Violazione di norme antitrust: aspetti processuali della nuova disciplina sui giudizi di risarcimento

Antonino Barletta
25 Luglio 2017

L'Autore approfondisce i principali aspetti processuali correlati alle nuove disposizioni del d.lgs. n. 3/2017, che hanno attuato la direttiva 2014/104/UE in tema di giudizi risarcitori del danno cagionato con la violazione delle norme sulla concorrenza europee e nazionali.
I principi giuda della direttiva 2014/104/UE

La direttiva 2014/104/UE è dichiaratamente volta a rilanciare in ambito europeo il private enforcement delle norme antitrust, proponendosi, in ispecie, di rendere effettiva la concretizzazione del diritto al risarcimento del danno cagionato con la violazione delle relative disposizioni europee (artt. 101 e 102 TFUE) e nazionali, anche attraverso l'introduzione di norme processuali preordinate a dare specifica attuazione al diritto al risarcimento del danno in sede giurisdizionale, ovvero di previsioni volte a favorire la definizione consensuale delle controversie risarcitorie antitrust.

Altro rilevante obiettivo è quello di superare le rilevanti differenze che caratterizzavano le regole applicabili ai suddetti giudizi risarcitori nei diversi ordinamenti degli Stati membri dell'UE, soprattutto per ciò che concerne gli aspetti processuali. Si è ritenuto, infatti, necessario un intervento volto a rendere più omogeneo sul piano europeo il quadro normativo sotteso alla tutela risarcitoria in materia antitrust, al fine di evitare effetti distorsivi indiretti sulle modalità di attuazione delle norme a tutela della concorrenza, nonché per favorire l'applicazione di disposizioni uniformi rilevanti nei giudizi di risarcimento, in caso di violazione delle norme sulla concorrenza di rilievo transfrontaliero.

In particolare, facendo seguito a quanto statuito dalla Corte di Giustizia nella sentenza Courage (CGUE 20 settembre 2001, C-453/99, par. 26), viene riferita all'acquis comunitario la conformazione dell'accesso alla tutela risarcitoria in materia di violazione della norme sulla concorrenza sotto il profilo della “legittimazione ad agire”, ovvero più precisamente dei soggetti (persone fisiche o giuridiche, consumatori, imprese, enti pubblici) che possono chiedere il risarcimento del danno, indipendentemente dalla sussistenza di un rapporto contrattuale con l'impresa danneggiante (artt. 3, comma 1 e 12, comma 1). Per la determinazione del danno risarcibile,in conformità a quanto si trova enunciato nella sentenza Manfredi della CGUE 13 luglio 2006, C-295/04, par. 95 si dovrà sempre tener conto del danno emergente, del lucro cessante, nonché degli interessi decorrenti dal momento in cui si è prodotto il danno a quello di effettivo risarcimento, quali componenti essenziali del diritto al risarcimento (art. 3, comma 2), al di là del fatto che «tali categorie siano definite separatamente o unitariamente dal diritto nazionale» (così considerando 12). Non viene richiesta, invece, la previsione di strumenti di tutela collettivi o meccanismi di “sovracompensazione”, quali risarcimenti punitivi (considerando 13).

Sotto il versante più specificamente procedimentale si evidenzia l'importanza dell'accesso alla prova anche alla luce di enunciazioni corrispondenti a quelle contenute nella sentenza Donau Chemie (C.G.UE., 6 giugno 2013, C-536/11). In proposito non manca il richiamo a tenere in considerazione l'asimmetria informativa che caratterizza il danneggiato rispetto all'autore della violazione in materia di tutela della concorrenza ed a far sì che venga assicurata la cooperazione giuridica e amministrativa delle Autorità pubbliche in caso di richieste di informazioni da parte del giudice nazionale, analogamente a quanto stabilito dall'art. 4, comma 3, TUE e dell'art. 15, comma 1, reg. 2003/1/CE.

Al giudice nazionale dovrebbe essere riconosciuta la potestà di ordinare, su istanza di parte, la divulgazione (disclosure) di prove specifiche o determinate solo per categorie, riconoscendo per altro verso allo stesso giudice un ruolo essenziale sotto il profilo della rigorosa verifica riguardo alla necessità e alla proporzionalità circa l'adozione di tali misure. Nelle controversie transfrontaliere il giudice potrà avvalersi naturalmente della collaborazione delle Autorità giudiziarie di altri Stati membri per l'assunzione delle prove nello spazio giuridico europeo in base alle disposizioni del regolamento 2001/1206/CE (art. 5).

Inoltre, si prevede l'adozione di misure volte a stabilire un'adeguata protezione per le prove contenenti segreti aziendali o altre informazioni riservate, quali la possibilità di non rendere visibili parti riservate, di condurre audizioni a porte chiuse, di limitare le persone autorizzate a prendere visione dei documenti, di nominare esperti per la relazione di sintesi delle informazioni in forma aggregata e anonima, contemperando l'esigenza della riservatezza con quella di rendere effettiva l'attuazione del diritto al risarcimento del danno cagionato con violazioni antitrust (art. 5, commi 3, lett. d, e 4).

È riservata, invece, agli Stati membri la valutazione della possibilità o meno di specifiche impugnazioni in relazione agli ordini di disclosure.

Ai fini dell'emanazione dell'ordine di divulgazione i giudici nazionali dovranno tener conto di eventuali limiti correlati alla sussistenza d'interessi pubblici o privati contrari alla divulgazione dei documenti, attraverso una ponderazione di tali interessi rispetto a quelli sottesi all'emanazione dell'ordine, secondo quanto stabilito dal regolamento 2001/1049/CE a proposito dell'accesso del pubblico ai documenti del Consiglio e della Commissione europei. L'ordine di esibizione può riguardare documenti contenuti nei fascicoli dei procedimenti aperti dalle Autorità garanti della concorrenza secondo regole uniformi in relazione alle violazioni delle disposizioni europee (artt. 101 e 102 TFUE), le quali non dovranno ostacolare l'efficiente applicazione del diritto della concorrenza da parte delle stesse Autorità. L'ordine di esibizione non può riguardare i documenti interni delle Autorità garanti della concorrenza e la corrispondenza tra le diverse Autorità (art. 6).

Alcune specifiche limitazioni alla divulgazione dei documenti contenuti nei fascicoli delle Autorità attengono all'esigenza di non disincentivare la cooperazione delle imprese con le Autorità garanti, pur senza privare il danneggiato del diritto al risarcimento del danno cagionato dalla violazione, conformemente a quanto osservato sul punto dalla Corte di Giustizia nella sentenza Pfleiderer (CGUE 14 giugno 2011, C-360/09, spec. par. 32) e nella sentenza Kone-Otis (CGUE 5 giugno 2014, C-557/12, spec. par. 36). In particolare, è prevista una deroga in ordine alla divulgazione le dichiarazioni rese nell'ambito di programmi di clemenza (leniency) o proposte di transazione (lista nera). Quando viene invocata la deroga al fine di escludere la disclosure delle dichiarazioni, però, dovrebbero essere stabilite delle modalità alternative per garantire l'accesso alla prova e il giudice – su richiesta della parte danneggiata – dovrà avere la possibilità di accedere ai documenti al fine di verificare che le dichiarazioni rese riguardino effettivamente programmi di clemenza o proposte di transazione. Inoltre, il criterio di proporzionalità dovrebbe escludere l'emanazione di ordini di esibizione riferiti in modo generalizzato a tutti i documenti contenuti nei fascicoli dei procedimenti dell'Autorità. Al contrario, le richieste dovrebbero permettere d'individuare con precisione i documenti o le categorie dei documenti da acquisire (art. 6).

Ai sensi dell'art. 6, comma 5, non è poi consentita la divulgazione di documenti o informazioni interferenti con indagini in corso da parte dell'Autorità garante in relazione a violazioni del diritto europeo o nazionale della concorrenza (elaborati da persone fisiche o giuridiche nell'ambito del procedimento, ovvero redatti o comunicati dall'Autorità garante, nonché proposte di transazioni successivamente ritirate), fino alla chiusura del relativo procedimento con l'adozione di un provvedimento finale, di natura non cautelare (lista grigia).

Mentre potranno essere emanati in ogni momento ordini di divulgazione riguardanti documenti formati anteriormente e indipendentemente dal procedimento avanti l'Autorità garante (lista bianca).

L'utilizzo delle prove ottenute attraverso gli ordini giudiziali di esibizione dovrebbe essere limitato al soggetto richiedente, ai fini dell'esercizio dell'azione risarcitoria, ai successori nei diritti e negli obblighi anche in caso di cessione a titolo particolare in relazione alla pretesa risarcitoria. Nel caso di società facente parte di un gruppo, i documenti potranno altresì essere utilizzati da altra società dello stesso gruppo. Mentre non dovrebbe essere consentito l'utilizzo delle prove acquisite dal fascicolo delle Autorità al di là dei suddetti limiti, anche per evitare il fenomeno del commercio delle prove (art. 7).

La direttiva prevede il riconoscimento di una potestà sanzionatoria in capo al giudice in caso di distruzione o occultamento di documenti in relazione alle persone interessate. Per le parti del processo risarcitorio si richiede la possibilità per il giudice di trarre il proprio convincimento dal comportamento tenuto e di tenerne conto ai fini della pronuncia sul pagamento delle spese. Altre sanzioni dovrebbero poi essere previste in ordine al mancato rispetto degli obblighi relativi alle informazioni riservate, nonché in caso di utilizzo abusivo dei documenti acquisiti in esecuzione di ordini di esibizione, anche con specifico riferimento ai documenti acquisiti con l'accesso al fascicolo di un'Autorità garante (art. 8).

La disciplina della prescrizione dell'azione risarcitoria antitrust dovrebbe essere informata al principio dell'effettività della tutela, sicché il relativo termine (non inferiore a cinque anni) non dovrebbe iniziare a decorrere prima che (si possa ragionevolmente presumere che) la violazione sia cessata e che il danneggiato sia a conoscenza del comportamento anticoncorrenziale, del danno conseguente, nonché dell'identità dell'autore della violazione. Il termine di prescrizione viene interrotto o sospeso dal procedimento dell'Autorità garante volto all'istruttoria della violazione, fino a non oltre un anno dal momento in cui la decisione sulla violazione non diventi definitiva o comunque dalla chiusura del procedimento (art. 10).

Altro aspetto di grande rilievo su cui la direttiva 104/2014/UE si propone d'intervenire è quello volto ad assicurare un'applicazione coerente delle norme europee sulla concorrenza da parte della Commissione e delle Autorità nazionali, anche per ciò che concerne gli effetti dei provvedimenti delle Autorità nazionali garanti e delle decisioni delle Autorità giurisdizionali nell'ambito dei processi di risarcimento. Le decisioni delle Autorità nazionali vengono adottate solo dopo che la Commissione venga informata del provvedimento che l'Autorità garante nazionale intenda adottare, ove la Commissione non ritenga di avocare a sé l'adozione della misura tramite l'avvio di un procedimento a norma dell'art. 11, comma 4, regolamento 2013/1/CE. Per l'uniforme applicazione delle norme europee in materia di concorrenza, peraltro, la Commissione dovrebbe fornire alle Autorità garanti nazionali indicazioni tanto nell'ambito di rapporti bilaterali, quanto per il tramite di una rete europea. L'accertamento delle violazioni di disposizioni europee e nazionali in materia di concorrenza da parte di un'Autorità nazionale di garanzia non dovrebbe essere messo in discussione, sia pure limitatamente alla natura della violazione, la sua portata materiale, personale, temporale e territoriale (art. 9).

Nel caso in cui l'azione risarcitoria venga esercitata avanti il giudice di uno Stato membro, diverso da quello dell'Autorità garante nazionale che abbia accertato la violazione di una norma europea della concorrenza, il provvedimento di quest'ultima Autorità dovrebbe poter valere quantomeno quale prova prima facie da sottoporre, insieme alle altre prove acquisite al processo, all'apprezzamento del giudice (art. 9).

L'art. 11 prevede il principio della responsabilità in solido nel caso in pluralità di autori dell'illecito, salvo che si tratti di una PMI secondo la definizione di cui alla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, nel qual caso risponde solo ai propri acquirenti diretti o indiretti, purché: a) la quota di mercato sia rimasta inferiore al 5% per tutto il tempo della violazione; e b) l'applicazione della solidarietà determinerebbe un errore irreparabile sotto il profilo della solidità economica, con la perdita totale del valore delle sue attività. La deroga dalla solidarietà passiva non può applicarsi, tuttavia, ai casi in cui la PMI abbia avuto un ruolo di guida nel perpetrare la violazione antitrust, ovvero si sia già resa responsabile di una precedente violazione delle diposizioni sulla concorrenza. Nei casi di deroga, comunque, la PMI è responsabile in solido nei confronti di acquirenti e fornitori indiretti e dei danneggiati che non possano essere risarciti integralmente dagli altri autori della violazione. Viene, inoltre, precisato che il termine di prescrizione applicabile alle suddette azioni di risarcimento deve essere ragionevole e sufficiente.

Ai fini della determinazione del lucro cessante l'autore della violazione può eccepire il trasferimento del medesimo danno sui relativi acquirenti (passing-on), essendo gravato però dall'onere di provare i fatti che integrano tale trasferimento, anche sulla base delle prove già acquisite al processo, ovvero in possesso di altre parti o di terzi (artt. 13 e 14).

Con la direttiva 2014/104/UE s'intende promuovere il principio dell'integralità del risarcimento, evitando nel contempo compensazioni superiori all'entità del danno effettivamente cagionato con le violazioni delle disposizioni antitrust,e l'uniformità delle decisioni nei confronti dell'autore delle suddette violazioni, anche quando il danno si è prodotto a diversi livelli della catena distributiva. Dovrebbe perciò essere stimolata l'adozione di misure processuali volte a favorire la decisione coordinata in materia di sovrapprezzi corrisposti a causa della violazione da parte degli acquirenti diretti e indiretti, quali la riunione dei procedimenti anche in relazione alla decisione di controversie di carattere transnazionale. Tali cause potrebbero essere considerate connesse ai sensi dell'art. 30 regolamento Bruxelles I bis, procedendo alla sospensione del procedimento e, in alcuni casi, anche alla declaratoria d'incompetenza. In ogni caso, l'applicazione degli istituti preordinati al coordinamento delle decisioni non può compromettere il diritto all'effettività della tutela e il diritto di difesa, né il valore probatorio della decisione di un'Autorità garante nazionale (art. 15).

Riguardo alla quantificazione del danno, tenuta presente l'asimmetria informativa che caratterizza il danneggiato rispetto all'autore della violazione anticoncorrenziale, si fa presente che in materia debbano essere stabiliti degli strumenti di tutela e che debbano essere riconosciuti al giudice adeguate potestà, tenendo presenti innanzitutto i principi di equivalenza e di effettività di cui all'art. 4. In particolare, deve essere riconosciuta la possibilità di richiedere indicazioni da parte delle Autorità nazionali garanti per consentire nello specifico la quantificazione del danno. Peraltro, è previsto che la Commissione debba fornire orientamenti di carattere generale e uniforme a valere in relazione a tutti gli Stati dell'UE (art. 17). A tale proposito, occorre già tener presente le indicazioni della Commissione sulla quantificazione dei danni conseguenti alle violazioni degli artt. 101 e 102 TFUE di cui alla comunicazione del 13 giugno 2013 e la relativa guida pratica, con l'indicazione dei criteri but/for, before/after e benchmark.

Riguardo alle norme volte a promuovere il ricorso agli strumenti alternativi di soluzione delle controversie (transazioni, conciliazione, mediazione e arbitrato) la direttiva 2014/104/UE prevede l'effetto sospensivo sulla prescrizione, nonché la possibilità di sospendere fino a due anni il giudizio risarcitorio, affinché le parti possano partecipare ad un procedimento volto alla definizione conciliativa della controversia, nonché la possibilità di considerare il risarcimento versato a fronte della composizione consensuale, quale attenuante al momento dell'irrogazione di una sanzione da parte dell'Autorità garante nei confronti dell'autore della violazione (art. 18). E, inoltre, la definizione stragiudiziale della controversia esclude la soggezione del coautore di un illecito anticoncorrenziale all'azione di regresso di un altro corrente. Per altro verso, quest'ultimo potrà ottenere la deduzione della parte di danno risarcibile causalmente riferibile al coautore che ha definito la propria posizione con il danneggiato, indipendentemente da quanto effettivamente corrisposto in relazione alla suddetta definizione stragiudiziale (art. 19).

Domanda risarcitoria e la definizione del thema decidendum

La direttiva 2014/104/UE è stata attuata dalla legge delega n. 114 del 9 luglio 2015 e dal d.lgs. n. 3 del 19 gennaio 2017.

Numerosi sono gli aspetti processuali su cui il legislatore è intervenuto.

Il primo profilo che occorre prendere in considerazione riguarda la definizione della domanda risarcitoria in materia antitrust. A questo riguardo, non si può prescindere da un preventivo riferimento ad alcuni principi generali sanciti in materia di risarcimento del danno da violazioni del diritto della concorrenza, al fine di poterne valutare gli aspetti strumentali concernenti la richiesta di tutela nel processo.

All'art. 1, nella disciplina dell'ambito di applicazione, troviamo en passant l'enunciazione volta a riconoscere il diritto al risarcimento a chiunque (persona fisica o giuridica) lamenti un danno da parte di un'impresa e di un'associazione di imprese conseguente alla violazione di una disposizione europea o nazionale sulla concorrenza, ossia ove venga affermata la violazione degli artt. 101 e 102 TFUE, degli artt. 2 e 3 l. n. 287/1990, nonché di ogni altra disposizione nazionale di altro Stato membro europeo che persegua “lo stesso obiettivo” delle suddette norme europee e italiane (art. 2, comma 1, lett. b). Tale disposizione è in linea con quanto già sancito per il nostro ordinamento dalla giurisprudenza (cfr., in particolare, Cass. civ., Sez. Un., 4 febbraio 2005, n. 2207, in Riv. dir. proc., 2006, 369, BARLETTA, Le domande dei consumatori nei confronti dei responsabili di comportamenti anticoncorrenziali: questioni di competenza, legittimazione e interesse ad agire), attribuendo un rilievo essenziale alla causa petendi delle azioni risarcitorie antitrust al fine di determinare l'applicabilità delle norme in materia, le quali – peraltro – si estendono alla definizione delle stesse modalità con cui deve esprimersi tale elemento d'identificazione delle domande risarcitorie (v. infra in questo paragrafo).

L'art. 10 specifica che può agire per il risarcimento l'acquirente diretto o indiretto da parte dell'autore della violazione. In proposito, il legislatore italiano ha ritenuto, correttamente, di non fare riferimento alla nozione della “legittimazione ad agire” (secondo la terminologia utilizzata dalla direttiva 2014/104); giacché, in effetti, la disciplina in discorso concerne, per un verso, il riconoscimento della titolarità del diritto soggettivo sostanziale al risarcimento e, per l'altro verso, il nesso di causalità giuridica tra la condotta anticoncorrenziale e il danno. Invece, sotto il profilo delle modalità di esercizio dell'azione per il danneggiato è necessario (ma sufficiente) affermare di aver subito un danno riferibile direttamente o indirettamente ad una violazione di norme sulla concorrenza.

Peraltro, analogamente a quanto è previsto all'art. 125 c.p.i. per il risarcimento in materia di contraffazione, viene espressamente stabilita la determinazione del “danno” nel senso che “il risarcimento comprende il danno emergente, il lucro cessante e gli interessi” (art. 1, comma 2). Il principio dell'integrale risarcimento del danno viene applicato nella sua massima estensione, prestandosi persino a qualche applicazione paradossale nell'ambito dei rapporti tra imprese concorrenti, potendosi in tal modo avvantaggiare il concorrente meno efficiente, analogamente a quanto si è osservato in relazione alla corrispondente disciplina della proprietà industriale (TAVASSI, Il risarcimento del danno in materia antitrust nell'esperienza dei giudici italiani, in Private enforcement delle norme sulla concorrenza, a cura di Rossi Dal Pozzo, Nascimbene, Milano, 2009, 46 ss.).

Sotto il profilo delle modalità di esercizio dell'azione risarcitoria, la domanda fondata sulla violazione anticoncorrenziale si dovrebbe ritenere senz'altro estesa a tutte le voci di danno risarcibile e ai diritti accessori (in astratto autonomi), correlati agli interessi, pure in assenza di una espressa richiesta da parte dell'attore. Allo stesso tempo, la domanda in materia antitrust può consistere solo nell'indicazione del danno-evento, rappresentato da un certo comportamento anticoncorrenziale (causa petendi), e nella richiesta di condanna al pagamento di tutti i danni conseguiti o comunque riferibili al medesimo comportamento (petitum). Il tenore letterale dell'art. 1, comma 2, non consente nemmeno qui di riproporre le incertezze che si possono riscontrare in generale nella giurisprudenza in ordine alla necessità o meno che ricorra l'enunciazione delle voci di danno nell'atto introduttivo ai fini della validità della domanda (cfr. BARLETTA, Incertezze e contrasti sul contenuto essenziale delle domande risarcitorie: a quando un intervento delle Sezioni Unite?, in Ridare.it). Per altro verso, la disposizione appena citata rende qui senz'altro applicabile il divieto di frazionamento della domanda, salva la possibilità di proporre una domanda di condanna generica.

All'art. 3 d.lgs. n. 3/2017, poi, troviamo implicitamente sancita un'ulteriore rilevante semplificazione del principio di autoresponsabilità processuale a carico della parte danneggiata da un comportamento anticoncorrenziale, la quale può proporre la richiesta di un ordine di esibizione «nelle azioni per il risarcimento del danno a causa di una violazione del diritto alla concorrenza, su istanza motivata della parte, contenente l'indicazione di fatti e prove ragionevolmente disponibili dalla controparte o dal terzo, sufficienti a sostenere la plausibilità della domanda di risarcimento del danno».

Come abbiamo visto, l'intento che emerge dalla direttiva 2014/104/UE è di promuovere l'effettività dell'accesso alla tutela risarcitoria, attraverso strumenti volti a superare l'asimmetria informativa che caratterizza il danneggiato rispetto all'autore dell'illecito antitrust. Perciò, la causa petendi può essere definita dall'attore a larghe maglie senza compromettere la validità delle domande risarcitorie, purché evidentemente la richiesta risarcitoria contempli l'affermazione che il convenuto abbia compiuto la violazione di una disposizione sulla concorrenza. Inoltre, l'attore vede assai semplificato il suo onere di allegazione, nei limiti in cui ciò sia ragionevole esigere da quest'ultimo.

Più precisamente, la richiesta risarcitoria nelle azioni follow-on può fondarsi da un provvedimento dell'Autorità garante (tale rilievo trova conferma in relazione a quanto enunciato dalla Suprema Corte con la sent. Cass. civ., 2 febbraio 2007 n. 2305, in Danno e Resp., 2007, 755, con nota di Afferni), e nella mera indicazione appunto degli elementi fattuali che rendano plausibile l'esistenza di un danno (analogamente Cass. civ., 2 febbraio 2007, n. 2305, ove in relazione ad un'azione risarcitoria avverso un'assicurazione si sono ritenuti sufficienti l'allegazione e la produzione della polizza ai fini dell'accertamento del danno).

Qualora la domanda di risarcimento preceda l'accertamento dell'Autorità garante, ossia nelle azioni c.d. stand-alone, l'attore dovrà identificare la causa risarcitoria, anche solo attraverso l'indicazione dei fatti che rendano plausibile, ossia non inverosimile, la sussistenza di violazioni di norme antitrust.

Il risarcimento del danno da parte dei consumatori può essere fatto valere in giudizio nelle modalità dell'azione collettiva ai sensi dell'art. 140-bis cod. cons. In mancanza di disposizioni della direttiva 2014/104/UE specificamente riferibili alla tutela collettiva del diritto al risarcimento del danno conseguente alle violazioni anticoncorrenziali non è stato necessario apportare innovazioni specificamente riguardanti la disciplina del giudizio risarcitorio collettivo. Nondimeno, rimane il fatto che le disposizioni stabilite per l'azione di classe trovano applicazione in combinazione a quelle previste dal d.lgs. n. 3/2017 e nei limiti in cui esse siano compatibili con i principi riferibili alla direttiva 2014/104/UE. In ispecie, sembra prevalente la disciplina specifica sui giudizi di risarcimento in materia antitrust riguardante le modalità semplificate di esercizio dell'azione e gli altri aspetti su cui si soffermerà nel prosieguo.

Onere della prova, diritto alla prova e ordine di esibizione

In attuazione della suddetta direttiva europea il d.lgs. n. 3/2017 contiene rilevanti semplificazioni in relazione all'onere della prova che grava sul danneggiante, con particolare riferimento al tema del danno da trasferimento del c.d. sovrapprezzo (overcharge). Al contrario, conformemente al principio di cui all'art. 2696 c.c. spetta al convenuto, che opponga al danneggiato l'eccezione di trasferimento di cui all'art. 11, provare la sussistenza dello stesso, anche per il tramite dell'esibizione richiesta nei confronti dell'attore o di terzi (cfr. TAURINI, GIOIA, Il trasferimento del sovrapprezzo nel d.lgs. n. 3/2017, in Ridare.it).

Nei giudizi risarcitori instaurati dagli acquirenti indiretti nei confronti dell'autore della violazione l'onere della prova del trasferimento del sovrapprezzo è semplificato da una presunzione, che di fatto comporta un rovesciamento dell'onere della prova a carico del convenuto, purché vengano allegate e provate le circostanze di cui all'art. 12, comma 2:

i) violazione delle norme sulla concorrenza;

ii) determinarsi di un sovrapprezzo per effetto della violazione almeno quale dato aggregato;

iii) acquisto di beni o servizi dal convenuto.

Quindi, l'onere che grava sull'attore in questi giudizi risulta assai semplificato grazie all'accertamento compiuto da parte dell'Autorità antitrust nelle azioni follow-on, riducendosi tendenzialmente alla produzione del provvedimento dell'Autorità garante. Ove sia applicabile la suddetta presunzione il convenuto sarà gravato di un onere della prova che (almeno ad una prima analisi) sembra assai difficile da superare, coincidendo né più, né meno con la prova negativa del trasferimento del sovrapprezzo in tutto o in parte sull'attore (art. 12, comma 3). Tali disposizioni, tuttavia, non sembrano innovare in modo rilevante quanto era possibile osservare in precedenza alla luce della giurisprudenza in materia (cfr. Cass. civ., 2 febbraio 2007, n. 2305, cit.).

In ordine all'esistenza del danno si presume in relazione alla violazione consistente in una intesa anticoncorrenziale (c.d. cartello), semplificando in tal modo anche il quadro delle allegazioni richieste da parte del danneggiato. È comunque fatta salva la prova contraria da parte del convenuto (art. 14, comma 2). D'altra parte, sempre in conformità all'indirizzo espresso dalla giurisprudenza, il risultato probatorio (factum probandum) che è ragionevole esigere da parte dell'autore della violazione non deve certo coincidere con la piena prova dell'inesistenza del danno, bensì può limitarsi alla sussistenza di fatti che rendano inverosimile l'esistenza del danno (cfr. Cass. civ., 2 febbraio 2007, n. 2305, cit.).

Alcune norme rilevanti in tema di formazione del convincimento del giudice in sede di decisione nel merito riguardano poi (in questo caso non solo nei giudizi follow-on) le pronunce sulla quantificazione del danno.

Al di là del richiamo (per il vero ultroneo) alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 1227 c.c., si possono prospettare alcune semplificazioni consistenti nella possibilità di richiedere l'assistenza dell'Autorità antitrust (art. 14, comma 3), la quale nel caso di specie rivestirà la funzione di vero e proprio ausiliario giudiziario. Le forme e le modalità di tale incombenza, che spetta al giudice indicare, sentita l'Autorità garante, dovranno tener conto innanzitutto della necessità di attuare il principio del contraddittorio, concedendo alle parti quantomeno la possibilità di svolgere delle osservazioni, di cui l'Autorità dovrà tener conto nella relazione conclusiva.

Assai gravoso è invece l'onere della prova previsto dall'art. 9 a carico del danneggiato che intenda far valere la responsabilità in solido, al di fuori della categoria degli acquirenti o dei fornitori diretti, e che consiste nell'impossibilità di ottenere l'integrale risarcimento del danno dalle altre imprese coinvolte nella violazione antitrust: tanto più che tale impossibilità dovrà essere stabilita ex ante appunto al momento dell'accertamento della responsabilità.

Più in generale, possiamo rilevare come il tema dell'onere di allegazione e della prova e del diritto alla prova sia assai più rilevante per i giudizi stand-alone, in cui occorre tenere presente l'asimmetria informativa che penalizza il danneggiato nei confronti dell'autore della violazione. L'attuazione della direttiva 2014/104/UE è stata anticipata sul punto da un rilevante intervento della Suprema Corte (Cass. civ., 4 giugno 2015, n. 11564) proprio in relazione ai temi pocanzi richiamati: “in giudizi di questo tipo (c.d. stand-alone), a differenza di quelli introdotti a seguito di un accertamento o di una decisione della medesima Autorità o della Commissione europea (c.d. follow-on actions), sono particolarmente evidenti le difficoltà di allegazione e probatorie in cui versano i privati che agiscono in giudizio, a fronte di fatti complessi di natura economica (com'è quello del ‘mercato rilevante') che spesso si trovano nella sfera del soggetto che ha posto in essere il presunto illecito. La difficoltà è accentuata sia dagli alti costi necessari per l'acquisizione degli elementi indispensabili per il compimento delle indagini tecnico-economiche che difficilmente sono alla portata dei singoli, sia dalla necessità di confrontarsi con elementi controfattuali da comparare con ciò che è avvenuto nella realtà … A differenza del c.d. public enforcement, nel quale le Autorità amministrative nazionali a tutela della concorrenza dispongono di numerosi e penetranti poteri istruttori d'ufficio (v., tra gli altri, gli artt. 10, comma 4, e 12 ss. l. n. 287/1990) e anche del potere di agire in giudizio direttamente (art. 21-bis l. n. 287/1990), invece nell'ambito del c.d. private enforcement gli strumenti a disposizione del giudice sono quelli limitati forniti dal codice di rito”. A fronte di tali considerazioni la sent. Cass. civ., 4 giugno 2015, n. 11564 osserva che «il giudice è chiamato a rendere effettiva la tutela dei privati che agiscono in sede giurisdizionale in presenza di paventate violazioni del diritto della concorrenza …, tenuto conto dell'asimmetria informativa esistente tra le parti nell'accesso alla prova, anche mediante un'interpretazione delle norme processuali in senso funzionale all'obiettivo di una corretta attuazione del diritto della concorrenza. É un obiettivo che può essere perseguito valorizzando, in modo opportuno, gli strumenti d'indagine e di conoscenza che le norme processuali già prevedono, mediante un'interpretazione estensiva delle condizioni stabilite dal codice di rito in tema di esibizione di documenti, richiesta di informazioni e, soprattutto, di consulenza tecnica d'ufficio, per l'esercizio, anche d'ufficio, dei poteri d'indagine, acquisizione e valutazione di dati e informazioni utili per ricostruire la fattispecie anticoncorrenziale denunciata, nel rispetto del principio del contraddittorio e fermo restando l'onere della parte che agisce in giudizio».

Accanto a tali potestà ufficiose, con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 3/2017 l'attore nelle domande stand-alone può contare nella possibilità di proporre le istanze volte alla concessione di “ordini di esibizione” di cui all'art. 3, in cui il giudice ha un ruolo prevalentemente di verifica in ordine al rispetto dei limiti di proporzionalità della misura richiesta e della riservatezza, nonché della sussistenza delle condizioni richieste, allorché le prove di cui viene chiesta l'esibizione si trovano nel fascicolo dell'Autorità garante italiana o altra Autorità garante di uno Stato membro (art. 4 e 5), replicando sul punto quanto indicato nella direttiva 2014/104/UE. In ispecie, il giudice può ordinare l'esibizione delle prove contenute nel fascicolo dell'Autorità garante della concorrenza tenendo conto della distinzione tra c.d. lista nera, grigia o bianca di cui alla direttiva 2014/104/UE.

Il legislatore utilizza in materia l'espressione “esibizione”, per quanto si tratti di uno strumento assai peculiare rispetto a quello disciplinato dall'art. 210 c.p.c. ed analogo a quello previsto agli artt. 156-bis e 156-ter l. n. 633/1941 e 121-bis c.p.i., in seguito alla c.d. direttiva enforcement (Dir. 2004/48/CE). Per contro, l'istituto disciplinato dal d.lgs. n. 3/2017 rimane ancora lontano da quello conosciuto negli ordinamenti anglosassoni, ove il giudice è dotato di poteri più discrezionali e pervasivi.

Come abbiamo visto, in particolare, la domanda risarcitoria può contenere una istanza motivata volta all'acquisizione delle prove necessarie in relazione alla decisione sulla sussistenza del diritto al risarcimento e per la determinazione del danno tramite l'emanazione di un ordine giudiziale volto alla loro acquisizione al processo.

Nella suddetta istanza devono essere indicati in modo specifico l'oggetto, ossia gli elementi di prova o le categorie di prova, individuate mediante l'enunciazione dei suoi “elementi costitutivi” (natura, periodo di formazione e contenuto delle prove da acquisire), nonché – come abbiamo visto – la motivazione, nella quale dovranno essere esplicitate le ragioni per cui l'istante non ha la disponibilità delle suddette prove o non è stato possibile acquisire le stesse aliunde, nonché gli elementi che consentano di stabilire la proporzionalità della richiesta rispetto al thema decidendum definito con le modalità sopra ricordate e ai fatti bisognevoli di prova secondo il quadro degli oneri riferibili al danneggiante (ossia alla luce della necessità di acquisire la prova in funzione del thema demonstrandum posto a carico dell'attore; la portata e i costi dell'esibizione, soprattutto a carico di terzi; la sussistenza di informazioni riservate, sempre in ispecie riguardanti terzi).

In mancanza di una specifica disposizione in senso contrario, l'istanza volta ad ottenere l'ordine di esibizione non deve essere proposta necessariamente all'atto dell'instaurazione del processo di cognizione, bensì entro la memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. Oltre alla semplificazione di quanto richiesto ai fini della proposizione della domanda risarcitoria, si può rilevare anche un rilevante alleggerimento dell'onere di allegazione e della prova, nei limiti di quanto è “disponibile” all'attore, funzionale essenzialmente alla pronuncia sull'istanza d'esibizione (art. 3, comma 3, a).

Mentre la proposizione ante causam dell'istanza in discorso dovrebbe essere limitata alla sussistenza di un pericolo di pregiudizio grave, imminente e irreparabile ai sensi dell'art. 700 c.p.c.

In ogni caso, il giudice deve altresì disporre la comparizione della parte o del terzo nei cui confronti è stata richiesta l'istanza di esibizione. Per altro verso, non è stato previsto alcuno specifico rimedio volto in modo specifico a contestare la legittimità dei provvedimenti in materia. In considerazione del particolare rilievo che riveste l'accoglimento o il rigetto dell'istanza in discorso (sottolineato dal richiamo contenuto nella direttiva 2014/104/UE a valutare la previsione di specifici rimedi impugnatori) parrebbe opportuno de iure condendo introdurre una disposizione sull'immediata reclamabilità al collegio dei provvedimenti del giudice istruttore con i quali venga concesso o negato l'ordine di esibizione.

L'Autorità può presentare proprie osservazioni in punto di proporzionalità. Il giudice può sospendere il processo nell'attesa della definizione del procedimento avanti l'Autorità garante, al fine di consentire l'acquisizione dei documenti contenuti nei fascicoli della stessa Autorità.

L'art. 6 stabilisce delle sanzioni amministrative a favore della Cassa delle ammende tra euro 15.000 ed euro 150.000 in caso d'inosservanza dell'ordine di esibizione, in caso di distruzione delle prove, di violazione degli ordini stabiliti per la tutela delle informazioni riservate, nonché in relazione al rispetto dei limiti relativi all'uso delle prove contenute nei fascicoli delle Autorità garanti. Tali sanzioni, peraltro, devono essere comminate in caso di violazioni tanto di terzi, quanto delle parti del processo. Allo stesso tempo, il mancato ottemperamento dell'ordine giudiziale di esibizione diretto ad una parte del processo potrà essere considerato non solo quale argomento di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., bensì anche come prova su cui fondare il convincimento sul factum probandum, mentre in caso di utilizzo delle prove oltre i limiti consentiti il giudice può respingere in tutto o in parte le domande e le eccezioni ai cui tali prove si riferiscono (art. 6, commi 6 e 7). Oltre a ciò si deve tener presente la possibilità di tener conto di tali comportamenti ai sensi dell'art. 96, ult. comma, c.p.c., al fine di dare attuazione a quanto previsto dall'art. 8, comma 2, direttiva 2014/104/UE, secondo cui “le sanzioni di cui dispongono i giudici nazionali comprendono, per quanto riguarda il comportamento di una parte nel procedimento relativo a un'azione per il risarcimento del danno, la possibilità di trarre conclusioni negative, quali presumere che la questione sia provata o respingere in tutto o in parte domande e eccezioni, e la possibilità di ordinare il pagamento delle spese”.

La competenza in relazione alle azioni risarcitorie e la giurisdizione amministrativa del “giudice del ricorso” italiano

L'art. 18 accentra inderogabilmente la competenza delle azioni di risarcimento in caso di violazioni di disposizioni antitrust in capo ai tribunali delle imprese di Milano, Roma e Napoli, confermando evidentemente la necessità di garantire un'elevata specializzazione ai giudici chiamati a svolgere le funzioni decisorie in materia, nonché simmetricamente per assicurare il più possibile uniformità nell'interpretazione e nell'applicazione delle norme in materia, la prevedibilità e il coordinamento delle decisioni. La competenza deve essere determinata sulla base della causa petendi ed, in particolare, le azioni risarcitorie fondate sulle violazioni di disposizioni antitrust hanno autonomia rispetto alle azioni negoziali inter partes. Il giudice deve fondare la decisione sulla competenza unicamente sulle prospettazioni dell'attore, non essendo neppure possibile in questa fase effettuare degli accertamenti per stabilire la veridicità delle asserzioni attoree, salvo che esse non siano manifestamente preordinate a finalità di forum shopping utilizzando i poteri di cui all'art. 38, ult. comma, c.p.c. (analog., Trib. Milano, 29 aprile 2015, in www.giurisprudenzadelleimprese.it). Pertanto, ai fini della competenza le allegazioni contenute nella domanda dell'attore non devono essere scrutinate neppure sotto il profilo della plausibilità di cui all'art. 3, ossia secondo il metro di quanto previsto in relazione agli approfondimenti istruttori necessari in vista della decisione nel merito.

Viene (implicitamente) ribadita, poi, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo quale “giudice del ricorso” ossia dell'impugnazione dei provvedimenti dell'Autorità di garante, anche ove si tratti di provvedimenti sanzionatori (art. 133 c.p.a.): pur nel quadro della nuova disciplina che sottopone il giudice ordinario all'accertamento della violazione antitrust contenuta nella sentenza del giudice del ricorso passata in giudicato, oltre che nella “decisione” dell'Autorità garante non più soggetta ad impugnazione.

Il nuovo art. 7 d.lgs. n. 3/2017, inoltre, precisa i limiti del sindacato del “giudice del ricorso” in linea con quanto statuito da Cass. civ., Sez. Un., 20 gennaio 2014, n. 1013, secondo cui «il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicarne la legittimità, salvo non includano valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità (come nel caso della definizione di mercato rilevante nell'accertamento di intese restrittive della concorrenza), nel qual caso il sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica della non esorbitanza dai suddetti margini di opinabilità, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell'Autorità Garante», conformandosi sul punto alla precedente giurisprudenza amministrativa. Nondimeno, la limitazione del sindacato da parte del giudice del ricorso potrebbe essere intesa come una regressione rispetto ai più recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa in relazione alle potestà del giudice dell'impugnazione degli atti delle autorità di regolazione (cfr., anche per riferimenti, Perna, Il sindacato del Giudice amministrativo italiano sulle decisioni dell'Autorità garante della concorrenza nel nuovo assetto istituzionale del private enforcement, in www.giustizia-amministrativa.it, 2017), pure in considerazione delle potestà in sede di sostituzione del provvedimento impugnato che possono riferirsi alla giurisdizione amministrativa estesa anche “al merito” (art. 134 c.p.a.). Tali perplessità risultano accresciute dal fatto che in base al primo periodo dell'art. 7 d.lgs. n. 3/2017 la formazione di un “accertamento definitivo” sembra presupporre (quantomeno) la possibilità di una revisio giurisdizionale da parte del giudice del ricorso su tutti gli aspetti per cui il provvedimento dell'Autorità garante risulta vincolante (natura della violazione, sua portata materiale, personale, temporale e territoriale); a meno di non ritenere che là dove vi sia un “oggettivo margine di opinabilità” (e cioè nell'ambito escluso dal sindacato) il giudice del processo risarcitorio non sia vincolato al diktat dell'Autorità garante; per quanto quale soluzione interpretativa appare eccessivamente restrittiva rispetto alle finalità proprie della direttiva 2014/104/UE. D'altra parte, l'incertezza della nozione di “discrezionalità tecnica” si manifesta già in relazione ai provvedimenti che esprimono la potestà di regolazione delle Autorità indipendenti (cfr. PERNA, Il sindacato del Giudice amministrativo italiano sulle decisioni dell'Autorità garante della concorrenza nel nuovo assetto istituzionale del private enforcement, cit.). E ciò vale a fortiori per gli atti dell'Autorità garante della concorrenza che si limitano ad accertare violazioni antitrust. Pertanto, si rende auspicabile, ad avviso di chi scrive, l'eliminazione di ogni limite al sindacato del giudice del ricorso (al di là di quanto è strettamente richiesto dall'art. 6 CEDU e dell'art. 111 Cost.). Allo stesso tempo, alla luce della necessità di concentrazione e uniformità delle decisioni in materia antitrust si rende opportuno il superamento del riparto di giurisdizione in relazione a tale materia e l'attribuzione di ogni competenza anche in materia d'impugnazione dei provvedimenti sanzionatori dell'Autorità garante ai tribunali dell'imprese di cui all'art. 18 d.lgs. n. 3/2017 (in tal senso, il nostro La competenza sull'inibitoria antitrust, in Riv. dir. proc., 2006, 524 ss.).

Recependo quanto stabilito sul punto dalla direttiva europea, l'art. 7 prevede che l'accertamento della violazione delle disposizioni antitrust, contenuto in una “decisione” dell'Autorità garante italiana non più impugnabile, o da una pronuncia giurisdizionale da parte del “giudice del ricorso” passata in giudicato, ha un valore “definitivo” per il giudice del processo di risarcimento. A tutta prima, tale disposizione – evidentemente rilevante nell'ambito dei procedimenti follow-on – riconosce alle “decisioni” dell'Autorità garante una efficacia superiore a quella sin qui ammessa dalla giurisprudenza in relazione ai provvedimenti amministrativi dell'Autorità indipendente sulla concorrenza, sin da Cass. civ., 13 febbraio 2009, n. 3640, in Foro it., 2010, I, 1901 (in tal senso, in relazione a quanto previsto dalla direttiva 2014/104/UE Chieppa, Il recepimento in Italia della Dir. 2014/104/UE e la prospettiva dell'AGCM, in Dir. ind., 2016, 317). La S.C., infatti, ha ritenuto che il provvedimento definitivo dell'Autorità italiana antitrust costituisca una “prova privilegiata”. Difatti, le nuove norme sanciscono un'efficacia vincolante – di natura conformativa –, che è comunque riconosciuta ai (soli) provvedimenti che accertano la violazione, similmente a quanto stabilito per la sentenza penale irrevocabile limitatamente alla sussistenza del fatto e alla illiceità penale (art. 651 c.p.p.). Non si tratta, tuttavia, di una vera e propria efficacia di giudicato, in considerazione della natura amministrativa del provvedimento dell'Autorità garante, il cui mancato rispetto non può comportare la nullità della sentenza, bensì un vizio della decisione nel merito per violazione di legge. Riteniamo, in altre parole, che si tratti di un'efficacia vincolante assai prossima a quella prevista in relazione alle prove legali.

Tale efficacia è comunque limitata alle questioni inerenti alla natura della violazione e alla sua portata materiale, personale, temporale e territoriale e non riguarda il nesso di causalità e l'esistenza del danno. Nondimeno, anche in relazione a tali ultime due questioni le decisioni dell'Autorità garante o del “giudice del ricorso” mantengono nel processo civile un rilievo ai fini della pronuncia sul fatto, in considerazione dell'efficacia presuntiva riconosciuta in relazione alle questioni appena delineate (v. supra al paragrafo 3). La medesima efficacia preclusiva sembrerebbe accordata anche agli accertamenti contenuti nelle decisioni dei giudici amministrativi, pronunciati in sede d'impugnazione dei provvedimenti dell'Autorità garante.

Per altro verso, la nuova disciplina dell'art. 7 non sembra dar luogo ad una pregiudizialità amministrativa rilevante ai fini di una sospensione necessaria ai sensi dell'art. 295 c.p.c. (riterrei, pertanto, di confermare le considerazioni svolte in La competenza sull'inibitoria antitrust, cit., 509 ss.). D'altra parte, non può essere riconosciuto un rilievo sistematico generale nemmeno alla disposizione dell'art. 140-bis, comma 6, c. cons., nella parte in cui è previsto che il tribunale adito con una domanda di tutela collettiva possa (e non debba) disporre la sospensione del giudizio «quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso un'istruttoria davanti a un'Autorità indipendente ovvero un giudizio davanti al giudizio amministrativo». Quest'ultima disposizione, infatti, è evidentemente pensata nell'ottica di risolvere i problemi connessi all'asimmetria informativa tra danneggiato e autore della violazione, posto che l'accertamento della violazione avrebbe potuto essere utilizzato come prova privilegiata da parte del giudice civile. Viceversa, le modalità previste dal d.lgs. n. 3/2017 per i giudizi stand-alone passano dall'attenuazione dell'onere della prova posto a carico del danneggiato e dalla disciplina sull'ordine di esibizione, pur limitando l'accesso ad alcune categorie di prove contenute nei fascicoli fino alla conclusione del procedimento da parte dell'Autorità garante della concorrenza (art. 4, comma 4, d.lgs. n. 3/2017). Si noti, inoltre, che proprio a questo proposito il d.lgs. n. 3/2017 ha stabilito una potestà discrezionale di sospensione del giudizio risarcitorio, là dove sia appunto opportuno attendere la conclusione del procedimento al fine di acquisire le prove contenute nel fascicolo.

L'art. 7, comma 2, poi, riconosce al provvedimento delle Autorità garanti di altri Stati membri l'efficacia di prova in relazione all'autore della violazione, sulla sua natura e sulla sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, a fronte di quanto disposto all'art. 9, comma 2, direttiva 2014/104/UE, secondo cui “gli Stati membri provvedono affinché una decisione definitiva ai sensi del paragrafo 1 adottata in un altro Stato possa, conformemente al rispettivo diritto nazionale, essere presentata dinanzi ai propri giudici nazionali, almeno a titolo di prova prima facie, del fatto che è avvenuta la violazione del diritto della concorrenza e possa, se del caso, essere valutata insieme ad altre prove adottate dalle parti”. Alla luce della disciplina europea, pertanto, si deve ritenere che il provvedimento dell'Autorità garante straniera sia dotato di un'efficacia probatoria qualificata, a meno di specifica prova contraria. L'espressione “prima facie evidence” (la quale compare nella versione in lingua inglese della direttiva in discorso) è oggi utilizzata più frequentemente nell'ambito degli ordinamenti di common law (Herlitz, The Meaning of the Term “Prima Facie”, 1994, 55 Lousiana Law Review, 400 ss.) e, non a caso, si ritrova proprio nella disciplina statunitense in relazione alle decisioni civili e penali di accertamento delle violazioni di norme antitrust su iniziativa pubblica a norma del Clayton Act Section 5 (a): «A final judgment or decree heretofore or hereafter rendered in any civil or criminal proceeding brought by or on behalf of the United States under the antitrust laws to the effect that a defendant has violated said laws shall be prima facie evidence against such defendant in any action or proceeding brought by any other party against such defendant under said laws as to all matters respecting which said judgment or decree would be an estoppel as between the parties thereto». Essa deve essere interpretata nell'ambito del nostro ordinamento come una prova dotata di una specifica valenza presuntiva sul piano della pronuncia sul fatto, analogamente a quanto si è già avuto modo di affermare in Italia a proposito delle attestazioni anagrafiche delle Autorità straniere, le quali nell'ambito del nostro ordinamento non hanno l'efficacia di atto pubblico, essendo tuttavia assistite da una presunzione di veridicità fino appunto a prova contraria (cfr. App. Ancona, 25 gennaio 2005, Dir. famiglia, 2006, 117, con nota di Morozzo della Rocca).

Una analoga probatoria deve ritenersi riconosciuta alle decisioni rese dai giudici italiani o di altri Stati membri nell'ambito di giudizi risarcitori relativi alla medesima violazione antitrust, promosse da danneggiati che si trovavano in un altro livello di approvvigionamento (arg. dall'art. 13 d.lgs. n. 3/2017, il quale riconosce altresì la possibilità di utilizzare le «informazioni di dominio pubblico risultanti dall'applicazione a livello pubblicistico del diritto della concorrenza riguardanti il caso specifico»).

Similmente a quanto è previsto in relazione alla pendenza del processo, inoltre, è stabilita la sospensione della prescrizione durante tutto il tempo necessario per la definizione del procedimento avanti l'Autorità garante e fino alla formazione di una decisione definitiva (art. 8, comma 2). Si tratta, tuttavia, di una similitudine del tutto estranea ad una logica sistematica, non solo in considerazione della sua natura amministrativa del procedimento, bensì anche per il fatto che quest'ultimo ha in ogni caso un oggetto diverso rispetto al diritto al risarcimento di cui viene esclusa la prescrizione.

Gli incentivi diretti a promuovere la “composizione consensuale” delle controversie risarcitorie antitrust

Il d.lgs. n. 3/2017 ha attuato pressoché pedissequamente la previsione di cui all'art. 18 direttiva 2014/104/UE a proposito dell'effetto sospensivo e degli altri effetti della composizione consensuale delle controversie. All'art. 15, comma 1, d.lgs. n. 3/2017 vengono estesi all'inizio dei procedimenti di mediazione, negoziazione assistita dagli avvocati e conciliazione avanti alle Autorità indipendenti di cui all'art. 140-octiescod. cons. aventi ad oggetto le controversie in materia di risarcimento del danno antitrust, gli effetti di sospensione della prescrizione di cui agli artt. 5, comma 6, d.lgs. n. 28/2010, 8 d.l. n. 132/2014 e 140-quinquies cod. cons. La peculiarità della disciplina appena richiamata è data dal fatto che nell'ambito dei giudizi risarcitori antitrust l'effetto interruttivo della prescrizione è stabilito al di fuori di alcuna obbligatorietà circa il previo ricorso a tali strumenti alternativi al processo, ossia senza prescrivere il tentativo di conciliazione quale condizione di procedibilità o proponibilità della domanda di risarcimento.

Inoltre, l'art. 15, comma 1, s'incarica di sancire l'applicabilità dell'art. 2943, comma 4, c.c. ai procedimenti arbitrali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni antitrust. Tale disposizione, però, non brilla per chiarezza, soprattutto perché all'art. 15, comma 2, d.lgs. n. 3/2017 vengono più in generale «fatte salve le disposizioni in materia di arbitrato». Per altro verso, tale previsione avrebbe di per sé consentito di concludere per l'arbitrabilità delle controversie in discorso, come già ritenuto dalla giurisprudenza (C.G.UE, 1 giugno 1999, C-126/97, Benetton; App. Milano, 13 settembre 2002, in Corr. giur., 2003, 1626, con nota di Salvaneschi, Sull'arbitrabilità delle controversie in materia di diritto antitrust). Dall'altro lato, il riferimento all'effetto sospensivo della prescrizione relativo alla domanda di arbitrato è disomogeneo rispetto al richiamo relativo alle previsioni concernenti gli effetti delle procedure conciliative al di fuori dello schema della giurisdizione condizionata da un tentativo di conciliazione obbligatorio: posto che l'arbitrato (quand'anche irrituale) ha natura di giudizio e che l'effetto di cui all'art. 2943, comma 4, c.c. è stabilito del tutto al di fuori della logica propria dell'obbligatorietà. Difatti, come noto, l'arbitrato non può essere obbligatorio per ragioni di carattere costituzionale in relazione agli artt. 24 e 102 Cost. (cfr. C. cost., 14 luglio 1977, n. 127). Inoltre, l'art. 15, comma 1, non chiarisce se l'effetto sospensivo della prescrizione sia applicabile pure all'arbitrato irrituale. Nondimeno, l'applicazione dell'effetto interruttivo della prescrizione all'arbitrato irrituale, in generale preferibile (cfr. CAVALLINI, Arbitrato irrituale, in Treccani, Diritto on line, 2013, par. 4), sembra senz'altro applicabile anche nel caso di specie, giacché tale arbitrato si conclude con una decisione con effetti negoziali (art. 808-ter c.p.c.), per molti versi prossimi a quelli propri delle altre ipotesi di “composizione consensuale” richiamate all'art. 15.

L'esperimento di una procedura di mediazione, negoziazione assistita o conciliativa può dare luogo a una sospensione fino a due anni del processo risarcitorio: sospensione che comunque non è obbligatoria, anche perché attuata al di fuori della previsione di una ipotesi di giurisdizione condizionata. La possibilità di una sospensione fino a due anni rende inapplicabile i termini di durata stabiliti per le suddette procedure. Per contro, il fallimento del tentativo di soluzione bonaria della controversia determina la necessità di riassumere il processo entro trenta giorni dalla “formalizzazione” della chiusura del procedimento di composizione consensuale (art. 15, comma 2, d.lgs. n. 3/2017), ossia dalla data del verbale con il quale il mediatore o il conciliatore accertano l'assenza delle condizioni per l'utile prosecuzione del tentativo di conciliazione, ovvero – si dovrebbe ritenere – da quella di un'analoga dichiarazione congiunta delle parti e degli avvocati in caso di negoziazione assistita; il che, tuttavia, rende assai incerti i tempi di riassunzione del processo. Per tale ragione, si ritiene opportuno che – ove la sospensione sia richiesta in relazione all'esperimento di una negoziazione assistita – il periodo di quiescenza del processo concesso dal giudice non sia mai troppo consistente, in modo da prevenire possibili comportamenti ostruzionistici e abusivi, soprattutto da parte dell'autore della violazione, salvo possibili proroghe su istanza congiunta delle parti fino ad un massimo di due anni complessivi.

In ogni caso, il periodo di sospensione non si computa ai fini dell'art. 2 legge Pinto.

La sospensione del giudizio risarcitorio non è applicabile all'arbitrato (rituale o irrituale che sia), poiché la convenzione di arbitrato dà luogo ad un effetto negativo sul processo, che si traduce tout court nella possibilità di opporre un'eccezione di compromesso (arg. dall'art. 819-ter c.p.c.), e non a una sospensione. Il richiamo all'arbitrato qui dovrebbe piuttosto essere inteso nel senso che la proposizione di uno strumento finalizzato alla conciliazione determini la sospensione del procedimento arbitrale.

Il risarcimento del danno da parte dell'autore della violazione in conseguenza della positiva conclusione di una procedura di “composizione consensuale”, può comportare dei benefici sul piano della public enforcement delle norme sulla concorrenza, rimettendo alla stessa Autorità il rilievo da riconoscere in concreto a tale comportamento ai sensi dell'art. 15 l. n. 287/1990.

La tendenziale parificazione, ai fini considerati, dell'arbitrato rispetto ai procedimenti di mediazione, negoziazione assistita e conciliazione, da parte dell'art. 15, comma 1, fa ritenere che il risarcimento del danno prima della decisione dell'Autorità garante antitrust in forza di un lodo apra ai benefici stabiliti ai sensi dell'art. 15, comma 4. Pertanto, in questo caso si deve ritenere che la locuzione “procedura di composizione consensuale della controversia” debba essere interpretata in senso estensivo, fino a ricomprendere anche la decisione sul diritto al risarcimento del danno antitrust, sia pure sulla base di una convenzione di arbitrato.

La definizione della controversia risarcitoria antitrust nell'ambito delle procedure di composizione consensuale comporta delle conseguenze favorevoli anche sul piano dell'applicazione delle norme in tema di private enforcement. Difatti, l'art. 16 sancisce che il soggetto danneggiato non possa chiedere agli altri coautori della violazione la parte dei danni riferibili al coautore con cui sia stata definita una procedura consensuale. Allo stesso tempo i coautori estranei alla procedura di composizione non hanno azione di regresso nei confronti del concorrente nella violazione che abbia partecipato all'accordo conciliativo. Il soggetto danneggiato, però, può rivalersi sull'autore della violazione che abbia partecipato all'accordo, detratta in ogni caso la parte del risarcimento a quest'ultimo riferibile, ove ricorra l'insolvenza degli altri coautori che non abbiano partecipato all'accordo, a meno che ciò non sia escluso dall'accordo medesimo. Inoltre, il giudice deve comunque tenere in considerazione quanto corrisposto in esecuzione all'accordo conciliativo in caso di regresso da parte di un concorrente della violazione nei confronti degli altri coautori.

Tali disposizioni “premiali” trovano applicazione anche in relazione alla definizione della controversia risarcitoria da parte di un lodo rituale (art. 16, ult. comma, che fa riferimento alla disciplina del capo IV, titolo VIII, libro IV del codice di rito), nonché – reputiamo – all'arbitrato irrituale.

Guida all'approfondimento

BARLETTA, La competenza sull'inibitoria antitrust, in Riv. dir. proc., 2006, 499 ss.;

Cavallone, Azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie: problemi dell'istruzione probatoria, in Private enforcement delle norme sulla concorrenza, a cura di Rossi Dal Pozzo, Nascimbene, Milano, 2009, 31 ss.;

CHIEPPA, Il recepimento in Italia della Dir. 2014/104/UE e la prospettiva dell'AGCM, in Dir. ind., 2016, 314 ss.;

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DE SANTIS, Processo civile, antitrust litigation e consumer protection, in Riv. dir. proc., 2015, 1495 ss.;

FALCE, Il privilegio legale nella Direttiva 2014/104/UE sul private enforcement e possibili aperture in sede di recepimento, in Dir. ind., 2016, 505 ss.;

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PARDOLESI, Il nuovo corso del “private enforcement” del diritto della concorrenza: sovrapprezzo praticato da impresa estranea al cartello e risarcimento del danno, in Foro it., 2014, 342 ss.;

PERNA, Il sindacato del Giudice amministrativo italiano sulle decisioni dell'Autorità garante della concorrenza nel nuovo assetto istituzionale del private enforcement, in www.giustizia-amministrativa.it, 2017;

PITRUZZELLA, La Direttiva 2014/104/UE sul risarcimento del danno antitrust del Mercato, in Dir. ind., 2016, 313 ss.;

SIRAGUSA, L'effetto delle decisioni delle autorità nazionali della concorrenza nei giudizi per il risarcimento del danno: la proposta della Commissione e il suo impatto nell'ordinamento italiano, in Concorrenza e mercato, 2014, 297 ss.;

SCUFFI, Riflessioni a margine della Dir. 104/2014 (e del D.Lgs. 3/2017) sull'azione di classe, in Dir. ind., 2017, 5 ss.; Rordorf, Il ruolo del giudice e quello dell'Autorità nazionale della Concorrenza e del Mercato nel risarcimento del danno “antitrust”, in Soc., 2014, 784 ss.;

TAVASSI, Il risarcimento del danno in materia antitrust nell'esperienza dei giudici italiani, in Private enforcement delle norme sulla concorrenza, a cura di Rossi Dal Pozzo, Nascimbene, Milano, 2009, 41 ss.;

TAURINI, GIOIA, Il trasferimento del sovrapprezzo nel d.lgs. n. 3/2017, in Ridare.it;

VINCRE, La direttiva 2014/104/UE sulla domanda di risarcimento del danno per violazione delle norme “antitrust” nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2015, 1153 ss.

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