Responsabilità del gestore del parco giochi per il danno subito da un minore

Carlo Breggia
29 Maggio 2017

Il gestore di un parco giochi, ai sensi dell'art. 2051 c.c., risponde dei danni subiti dai frequentatori al suo interno quale custode delle strutture a titolo di responsabilità oggettiva, salvo che dimostri il caso fortuito. Può concorrere la sua responsabilità contrattuale verso coloro che accedano al parco pagandogli un corrispettivo; in entrambi i casi risponde anche del fatto dei propri ausiliari (art. 2049 e 1228 c.c.). Si approfondisce qui il caso di danno riportato da minori e i profili di corresponsabilità dei genitori.
Responsabilità per cose in custodia in generale

Cosa in custodia

L'art. 2051 c.c. prevede una imputazione del danno al custode della cosa sulla sola base del nesso causale fra la cosa stessa e l'evento dannoso. Il fondamento della responsabilità è dunque costituito dal rischio (di provocare danni a terzi) insito nella cosa, che la legge imputa al responsabile per effetto del rapporto di custodia (Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2015 n. 295). Ne discende che la connotazione subiettiva della condotta del custode, di per sé, resta estranea alla fattispecie e che l'unica indagine rilevante è sull'eventuale esistenza del caso fortuito, previsto dall'art. 2051 c.c. quale elemento esimente.

Il danno da cosa in custodia può derivare, oltre che da un suo fattore interno, intrinseco al suo funzionamento o alla sua composizione (scoppio del motore di un macchinario, esplosione di una caldaia, ecc.), anche da una combinazione con la condotta del danneggiato, come nel caso esemplare della caduta del pedone per una sconnessione del suolo dove cammina, ove la cosa (pavimento) provoca il danno non ex se, ma nell'interazione coll'incedere del danneggiato. In questo ultimo caso, ferma restando la struttura della figura di responsabilità dell'art. 2051 c.c. nei termini esposti, il nesso causale potrà dirsi dimostrato solo se si acclari anche che la cosa presentava profili di pericolosità intrinseca, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno (così, appunto in tema di stato dei luoghi in occasione di caduta del pedone, Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 2013 n. 2660).

L'accertamento se una cosa in custodia sia pericolosa ex se o lo sia solo nell'interazione con il danneggiato può non sempre essere chiara nella realtà e per questo è indispensabile una valutazione non solo della cosa in sé, ma anche del contesto. A esempio, in un caso di infortunio patito da un bambino su una altalena collocata in un parco giochi comunale, il manufatto ludico, pur se costituito da due tubi di ferro verticali e uno orizzontale e quindi priva di seggiolino e di catenella di recinzione e di qualsiasi altro dispositivo di sicurezza, è stato ritenuto privo di fattori di rischio endogeni tali da renderlo pericoloso, osservandosi che: L'altalena così strutturata, sebbene presentasse astrattamente qualche elemento di pericolosità specie per bambini in tenera età non adeguatamente assistiti, era adeguata a manufatti del genere destinati nei parchi a giochi e a esercizi ginnici e quindi presupponeva il suo uso in relazione alla sua concreta funzionalità e sotto la eventuale vigilanza di adulti e che essa, di per se inattiva e innocua, andava impiegata con le cautele del caso (Cass. civ., sez. III, 6 agosto 1997 n. 7276, in motivazione). La conseguenza ivi tratta dalla Suprema Corte è stata che l'altalena - in difetto di prova da parte del danneggiato che l'evento dannoso fosse derivato da un'anomalia originaria o sopravvenuta di essa o come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa – costituiva l'occasione dell'evento e non la sua causa, con esclusione di responsabilità in capo al Comune gestore del parco.

Oneri di chi agisce

Chi agisce, dunque, deve, ove intenda proporre azione fondata sull'art. 2051 c.c., allegare e dimostrare esclusivamente la relazione di custodia fra convenuto e cosa, l'evento dannoso e la sua dipendenza causale – secondo la regola civilistica della preponderanza causale (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008 n. 576 e succ.) – dalla cosa; nonché, se il danno dipenda non da una forza tutta intrinseca alla cosa, ma a una relazione fra la sua propria condotta e la cosa, anche la pericolosità di questa. È importante segnalare sul piano processuale che, se l'unica domanda avanzata presenti profili di equivocità rispetto alla concorrente azione aquiliana generale, può essere data importanza decisiva, a fini di qualificazione giuridica, l'avvenuta deduzione della colpa del danneggiante, dal momento che essa può essere considerata segno inequivocabile dell'esperimento dell'azione ex art. 2043 c.c. piuttosto che non dell'art. 2051 c.c.- Quest'ultima disposizione, in sostanza, prescinde di per sé dall'elemento soggettivo dell'agente (cfr Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2013 n. 12401, in motivazione: l'azione proposta contro un ristoratore per il risarcimento del danno subito da un minore nel parco giochi accessorio al locale è stata, in presenza di una formulazione di parte suscettibile di fraintendimento, qualificata ai sensi dell'art. 2043 c.c. proprio sul rilievo della allegazione da parte dell'attore di profili di colpa del danneggiante).

Caso fortuito

Il custode può liberarsi da responsabilità allegando e dimostrando il caso fortuito.

Il caso fortuito opera non già sul piano della colpevolezza, ma, a monte, su quello della causa: deve essere un fattore eccezionale, del tutto esterno all'agente e non utilmente fronteggiabile, che si inserisce nella serie causale che lega la cosa e l'evento dannoso e, assurgendo a causa di per sé sola idonea a cagionare l'evento, spezza il nesso fra cosa in custodia e nocumento.

Può integrare il caso fortuito anche la condotta del terzo o dello stesso danneggiato, se «essa, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo» (così Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2015 n. 18317; Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2015 n. 287).

Il caso fortuito, incidendo per l'appunto sul nesso causale, non è eccezione in senso stretto, ma mera difesa, perché esso, nella formulazione della norma, è pur sempre un limite – negativo - entro il quale opera la responsabilità per cose in custodia e afferisce quindi agli elementi costitutivi, sì che negarlo è eccezione in senso lato e non eccezione propria; come tale, è valutabile anche di ufficio dal giudice, e dunque in assenza di una tempestiva eccezione, purché, come ovvio, i fatti che lo concretano siano stati allegati dalle parti. Tuttavia, l'onere di dimostrarlo grava sul danneggiante, posto che l'art. 2051 c.c. esplicitamente assegna quel compito al custode. Nota in modo efficace Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2011 n. 11015, in motivazione, che «L'art. 2051 non contempla alcuna proposizione di eccezione ma riconduce il caso fortuito al profilo meramente probatorio» (in termini anche Cass. civ., sez. VI, 30 settembre 2014 n. 20619; Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2016 n. 13005).

Fatto colposo concausale del danneggiato

Il fatto colposo causalmente incidente del danneggiato può anche essere addotto dal custode, più limitatamente, quale concausa del danno. La condotta del danneggiato, infatti, può, se pur non assurga a causa esclusiva del fatto integrando il già trattato caso fortuito, dare luogo al concorso del debitore nella determinazione dell'evento ex art. 1227, comma 1, c.c., applicabile ex art. 2056 c.c. (Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2008 n. 11227; Cass. civ., sez. III, 17 novembre 2011 n. 24083). La difesa imperniata sull'art. 1227, comma 1, c.c. è una eccezione impropria (cfr, fra le altre, Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2009 n. 23734; Cass. civ., sez. III, 22 marzo 2011 n. 6529); nondimeno, una volta che il danneggiato abbia dimostrato la derivazione causale dell'evento dalla condotta del danneggiante (nel caso dell'art. 2051 c.c., dalla cosa in custodia), la deduzione dell'art. 1227, comma 1, c.c., in quanto intesa a sovvertire un nesso causale esclusivo già dimostrato da chi agisce, chiama il convenuto a darne la prova (Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2005 n. 564).

Responsabilità per cose in custodia con riferimento al gestore di un parco giochi. Concorso dell'azione contrattuale

Il concetto di custode recepito dall'art. 2051 c.c. è più ampio che non quello di proprietario e ricomprende al suo interno chiunque abbia il potere, da qualsiasi titolo derivante, sulla cosa, con ciò intendendosi il controllo sull'accesso, l'uso e la manutenzione di essa (Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2011 n. 11016).

Il gestore di un parco giochi, dunque, quand'anche non ne sia il proprietario, può essere chiamato a rispondere ex art. 2051 c.c. per i danni che gli avventori ivi si procurino a causa dello stato dei luoghi.

Concorso dell'azione contrattuale

Generalmente il gestore è un imprenditore che esercita la sua attività commerciale incentrata sullo sfruttamento dell'impianto ludico, che è dunque un bene della sua azienda (ossia un bene che all'evidenza corrisponde perfettamente al paradigma del bene in custodia), al quale permette l'accesso al pubblico dietro pagamento di un corrispettivo, ciò che può comportare una sua concorrente responsabilità contrattuale verso chi abbia pagato il biglietto, restando invece al di fuori di qualsiasi contratto coloro che accedano al parco giochi quali ospiti di chi abbia acquistato il diritto di accedervi, profilo che esula dal tema qui trattato. Occorre però precisare che, quando il danno lamentato afferisca alla lesione di un diritto assoluto come quello alla salute, il danneggiato, ancorché legato al gestore da un rapporto obbligatorio, può sempre esperire il rimedio aquiliano dell'art. 2051 c.c., perché fa valere la lesione di interessi sorti fuori dal contratto (cfr, sul tema analogo qui del tutto sovrapponibile dell'acquirente danneggiato dalla cosa comprata, Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2014 n. 3021).

L'obbligazione che il gestore assume verso chi, dietro corrispettivo, accede al parco divertimenti ha a oggetto la messa a disposizione, per un tempo determinato, di una serie di giochi e di strutture ludiche idonee a soddisfare le esigenze ricreative di chi ne fruisce e presuppone dunque che il complesso sia prima di tutto sicuro.

Chi agisce per il risarcimento del danno deve, secondo i consueti criteri di ripartizione dell'onere della prova nell'ambito della responsabilità contrattuale (Cass. civ., Sez. Un., n. 13533/2001 e succ. conf.), dimostrare l'esistenza del rapporto contrattuale, del danno e della sua riferibilità causale alla struttura ludica, e allegare l'altrui inadempimento (all'obbligo di mettere a disposizione una struttura sicura), spettando al gestore l'onere di dimostrare il proprio esatto adempimento e che, dunque, che il fatto deriva da una causa a sé non imputabile.

Il gestore risponde, ai sensi dell'art. 1228 c.c., anche di ogni fatto colposo o doloso ascrivibile ai suoi dipendenti, così come a soggetti esterni alla sua compagine aziendale, purché di essi si sia avvalso per la predisposizione del sito. La categoria di ausiliario contemplata dalla norma in esame, infatti, è più ampia che non quella di dipendente e ricomprende qualsiasi collaboratore o terzo al quale il gestore, anche in forza di autonomo rapporto contrattuale, abbia fatto ricorso per allestire il parco divertimenti, ossia, più in generale, per adempiere alla propria obbligazione di mettere a disposizione il bene al cliente; resta salva la facoltà del gestore, nei rapporti coll'ausiliario, di rivalersi di quanto abbia dovuto corrispondere al danneggiato per causa sua.

Segue. Danni riportati dai minori

Nel caso di lesioni riportate da un bambino all'interno del parco giochi, l'azione proposta per il risarcimento del relativo danno ex art. 2051 c.c. contro il gestore sarà dunque sempre possibile da parte del soggetto leso, a prescindere dal titolo – contrattuale o meno - del suo accesso alla struttura.

La disamina del caso concreto, ossia, in sostanza, della conformazione dei luoghi e della esatta dinamica del fatto sono, come già scritto, indispensabili e la dimostrazione di essi ricade tutta su chi agisce. Richiamando qui la distinzione già operata in via generale fra danni cagionati dalla cosa per una sua forza intrinseca e danni cagionati dalla cosa nella sua interazione con il danneggiato, si dovrà verificare quale delle due ipotesi si è verificata. Nel primo caso, presumibilmente meno frequente nella pratica (a es., cedimento della struttura, ecc.), sarà sufficiente la dimostrazione che il bambino si è fatto male in dipendenza della cosa (nell'esempio, che è stato travolto dalla struttura che cadeva). Nel secondo, più ricorrente nella realtà (caduta dovuta a perdita di equilibrio determinata da una particolare conformazione del suolo, ecc.), la prova del nesso causale implica che la cosa presentasse profili di pericolosità suoi propri. A tal fine, la presenza di sconnessioni, di scale anguste o con gradini troppo alti per un bambino, di pertugi troppo stretti o di ambienti similari sono senz'altro sufficienti, ove abbiano cagionato il danno, a configurare tale pericolosità intrinseca. La violazione di specifiche norme tecniche – a es., una altezza superiore a quanto assentito dai regolamenti, il mancato uso di materiali antiscivolo imposti, ecc. – non è indispensabile, perché la pericolosità della cosa deve, ai presenti fini, essere valutata in relazione alla sua generica idoneità a determinare un rischio con riferimento alla situazione concreta: non si deve dimenticare che l'uso di manufatti non conformi a quanto la prudenza suggerirebbe è tema qui valutato non già ai fini della colpevolezza (che, come si è visto, è estranea all'art. 2051 c.c.), ma del nesso causale per quei particolari casi nei quali il danno non derivi da un dinamismo interno della cosa.

Segue. Il personale di vigilanza

Il gestore - nei casi, più frequenti, di danno non cagionato dalla intrinseca forza della cosa e dove dunque venga in rilievo la idoneità della cosa a risultare rischiosa nel momento della sua fruizione da parte dell'avventore - potrebbe avere incaricato propri dipendenti di vigilare su quegli specifici punti che presentino profili di pericolosità. Occorre allora valutare, innanzitutto, se le disposizioni loro impartite dal datore di lavoro fossero astrattamente idonee a escludere il rischio o meno: in caso negativo, il tema cessa di avere rilievo e nulla osta al riconoscimento di responsabilità; in caso positivo, ci si deve porre l'ulteriore interrogativo se i dipendenti abbiano eseguito scrupolosamente le indicazioni del datore di lavoro o meno. Ebbene, se i dipendenti non hanno eseguito le istruzioni ricevute, posto che il gestore risponde del fatto dei suoi dipendenti ex art. 2049 c.c. (contrattualmente ex art. 1228 c.c.), sussiste comunque la responsabilità del gestore. Nondimeno, anche se i dipendenti, adeguatamente istruiti, abbiano posto in essere condotte astrattamente idonee a prevenire il rischio, la responsabilità del gestore non è tout court esclusa, a meno che ne derivino conseguenze ulteriori sul piano dell'eziologia dell'evento. Infatti, la mera predisposizione di adeguate cautele di per sé opera sul piano della colpevolezza e non può influire sulla responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c.- Vero è, d'altra parte, che, dinanzi a congrue misure di prevenzione del rischio, correttamente poste in essere, assume maggior verosimiglianza l'ipotesi che l'evento dipenda causalmente non tanto dalla cosa in sé (la cui pericolosità era controllata ed elisa dai sorveglianti), ma da fattori estranei, siano essi naturalistici o anche il comportamento eccezionalmente sconsiderato del danneggiato, tali da integrare il caso fortuito. Occorre però non fermarsi a un automatismo “presenza di sorveglianti/esclusione di responsabilità”, che finirebbe per esentare erroneamente il gestore sul piano dell'assenza di colpa, di per sé irrilevante, ma proseguire con l'ulteriore accertamento, da effettuarsi caso per caso, se la presenza di un perfetto sistema di controllo e prevenzione del rischio non sia la spia di un fattore causale dell'evento diverso dalla cosa ed estraneo completamente alla sfera del gestore. Se questo controllo non permetta in concreto di delineare il caso fortuito, il gestore risponderà comunque del danno.

Segue. I genitori

È ovvio che, se i genitori abbiano affidato il bambino alle cure del personale del parco giochi, è impossibile configurare a loro carico un qualche tipo di responsabilità. Se, invece, essi abbiano avuto accesso alla struttura ludica e abbiano mantenuto la vigilanza sul figlio può porsi la questione di una loro concorrente responsabilità, con particolare riferimento al fatto del figlio minore che sia anche incapace di intendere e volere, come nel caso di un bambino in tenera età. Nel prosieguo, dunque, ci si riferirà esclusivamente al caso in cui non vi sia stato trasferimento dell'obbligo di vigilanza dai genitori al gestore.

La questione del concorso di colpa del minore incapace è, ove questi abbia posto in essere una condotta sconsiderata, tale da influire causalmente sulla determinazione del danno, ammissibile nei limiti dell'art. 1227, comma 1, c.c. (principio a suo tempo fissato da Cass. civ., Sez. Un. 17 febbraio 1964 n. 351; più di recente, cfr Cass. civ., sez. III 5 maggio 1994 n. 4332; Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2009 n. 14548). In tali casi, il danneggiante può invocare la responsabilità concorrente del genitore, in quanto soggetto tenuto alla sorveglianza del minore (Cass. civ., sez. III, 24 maggio 1997 n. 4633). Si noti che la posizione del genitore non va valutata ai sensi dell'art. 2048 c.c., che si applica solo ai casi in cui il figlio minore capace abbia cagionato un danno a terzi e non a sé stesso, ma viene in gioco quale soggetto ordinariamente tenuto, in forza delle norme sulla famiglia, alla vigilanza sulla prole minore e incapace, e che risponde qui dunque ai sensi dell'art. 2043 c.c. (cfr. Cass. civ., sez. III 2 marzo 2012 n. 3242, che, in motivazione, ha modo di correggere in modo molto chiaro un simile possibile errore di impostazione).

Il diritto sostanziale passato in rassegna deve tenere conto, sul piano del processo, che il gestore danneggiante, nella causa intentagli dal genitore esclusivamente quale rappresentante legale del figlio minore, non può opporre alcun concorso di colpa del genitore (per l'omessa sorveglianza sul figlio minore incapace), che potrebbe invece valere contro pretese risarcitorie proprie del genitore, ove, cioè, questi assuma un danno proprio per il nocumento subito dal figlio (Cass. civ., sez. III 13 agosto 1966 n. 2239; Cass. civ., sez. III 11 aprile 1986 n. 2549; Cass. civ., sez. III, 24 maggio 1997 n. 4633; Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2003 n. 11241). Infatti, se il genitore è nel processo solo rappresentante del minore, la parte sostanziale, la cui sfera è stata lesa, è quest'ultimo e il gestore non potrebbe mai utilmente opporre al bambino danneggiato, anche in forza del principio dell'art. 2055 c.c., un concorso di colpa di soggetto terzo (il genitore), salva l'ipotesi in cui la domanda risarcitoria fosse esplicitamente limitata alla condanna del gestore nei limiti della sua responsabilità e non anche, in ogni caso, per l'intero ex art. 2055 c.c., nel quale caso, indubbiamente, il gestore non potrà che rispondere in misura limitata al suo contributo causale, pena la violazione dell'art. 112 c.p.c. (tale fattispecie era quella all'esame della citata Cass. civ., sez. III, 2 marzo 2012 n. 3242, la cui massima, altrimenti, potrebbe essere fraintesa).

Il gestore, dunque, deve, ove intenda perseguire questa strada, chiamare in causa il genitore in proprio: o per vedere diminuita la sua responsabilità, adducendo un concorso ex art. 1227, comma 1, c.c. del minore incapace nel prodursi del nocumento; o anche - pare qui sostenibile - per andare del tutto esente da responsabilità, ove sostenga che il difetto di vigilanza da parte del genitore sia stato, in relazione alle circostanze concrete, talmente eclatante e preponderante sul piano causale, da costituire l'unica causa del danno; fermo restando che le due domande potranno essere proposte anche assieme, in via gradata. Nel primo caso, il gestore convenuto per l'intero risarcimento (se del caso anche ex art. 2055 c.c.) può chiedere che il genitore chiamato, accertato il grado del suo concorso nella causazione del danno, sia condannato, in regresso, a tenerlo indenne, nella corrispondente misura, di quanto dovesse versare a titolo di risarcimento in favore del minore; con onere della prova a carico del gestore. Nel secondo caso, il gestore dovrà dimostrare che la mancata vigilanza da parte del genitore è stata talmente importante da risultare decisiva, nel senso che essa costituisce l'unica causa giuridicamente rilevante dell'evento dannoso, rispetto al quale la cosa in custodia perde ogni efficacia: la questione si risolve tutta nell'ambito della sfera causale e non può che essere risolta caso per caso, a seconda di quanto grave sia stata la mancanza imputabile al genitore rispetto al rischio insito nella cosa custodita. Esistono in punto di diritto evidenti differenze fra le due ipotesi, con riflessi processuali significativi: nell'azione contro il terzo responsabile (tale si configurerebbe la chiamata in causa del genitore effettuata per sostenerne l'esclusiva responsabilità), la domanda del danneggiato, salva sua diversa espressa volontà, si estende automaticamente al terzo (fra le molte, Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2013 n. 5400), mentre l'azione di regresso resta estranea a un simile meccanismo, ferma comunque la questione del possibile insorgere di un conflitto di interessi fra il genitore e il figlio, che potrebbe indurre alla nomina di un curatore speciale del minore (art. 320, comma 4, c.c.; ma il conflitto va escluso se genitori e figlio perseguano lo stesso risultato processuale: Cass. civ., sez. III, 15 settembre 1983 n. 5582), affinché sia correttamente rappresentato nel prosieguo del giudizio. In punto di fatto, invece, non c'è alcuna distinzione qualitativa fra le due ipotesi, nel senso che la condotta del genitore potrà essere qualificata in un modo o nell'altro a seconda dell'ordine crescente di gravità che abbia assunto in concreto: più il comportamento del genitore risulta essere stato influente rispetto all'evento, più aumenta il grado del suo concorso, sin quando, oltre un certo limite, da valutarsi caso per caso in relazione alla fattispecie concreta, esso diviene l'unica causa del danno, spezzando qualsiasi nesso con la cosa in custodi

In conclusione

La disciplina dell'azione extracontrattuale e quella dell'azione contrattuale non paiono qui differire poi molto sotto il profilo della pratica giudiziaria: a chi agisce spetterà principalmente, in entrambi i casi, dimostrare come si sono svolti i fatti in modo che risulti il nesso causale fra la struttura e l'evento; così come il gestore dovrà dimostrare che il fatto non gli è ascrivibile sul piano causale, perché ascrivibile a caso fortuito e cioè a causa a sé non imputabile, che in ipotesi potrà essere costituita anche dalla condotta eccezionalmente e imprevedibilmente imprudente e azzardata del danneggiato; ovvero, dimostrare più limitatamente il concorso di colpa – sempre da apprezzare sul piano eziologico – del soggetto leso.

Nel caso di soggetti minori che per l'età non siano in grado di badare a sé la corresponsabilità dei genitori può sussistere in quei casi, da accertare volta per volta, in cui essi non abbiano affidato in toto il controllo dei figli al gestore, ma l'abbiano mantenuto restando assieme alla prole.

La posizione del genitore non dovrà qui essere valutata sotto la specie dell'art. 2048 c.c., che si riferisce ai soli diversi casi di danni cagionati dal figlio a terzi, ma sotto quella dell'art. 2043 c.c.- Sul piano processuale, il gestore convenuto che intenda opporre un concorso di colpa del genitore deve, se questi è in giudizio solo quale rappresentante del figlio, chiamarlo in causa in proprio.

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