L’art. 139 (e il nuovo danno non patrimoniale) dopo la Legge Concorrenza

Maurizio Hazan
25 Settembre 2017

La riforma della disciplina del danno alla persona da sinistro stradale segna il completamento di un percorso già iniziato in sede legislativa e giurisprudenziale e la consacrazione del nuovo diritto/statuto delle responsabilità obbligatoriamente assicurate. La novella legislativa merita di essere letta in sincrono, tanto con riferimento all'art. 138, quanto all'art. 139 cod. ass. e, con riferimento al tema delle lesioni lievi, la l. 124/2017, fuga ogni dubbio sulla omnicomprensività dei parametri liquidativi di legge, specie sul versante dei limiti di massima personalizzazione.
La necessità di un approccio sistematico

La l. 124/2017 (legge annuale sulla concorrenza) segna, a parere di chi scrive, il momento di finale consacrazione di quel che abbiamo, sovente in precedenza, definito come il “nuovo” diritto dei sistemi di responsabilità obbligatoriamente assicurata (v. M.HAZAN, Claims made, responsabilità medica e pensieri retrivi: la Cassazione resiste alla legge?; M.HAZAN, I “danni punitivi” nella rc auto e nella rc sanitaria: cosa cambia dopo le Sezioni Unite?, in Ridare.it).

Il legislatore chiude davvero il cerchio ponendo fine, con forza ed eloquenza, ad un antico dibattito, andato via via indebolendosi ma rimasto comunque aperto nonostante gli interventi con cui la Consulta (C. Cost. n. 235/2014 ed C. Cost., ord., n. 242/2015) aveva avallato l'impostazione sottesa al codice delle assicurazioni ed alle riforme del 2012, specie in tema di lesioni di lieve entità. Viene così definitivamente confermato (meglio dire: sancito) il principio – esteso a tutto il campo del danno non patrimoniale da sinistro stradale - secondo il quale le regole di risarcimento devono tener conto tanto del diritto del danneggiato ad un risarcimento satisfattivo quanto della necessità di trovare una misura (dopo tutto, comunque convenzionale) che soddisfi le esigenze di tenuta (anche assicurativa) del sistema. Solo in quest'ottica - di bilanciamento e contemperamento di tutti gli interessi coinvolti - può comprendersi perché i criteri di ristoro del danno non patrimoniale alla persona incontrano, qui, delle regole contenitive che i sinistri così detti di diritto comune non conoscono.

Il consolidamento dell'idea che all'obbligo assicurativo corrisponda un sottosistema della responsabilità autonomo e governato da regole proprie, in qualche modo influenzate proprio dalla necessità della stampella assicurativa, costituisce dunque, e certamente, uno dei trademark della nuova legge sulla concorrenza.

Il che non va letto come segno di ossequio ai poteri forti del comparto assicurativo, dovendo invece esser considerato in rapporto di correlazione, bilanciamento e – diremmo - financo di corrispettività rispetto alle altre innovazioni normative introdotte nel campo della rc auto. Ci riferiamo all'imposizione di nuove regole di condotta (nella costruzione del prodotto assicurativo e della sua tariffa) pregne, per le imprese assicurative, di vincoli ed oneri niente affatto trascurabili, a completamento di quadro ordinamentale già di per sé orientato alla miglior protezione bilaterale dei (potenziali) terzi danneggiati e della collettività tenuta ad assolvere l'obbligo di assicurarsi.

Tal premessa è dunque essenziale, per comprendere gli impatti specifici della nuova legge di riforma sulla disciplina del risarcimento del danno da lesioni di lieve entità. Ma di per sé sola, non basta. La rivisitazione dell'art. 139 (o meglio la sua sostituzione con la versione riformulata della disposizione) non può non essere letta in sincrono con la contestuale riforma dell'art. 138, anch'esso oggetto di sostituzione. Certo, è soprattutto quest'ultima norma a portar con sé alcune sostanziali differenze rispetto alla disciplina previgente; ma i principi guidanti espressi nella nuova formulazione dell'art. 138 valgono ad uniformare sotto una medesima ratio l'intera disciplina del danno non patrimoniale da sinistro stradale.; si pensi, ad esempio, al fatto stesso che la rubrica di entrambe le disposizioni cambia, modellandosi proprio attorno alla nozione, omnicomprensiva ed unitaria, di danno non patrimoniale per lesione (in luogo di danno biologico), enfatizzando l'adesione all'impostazione seguita dalle Sezioni Unite nelle note sentenze gemelle del 2008 (v. M. HAZAN, Liberalizzazioni assicurative e riforma della rc auto, in Ridare.it).

Il fatto poi che rispetto l'impianto previgente dell'art. 139 la novella non muti di molto, eccezion fatta per pochi (sia pur cardinali) passaggi si giustifica in funzione del fatto che la disciplina delle lesioni lievi – stante il citato avallo della Consulta – richiedeva, più che una franca rivisitazione, una semplice chiarificazione, onde tacitare i contasti alimentati da una dottrina e da una giurisprudenza piuttosto resilienti (Cass. civ., n. 18773/2016 e, su questa rivista, M. BONA, Il diritto al risarcimento integrale dei danni alle persona: il suo fondamento costituzionale nella giurisprudenza della Consulta; M.BONA, Danno non patrimoniale: risposte semplici ai soliti dilemmi, in Ridare.it).

Prima di passare alla disamina delle reali novità del 139 (sul cui generale assetto si suggerisce di leggere il completo affresco ricostruttivo/interpretativo di D.SPERA, Liquidazione danno biologico per lesioni micropermanenti, in Ridare.it), ci sia dunque concesso di guardare alla riforma in modo più globale, ripercorrendo velocemente le novità di cui all'art. 138.

Un percorso a ritroso: i principi portanti della nuova disciplina di legge, per come recepiti nell'art. 138 cod. ass.

Forse anche sulla spinta della legge Gelli (che estende l'ambito di applicazione degli artt. 138 e 139 alla materia della rc sanitaria), la legge sulla concorrenza torna sull'art. 138 dando il via all'effettivo percorso di predisposizione della tanto agognata tabella unica nazionale dei valori puntuali di liquidazione delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti (tabella demandata ad un d.P.R. da adottare entro centoventi giorni, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della giustizia).

Ma prima ancora di “lanciare” la nuova tabella, il nuovo art. 138 si apre con una dichiarazione programmatica di straordinaria importanza, a mente della quale la finalità del metodo tabellare è diretta:

- «da un lato a garantire il diritto delle vittime dei sinistri a un pieno risarcimento del danno non patrimoniale effettivamente subìto;

- dall'altro a razionalizzare i costi gravanti sul sistema assicurativo e sui consumatori…» .

In altri termini: se da un lato deve – sì – esser garantito il pieno risarcimento del danno alla persona, dall'altro non si deve lasciar mano eccessivamente libera al giudicante né, soprattutto, potranno ancora vivere quelle anarchie liquidative incompatibili con l'esigenza di consentire all'assicuratore di assumere la copertura dei rischi a condizioni di premio sostenibili per il mercato e per gli assicurati. Il che equivale a dire che, sotto traccia, vive l'idea di una sorta di accettazione implicita di un rischio connaturato al sistema: accettazione che rende ben giustificabile (non certo l'esenzione da qualsiasi responsabilità risarcitoria) una sorta di patto sociale teso a far sì che il livello dei risarcimenti sia contenuto entro limiti tali da risultar sostenibili, e quindi coperti dal sistema assicurativo a condizioni di premio accessibili in concreto. Il pensiero corre, all'evidenza, alle indicazioni già rese dalla Consulta (ed anche dalla Cassazione, a far tempo dalla sentenza Cass. civ., n. 12408/2010) a proposito della (medesima) ratio sistematica sottesa all'art. 139 cod. ass.

In particolare, merita di esser ricordato il percorso argomentativo tracciato dalla celebre C. Cost. n. 235/2014, per giungere ad affermare la piena e perfetta legittimità costituzionale dell'art. 139 cod. ass. (e dei relativi limiti risarcitori); secondo tale pronuncia, infatti:

- l'art. 139 cod. ass. non esclude il risarcimento del danno morale, ed anzi lo ammette, sia pur entro il limite della personalizzazione del 20%;

- il bilanciamento tra i diritti inviolabili della persona e il dovere di solidarietà (di cui, rispettivamente, al primo e secondo comma dell'art. 2 Cost.) ammette la non risarcibilità dei danni da lesioni che non superino il "livello di tollerabilità" che ogni persona, inserita nel complesso contesto sociale, deve accettare;

- a tale bilanciamento non si sottraggono neppure i diritti della persona, dovendosi operare una valutazione di “sistema” non isolata dai valori coinvolti dalle norme di volta in volta scrutinate;

- il diritto all'integralità del risarcimento del danno alla persona non costituisce un valore assoluto e intangibile, bensì controbilanciabile, con ragionevolezza, da altri valori;

- il sistema vigente della rc auto, in quanto obbligatoriamente assicurato, persegue anche fini solidaristici e postula che l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato si misuri con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi;

- il meccanismo legale standardizzato di quantificazione del danno lascia, comunque, al giudice uno spazio di personalizzazione del risarcimento (in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato) il cui limite, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti, risulta ragionevole e non censurabile.

Ora, ai tempi della pronunzia della Consulta, il problema che si poneva, per le lesioni più gravi, era correlato alla difficoltà di poter replicare, tout court, i medesimi ragionamenti, specie in relazione all'impossibilità di riferirsi al criterio della “tollerabilità” in un campo in cui doveva per definizione escludersi la lievità della lesione. Ecco dunque che anche dopo quella sentenza vi era chi riteneva del tutto inapplicabile, alle ipotesi di danno macro permanente, la regola del tetto massimo di personalizzazione del danno tabellare: il potere equitativo del giudice doveva, qui, ritenersi dilatabile ad libitum (in presenza di prova, si intende) ogni qualvolta la serietà della lesione sottendesse un danno morale esorbitante, rispetto al limite della maggiorazione di legge (del 30%). Peraltro, dopo aver così rotondamente avallato l'art. 139, la Consulta non prendeva posizione – né avrebbe potuto farlo (eccedendo l'ambito del tema devolutole) – sulla pari tenuta costituzionale dell'art. 138. Anzi, a voler ben vedere, giustificava più di un dubbio sulla reiterabilità di un medesimo argomentare anche per le lesioni di più grave entità; secondo la Corte, infatti, “l'introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno» era attinente al solo specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità e quindi alle «conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza medica in relazione ai primi (nove) gradi della tabella». Vi era dunque da chiedersi se a partire dal decimo grado, ed a salire, quelle esigenze sistematiche di certezza, e di solidale tolleranza, venissero meno. E se quindi l'art. 138 cod. ass. (la cui diversa formulazione letterale rispetto all'art. 139, quanto ai criteri di personalizzazione, giustifica il dubbio) consentisse al giudice di sottrarsi a qualsiasi limite o, comunque, di liquidare eventuali poste di danno morale in aggiunta, e non entro, i limiti di personalizzazione stabiliti dalla norma.

Rilevava, sul punto, l'importante filone giurisprudenziale avviato dalla nota sentenza 9 giugno 2015, n. 11851 (più di recente, Cass. civ., 27 agosto 2015, n. 17209; Cass. civ., 13 gennaio 2016 n. 339 e, in questa rivista M.BONA, op. cit.) che evidenziava come la motivazione della Consulta avesse segnato un confine strutturale, ed una netta cesura tra i diversi campi di inferenza dell'art. 139 e dell'art. 138 cod. ass. Ecco, dunque, che a partire dal decimo grado, ed a salire, quelle esigenze sistematiche (di solidale tolleranza e di contenimento dei premi assicurativi), sembravano poter venire meno, consentendo il superamento dei barrages liquidativi ammessi per le lesioni di portata inferiore. Il quadro finale che, secondo quella giurisprudenza, poteva ricavarsi era dunque il seguente:

- per le lesioni di lieve entità da sinistro stradale (e da responsabilità sanitaria) le componenti di danno morale od esistenziale, autonomamente valorizzabili rispetto al danno biologico “standard”, potevano essere oggetto di separata liquidazione – se e in quanto provate – entro il tetto massimo di personalizzazione complessiva (20%) previsto dall'art. 139 cod. ass., e non oltre, attese le indicazioni (non equivocabili) della Consulta;

- per le lesioni di non lieve entità (superiori al 9%) da sinistro stradale (e da responsabilità sanitaria), il limite massimo di personalizzazione (30%) previsto dall'art. 138 cod. ass. riguardava le sole componenti di danno di tipo dinamico relazionale; non invece quelle di danno morale le quali, ove esistenti e provate, avrebbero potuto essere oggetto di autonoma valorizzazione aggiuntiva.

A giustificazione letterale, oltre che semantica, di tali conclusioni, vi era poi la presa d'atto della diversa formulazione testuale dei due articoli, proprio nella parte relativa alla ulteriore personalizzazione dei risarcimenti, in aggiunta alle liquidazioni tabellari Più precisamente, ai sensi dell'art. 138, comma 3: «Qualora la menomazione accertata (ndr: di non lieve entità) incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico relazionali personali, l'ammontare del danno determinato ai sensi della tabella unica nazionale può essere aumentato dal giudice sino al trenta per cento, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato».

In modo non speculare, il comma 3 dell'art. 139 prevedeva che: «L'ammontare del danno biologico (ndr: da lesione di lieve entità) liquidato ai sensi del comma 1 può essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato».

Su tali premesse si innesta dunque l'intervento di riforma, seguendo una direzione ferma e ben leggibile, proprio e soprattutto su tema dei limiti della personalizzazione equitativa della liquidazione del danno non patrimoniale.

L'indicazione, invero, non pare equivocabile: le esigenze di uniformità e prevedibilità del danno risarcibile – coessenziali al buon funzionamento del sistema assicurato – non possono essere abdicate nemmeno nel settore delle lesioni più gravi. Così come per le menomazioni di più lieve entità, il quadro delle potenzialità risarcitorie connesse a ciascuna singola invalidità viene perciò esplicitamente ricondotto entro una forbice massima (qui contenuta entro il limite del 30% anziché del 20%) non superabile, in nessun caso, dal Giudicante. Tale principio, seguendo un singolare percorso a ritroso, viene dunque francamente importato - nella nuova versione dell'art. 138 - dal campo delle lesioni lievi (dove già era stato affermato dalla Giurisprudenza Costituzionale e di legittimità). E ciò in forza di una formula stesa in claris, ed in termini identici, in entrambe le disposizioni: a mente del quarto comma dell'art. 138, infatti: «L'ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno conseguente alle lesioni fisiche».

Analogamente dispone la parte finale del comma 3 dell'art. 139, secondo la cui previsione dispone che: «L'ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche».

Non crediamo debba accordarsi particolare rilevanza al fatto che, quanto all'art. 138, manchi la qualificazione non patrimoniale del danno, non essendo ipotizzabile che tale emissione abbia il senso di estendere la limitazione ad ogni conseguenza dannosa (anche patrimoniale….) del sinistro.

Ecco dunque che il potere equitativo del giudice viene definitivamente contenuto entro e non oltre il tetto prefissato dal legislatore, quale che sia la gravità della lesione.

Il che non significa che le indicazioni rese da quella Giurisprudenza che abbiano già definito come “resiliente” (il riferimento è a Cass. civ., n. 11851/2015) non siano state prese in considerazione. L'impatto del componenti morali del danno, ritenuto dal legislatore così come dalla Suprema Corte, certamente più consistente nei danni di grave entità, trova infatti spazio non già nella componente personalizzata ma già direttamente all'interno della tabella standard dei punti di base.

Ed invero, ai sensi dell'art. 138 lettera e) del comma 2: «[…] al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione».

La versione riformata dell'art. 138 integra dunque – e all'evidenza - un neppur velato omaggio alla Tabella unica stilata dall'Osservatorio per la Giustizia civile del Tribunale di Milano, la cui vocazione nazionale è stata affermata a più riprese dalla Suprema Corte (e qui, credo, stia il senso di quel che la norma precisa circa la necessità, per l'estensore della nuova tabella unica, di riferirsi anche allo stato della giurisprudenza “consolidata”). Ciò, comunque, non obnubila totalmente la differenza di regime tra lesioni gravi da circolazione stradale e lesioni gravi di diritto comune: differenza che si ritrova, tutta, nel citato limite massimo di personalizzazione. Una personalizzazione che – e qui sta la differenza, che vedremo tra breve, rispetto all'art. 139 – sembra non riguardare le sofferenze morali (ricomprese all'interno del valore del punto base) risultando invece limitata ai casi in cui la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico relazionali personali.

Il nuovo articolo del codice delle assicurazioni: tratti salienti

Per approdare all'art. 139 era dunque necessario partire dall'impianto generale della riforma, qui intervenuta non a macchia di leopardo, come invece è accaduto per buona parte della rimanente disciplina della rc auto, bensì attraverso una sincronica e piena sostituzione del precedente binomio codicistico con la nuova versione degli artt. 138 e 139.

E così, per comprendere le differenze di impianto tra le due discipline, occorreva dar conto, anzitutto (sia pur per cenni), della novella in tema di menomazioni gravi.

Ciò detto, è facile osservare come, a differenza che per l'art. 138, nel campo delle lesioni lievi l'intervento riformista è assai più blando, eccezion fatta per quel che riguarda la questione – che vedremo nel paragrafo successivo - relativa agli accertamenti clinico strumentali ed obiettivi della lesione.

In effetti, l'esigenza di un grande intervento di revisione non poteva esser sentita, anche in considerazione del fatto che la struttura originaria dell'art. 139 cod. ass. aveva già incontrato il disco verde della Consulta.

Poche dunque le novità, rispetto a quanto già poteva desumersi dalla lettura costituzionalmente orientata della previgente versione della norma.

Ciò che rileva è, lo abbiamo detto, soprattutto l'affermazione – ormai davvero non equivocabile – dell'insuperabilità del tetto massimo di personalizzazione del danno di lieve entità. Riprendiamo, dunque, per comodità del lettore il nuovo comma 3 dell'art. 139, secondo il quale: «Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella di cui al comma 4, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 per cento. L'ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche».

Come abbiamo avuto modo di dire, per le lesioni lievi il danno morale (a differenza di quanto previsto dall'art. 138) non fa parte intrinseca della tabella, trattandosi di sofferenze psico-fisiche normalmente più contenute rispetto a quelle che accompagnano le lesioni più gravi (e in quanto tali da far ritenere assorbita nel biologico ogni componente sofferenziale, anche al di là di quella dinamico relazionale intrinsecamente compresa nella stessa definizione di danno biologico). L'argomento, certo, sconta una ontologica debolezza, correlata alla scelta, francamente convenzionale, di porre al 9% il limite delle lesioni lieve entità: limite, tale ultimo piuttosto opinabile, dal momento che esistono in letteratura lesioni che, prossime a quel valore di soglia, ben poco si differenziano, quanto a impatto sofferenziale, da altre che invece ricadono nell'ambito delle macro invalidità.

Ad ogni buon conto, qui il danno morale, esattamente come in precedenza (dopo la citata sentenza C.Cost. n. 235/2014) rientra, unitamente alle componenti dinamico/relazionali, nel solo ambito dell'eventuale personalizzazione ulteriore, effettuabile dal giudice in funzione delle condizioni soggettive del danneggiato ed entro il tetto massimo del 20%.

Cosa poi debba intendersi per “danno morale” (a differenza del danno dinamico relazionale, quali sotto categorie della nozione unitaria di danno non patrimoniale) è questione, da tempo, difficilmente afferrabile in concreto: un riferimento semantico di qualche interesse sta, peraltro, proprio nella formulazione del nuovo art. 139, comma 3, nella parte in cui separa - sottilmente - gli aspetti dinamico relazionali personali (afferenti, riteniamo, alla sofferenza indotta dal “non poter più fare” od al non potersi più relazionare socialmente come in epoca precedente al sinistro) da quelli attinenti tout court ad una sofferenza psicofisica non correlata alla compromissione dinamico relazionale bensì allo stato patologico in sé e per sé considerato (si pensi, anzitutto, alle sofferenze fisiche indotte dal dolore). Il complesso problema di perimetrazione delle due distinte (sub) ipotesi, entrambe da sussumersi nella più ampia categoria della sofferenza da lesione, si pone, tuttavia, in termini completamente diversi nell'art. 138, rispetto al 139.

Nella seconda fattispecie, quella dedicata alle lesioni di lieve entità, la questione ricade sul danneggiato, complicando l'onere probatorio che lo stesso dovrà assolvere onde ottenere la personalizzazione del danno (riferita, appunto, tanto agli aspetti dinamico relazionali quanto a quelli più strettamente morali).

Per quel che invece attiene alle menomazioni più gravi, il compito par demandato all'estensore delle tabelle, che – nel costruirle - dovrà ponderare (come forse è giusto che sia) la particolare incidenza delle sofferenze psicofisiche intrinsecamente connaturate alle lesioni di più grave entità. Nel campo delle lesioni più lievi, peraltro, può accadere che la componente sofferenziale correlata al dolore od al disagio arrecato dalla lesione – pur normalmente modesta – sia in determinati casi, anche se di breve periodo, particolarmente intensa, e ciò anche laddove gli esiti permanenti si rivelino, alla fine del percorso riabilitativo, davvero lievi. Il che qui giustifica forse la possibilità di non includerle nella tabella di base e di considerarla separatamente, nell'ambito della successiva- e soltanto eventuale – personalizzazione.

Quanto al tema probatorio, l'inciso “documentati e obiettivamente accertati”, quale requisito necessario alla personalizzazione, pone qualche problema interpretativo.

Precisa infatti l'art. 139 che tale personalizzazione è ammessa qualora la lesione incida su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità. Al riguardo la migliore dottrina (v. D.SPERA, op. cit. in Ridare.it) qualora infatti si interpretasse la congiunzione “e” nel senso di necessaria compresenza dei due requisiti (prova documentale ed obiettivo accertamento), la norma sarebbe “certamente incostituzionale perché lesiva del diritto di difesa ex art. 24 Cost., impedendo o rendendo ingiustificatamente ardua la prova del diritto alla liquidazione del maggior danno: gli «aspetti dinamico- relazionali personali» comprovati dai testimoni e pregiudicati dalla menomazione (come eventualmente acclarato nel nesso di causa anche dal CTU) sono “obiettivamente accertati”, ma non “documentati” (v. D.SPERA, op. cit.). La norma andrebbe dunque letta al filtro di un'interpretazione costituzionalmente orientata, consentendo al danneggiato di fornire la prova anche non documentale – e quindi anche presuntiva e mediante testimoni - della propria particolare compromissione relazionale. Il supporto documentale potrà (forse) esser imposto soltanto nei casi in cui la sfera di attività lesa debba esser sostenuta dalla prova dell'esistenza di determinati rapporti a loro volta documentalmente stigmatizzati (per esempio di associazione ad un ente sportivo dilettantistico). Qui, prima ancora di provare per testi l'intensità del disagio indotto dall'impossibilità di proseguire quell'attività, dovrà forse esser obbligatoriamente allegata idonea documentazione a sostegno della precedente adesione all'associazione. Ed in tal senso può forse rilevarsi che gli aspetti stricto sensu sofferenziali (e quindi sostanzialmente intimi) non sono in alcun modo sottoposti al vincolo documentale, a differenza delle componenti più strettamente dinamico relazionali (queste ultime intrinsecamente correlate ad un cambio delle abitudini di vita ad evidenza non intimistica ma obiettiva e, in quanto tale, probabilmente sempre documentale). Osservazione, tale ultima, che può a fortiori replicarsi per quel che attiene alla personalizzazione prevista dall'art. 138, esclusivamente riferita alla componenti dinamico relazionali.

Segue. La nuova disciplina degli accertamenti clinico, strumentali e obiettivi

Il vero punto di svolta della riforma, nel settore delle lesioni lievi, risiede peraltro altrove, e cioè nel definitivo chiarimento della portata del combinato disposto degli artt. 32 commi 3-ter e 3-quater d.l. n.1/2012. Anche qui si chiude un dibattito annoso, in modo definitivo: non vi sono più dubbi, infatti, (o almeno così mi sento di poter dire..) sul fatto che il risarcimento del danno biologico permanente di lieve entità sia subordinato all'accertamento strumentale della lesione. In assenza di riscontri “clinico strumentali obiettivi” quel danno non potrà più, dunque, essere risarcito (salvo si tratti di lesioni visivamente verificabili, quali quelle comprovate da esiti cicatriziali).

Un minimo recap della questione può, per comodità di lettura, essere opportuno.

È noto come nella sua versione originaria l'art. 139 cod. ass., pur votato a realizzare un equo contemperamento tra le esigenze della collettività assicurata e quello dei singoli danneggiati (da lesioni lievi….), non riuscisse affatto a porre un freno al proliferare di richieste risarcitorie da distorsione del rachide cervicale (o da altre consimili fattispecie) sovente non obiettivabili in concreto e quindi liquidate sulla base di mere soggettività riferite in sede di pronto soccorso. Il fenomeno, era – ed è – considerato socialmente insidioso e tale da stimolare riprovevoli atteggiamenti speculativi o, peggio, fraudolenti. Ecco dunque perché - proprio dall'esigenza di rimediare a questa concreta criticità – trovava genesi il celebre binomio normativo costituito dall'art. 32, commi 3-ter e 3-quater, del menzionato d.l. n. 1/2012.

Le disposizioni perseguivano, entrambe, finalità piuttosto esplicite: l'art. 32, comma 3-ter completava la definizione di danno biologico contenuta nell'art. 139 cod. ass. con la precisazione che «In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente».

Il comma 3-quater, invece, disponeva che «Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all'articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l'esistenza della lesione».

Evidente il problema di coordinamento tra le due disposizioni (probabilmente concepite, in origine, sotto forma di emendamenti autonomi ed autosufficienti all'originaria versione del d.l. n. 1/2012); volendo peraltro provare a dar loro una certa coerenza sistematica vi era chi riteneva (e noi tra questi) che il comma 3-quater esprimesse una regola generale applicabile all'intero corpo dell'art. 139 cod. ass. e dunque a qualsiasi lesione di lieve entità, sia essa temporanea o permanente. Più precisamente tale norma, rimanendo esterna al Codice delle assicurazioni private, introduceva una vera e propria condizione di risarcibilità del danno biologico lieve, condizione integrata dal riscontro medico legale dell'accertamento dell'esistenza della lesione.

Quanto invece all'art. 32, comma 3-ter, tale norma - pur precedendo la regola generale di cui al comma successivo - finiva per disegnare un ambito di applicazione più ristretto, calandosi nel comma 2 dell'art. 139 ed affermando l'impossibilità di risarcire danni permanenti che non fossero rigorosamente verificabili sulla scorta di accertamenti medici di tipo clinico strumentale obiettivo (con esclusione perciò delle sintomatologie soggettivamente riferite ma non obiettivamente accertabili). Il che equivaleva a dire, raccordando entrambe le norme, che in nessun caso un danno lieve alla persona, anche se apprezzato in sede di successiva visita medico legale, avrebbe potuto dar luogo al risarcimento per postumi permanenti in mancanza di reperti documentali/strumentali in grado di obiettivare la lesione al momento del sinistro. Viceversa, anche in mancanza di evidenze strumentali, il medico legale potrebbe, nell'ambito dei suoi necessari accertamenti pre liquidativi ed applicando l'usuale criteriologia valutativa, ritenere la sussistenza di postumi invalidanti temporanei.

Ora, come ben noto a chi pratichi il settore, una innovazione di tale portata incontrò soverchie critiche, specie tra coloro i quali ritenevano che la nuova normativa esasperasse in modo inaccettabile i già ampi limiti connaturati all'originaria disciplina del 139 cod. ass. Di qui, dunque, diversi tentativi di demolizione ermeneutica della disposizione: alcuni commentatori (M. ROSSETTI, Le nuove regole sull'accertamento del danno da lesione di lieve entità: pro li giuridici, in www.dirittoassicurativo.it) hanno ritenuto che le norme avessero mera valenza esortativa e risultassero, in quanto tali, prive di reale portata precettiva e finalizzate a fungere da semplice monito agli operatori del settore a valutare le lesioni con la necessaria obiettività ed il giusto rigore. D'altro canto, l'utilizzo del lemma “visivamente” all'interno del comma 3-ter e 3-quater evocava, secondo tal scuola di pensiero, la piena riaffermazione di un potere accertativo fondato sulle leges artis della medicina legale, anche in assenza di, ed a prescindere da, accertamenti strumentali.

Ovvio che una tale impostazione, tesa a decolorare il significato di norme (tutt'al contrario) pregne di uno straordinario significato precettivo, scontasse una certa debolezza, Di qui la diversa via seguita da coloro i quali, pur prendendo atto dei contenuti innovativi (e certamente sostanzialistici e limitativi) della riforma, tentarono di arginarne gli effetti invocandone la contrarietà alla Carta Costituzionale; ciò soprattutto con riferimento alla pretesa violazione degli artt. 3, 24 e 32 della Costituzione ed in relazione al sostanziale annichilimento del diritto al risarcimento di danni lievi che, pur ordinariamente valorizzabili in forza di criteri di accertamento non necessariamente strumentali, non incontrerebbero (immotivatamente) tutela – nel settore della rc auto - laddove non supportati da riscontri diagnostici strumentali.

Ed in effetti la Corte Costituzionale è intervenuta con la più volte citata sentenza n. 235 del 16 ottobre 2014 e, soprattutto, con la successiva ordinanza del 21 ottobre 2015, n. 242: quest'ultima in particolare era davvero esplicita tanto nell'escludere che la "necessità" del riscontro strumentale sia riferibile al danno temporaneo “quanto nel ritenere “non censurabile la prescrizione della (ulteriore e necessaria) diagnostica strumentale ai fini della ricollegabilità di un danno ‘permanente' alle microlesioni di che trattasi”. costituzionale, in funzione del superiore bilanciamento degli interessi (solidaristici e propri del sistema assicurativo della rc auto) che la presidia.

Sennonché, pur a fronte di cotanta autorevolezza, i tentativi di obnubilare il limite degli accertamenti strumentali continuavano a cercar appigli attorno ai quali, un po' disperatamente, ancorarsi. A tal proposito, ed in guisa di autentico colpo di coda, va ricordato il rigurgito conflittuale alimentato da una pronunzia di Cassazione (Cass. civ., n. 18773/2016 e, a tal proposito v. M.BONA, op.cit.) assurta ad una insospettabile ribalta, a dispetto del suo davvero modesto contenuto sostanziale e litigioso. Così, traendo le mosse da uno sbrigativo passo della sentenza, steso in forma di obiter, ha ritrovato linfa la teoria secondo la quale entrambe le disposizioni (commi 3-ter e 3-quater) non avrebbero comportato alcuna novità né imposto alcun barrage istruttorio, essendosi invece limitate ad affermare una regola – quella dell‘obiettività nell'accertamento della lesione – già immanente al sistema e niente affatto vincolata dall'esistenza di adeguati presidi strumentali. Per tradurre il tutto in termini di maggior operatività, una tal tesi avrebbe dunque riportato in auge lo status quo ante, confermando che per anche postumi permanenti (ad esempio, da “colpo di frusta”, per rimanere nell'ambito delle casistiche che le disposizioni in oggetto volevano “contenere”) il medico legale non sarebbe affatto tenuto a verificare preliminarmente l'esistenza di accertamenti strumentali (in assenza dei quali nessun postumo permanente potrebbe esser dichiarato), rimanendo invece libero di affidarsi ad uno qualsiasi dei criteri alternativi, purché “conducenti ad un obiettività dell'accertamento stesso”.

Per quanto non esprimesse certo, da un punto di vista contenutistico e strutturale, un precedente davvero significativo, la sentenza Cass. civ., n. 18773/2016 ha finito dunque per costituire il nuovo pretesto in base al quale provare ad uscire dall'angolo in cui la Corte Costituzionale aveva relegato la vicenda dei colpi di frusta.

Era dunque ancora viva, e sentita, al tempo della più recente elaborazione del d.d.l. concorrenza, la necessità, ben comprensibile, di chiudere il cerchio e rimuovere ogni dubbio anche su questo aspetto, il cui potenziale impatto sul contenzioso (e sui costi generali) della rc auto era davvero non trascurabile.

È in questo contesto che ha trovato dunque genesi una delle più significative novità della versione riformata dell'art. 139 cod. ass. Una novità alla quale fa opportunamente da contraltare la contestuale abrogazione, con la legge sulla concorrenza, dell'art. 32 comma 3-quater del d.l. n. 1/2012.

Il nuovo comma 2 dell'art. 139 termina, invero, con la seguente perentoria chiosa: «In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l'ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente».

A fugare ogni dubbio, ed a demolire ogni pretestuosa deriva interpretativa (quale quella propugnata debolmente dalla Cassazione nel precedente di cui si è detto) la legge di riforma ribadisce a chiare lettere l'esistenza di un vero e proprio barrage risarcitorio, costituito dagli accertamenti clinico strumentali obiettivi; correlativamente si ha cura di escludere qualsiasi tentativo di parificar loro i diversi accertamenti visivi. In modo più coerente e coordinato rispetto al passato, i riscontri visivi vengono, invero, riportati entro il loro alveo – naturale e piuttosto scontato – di appartenenza: quello in cui l'autoevidenza della lesione (ad esempio distacco di una falange, cicatrice, perdita di un dente) rende del tutto superfluo l'accertamento strumentale, che nulla aggiungerebbe alla ricostruzione clinica e medico legale del caso.

A parere di chi scrive, peraltro, non si tratta di una autentica novità, perché ad analoghe considerazioni si poteva pervenire già prima, attraverso un'interpretazione razionale del testo di legge previgente. Si tratta dunque di una riforma avente carattere sostanzialmente chiarificatorio ed interpretativo, oltre che sistematico. E dunque non si ritiene che la nuova disposizione introduca una disciplina diversa rispetto al passato, con tutto ciò che ne conseguirebbe in ordine al regime temporale di applicazione del nuovo art. 139. Ciò, comunque, non attutisce l'importanza della novella, ponendo fine, come detto, a letture normative tendenziose, speculative e distorte, oggi precluse dall'abrogazione dell'art. 32, comma 3-quater e dalla ben circoscritta specificazione di cosa debba intendersi per accertamento “visivo” .

Rimane certamente sullo sfondo il dubbio circa la tenuta costituzionale della norma, (e già della riforma del 2012), non tanto per i profili già sottoposti all'attenzione della Consulta, quanto nella parte in cui potrebbe riguardare lesioni di una certa gravità – pur contenute entro la soglia del 9% - e ciò nonostante non obiettivabili strumentalmente. Si tratta, anzitutto, di una questione assoggettata ad una verifica di stampo medico legale: laddove consimili ipotesi si ponessero in concreto (e non è questa la sede per approfondire il tema) il principio di tolleranza espresso dall'art. 2 Cost. e fatto proprio dalle Sezioni Unite dell'11 novembre 2008 non potrebbe più trovar applicazione, né giustificare il vincolo di legge, innanzi a lesioni di sicura consistenza e rilevanza.

In chiusura rimane da ricordare come la disciplina codicistica in tema di risarcimento del danno non patrimoniale trovi oggi applicazione nel secondo grande modello di responsabilità obbligatoriamente assicurata: quello della responsabilità sanitaria, in relazione al quale la legge 24/2017 (art. 7 comma 4) ribadisce quanto già in precedenza affermato dal d.l Balduzzi e cioè che «Il danno conseguente all'attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell'esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo».

Tale rinvio non è dei più chiari, non essendo agevole comprendere a cosa si riferisca il richiamo alla procedura di cui al comma 1 dell'art. 138 (previgente). Forse al fatto che, all'epoca della approvazione della legge Gelli le tabelle del macro danno non avessero ancora (come ancora non hanno…) visto la luce. Il più ampio riferimento testuale «ai criteri di cui ai citati articoli» (138 e 139) consente – o almeno così mi pare - infine di fugare favorevolmente il dubbio da taluni sollevato a proposito della possibilità, o meno, di applicare al campo sanitario l'intero corpo normativo (comprensivo dei limiti di personalizzazione) e non solo i riferimenti statici tabellari.

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