Riverberi sulla tabella milanese della pronuncia costituzionale sull'art. 139 Cod. Ass.

23 Ottobre 2014

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 235 del 16 ottobre 2014, ha stabilito che i valori monetari previsti dall'art. 139 Cod. Ass. per la liquidazione del danno biologico - permanente e temporaneo, conseguente a lesioni di lieve entità derivanti da incidenti stradali - non sono in contrasto né con la Costituzione italiana né con i precetti della normativa europea.
Legittimità costituzionale dell'art. 139 e alternatività della tabella normativa e della tabella milanese

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 235 del 16 ottobre 2014, ha stabilito che i valori monetari previsti dall'art. 139 Cod. Ass. per la liquidazione del danno biologico - permanente e temporaneo, conseguente a lesioni di lieve entità derivanti da incidenti stradali - non sono in contrasto né con la Costituzione italiana né con i precetti della normativa europea.

La Corte ha, in primo luogo, ritenuto manifestamente non fondata la censura di violazione dell'art. 3 Cost., in relazione a tutti i profili contestati:

- “perché la prospettazione di una disparità di trattamento − che, in presenza di identiche (lievi) lesioni, potrebbe conseguire, in danno delle vittime di incidenti stradali, dalla applicazione della normativa impugnata, in quanto limitativa di una presunta maggiore tutela risarcitoria riconoscibile a soggetti che quelle lesioni abbiano riportato per altra causa − è smentita dalla constatazione che, nel sistema, la tutela risarcitoria dei danneggiati da sinistro stradale è, viceversa, più incisiva e sicura, rispetto a quella dei danneggiati in conseguenza di eventi diversi. Infatti solo i primi, e non anche gli altri, possono avvalersi della copertura assicurativa, ex lege obbligatoria, del danneggiante – o, in alternativa, direttamente di quella del proprio assicuratore – che si risolve in garanzia dell'an stesso del risarcimento”;

- perché “l'assunto per cui gli introdotti limiti tabellari non consentirebbero di tener conto della diversa incidenza che pur identiche lesioni possano avere nei confronti dei singoli soggetti, trascura di dare adeguato rilievo alla disposizione di cui al comma 3 del denunciato art. 139, in virtù della quale è consentito al giudice di aumentare fino ad un quinto l'importo liquidabile ai sensi del precedente comma 1, con «equo e motivato apprezzamento», appunto, «delle condizioni soggettive del danneggiato»”.

La Corte rigetta la questione di legittimità costituzionale anche in relazione all'ulteriore profilo del «limite» che avrebbe posto l'art. 139 Cod. Ass. all'integrale risarcimento del danno alla persona.

Riservando a successivi interventi di altri Autori la disamina della motivazione di questa specifica questione, mi limito in questa sede ad evidenziare le seguenti condivisibili statuizioni:

- la Corte Costituzionale, dopo aver citato la sentenza di San Martino (Cass. S.U. n. 26972/2008) circa “il bilanciamento tra i diritti inviolabili della persona ed il dovere di solidarietà” (ex art. 2 Cost.), sottolinea che “al bilanciamento – che doverosamente va operato tra i valori assunti come fondamentali dalla nostra Costituzione ai fini della rispettiva, complessiva, loro tutela – non si sottraggono neppure i diritti della persona consacrati in precetti della normativa europea”;

- “il controllo di costituzionalità del meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico introdotto dal censurato art. 139 Cod. Ass. (…) va, quindi, condotto non già assumendo quel diritto come valore assoluto e intangibile, bensì verificando la ragionevolezza del suo bilanciamento con altri valori, che sia eventualmente alla base della disciplina censurata”;

- “in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata – in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi – la disciplina in esame, che si propone il contemperamento di tali contrapposti interessi, supera certamente il vaglio di ragionevolezza”.

Si noti che nella sentenza della Corte Costituzionale in esame non si cita mai la “Tabella milanese di liquidazione del danno non patrimoniale”, ma senza dubbio è (anche) di questa che, in definitiva, si discute.

In particolare il Giudice di Pace di Torino aveva sollevato la questione di costituzionalità dell'art. 139 Cod. Ass. in relazione all'art. 3 Cost. perché “i valori risarcibili in base alle tabelle ministeriali in caso di lesione da sinistro stradale sarebbero inferiori rispetto a quelli fissati dalle tabelle adottate dai tribunali per il risarcimento di lesioni aventi diversa eziologia” (così nelle premesse "in fatto" della sentenza della Corte Costituzionale). Ed è di tutta evidenza che il primo parametro di riferimento diventa dunque la tabella adottata dal Tribunale di Milano.

In questa prospettiva giova dunque evidenziare che le esposte conclusioni assunte dalla Corte Costituzionale appaiono coerenti con la motivazione della sentenza Cass. n. 12408/2011, con cui la Corte di Cassazione poneva (tra l'altro) il discrimine e le modalità di liquidazione del danno alla salute cagionato da incidenti stradali, dagli altri analoghi danni aventi diversa genesi causale.

Ebbene la Cassazione in quella sentenza (tra l'altro) poneva il problema se, per i danni alla salute temporanei o permanenti inferiori al 9% della complessiva validità dell'individuo, potesse o meno farsi applicazione analogica dell'art. 139 Cod. Ass.

La Cassazione enunciava tre linee di pensiero:

- la prima, favorevole all'applicazione analogica, si basa sul rilievo che tra lesioni derivanti dalla circolazione stradale e lesioni derivanti da altre cause non v'è altra differenza che il mezzo con il quale le lesioni sono state inferte e proclama tale differenza giuridicamente irrilevante, salva la valutazione di conformità dell'art. 139 Cod. Ass. citato alla Costituzione, nella parte in cui pone un tetto alla personalizzazione del danno e rende potenzialmente inadeguata la somma complessivamente riconoscibile a titolo di risarcimento;

- la seconda, contraria all'applicazione analogica, fa leva sulla collocazione della norma nel “Titolo X” del Codice delle Assicurazioni private e “sulla ratio legis, volta a dare una risposta settoriale al problema della liquidazione del danno biologico al fine del contenimento dei premi assicurativi, specie se si considera che, nel campo della r.c.a., i costi complessivamente affrontati dalle società di assicurazione per l'indennizzo delle cosiddette micropermanenti sono di gran lunga superiori a quelli sopportati per i risarcimenti da lesioni comportanti postumi più gravi”;

- la terza linea di pensiero si fonda sul riferimento del Codice delle Assicurazioni al solo danno “biologico”, sicché resterebbero comunque estranei all'ambito applicativo dell'art. 139 Cod. Ass. i pregiudizi non patrimoniali consistenti in sofferenze fisiche o psichiche patite dalla vittima (“vecchio danno morale”), che sarebbero indennizzabili, anche in ambito di r.c.a., mediante il riconoscimento di una somma ulteriore a titolo di personalizzazione del risarcimento.

Per la Cassazione (Cass. n. 12408/2011) la soluzione corretta è la seconda, fondata su considerazioni preclusive dall'applicazione analogica. Pertanto, “per i postumi di lieve entità non connessi alla circolazione varranno dunque” altri criteri, “indipendentemente dalla gravità dei postumi (inferiori o superiori al 9%), e non quelli posti dall'art. 139 del codice delle assicurazioni”.

Conseguentemente la Cassazione elaborava il seguente principio di diritto: "poiché l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative (come l'art. 139 Cod. Ass., per le lesioni di lieve entità conseguenti alla sola circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto", con la conseguenza che l'applicazione di diverse tabelle può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge.

E dunque ora la Corte Costituzionale assume (sostanzialmente) la medesima motivazione della Cass. n. 12408/2011 ai fini del vaglio di costituzionalità dell'art. 139 e statuisce che la ratio legis posta a fondamento dell'art. 139 Cod. Ass. in esame è coerente con i principi costituzionali.

E' pressoché superfluo aggiungere che la declaratoria di incostituzionalità avrebbe fatto crollare l'iter logico della Cassazione ed avrebbe (necessariamente) comportato l'applicazione generalizzata della tabella milanese.

Il cd. “danno morale” nella tabella normativa e nella tabella milanese

Per la Corte Costituzionale è poi erronea la premessa interpretativa secondo cui nell'art. 139 non sarebbe prevista (e sarebbe quindi esclusa) la liquidabilità del danno morale:

“È pur vero, infatti, che l'art. 139 Cod. Ass. fa testualmente riferimento al “danno biologico” e non fa menzione anche del “danno morale”. Ma, con la sentenza Cass. S.U. n. 26972/2008 le Sezioni Unite hanno ben chiarito (nel quadro, per altro, proprio della definizione del danno biologico recata dal comma 2 del medesimo art. 139 Cod. Ass.) come il cosiddetto “danno morale” − e cioè la sofferenza personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile (comunque unitariamente) del danno non patrimoniale, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato − «rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente». La norma denunciata non è, quindi, chiusa, come paventano i rimettenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione del citato comma 3”.

Ritengo opportuno richiamare l'attenzione su un possibile equivoco interpretativo.

Allorché la Corte Costituzionale afferma che, quando ricorrono in concreto i presupposti del danno morale, “il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione del citato comma 3”, sembra quasi contraddirsi con il precedente inciso, in cui in realtà, nel solco delle sentenze di San Martino, accoglie la nozione di danno non patrimoniale, comprensivo sia del danno biologico che di quello cd. morale, inteso come sofferenza fisica o psichica della vittima.

In realtà, dal complessivo tenore della motivazione, a mio avviso, si deduce come la Corte non ponga affatto in dubbio le acquisizioni delle Sezioni Unite 2008, secondo cui (ovviamente laddove sussista la lesione del bene salute) “ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente” del danno biologico.

Ciò in primo luogo comporta che - sul presupposto che proprio le Sezioni Unite avevano assunto la definizione del danno biologico di cui all'art. 139 comma 2 Cod. Ass. - rimane ferma e condivisibile, anche per la Corte Costituzionale, la conclusione delle sentenze di San Martino, secondo cui “Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale (…) sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”; per l'effetto “Possono costituire solo "voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicché darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione”.

Sempre al fine di chiarire la succinta motivazione della Corte Costituzionale, appare altresì opportuno richiamare le più analitiche argomentazioni esposte nella citata sentenza Cass. n. 12408/2011, laddove la Corte di Cassazione afferma:

“Ora, l'art. 139, comma 2, Cod. Ass., stabilendo che "per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato ...", ha avuto riguardo ad una concezione del danno biologico anteriore alle citate sentenze del 2008, nel quale il limite della personalizzazione - costituente la modalità attraverso la quale, secondo le Sezioni unite, è possibile riconoscere le varie "voci del danno biologico nel suo aspetto dinamico" - è fissato dalla legge: e lo è in misura non superiore ad un quinto. Quante volte, dunque, la lesione derivi dalla circolazione di veicoli a motore e di natanti, il danno non patrimoniale da micro permanente non potrà che essere liquidato, per tutti i pregiudizi areddituali che derivino dalla lesione del diritto alla salute, entro i limiti stabiliti dalla legge mediante il rinvio al decreto annualmente emanato dal Ministro delle attività produttive (ex art. 139, comma 5), salvo l'aumento da parte del giudice, "in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato" (art. 139, comma 3). Solo entro tali limiti il collegio ritiene di poter condividere il principio enunciato da Cass. 17 settembre 2010, n. 19816, che ha accolto il ricorso in un caso nel quale il risarcimento del danno "morale" era stato negato sul presupposto che la tabella normativa non ne prevede la liquidazione”.

Credo, dunque, non si possa sostenere che la Corte Costituzionale abbia voluto fare un "ritorno al passato" e le “condizioni soggettive del danneggiato”, idonee a giustificare l'aumento (in misura non superiore ad un quinto) dei valori monetari previsti dall'art. 139, non possono ravvisarsi solo in una maggiore sofferenza psico-fisica.

Anche in questo caso, dunque, l'aumento degli importi standard fino ad un quinto (ai sensi dell'art. 139) o (nelle ipotesi diverse dagli incidenti stradali) fino alle percentuali previste dalla tabella milanese avranno a presupposto l'allegazione e la prova da parte del danneggiato di peculiarità nella fattispecie concreta:

- sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali e relazionali (ad es. lavoratore soggetto a maggior sforzo fisico senza conseguenze patrimoniali; lesione al "dito del pianista dilettante");

- sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva (ad es. dolore al trigemino; specifica penosità delle modalità del fatto lesivo) (v, in questi termini, i “Criteri orientativi” della Tabella milanese, Edizione 2014).

È tuttavia possibile prospettare anche un'altra "interpretazione adeguatrice” del fugace accenno, nella sentenza della Corte Costituzionale, all'aumento fino ad un quinto, "ricorrendo in concreto i presupposti" del cd. “danno morale”.

Le sentenze di San Martino hanno sostenuto che “affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare (ma sarebbe meglio dire: nella sofferenza morale determinata dal non poter fare) è risarcibile”. Pertanto, ritengo che, quando c'è lesione biologica, i pregiudizi conseguenti alla menomazione psicofisica, e cioè “il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare” e quello ravvisato nella pena e nel dolore conseguenti (la “sofferenza morale determinata dal non poter fare”), sono, in definitiva, due facce della stessa medaglia, essendo la sofferenza morale “componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale” (D. Spera, Le Tabelle di Milano sul danno non patrimoniale, in Tabelle milanesi 2013 e danno non patrimoniale (a cura di) D. Spera, Giuffré 2013, 5 e ss.

E dunque, in questa prospettiva, potrebbe anche sostenersi che le “condizioni soggettive del danneggiato” - idonee a giustificare l'aumento personalizzato fino ad un quinto (ex art. 139 Cod. Ass.) o fino alle percentuali previste dalla tabella milanese - consistono sempre in una maggiore sofferenza fisica e/o psichica.

In conclusione l'art. 139 Cod. Ass., superando il vaglio di costituzionalità, è applicabile esclusivamente ai danni alla salute cagionati da incidenti stradali e, per effetto dell'art. 3 “Legge Balduzzi” ( art. 3, d.l. n. 158/2012, conv. in legge n. 189/2012), anche alle ipotesi di responsabilità professionale dell'esercente la professione sanitaria.

Ben vero, quest'ultima legge non costituiva oggetto di esame della Corte, ma è possibile ipotizzare anche per quest'ultima un positivo vaglio di costituzionalità:

- perché la ratio di quella normativa è di “restringere e di limitare la responsabilità (anche) risarcitoria derivante dall'esercizio delle professioni sanitarie, per contenere la spesa sanitaria e porre rimedio al cd. fenomeno della medicina difensiva” (con l'ulteriore conseguenza, recentemente prospettata, di “rivedere il criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria del medico dipendente o collaboratore di una struttura sanitaria, per i danni provocati in assenza di un contratto concluso dal professionista con il paziente”, da contrattuale ad extracontrattuale ai sensi dell'art. 2043 c.c.) (in questi termini, Trib. Milano, sentenza n. 9693/2014);

- perché, anche nel citato art. 3 “Legge Balduzzi” (art. 3, d.l. n. 158/2012), sono previste peculiari modalità di previsione dell'obbligo “di garantire idonea copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie” e di determinazione del premio assicurativo;

- perché il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, deve tener conto “debitamente” della condotta dell'esercente la professione sanitaria che si sia attenuto “a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica”, cagionando il danno per colpa lieve (potendosi probabilmente liquidare, in questa ipotesi, anche una somma inferiore a quella prevista dai valori tabellari standard di cui all'art. 139 Cod. Ass.).

In definitiva, in tutti i casi di cogente applicazione dell'art. 139, è finalmente possibile procedere alla liquidazione dei valori monetari dallo stesso previsti, senza residuali dubbi di costituzionalità, che, finora, hanno determinato (più o meno consapevolmente) apprensione e senso di precarietà da parte di tutti gli operatori!

In tutti gli altri casi, invece, il danno biologico va liquidato in applicazione dei valori “di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati dal tribunale di Milano, dei quali è dunque già nei fatti riconosciuta una sorta di vocazione nazionale. Essi costituiranno d'ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi equo, e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l'entità” (Cass., sent. n. 12408/2011 cit.).

I due modelli di liquidazione del danno (ai sensi dell'art. 139 e ai sensi della tabella milanese), sia pure mediante l'adozione di diverse tabelle e valori monetari, convivono in un quadro (finalmente?!) armonico e coerente, con analoghi contenuti e modalità applicative.

Autonomia ontologica del danno biologico, morale ed esistenziale?

Nonostante le considerazioni esposte, negli ultimi anni la Cassazione sta di nuovo insistendo sui contenuti “esistenziali” del danno alla persona e sembra propugnare un “ritorno al passato” anche nei criteri di liquidazione, prospettando autonome liquidazioni di (diversi) danni non patrimoniali sul presupposto dell'asserita diversità ed autonomia ontologica del danno biologico, morale e esistenziale (Cass. 12 dicembre 2008,n. 29191; Cass. 13 maggio 2011, n. 10527; Cass. 7 giugno 2011, n. 12273; Cass. 30 giugno 2011, n. 14402; Cass. 12 settembre 2011, n. 18641; Cass. 20 novembre 2012, n. 20292; Cass. 17 aprile 2013, n. 9231; Cass. 22 agosto 2013, n. 19402; Cass. 3 ottobre 2013, n. 22585; Cass. 11 ottobre 2013, n. 23147; Cass. 23 gennaio 2014, n. 1361; Cass. 14 maggio 2014, n. 10524).

Tuttavia, ritengo che, nei solchi tracciati dalle citate sentenze di San Martino, si possa ancora oggi sostenere quanto segue:

- il danno non patrimoniale rimane caratterizzato dalla tipicità ex art. 2059 c.c.;

- il danno non patrimoniale può consistere in aspetti di sofferenza soggettiva e cioè un patema d'animo interiore (prima definito danno morale transeunte) e/o in aspetti relazionali e cioè nell'alterazione delle condizioni di vita della vittima (primaria o secondaria) o, se si preferisce, nei pregiudizi esistenziali. Solamente nell'ipotesi di lesione del bene salute (danno biologico, quale species del danno non patrimoniale) è risarcito altresì il pregiudizio degli aspetti anatomo-funzionali della vittima (tutti questi aspetti sono considerati e valutati unitariamente anche nella Tabella milanese - Edizione 2014);

- dopo la sentenza Cass. S.U. n. 6572/2006 (che sembrava riconoscere in termini generali il danno esistenziale), il Tribunale di Milano già nella sentenza 4 marzo 2008 n. 2847, stigmatizzava che, in definitiva, sempre (e solo) a due grandi voci si può ricondurre il danno non patrimoniale:

“Ma in tutti i casi in cui si applica l'art. 2059 c.c., alla luce anche della sentenza Cass. n. 6572/2006, qual è l'effettivo contenuto del danno non patrimoniale risarcibile?

Da un'attenta ricognizione dell'evoluzione giurisprudenziale sul danno non patrimoniale, si evince che, in definitiva, tutti i pregiudizi riconducibili al genus del danno non patrimoniale possono essere ricompresi in due sole species:

a) un patema d'animo cd. “danno morale soggettivo”, che attiene alla sfera interiore del soggetto;

b) un danno che attiene alla sfera esteriore del soggetto, che in tal senso può anche definirsi “esistenziale”, nella nozione accolta dalle Sezioni Unite: pregiudizio che l'illecito “provoca sul fare areddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno”.

Presumibilmente la sentenza Cass. n. 20292/2012 non afferma concetti molto diversi allorché sembra scolpire il contenuto del danno non patrimoniale nel“dolore interiore” e nella “alterazione della vita quotidiana” e che “la categoria del danno esistenziale risulti indefinita e atipica”.

Ebbene, il danno relazionale o, se si preferisce “esistenziale”, e la sofferenza umana possono essere “indefiniti e atipici”, ma ciò significa solamente che le conseguenze dell'illecito sulla persona umana possono assumere infinite caratteristiche e peculiarità. È facilmente riscontrabile (ad esempio) che un (semplice) danno biologico temporaneo di pochi giorni ed un danno biologico permanente del 3% alla caviglia possano comportare infinite variabili di pregiudizi in tema di sofferenza psico-fisica e compromissioni relazionali, in riferimento ai seguenti peculiari aspetti della vittima: l'età, il lavoro, i suoi hobby, le modalità di trascorrere il tempo libero; con l'avvertenza che tutte queste variabili possono mutare nel tempo e nello spazio ed essere a loro volta condizionate dalle pregresse esperienze di vita, dal soggettivo grado di resilienza (e cioè dalla capacità di far fronte al dolore ed alle avversità della vita), dalle specifiche abitudini dei prossimi congiunti e degli amici. Tuttavia, dalla consapevolezza di queste peculiari ed infinite circostanze di vita della vittima dell'illecito, non consegue affatto la necessità (ma neppure l'opportunità) di un'analitica e puntigliosa allegazione e prova nel processo. Infatti, se (inopinatamente) si richiedesse un siffatto onere di allegazione e prova, avremmo un processo civile “non sostenibile”, perché:

a) graverebbe la parte di un onere inesigibile (quanto inutile) di alluvionale allegazione e prova di infiniti e minuziosi fatti di vita quotidiana, intrisi di sofferenza, disagi e fastidi;

b) appesantirebbe l'istruttoria per un tempo certamente “non ragionevole”;

c) imporrebbe al giudice di motivare la sentenza con infinite argomentazioni e valutazioni (con il “bilancino del farmacista”) per calibrare i valori monetari più adeguati alla fattispecie concreta (v. Trib. Milano, n. 2327/2014).

Inoltre la volontà di personalizzare la liquidazione del danno fino alla valutazione “bizantina e ragionieristica” di qualsivoglia “frammento di danno”, comporterebbe il limite che “il giudizio di equità sia completamente affidato alla intuizione soggettiva del giudice, al di fuori di qualsiasi criterio generale valido per tutti i danneggiati a parità di lesioni”, venendo così meno la parità di trattamento e la prevedibilità delle decisioni (Cass., sent. n. 12408/2011). E si tenga infine conto delle sentenze di San Martino, che avevano già stigmatizzato l'irrisarcibilità del danno “irrisorio”, che, secondo la coscienza sociale, appare “insignificante o irrilevante per il livello raggiunto”.

Modalità di accertamento

La Corte Costituzionale dà un'ulteriore importante conferma, sia pure in via incidentale, circa l'efficacia retroattiva della normativa avente ad oggetto le modalità di accertamento del danno biologico temporaneo e permanente di cui all'art. 139 in esame. Afferma la Corte Costituzionale che l'art. 32 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012 n. 27) al suo comma 3-ter, ha disposto che «Al comma 2 dell'articolo 139 […] è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”»; e, nel successivo suo comma 3-quater, ha ulteriormente aggiunto che «Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all'articolo 139 Cod. Ass. […], è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l'esistenza della lesione».

Tali nuove disposizioni – che, in quanto non attinenti alla consistenza del diritto al risarcimento delle lesioni in questione, bensì solo al momento successivo del suo accertamento in concreto, si applicano, conseguentemente, ai giudizi in corso (ancorché relativi a sinistri verificatisi in data antecedente alla loro entrata in vigore)”.

Questa conclusione, peraltro già condivisa da parte della dottrina, fuga definitivamente ogni dubbio prospettato in proposito dalla giurisprudenza di merito.

Poiché anche il risarcimento del danno biologico derivante da lesioni aventi diversa eziologia può essere accertato con le modalità indicate nell'art. 139 cit., è di tutta evidenza che, anche in ordine a questo profilo, il sistema di liquidazione del danno da micropermanenti viene ricondotto a soluzioni non in distonia tra loro (v. D. Spera, La prova del danno, sia sotto il profilo medico-legale che sotto quello giuridico – L'opinione del giurista, in Tabelle milanesi 2013 e danno non patrimoniale -a cura di- D. Spera, Giuffré 2013, 44 e ss.).

Conclusioni

A mio giudizio le conclusioni cui perviene la Corte Costituzionale sono argomentate e condivisibili.

In un sistema “normale” di teoria e pratica di responsabilità civile la sentenza in esame dovrebbe porre la parola fine a tutte le questioni finora sollevate circa la legittimità costituzionale dei limiti posti dal legislatore ai valori monetari di liquidazione del danno da lesione “micropermanente” del bene salute. Dopo tanti convegni, accesi dibattiti e sentenze impugnate, dovrebbe essere (finalmente!) acquisita questa minimale certezza.

E tuttavia temo purtroppo che le polemiche non mancheranno. Come se si trattasse di una battaglia ideologica piuttosto che un civile confronto tra contrapposte tesi giuridiche, molti non si daranno per vinti e continueranno, imperterriti, a sostenere le eccezioni bocciate dalla Corte Costituzionale; e taluno potrebbe addirittura paventare “l'orribile spettro” che avrebbero avuto la meglio le agguerrite compagnie assicuratrici!

Per altro verso, molti giudici di merito - sul presupposto dell'inefficacia erga omnes della sentenza di rigetto emessa dalla Corte Costituzionale - continueranno ad aumentare i valori monetari previsti dall'art. 139 Cod. Ass. (e dunque oltre il limite del quinto), perché il danno morale e gli altri pregiudizi esistenziali non sarebbero espressamente ivi previsti; altri, disinvoltamente, continueranno ad applicare in via analogica l'art. 139 Cod. Ass. ai casi non espressamente previsti dalla norma.

È tuttavia possibile dare da subito un positivo segnale di inversione di rotta: le Sezioni Unite della Cassazione (già chiamate a pronunciarsi sul danno tanatologico) potrebbero in motivazione cogliere l'occasione per fare chiarezza, anche dal loro punto di vista, sulle conclusioni assunte dalla Corte Costituzionale, con particolare riguardo al contenuto effettivo ed alle modalità di personalizzazione del danno biologico e, più in generale, del danno non patrimoniale.

Insomma è possibile uscire dalle sabbie mobili per ricostruire il danno alla persona su più solide basi?

Il mio auspicio è che si possa finalmente dare luogo ad un confronto sereno tra le categorie dei consumatori, delle vittime degli incidenti stradali, delle compagnie assicuratrici, dei giudici e della dottrina, per dar vita ad una pacata stagione di riforme nella liquidazione del danno non patrimoniale consequenziale alla lesione del bene salute ed alla perdita o alla grave lesione del rapporto parentale. La strada maestra sarebbe l'introduzione già nel codice civile (artt. 2059 bis c.c. e ss.) di una disciplina più articolata ed armonica del risarcimento del danno alla persona. Ma non sono ammissibili ulteriori indugi, perché dietro l'angolo c'è l'attuazione dell'art. 138 Cod. Ass. e, cioè, l'approvazione della “tabella dei valori economici” per le menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti di invalidità. In tal caso, incrociamo le dita, augurandoci che non si proceda... “a colpi di machete”!

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