Mediazione: cosa rischia la parte renitente che non aderisce ingiustificatamente?

Luigi Greco
17 Agosto 2017

Le finalità deflattive del contenzioso, perseguite con gli istituti della mediazione, della conciliazione, dell'arbitrato, della negoziazione assistita, sono state soddisfatte solo in minima parte. E ciò per la tendenziale diffidenza nei confronti di tali mezzi cd. alternativi di risoluzione delle controversie, per la percezione distorta dell'Istituto, e per la mancanza di una vera cultura della mediazione che hanno reso necessaria l'obbligatorietà prodromica all'azione giudiziale e la previsione di sanzioni espressamente codificate con finalità deterrente.
Le sanzioni predisposte dal Legislatore

L'art. 8 comma 4-bis del d.lgs. 28/2010 dispone che «Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio».

Le conseguenze della citata disposizione operano nel caso in cui la parte non abbia partecipato sic et simpliciter, non abbia motivato il proprio diniego, ovvero abbia addotto motivazioni ingiustificate: sono, dunque, da considerarsi illegittime tutte quelle condotte contrarie alla ratio legis della mediazione e poste in essere dalle parti al solo scopo di eludere il dettato normativo.

Sulla sanzione ex art. 8, comma 4-bis, d.lgs. 28/2010, si segnala una recente sentenza resa da Trib.Roma, 23 giugno 2016 in un caso di mediazione demandata dal Giudice, afferente un giudizio di responsabilità sanitaria, di condanna dell'assicurazione «al pagamento di una somma pari al contributo unificato attesa l'ingiustificatezza dell'assenza, mentre solo in virtù della mancata soccombenza non viene condannata ex art. 96, comma 3, per una condotta sicuramente censurabile sotto il profilo della mancata ottemperanza all'ordine del giudice di partecipare alla mediazione demandata (cfr. giurisprudenza risalente sul punto, fra le tante Trib. Roma, sent., 17 dicembre 2015 n. 25218)».

L'art. 96 c.p.c., al comma 1, dispone che «Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza».

Sulla sanzione ex art. 96, comma 3, c.p.c., la norma non pone limiti alla sua applicabilità, subordinandola alla valutazione del giudice che dovrà tener conto, con riferimento alla mancata partecipazione al procedimento di mediazione, sia dell'assenza ingiustificata, sia del grado di probabilità del raggiungimento di un accordo in caso di partecipazione (Trib. Roma, sent., 14 luglio 2016). «Il rifiuto deve considerarsi non giustificato sia nel caso di mancanza di qualsiasi dichiarazione della parte sulla ragione del diniego a proseguire il procedimento di mediazione, sia nell'ipotesi in cui la parte deduca motivazioni inconsistenti o non pertinenti rispetto al merito della controversia.» (Trib. Vasto, ord. 23 aprile 2016). Il medesimo Giudice così prosegue: «non potrà – ad esempio – mai costituire giustificato motivo per rifiutarsi di partecipare alla mediazione la convinzione di avere ragione o la mancata condivisione della posizione avversaria, per la evidente contraddittorietà, sul piano logico prima ancora che giuridico, che tale argomentazione sottende, atteso che il presupposto su cui si fonda l'istituto della mediazione è, per l'appunto, che esista una lite in cui ognuno dei contendenti è convinto che egli abbia ragione e che l'altro abbia torto e che il mediatore tenterà di comporre riattivando il dialogo tra le parti e inducendole ad una reciproca comprensione delle rispettive opinioni».

Mancata partecipazione dell'Assicuratore: rischio ponderato o rischio “trascurato”?

Non è un mistero che il contenzioso assicurativo derivante dall'applicazione di una polizza, in particolare quello in materia di RCA, ma anche in tema di medical malpractice, settori nei quali è codificata l'obbligatorietà dell'assicurazione, costituisce una parte importante del contenzioso attualmente pendente dinanzi ai nostri uffici giudiziari.

Per dare l'idea, a fronte di 4.221.949 giudizi pendenti, il numero delle cause solo per la RC auto, ascende a 304.148, pari al 7,20% (Relazione IVASS 15 giugno 2016).

I punti di contatto tra contenzioso assicurativo e mediazione afferiscono ai settori ove le compagnie di assicurazione sono maggiormente impegnate ed economicamente esposte. Nel “sistema” attualmente vigente, per la responsabilità medica e per i contratti assicurativi la mediazione è prevista quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, mentre è volontaria con riguardo alla RC auto dove, se la mediazione non è attivata dalla compagnia (cd. mediazione proattiva), spesso fallisce a causa dell'approccio negativo dell'Assicuratore.

Va sempre più affermandosi l'orientamento secondo cui l'approccio renitente dell'assicuratore verso l'istituto va sanzionato, sia ex art. 8, comma 4-bis del d.lgs. 28/2010 citato, sia anche ex art. 96, comma 3, c.p.c.

La sanzione è diretta conseguenza della tipologia di riscontro che, nella maggioranza dei casi, quando non è addirittura immotivato, viene fornito dall'Assicuratore alla convocazione in mediazione. Generalmente, l'assicuratore abbozza una motivazione al diniego a partecipare, adducendo la mancanza di responsabilità del proprio assicurato. Qualche assicuratore si spinge finanche ad addurre in modo seriale, purtroppo, giustificazioni del tipo: «in qualità di Società Assicuratrice, in merito all'istanza di mediazione n°…., comunichiamo che pur ritenendoci favorevoli all'Istituto, riteniamo di non aderire al procedimento in quanto tentata definizione sulla scorta della CTU, vi è notevole divario tra domanda ed offerta». Anche tale motivo, tuttavia, è ingiustificato per la giurisprudenza di merito che va sempre più affermando che è «viziato da manifesta miopia logico-giuridica…addurre la pretesa ragione contro l'altrui torto per non aderire alla mediazione è un'aporia: se questa fosse infatti una valida ragione per non partecipare al procedimento di mediazione, la mediazione non potrebbe esistere tout court, e comunque mai procedere, posto che alla base della sua ragione d'essere vi è immancabilmente, la divergenza di vedute fra le parti in conflitto, divergenza che è precisamente alla base e causa del conflitto stesso» (secondo Trib. Roma, sent., 14 luglio 2016).

Il principio può considerarsi consolidato. Già Trib. Roma, sez. XIII, 29 maggio 2014, n. 14521 (in Guida al diritto 2014, 24, ins., II (s.m.) con nota di MARINARO) affermava: «in tema di mediazione, non può utilmente invocarsi quale giustificato motivo per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione, l'erroneità della tesi della parte avversa. La ragion d'essere della mediazione si fonda proprio sull'esistenza di un contrato di opinioni, vedute, di volontà, di intenti, di interpretazioni che il mediatore esperto tenta di sciogliere favorendo l'avvicinamento delle posizioni delle parti fino al raggiungimento di un eventuale accordo amichevole».

Ed ancora: «A tutto concedere, solo in un caso (che non è questo) dove fosse di palmare ed eclatante evidenza la infondatezza o in fatto o in diritto o per entrambi i profili, della domanda, si potrebbe ragionevolmente ravvisare una giustificazione della mancata comparizione e non trarne alcuna conseguenza negativa per il soggetto renitente.In ogni altro caso (vale a dire in ogni situazione di res dubia) la volontaria mancanza di indicazioni motivazionali per la non adesione e comparizione nel procedimento di mediazione (ai sensi dell'art. 5.1-bis ovvero comma 1, d. lgs. n. 28/2010) – come pure l'esposizione di motivazione di stile – equivale ad assenza di un giustificato motivo. (Trib. Roma, 14 luglio 2014).

Ma l'Assicuratore che non partecipa alla mediazione è esposto ad ulteriori conseguenze negative?

La risposta a tale domanda è: dipende, dalla presenza o meno del cd. patto di gestione della lite.

Se si considera che nei contratti di assicurazione della RC, il c.d. patto di gestione della lite costituisce una clausola di stile (ROSSETTI, Il diritto delle assicurazioni, Padova 2013), l'assenza ingiustificata al procedimento di mediazione offre un'ulteriore chiave di lettura, e può comportare ulteriori pregiudizi.

Nelle ipotesi in cui tra l'assicurato e l'assicuratore intercorre un patto di gestione della lite, infatti, rileva la c.d. mala gestio dell'assicuratore.

La compagnia di assicurazione che non partecipa ad una mediazione si preclude, per ciò solo, la possibilità di valutare la fondatezza della pretesa risarcitoria del danneggiato e dunque la possibilità della stipula di una conveniente transazione.

Per effetto di tale patto, sorgono diritti ed obblighi a carico delle parti.

A carico dell'assicuratore, il patto di gestione della lite pone l'obbligo di assumere la gestione della lite: l'assicuratore deve necessariamente contemperare i propri interessi con quelli dell'assicurato, al quale è vietato di compiere da sé attività di accertamento, transazione, liquidazione del danno, rendersi parte diligente.

In particolare, è obbligo dell'assicuratore di valutare la fondatezza delle pretese dei danneggiati, provvedendo agli accertamenti che è in grado di compiere con i mezzi a propri disposizione.

Il rifiuto colposo di transigere, cioè quello «ingiustificato alla stregua delle obiettive circostanze di fatto - ad esempio la palese responsabilità dell'assicurato, la obiettiva convenienza del pagamento, il prevedibile esito infausto della lite prodotta dal danneggiato» (cfr. Cass. civ., 6 luglio 1983 n. 4556; Cass. civ., 26 aprile 1983,2871; Cass. civ., 24 marzo 1983, n. 2064 in ROSSETTI, Il diritto delle assicurazioni, op.cit) - integra gli estremi della violazione del patto di gestione della lite.

La mala gestio, dunque, consiste nella trascuratezza, quantomeno colposa, della cura degli interessi dell'assicurato.

La Suprema Corte ha esemplificato i comportamenti: «Deve, invece, una volta a conoscenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, immediatamente attivarsi nei confronti del proprio assicurato, sia dimostrando la propria seria disponibilità a prestare la garanzia dovuta, sia avvertendo l'assicurato - così ha concluso Cass. civ., n. 11597/2004 - che dei maggiori oneri conseguenti al ritardo nella definizione della vertenza risponderebbe (adde: in caso di danno eccedente, in origine o per il decorso del tempo, il massimale contrattuale) lo stesso assicurato» (così Cass. civ., 13 maggio 2008, n. 11908); «Come si desume dal breve termine fissato dall'art. 22 della l. n. 990 del 1969 sull'assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore, l'assicuratore, per non incorrere nella responsabilità per mala gestio deve attivarsi per assumere dati obiettivi (desunti dagli atti processuali o da altri fonti) che consentano di valutare la sussistenza o meno della responsabilità, effettiva o presunta dell'assicurato, nonché la ragionevolezza delle pretese del danneggiato, e, in caso positivo, di provvedere senza ritardo, e, nel caso di mancato tempestivo adempimento della garanzia assicurativa, rimane onerato, in base ai principi di cui all'art. 1218 c.c., della prova della non imputabilità del ritardo» (in tali sensi, Cass. civ. 26 aprile 1999, n. 4156 in Giust. civ. Mass. 1999, 942). Ancora, ROSSETTI (in Giustizia Civile, fasc. 2, 2009, pag. 434, nota a Cass. civ., 13 maggio 2008, n. 11908) valuta «preferibile ritenere che l'obbligo dell'assicuratore di indennizzare l'assicurato sorge non appena, ricevuta la denuncia di sinistro, sia decorso il tempo ordinariamente necessario, alla stregua della diligenza professionale cui l'assicuratore è tenuto, ex art. 1176, comma 2 , c.c., per accertare la sussistenza della responsabilità dell'assicurato e liquidare il danno. Questo termine, se non è fissato nel contratto, dovrà essere stabilito dal giudice caso per caso, ma potrà anche essere fissato all'assicuratore da parte dell'assicurato, attraverso l'intimazione di una diffida ad adempiere, ex art. 1454 c.c.» e dunque, «quel che rileva, per stabilire se vi sia o meno mala gestio, non è se la responsabilità dell'assicurato sia stata accertata giudizialmente, né se il relativo debito sia stato liquidato giudizialmente, ma piuttosto se l'una e l'altro siano accertabili in base agli elementi esistenti e noti, alla stregua dell'ordinaria diligenza» (Il diritto delle assicurazioni, op.cit). In applicazione dei detti principi, la S.C. ha ritenuto che la responsabilità dell'assicuratore per mala gestio non può essere esclusa per il sol fatto che nella denuncia di sinistro l'assicurato abbia fornito una versione dei fatti tale da far escludere la propria responsabilità, occorrendo verificare, alla stregua dei principi di correttezza e di diligenza nell'adempimento delle obbligazioni (artt. 1175 e 1176 c.c.), se l'assicuratore aveva o meno la possibilità in concreto di accertare la rispondenza o meno al vero delle dichiarazioni dell'assicurato in ordine alle modalità del sinistro (Cass. civ., 18 febbraio 1994, n. 1612; Cass. civ., 11 febbraio 2002, n. 1885).

Incorre in mala gestiol'Assicuratore che rifiuti ingiustificatamente di concludere una vantaggiosa transazione con il terzo danneggiato. Il rifiuto è ingiustificato allorquando l'assicuratore ometta una tempestiva risposta alla proposta di transazione proveniente dal terzo (Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1987, n. 5063), ovvero quando la risposta negativa sia fondata su di un motivo non apprezzabile, da valutarsi fino al limite della colpa lieve e la proposta transattiva presentava i caratteri della ragionevolezza e della vantaggiosità (Cass. civ., sez. I, 10 novembre 1997, n. 11038).

Se la polizza prevede la clausola di gestione della lite, il rifiuto ingiustificato che sfocia in mala gestio potrebbe comportare l'esposizione ultramassimale dell'assicuratore, obbligato a «tenere indenne l'assicurato, anche in misura eccedente il massimale, dell'importo pari alla differenza tra quanto il responsabile avrebbe dovuto pagare al danneggiato se l'assicuratore avesse tempestivamente adempiuto le proprie obbligazioni e quanto è invece costretto a versare in conseguenza del ritardato adempimento»(Cass. civ. , sez. III, sent., 3 aprile 2014 n. 7768).

Per contro, le procedure definite con l'accordo delle parti hanno evidenziato i vantaggi che conseguono al successo della mediazione in tale tipologia di controversie. In sede di mediazione, infatti, possono essere approfonditi tutti gli interessi che hanno le parti coinvolte non solo quindi quelli economici, ma anche quelli di natura non patrimoniale che involgono gli aspetti emotivo-relazionali ed il vissuto soggettivo della vicenda.

Per i danneggiati che mirano al ristoro in funzione dell'effettivo valore del danno, non irrilevanti sono i benefici che traggono dagli accordi raggiunti in mediazione. Il riconoscimento del diritto, nel giudizio quasi sempre …aprioristicamente “impugnato e contestato”, e la successiva liquidazione, avvengono in tempi significativamente brevi rispetto a quelli della giustizia ordinaria (sul punto le ultime statistiche ministeriali sul dato 2015, da cui hanno preso spunto anche la Relazione del Ministero sull'amministrazione della giustizia e quella del Primo Presidente della Corte di Cassazione illustrate in occasione dell'Inaugurazione dell'Anno Giudiziario 2016, parlano chiaro). Senza tralasciare il plusvalore che la mediazione può creare quando, valorizzando gli interessi delle parti, dà luogo all'estinzione di una controversia ed alla contestuale genesi di nuove relazioni economiche (si pensi alla liquidazione di un sinistro per somme importanti, parti delle quali reinvestite in prodotti assicurativi della stessa compagnia solvente, che in ragione della nuova relazione offre condizioni di reinvestimento vantaggiosissime, a cui un “normale” risparmiatore e/o investitore di regola non accede). Plusvalore nemmeno immaginabile per effetto di una sentenza.

Per l'assicuratore sono innegabili i vantaggi dell'accordo. Il contenimento certo del contenzioso con un incremento del numero delle liquidazioni “accuratamente” totali perché correttamente quietanzate nell'accordo che azzera il rischio delle azioni per differenza, il risparmio sul riservato ed a volta anche sui valori effettivi, l'incremento della velocità di liquidazione, la “caduta” della riserva tecnica ex artt. 36 e ss. cod. ass., e non da ultimoil ritorno di immagine aziendale sono i risultati economici e liquidativi già conseguiti da qualche compagnia assicuratrice che si è approcciata all'Istituto con la giusta apertura mentale, avviando essa stessa la mediazione quando ne ricorrevano le condizioni (cd. Mediazione “proattiva” su sinistri di alto valore).

Anche per i medici la riuscita della mediazione comporta, individualmente e su larga scala, innegabili vantaggi. È maggiormente tutelata la loro reputazione professionale, penalizzata sia dall'eventuale condanna, sia dall'eccessiva durata del processo fino all'assoluzione definitiva. Inoltre la conciliazione migliora l'approccio degli operatori sanitari all'attività professionale e favorisce la preservazione del rapporto di fiducia con il paziente.

Medesimi benefici possono riscontrarsi con riguardo alle strutture, anche solo a considerare il vantaggio di un accordo, senza declaratoria di responsabilità, rispetto ad una sentenza di condanna.

È evidente, tuttavia, come questi vantaggi possano restare un miraggio, laddove non si verificano le condizioni per proseguire nella mediazione a causa dell'assenza della compagnia che, a leggere l'ultimo dato ministeriale, sembrerebbe che per policy aziendale non prenda proprio in considerazione l'invito in mediazione.

Mediazione e assicurazione: un rapporto complicato?

Anche a tale domanda si può rispondere: dipende.

Dipende cioè dall'atteggiamento adottato dall'assicuratore a fronte di un invito in mediazione.

Su un caso concreto di mediazione da colpa medica, ad esempio, il medico e/o la struttura potrebbero concludere un accordo con il paziente danneggiato, pur in assenza della Compagnia assicuratrice, sempre che quest'ultima, convocata e debitamente informata delle circostanze del sinistro, sia stata posta in grado di valutare la fondatezza della pretesa avversaria, e ciononostante sia rimasta assente dalla procedura senza alcun motivo apprezzabile.

I genitori di un neonato risultato affetto da gravissimi danni cerebrali permanenti ed irreversibili provocatisi presuntivamente in conseguenza del parto, chiamano in mediazione gli specialisti ostetrico e ginecologo che hanno assistito al parto e la clinica presso la quale hanno operato. L'entità del risarcimento richiesto è rilevante (oltre 3 milioni di euro) ed eccede di gran lunga il massimale assicurato (2 milioni). Ecco lo scenario.

Le parti convocate in mediazione obbligatoria (medici e struttura) chiedono all'Organismo di Conciliazione di estendere il procedimento alle rispettive compagnie. Queste, chiamate, non aderiscono adducendo motivi “non apprezzabili “ “…viziati da manifesta miopia logico giuridica..” (come li definisce il Tribunale di Roma). All'esito della procedura le parti raggiungono l'accordo per una somma inferiore al massimale. Tale accordo, tuttavia , non può essere eseguito in quanto i “danneggianti” non possono dare luogo al pagamento per mancata disponibilità della somma (che naturalmente le Compagnie, in ragione della loro mancata partecipazione, rendono disponibile). La mediazione quindi, sostanzialmente, non riesce .

Il successivo giudizio in cui le compagnie ritualmente chiamate in causa in garanzia si conclude con l'accertamento di responsabilità dei convenuti e con conseguente soccombenza al pagamento di gran lunga superiore al massimale.

Ne consegue che se gli assicurati, medici e struttura, hanno proposto specificamente la relativa domanda, le compagnie sono tenute a tenerli indenni anche oltre il massimale, ove si provi che la mancata ingiustificata partecipazione alla mediazione dell'assicuratore abbia integrato un comportamento di mala gestio propria, nella quale l'assicuratore incorre, come si è detto, allorché tralasci in modo ingiustificato di valutare con prognosi ex ante una transazione ragionevole e vantaggiosa per l'assicurato.

Anche a voler considerare soltanto l'aspetto economico, le conseguenze negative sulle riserve tecniche appostate in bilancio dall'Assicuratore (accantonate e vincolate in vario modo al soddisfacimento dei crediti degli assicurati) sono tutt'affatto irrilevanti, per chi nell'esercizio dell'attività deve uniformarsi al principio della sana e prudente gestione dell'impresa così come perseguito dall'IVASS in forza del novellato art. 3 cod. ass. (rubricato alle finalità della vigilanza) portato dal d. lgs. 12 maggio 2015, n. 74 (di attuazione della direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio della attività di assicurazione e riassicurazione, c.d. Solvibilità II) che prescrive che «scopo principale della vigilanza è l'adeguata protezione degli assicurati e degli aventi diritto alle prestazioni assicurative».

Per l'assicuratore, dunque, s'impone oggi un ripensamento dell'atteggiamento da adottare a fronte di un invito in mediazione.

Invero, qualche assicuratore, già da qualche anno, ha anche studiato l'istituto ed approfondito i termini della sua applicazione e con la giusta apertura mentale si è spinto fino ad inaugurare la cd. mediazione proattiva, (quella cioè avviata dalla stessa compagnia) così “trasformandosi” da storico convenuto in giudizio, attore sul tavolo della mediazione.

Conclusioni

La soluzione dei problemi della giustizia deve necessariamente passare attraverso rimedi “alternativi”. La Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2015 n. 24629) ha precisato che la norma di cui all'art. 5 del d.lgs. 28/2010 «è stata costruita in funzione deflattiva e, per tale ragione, deve essere interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell'efficienza processuale».

La valorizzazione della mediazione, la cui obbligatorietà, subìta l'onta della incostituzionalità, è ritornata alla ribalta con il decreto del fare, ne è l'esempio. Alla medesima ratio rispondono anche istituti, coniati e/o valorizzati dal Legislatore, primo tra tutti, la mediazione delegata dal Giudice, ed a seguire, l'art. 185-bis c.p.c., l'art. 696-bis c.p.c., nonché, con funzione deterrente rispetto a condotte ostruzionistiche, le vari sanzioni disseminate tra codici e leggi speciali, finalizzate a favorire lo sviluppo di una educazione alla mediazione ed al ricorso a sistemi alternativi di risoluzione delle controversie.

Alla medesima logica risponde anche l'orientamento espresso per primo dal Trib. Roma, 17 marzo 2014, secondo cui la consulenza svolta in mediazione è legittima; la stessa consulenza può essere prodotta in giudizio e, anche laddove sia stata effettuata in assenza (per mancanza di adesione e partecipazione) della parte convocata, può essere assunta a fondamento di una proposta transattiva del Giudice (Trib. Roma, sez. XIII, ord. 9 aprile 2015)

Sotto tale profilo, in punto di mediazione delegata, il Trib. Roma, sez. XIII, ord. 1 febbraio 2016, che opera una valutazione aprioristica dell'operato della P.A. che aderisce ad una mediazione delegata e raggiunge l'accordo sostiene: «va considerato che una conciliazione raggiunta sulla base del correlativo provvedimento del giudice, spesso, come in questo caso anche corredato da indicazioni motivazionali, in nessun caso può esporre il funzionario a responsabilità erariale, caso mai potendo essa derivare dalle conseguenze sanzionatorie (art. 96, comma 3, c.p.c.) che conseguono ad una condotta deresponsabilizzata ignava ed agnostica della P.A.».

Ed ancora il Tribunale di Roma (Trib. Roma, ord. 16 marzo 2015), oltre a dispensare consigli sulla scelta dell'organismo per rendere effettivi i “grandi vantaggi della mediazione” ritiene che «Nell'ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c.il giudice ben può invitare le parti ad introdurre una procedura (volontaria) di mediazione».

È dunque coerente l'approdo giurisprudenziale del Tribunale di Roma, secondo cui la mediazione ha un «valore strategico per il contenimento della straripante mole di contenzioso e per la pacificazione sociale che diffonde, dei vantaggi in termini di tempi stretti di conclusione e di certezza dell'ottenimento del bene della vita oggetto dell'accordo, e, in definitiva, dei straordinari risultati che la mediazione può offrire» (Trib. Roma, 29 ottobre 2015).

Si tratta, in buona sostanza, di applicare inormali poteri di governance giudiziale (art. 175 c.p.c.) - come fa Trib. Milano, ord.15 luglio 2015- validi anche per sollecitare un percorso di mediazione volontaria sul presupposto che «l'espunzione dell'istituto - della mediazione su invito/ordine del giudice dal d.lgs. 28/2010 - pertanto, non esclude e nemmeno limita la facoltà del giudicante di sollecitare una riflessione nei litiganti, mediante invito a rivolgersi spontaneamente ad un organismo di mediazione».

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