La responsabilità civile e penale da insidia stradale alla luce della riforma sull'omicidio stradale

26 Agosto 2016

L'introduzione della nuova ipotesi autonoma di delitto di omicidio stradale è stata l'occasione per dare un più esplicito fondamento normativo alla responsabilità civile e penale dell'Ente proprietario/gestore della Strada. La Circolare del 25 marzo 2016, n. 300 del Ministero dell'Interno conferma questa interpretazione, del resto già avallata da tempo dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità.
Il Quadro normativo relativo all'omicidio stradale (L. 23 marzo 2016 n. 41)

La nuova fattispecie di reato inerente l'omicidio stradale (unitamente a quella inerente le lesioni stradali: artt. 589-bis e 590-bis c.p.) rappresenta per un verso il risultato di un iter legislativo estremamente lungo e complesso; per altro verso rappresenta una novità che ha suscitato numerose prese di posizione (a volte anche critiche) da parte di giuristi, operatori del Codice della strada e cittadini comuni.

Non è questa la sede per esaminare le rilevanti novità (e perplessità giuridiche) che i nuovi reati hanno sollevato. È facile prevedere che sia la Corte Costituzionale sia la Corte di legittimità saranno presto investite delle predette questioni.

Il presente Focus, invece, è concentrato sul riflesso che la novella del codice penale potrebbe comportare sulla vexata quaestio della responsabilità derivante dalle così dette insidie stradali.

La definizione di insidia stradale

La definizione di insidia stradale (in alcune pronunce chiamata anche «trabocchetto») trova la sua origine, non in una fonte normativa, ma nell'elaborazione giurisprudenziale e dottrinale. Tale definizione è sostanzialmente rimasta stabile nei decenni e può considerarsi ormai consolidata: sono «insidie stradali tutte quelle fonti di pericolo che non sarebbe possibile evitare con il normale uso della diligenza. È proprio questa definizione che fa sorgere l'obbligo in capo all'Ente proprietario/gestore della strada di eliminare le predette fonti di pericolo o – quando ciò non sia tempestivamente possibile – di apprestare le segnalazioni, le protezioni, i ripari o le cautele opportune e adeguate(Cfr. Cass. pen., sez. IV, sent., 18 maggio 2005 - 19 agosto 2005, n. 31302).

Recentemente la giurisprudenza di legittimità ha preferito chiarire che «il concetto di insidia stradale non è un concetto giuridico, ma un mero stato di fatto, che, per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità, integra una situazione di pericolo occulto» (Cass. pen., sez. III, sent., 13 luglio 2011, n. 15375).

L'obbligo di manutenzione da parte dell'ente e le relative fonti normative

La circolazione stradale rientra tra quelle attività considerate dall'Ordinamento giuridico come intrinsecamente rischiose e, quindi, fonte di una sorta di responsabilità qualificata (l'art. 2054 c.c. si colloca, infatti, all'interno del Titolo del codice civile dedicato ai fatti illeciti: artt. 2043 - 2059 c.c.).

«In materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, l'art. 2054 c.c. esprime, in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni, e quindi anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale (oneroso o gratuito) …» (Cass. civ., sez. III, sent., 31 ottobre 2005, n. 21115).

A questo principio di carattere generale se ne affianca un altro (ancor più ampio) relativo alla responsabilità derivante dall'essere proprietario o gestore di una strada e dal fatto che tale strada sia destinata ad un uso pubblico: «la Pubblica Amministrazione incontra, nell'esercizio del suo potere discrezionale anche nella vigilanza e controllo dei beni demaniali, limiti derivanti dalle norme di legge e di regolamento, nonché dalle norme tecniche e da quelle di comune prudenza e diligenza, ed, in particolare, dalla norma primaria e fondamentale del “neminem laedere”, in applicazione della quale essa è tenuta a far sì che il bene demaniale non presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile, che dà luogo al cosiddetto trabocchetto o insidia stradale …». (Cass. civ., sez. III, sent., 4 giugno 2004, n. 10654).

L'art. 2 Cod. Strada definisce «strada» «l'area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali (autostrade; strade extraurbane principali e secondarie; strade urbane di scorrimento; strade urbane di quartiere; strade locali; itinerari ciclo pedonali)».

Le norme che impongono all'ente proprietario di una strada aperta al transito pubblico il relativo obbligo di manutenzione (e, conseguentemente, l'obbligo di segnalare i pericoli che l'ente stesso non sia stato in grado di rimuovere) devono essere rinvenute negli artt. 16 e 28 L. 20 marzo 1865, n. 2248, All. F; art. 14, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285. Per i Comuni: art. 5, R.D. 15 novembre 1923, n. 2506).

Lo stato dell'arte antecedente l'entrata in vigore della riforma sull'omicidio stradale

La giurisprudenza che si è andata consolidando su questo argomento non ha proposto significative oscillazioni o mutamenti nel corso dei decenni, dimostrando, altresì, una sostanziale unitarietà di vedute e di interpretazione in sede civile e penale (le prime pronunce in sede civile risalgono alla metà degli anni '60, mentre le prime pronunce di legittimità in sede penale risalgono alla fine degli anni '80).

I predetti principi generali possono essere rinvenuti nelle definizioni già citate di insidia e trabocchetto e nel riferimento al dovere di diligenza dell'utente della strada: «In tema di omicidio colposo a seguito di incidente stradale, affinché le condizioni della strada assumano un'esclusiva efficienza causale dell'evento, è necessario che le sue anomalie assumano i caratteri dell'insidia e del trabocchetto di guisa che per la loro oggettiva invisibilità e la conseguente imprevedibilità, integrino una situazione di pericolo occulto inevitabile con l'uso della normale diligenza; qualora, invece, adottando la normale diligenza che si richiede a colui che usi una strada pubblica, la situazione di pericolo sia conoscibile e superabile, la causazione dell'infortunio non può che fare capo esclusivamente e direttamente a chi non abbia adottato la diligenza imposta» (Cass. pen., sez. IV, sent., 13 giugno 2012 – 6 settembre 2012, n. 34154).

Questa linearità di orientamento è risultata interrotta da una (isolata) pronuncia in sede penale del 2011 con la quale si è affermato che ogni significativa carenza di manutenzione è (sufficiente) fonte di responsabilità (anche quando la fonte di pericolo non sia occulta e, quindi, non costituisca insidia o trabocchetto): «L'incidente stradale causato da omessa o insufficiente manutenzione della strada determina la responsabilità del soggetto incaricato del relativo servizio, il quale risponde penalmente della morte conseguita al sinistro secondo gli ordinari criteri di imputazione della colpa e non solo quando il pericolo determinato dal difetto di manutenzione risulti occulto, configurandosi come insidia o trabocchetto.…». (Cass., sez. IV, sent., 27 ottobre 2011 – 19 dicembre 2011,n.46831).

La responsabilità civile e penale dell'Ente proprietario/gestore della strada dopo l'introduzione del reato di omicidio stradale

Il Ministero dell'Interno (Dipartimento della Pubblica sicurezza – Direzione centrale per la Polizia stradale) ha emanato una Circolare (Circ. n. 300/A/2251/16/124/68 del 25 marzo 2016) rivolta a tutti gli organi di polizia al fine di fornire un primo strumento di interpretazione univoca della L. 23 marzo 2016, n. 41; si tratta della Legge che ha introdotto le nuove figure delittuose dell'omicidio stradale e delle lesioni personali stradali, con conseguente modifica del codice penale ma anche del codice della strada e del codice di procedura penale.

È noto che una Circolare ministeriale non è un atto normativo (né ad esso assimilabile) ed ha un valore esclusivamente interno alla P.A., con una funzione di guida alla comprensione (Cfr. Cass. civ., sez. I, sent. 25 maggio 2015, n. 10739).

L'omicidio stradale riguarda la causazione – a titolo di colpa – della morte di una persona con violazione delle regole di condotta previste per la circolazione stradale («chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni»).

Si osservi che la Circolare (forse per l'urgenza di fornire «le prime indicazioni operative» relative alle due nuove fattispecie di reato) fa riferimento, in prima battuta, esclusivamente alla «colpa … del conducente o di altro utente della strada la cui condotta imprudente costituisca causa dell'evento mortale».

Questa prima affermazione, successivamente corretta ed integrata dalla stessa Circolare, potrebbe risultare fuorviante sotto due distinti profili:

1) il fatto che la colpa possa essere costituita, esclusivamente, da una condotta «imprudente» (quando, invece, la definizione di colpa contenuta nell'art. 2043 c.c. è certamente più ampia e riguarda anche i casi di inosservanza delle regole ed i casi di imperizia);

2) il fatto che l'autore del reato colposo possa essere, esclusivamente, «il conducente o altro utente della strada» (invece, come si è visto dalla citazione testuale del nuovo art. 589-bis c.p., il riferimento fatto dalla norma incriminatrice è rivolto a «chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale»).

Queste due imprecisioni vengono, successivamente, “recuperate” nella citata circolare del Ministero dell'Interno in quanto nel paragrafo 1.1 (dedicato all'omicidio stradale non aggravato) si precisa che: «la fattispecie generica di omicidio colposo è costituita da quello commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale … Il reato può essere commesso da chiunque viola le norme che disciplinano la circolazione stradale che sono costituite da quelle del codice della strada e dalle relative disposizioni complementari. In virtù di tale previsione, il reato ricorre in tutti i casi di omicidio che si sono consumati sulle strade, come definite dall'art. 2 comma 1, codice della strada anche se responsabile non è un conducente di veicolo. Infatti le norme del codice della strada disciplinano anche comportamenti posti a tutela della sicurezza stradale relativi alla manutenzione e costruzione delle strade e dei veicoli».

La citata Circolare, quindi, dà atto dell'ampiezza della descrizione della fattispecie («chiunque cagioni la morte con violazione delle regole che disciplinano la circolazione stradale») contenuta nel nuovo art. 589-bis c.p. e raccoglie, evidentemente, «il portato giurisprudenziale relativo all'argomento delle cosiddette “insidie stradali”».

Da questo punto di vista, si può quindi concludere che la Circolare ministeriale conferma che la nuova disciplina sull'omicidio stradale pone una base normativa (e non più solo interpretativa/giurisprudenziale) alla responsabilità penale, oltre che civile, dell'Ente gestore della strada.

La ripartizione dell'onere della prova ed i Soggetti responsabili

Il delicato tema dell'onere probatorio (in materia di responsabilità civile, ovviamente) risponde ai principi generali propri della responsabilità extra contrattuale. Un'efficace sintesi della ripartizione degli oneri probatori è proposta da una recente pronuncia di legittimità: «In tema di responsabilità extracontrattuale, con riferimento al cosiddetto caso di insidia o trabocchetto del manto stradale, in esso ricomprendendosi i pertinenti marciapiedi, la parte danneggiata, in presenza di un fatto storico qualificabile come illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c., ha l'onere della prova degli elementi costitutivi di tale fatto, del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità soggettiva, mentre l'ente pubblico, preposto alla sicurezza dei pedoni e detentore del dovere di vigilanza – tra l'altro – sulla sicurezza dei tombini che possono aprirsi sui marciapiedi, ha l'onere di dimostrare o il concorso di colpa del pedone o la presenza di un caso fortuito che interrompe la relazione di causalità tra l'evento ed il comportamento colposamente omissivo dell'ente stesso». (Cass. civ., sez. III, sent., 11 gennaio 2008, n. 390).

Più complesso e spinoso, al contrario, è l'argomento relativo all'individuazione dei soggetti responsabili dal punto di vista penale (soprattutto per quanto riguarda le strade appartenenti agli Enti locali). In un primo momento la giurisprudenza di legittimità aveva indicato nei vertici politici dell'ente i soggetti potenzialmente responsabili. La successiva entrata in vigore delle riforme (in particolare, il D.lgs.n. 267/2000) che distinguevano tra attività di direzione e controllo politico e attività direzione amministrativa sembrava aver fatto propendere definitivamente per l'interpretazione che individua nei responsabili amministrativi i potenziali destinatari di una responsabilità per gli aspetti penali (oltre che civili).

Alcune recenti pronunce, invece, hanno riproposto l'attualità del tema, se non altro sotto l'aspetto del concorso di responsabilità tra dirigenza amministrativa e organi politici (la Sentenza Cass., sez. IV, sent., n. 36475/2008 indica una responsabilità del sindaco, con delega assessoriale ai lavori pubblici, in concorso con il responsabile dell'ufficio tecnico comunale; analogamente la sentenza Cass. pen., sez. IV, sent., n. 2582/2011 afferma la corresponsabilità del sindaco e dell'assessore che non abbiano adottato provvedimenti urgenti per eliminare situazioni di pericolo della strada, in virtù della loro posizione di garanzia). Il tema delle “posizioni di garanzia” appena richiamato rimanda, inevitabilmente, alla più ampia questione delle deleghe di funzioni (quanto alla legittimità del conferimento, all'effettività dei poteri del delegato e alla loro reale capacità di sollevare il delegante dalle responsabilità).

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