durata del procedimento di primo grado regolato dalla l. n. 89/2001, quando la stessa non eccede i tre anni, viola gli artt. 111, comma 2 e 117 Cost., «posto che questo solo termine comporta che la durata complessiva del giudizio possa essere superiore al limite biennale adottato dalla Corte europea (e dalla giurisprudenza nazionale sulla base di quest'ultima) per un procedimento regolato da tale legge, che si svolga in due gradi».

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