Il danno esistenziale nelle contese sulla responsabilità civile e sul “sistema giustizia”

29 Settembre 2014

Questo contributo non interviene in difesa del danno esistenziale quale categoria da liquidarsi a tutti i costi in via autonoma rispetto ad altre voci del danno non patrimoniale.Viceversa, esso mira ad approfondire e promuovere un particolare modo di concepire la responsabilità civile, inquadramento con cui ha sempre collimato l'idea del danno “esistenzialmente” concepito e che si può così riassumere...
I concetti di base degli “esistenzialisti”

Questo contributo non interviene in difesa del danno esistenziale quale categoria da liquidarsi a tutti i costi in via autonoma rispetto ad altre voci del danno non patrimoniale.

Viceversa, esso mira ad approfondire e promuovere un particolare modo di concepire la responsabilità civile, inquadramento con cui ha sempre collimato l'idea del danno “esistenzialmente” concepito e che si può così riassumere:

  • la r.c., quale sistema di giustizia e sicurezza sociale, persegue diversi fini, tra i quali, innanzitutto, lo scopo di incentivare la prevenzione di illeciti ed inadempimenti, ciò per tutelare i consociati nello sviluppo quotidiano delle loro esistenze;
  • per realizzare questo suo primario obiettivo la r.c. necessita innanzitutto di risarcimenti che siano effettivi, cioè tali da riflettere come minimo, sia qualitativamente che quantitativamente, i pregiudizi arrecati alle esistenze dei danneggiati: chi rompe paga, e deve pagare per il danno nella sua interezza, poiché qualsiasi risparmio nel ristoro costituirebbe un disincentivo, per lui e per gli altri consociati, alla prevenzione dei danni;
  • al contempo, se non si soddisfacesse questa fondamentale esigenza, i diritti degli individui si troverebbero sprovvisti di una tutela rimediale concreta e, quindi, si vanificherebbe la previsione degli stessi; infatti, l'effettività di un qualsiasi diritto si misura anche in relazione alla portata dei rimedi (compresi quelli risarcitori) che l'ordinamento riconosce in favore di chi abbia a subirne la violazione, sicché un risarcimento negato oppure incompleto si risolverebbe in uno svilimento del diritto leso; detto altrimenti, il danneggiato necessita di accedere ad un completo ristoro in ragione dell'esigenza di attribuire reale protezione ai suoi diritti violati;
  • infine, la corretta soddisfazione risarcitoria dei danneggiati, oltre concretizzare i diritti e prevenire le violazioni, attenua le frustrazioni per le ingiustizie subite e, quindi, contribuisce alla pacificazione della società.

Orbene, come si dimostrerà oltre, questo inquadramento della r.c. ha senz'altro accompagnato costantemente le teorie degli “esistenzialisti”, le quali, del resto, non sono mai state centrate soltanto sull'affermazione di una peculiare voce di danno, bensì, più in generale, su un determinato sviluppo del sistema risarcitorio complessivamente considerato.

In estrema sintesi, infatti, questi interpreti sono sempre stati ancorati ai seguenti basilari concetti:

  • l'esistenza di ciascuno individuo, per quanto questi sia fuori dal comune, consiste in una sfera densa di sfaccettature, attività, sentimenti, relazioni, progetti, sfera alla cui protezione ogni persona ha diritto;
  • la violazione di tale sfera, per via di una condotta illecita o di un inadempimento, impone che sia garantita da parte dell'ordinamento piena tutela risarcitoria al soggetto danneggiato, ciò anche sul fronte delle conseguenze non pecuniarie;
  • il risarcimento del danno non patrimoniale, affinché sia integrale la tutela della sfera esistenziale, necessita di considerare, sia qualitativamente che quantitativamente, il danneggiato in relazione all'impatto che un illecito od un inadempimento ha avuto ed avrà sulla sua esistenza, deve cioè risultare proporzionalmente commisurato al vulnus arrecato.

Quelli degli “esistenzialisti”, pertanto, sono concetti molto semplici, tanto lineari che il giurista che non li afferra evidentemente accusa un qualche problema di onestà intellettuale.

Inoltre, tali concetti prescindono dal riconoscimento del danno esistenziale quale categoria imprescindibilmente autonoma, sì per una certa qual stagione perorato in questa veste, ma ciò a fronte della contingente necessità di superare i limiti posti alla risarcibilità del danno non patrimoniale ed alla personalizzazione del danno biologico.

Alcuni interpreti potrebbero obiettare come queste concezioni della tutela risarcitoria non appartengano soltanto agli “esistenzialisti”; tuttavia, questo rilievo, come si dimostrerà oltre, può al massimo valere per alcuni eccezionali casi: infatti, la stragrande maggioranza degli antagonisti del danno esistenziale concepiscono (e contribuiscono ad orientare) ben diversamente la r.c., pur magari presentandosi alla stregua di autentici Robin Hood.

Quando si è formata in Italia l'idea della dimensione esistenziale della tutela risarcitoria?

In Italia il primo a teorizzare la necessità di una tutela risarcitoria degli individui tale da considerare e valorizzare i rispettivi profili esistenziali compromessi da illeciti e reati fu Melchiorre Gioia, un “non giurista”, esattamente nei termini predetti. Era il 1821, la sua opera si intitolava «Dell'ingiuria, dei danni, del soddisfacimento e relative basi di stima avanti i Tribunali civili».

Questo pensatore era un rivoluzionario per eccellenza ed il suo contributo fu concepito durante la sua carcerazione, insieme a Maroncelli e Pellico, da parte degli austriaci, l'ultima di una lunga serie di permanenze nelle galere dei regimi d'occupazione. Nel suo innovativo libro sui danni confluì tutta l'esperienza personale delle ingiustizie inflittegli.

In particolare, il Gioia, quale autentico antesignano degli odierni “esistenzialisti”, pose al centro del suo originalissimo sistema risarcitorio - antitetico al modello romanistico dominante tra i giuristi della restaurazione - i «sentimenti», le «felicità», i «desideri», i «piaceri personali», le «affezioni», il «benessere», i «dolori», la «tristezza», i «dispiaceri», le «alterazioni dell'animo», dell'«esistenza fisica» e dell'«esistenza morale», affermando, dunque, un concetto di tutela risarcitoria notevolmente ampio e moderno, in tutto e per tutto coincidente con le istanze evolutive sostenute dagli “esistenzialisti” attuali.

Nell'opera del Gioia l'offesa della persona, autentica «espropriazione di felicità», era concepita come «una distruzione di valori sociali», ossia «un cambiamento di valori in passività». Nello specifico, in questo quadro si aveva piena consapevolezza che i «danni alle persone» incidessero su due distinti versanti, il corpo e l'animo (il «centro di tutte le sensazioni») , entrambi da rapportarsi all'individuo offeso, soggetto non già «isolato e solo», bensì inserito «ne' rapporti sociali» (in primis le sue relazioni affettive e famigliari).

La visione del Gioia era talmente avanzata che questi non solo giunse a perorare l'esigenza di attribuire un soddisfacimento anche per i «dolori della famiglia» («le alterazioni prodotte nella felicità dei membri d'una famiglia dalle ferite ricevute da uno di essi, essendo conseguenze necessarie della sensibilità comune, approvate dalle leggi divine ed umane, vogliono proporzionato compenso»), ma anche ad ammettere il «soddisfacimento delle ingiurie all'esistenza morale».

A quest'ultimo proposito vennero individuate le seguenti fattispecie:

  • «ingiurie dell'animo», ossia le alterazioni cagionate dall'«ingiuria» e, più in generale, dalle «inquietudini» (ad esempio, discendenti da una «frode») e dal «dispiacere per eventi contrari ai nostri desiderj»: in relazione a quest'ambito, piuttosto variegato, per il Gioia si poteva sicuramente ammettere un «prezzo della quiete»;
  • «insulti»;
  • «ingiurie al pudore» (per questa ipotesi il Gioia considerava altresì il soddisfacimento del danno subito dai famigliari per l'inquietudine provata per aggressioni, non necessariamente fisiche, subite dal congiunto);
  • «ingiurie alla libertà personale», ossia i danni da «illegittima detenzione»;
  • «ingiurie all'onore»: il discredito era per il Gioia fonte di notevoli ripercussioni di ordine morale ed esistenziale.

Si osservi, infine, che per il Gioia la persona, che subiva il danneggiamento o la distruzione di determinati beni materiali aventi un valore sentimentale (tra i quali - per esempio - anche la perdita dell'animale domestico), poteva aspirare a veder ricompreso nel soddisfacimento anche il «prezzo d'affezione», a tal fine bastando che «con segni non dubbi sia caratterizzata l'affezione dell'offeso per la cosa danneggiata o distrutta».

Saranno poi gli “esistenzialisti” - in primis Paolo Cendon e Patrizia Ziviz - a rivitalizzare i concetti espressi dal Gioia, ciò negli anni novanta del secolo appena trascorso.

Occorre allora chiedersi per quali ragioni per più di un secolo la prospettiva del “danno esistenzialmente concepito” sia scomparsa dalle pagine dei nostri dotti giuristi. Tali ragioni, invero, non rivestono soltanto un interesse storico, ma hanno molto da insegnarci sugli odierni oppositori degli “esistenzialisti”.

La prima stagione avversa al danno esistenziale

Melchiorre Gioia promosse la dimensione esistenziale del danno non patrimoniale sulla scia dei giusnaturalisti, di Jeremy Bentham e, soprattutto, dei giuristi francesi, i quali avevano definitivamente sdoganato il danno immateriale con il Code Napoléon (1804), intendendolo in senso ampio a livello di contenuti e senza particolari limiti al suo risarcimento.

In verità i primi giuristi e le corti dell'Italia post-unitaria, tolte alcune importanti eccezioni (il Giorgio Giorgi), non tennero in gran conto l'opera del Gioia (il quale, del resto, non fu né un giurista, né un accademico, né tantomeno un barone universitario con al seguito fidi discepoli), ma, ad ogni modo, si ispirarono non poco al modello francese, dando spazio al risarcimento dei danni non patrimoniali sia in campo extracontrattuale che in relazione a pretese sorgenti da inadempimenti contrattuali.

Tuttavia, questa progressione della nascente tutela risarcitoria degli individui si arrestò bruscamente al tramonto dell'ottocento a causa del successo di alcuni nostri accademici capeggiati dal Gabba, giurista cattolico ed universitario tanto influente da guadagnarsi la carica di senatore del Regno e svariate partecipazioni in missioni internazionali (certamente l'opposto del carbonaro Gioia).

Questi dottrinari, evocando precetti etici (già rinvenibili in Antonio Rosmini che si era scagliato contro il Gioia anche in punto risarcibilità del danno non patrimoniale) e financo appellandosi al diritto romano di duemila anni prima (rinnegato dagli stessi, senza tante questioni, in altri ambiti), ritennero pernicioso ed immorale dare spazio alla risarcibilità dei pregiudizi non pecuniari (non monetizzabili), sicché si attivarono per circoscrivere al massimo le prospettive di riconoscimento del danno non patrimoniale.

Del resto, l'espansione in pieno corso della responsabilità civile, sia aquilana che da inadempimento, poteva scongiurarsi - a favore dello Stato regio, nonché dei gruppi industriali ed assicurativi che si stavano consolidano in tale epoca - proprio andando a disinnescare il propulsore della sorgente tutela risarcitoria delle persone, per l'appunto la risarcibilità dei pregiudizi immateriali.

Questa dottrina reazionaria, antitetica al modello francese ed alle contestuali evoluzioni in corso in common law, incontrò poi la sua sponda ideale in un legislatore ancora più reazionario, quello fascista, influenzato dal modello tedesco, che certamente non era meno conservatore, ma veniva rimirato dai nostri giuristi per le note sinergie purtroppo sviluppatesi tra le due nazioni.

La valorizzazione dei profili esistenziali e morali del danno, così come teorizzata da Melchiorre Gioia, trovò, pertanto, la sua tomba nell'art. 2059 c.c.; correva l'anno 1942.

Senza dubbio il dopoguerra italiano, rispetto ad altri ordinamenti, non brillò per una giurisprudenza particolarmente incline a rafforzare la r.c. La ripresa economica - questa può essere una delle spiegazioni - non poteva tollerare ostacoli ed imporre dazi all'industria nascente ed alle assicurazioni che si stavano rilanciando.

Inoltre, il modello tedesco preservava la sua egemonia sugli interpreti nostrani, ancora culturalmente legati a questo ed ai discepoli del Gabba.

La resurrezione della concezione “esistenzialista” della responsabilità civile

Fu solo sul finire degli anni sessanta che alcuni esponenti della dottrina ed una parte della giurisprudenza di merito cominciarono finalmente a preoccuparsi di costruire una nuova responsabilità civile a tutela effettiva degli individui danneggiati da illeciti e inadempimenti (automobilisti, pedoni, lavoratori, pazienti, ecc.).

Infatti, anche da noi, ancorché con un certo qual ritardo rispetto ad altri ordinamenti, si sviluppò un percorso progressista della r.c.

Si trattava di abbattere l'irto muro dell'art. 2059 c.c., necessitando un sistema di r.c. efficace di garantire dei risarcimenti effettivi.

Il primo passo in questa direzione fu lo sgretolamento degli argini tradizionali sul fronte del danno non patrimoniale da lesioni fisiche, il settore ove era più marcata ed emergente l'arretratezza del nostro modello risarcitorio: irruppe, così, sulla scena il danno biologico, consacrato poi dalla Consulta nel 1986 nel segno della tutela del diritto, costituzionalmente garantito, della salute (Corte cost., 14 luglio 1986, n. 184).

Per sottrarre i pregiudizi biologici all'art. 2059c.c. fu creata una categoria ad hoc (il danno biologico, per l'appunto) collocata sotto l'art. 2043c.c..

In breve, questa prima frantumazione della categoria del danno non patrimoniale fu dettata dall'esigenza di superare i limiti di cui all'art. 2059 c.c.

Aperta questa prima falla, riemerse subito dopo l'idea della risarcibilità dei pregiudizi esistenziali “non corporali”, prospettiva impiegata, anche dalla Cassazione, per riprodurre lo stesso successo del danno biologico in relazione agli altri diritti tutelati dalla costituzione (personalità, reputazione, immagine, dignità dei lavoratori, diritto all'autodeterminazione, e, soprattutto, famiglia ed affetti parentali).

Il concetto della valorizzazione dei pregiudizi esistenziali non biologici (qui ampiamente intesi in senso naturalistico) andò a sostanziare una nuova categoria (il danno esistenziale) secondo le stesse logiche che avevano sorretto la costruzione del danno biologico.

Tanto legittimo era il percorso, che aveva condotto a quest'ultima categoria, quanto altrettanto giustificata era la via del danno esistenziale quale categoria a sua volta autonoma rispetto al danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c.

Per essere più precisi, analogamente a quanto già verificatosi con il danno biologico, la tutela dei profili esistenziali non biologici degli individui si riversò in un'inedita autonoma categoria di danno, sostituendosi al rinvio all'art. 32 cost. il collegamento con altri diritti costituzionalmente garantiti: esattamente come la tutela del diritto alla salute giustificava ed esigeva la configurazione del danno biologico, altrettanto gli altri diritti previsti dalla Carta costituzionale o da altre norme fondamentali (in primis la Convenzione europea dei diritti dell'uomo) legittimavano la categoria del danno esistenziale, ciò per levare il risarcimento dei pregiudizi esistenziali non corporali fuori dalle grinfie del “vecchio” art. 2059c.c..

Il nomen di questo nuovo “contenitore” di pregiudizi immateriali sottratti ai limiti di tale articolo non era essenziale allo scopo, ma rappresentava efficacemente il concetto che sostanziava la tutela perorata dai sostenitori della novella categoria.

Del resto, un'idea, per affermarsi, necessita pur sempre di un nome con cui divulgarla.

Certamente sarebbe stata preferibile l'abrogazione dell'art. 2059 c.c., ma il nostro lobbizzato legislatore, nel frattempo già intento a confezionare leggi e leggine per imbrigliare il danno biologico, ritenne di ignorare i progetti di legge che suggerivano questa strada maestra.

Il successo del danno esistenziale: l'era progressista della responsabilità civile italiana

Indubbiamente al successo del danno esistenziale si associò l'apice della fase progressista del nostro sistema risarcitorio.

Infatti, l'idea del danno esistenziale, accolta con passione da diversi giudici di merito, dischiudeva scenari di tutela risarcitoria ben più ampi del danno biologico, che nel frattempo (complici i primi interventi legislativi sul versante dei sinistri stradali) era divenuto sempre di più vincolato al contributo medico legale e, quindi, risultava circoscritto nella sua portata sia contenutistica che quantitativa.

Gli “esistenzialisti” - ciò va loro riconosciuto - andarono a svincolare il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali/non biologici dai limiti tradizionali, espandendo la tutela dei cittadini contro non solo illeciti ma anche inadempimenti di soggetti che, a fronte della irrisarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, sino ad allora avevano goduto di sostanziali immunità (pubblica amministrazione in primis, ma anche imprese nelle relazioni con lavoratori e consumatori).

A progredire fu la r.c. nel suo complesso, peraltro raggiungendosi livelli di protezione che anticiparono le aperture del legislatore europeo e della Corte di Giustizia CE sul fronte della tutela dei lavoratori (si pensi al danno non patrimoniale da discriminazioni sul lavoro) e dei consumatori (danni da vacanza rovinata, danni da ritardi e cancellazioni di voli aerei, ecc.).

Chi aveva a cuore la tutela dei cittadini rispetto ad illeciti ed inadempimenti - invero, numerosi accademici, avvocati, magistrati - si entusiasmò dinanzi ai nuovi orizzonti aperti dal danno esistenziale.

Finalmente, infatti, per questa via diventava possibile attribuire una tutela effettiva a persone che avevano subito gravi tragedie (la perdita di un famigliare, per esempio) così come ad individui colpiti da soprusi sì di modesta entità ma meritevoli di reazioni da parte dell'apparato giudiziario anche a fini preventivi (far pagare una pubblica amministrazione od un'impresa per i disagi prodotti da un disservizio od un prodotto scadente significa scongiurarne altri, magari su larga scala).

Questa nuova direzione del sistema risarcitorio logicamente non risultò in alcun modo gradita ai “poteri forti”, innanzitutto le assicurazioni.

Si avviarono, pertanto, accesi scontri, che sin da subito ebbero ad oggetto non già una mera questione di etichette di danno, ma la determinazione dei confini della r.c.: gli attacchi al danno esistenziale furono un pretesto per aggredire, più in generale, gli avanzamenti della nuova responsabilità civile.

A favore del danno esistenziale si schierarono i sostenitori di una r.c. forte (o progressista); sul fronte opposto si posero i fan di una r.c. reazionaria.

In particolare, sin dagli anni novanta vennero a configurarsi due blocchi di pensiero nettamente contrapposti, i quali, a dimostrazione della reale posta in palio, nel ventennio successivo avrebbero poi denotato di non condividere alcunché, non solo, per l'appunto, il danno esistenziale: basti pensare che coloro, i quali si opposero strenuamente a questa categoria, negli anni a venire sarebbero poi andati a contrastare con lo stesso vigore ogni ulteriore sviluppo progressista della r.c. (per esempio, la nuova causalità civile) al contempo giustificando leggi incostituzionali e reazionarie protese a circoscrivere la tutela risarcitoria (Codice delle assicurazioni private, decreto/legge Balduzzi, leggi contro le micropermanenti, ecc.), sempre trovandosi gli “esistenzialisti” dall'altro lato delle barricate.

Monateri, sin dal principio, rese bene questo scenario in fieri, descrivendo il danno esistenziale come una “arma in una battaglia”, ove, al di là delle etichette di danno, erano in gioco prospettive ben più ampie e nevralgiche, cioè la demolizione del vecchio art. 2059c.c., l'associazione tra la tutela dei diritti individuali (estensivamente intesi) ed il risarcimento del danno non patrimoniale, e, pertanto, l'evoluzione della tutela risarcitoria sia sul versante dei fatti illeciti che sul piano degli inadempimenti.

Questa prima battaglia fu indubbiamente vinta dagli “esistenzialisti” sul piano giurisprudenziale.

Ciò è dimostrato innanzitutto dalle sentenze della Cassazione e della Consulta del 2003, ed ancora dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 2006 (Cass. civ., S.U., 24 marzo 2006, n. 6572), oltre che da una mole significativa di sentenze di merito.

Il sistema risarcitorio, che uscì da tali pronunce, era del tutto cristallino: tre sotto-categorie del danno non patrimoniale (biologico, morale, esistenziale), inserite in un nuovo art. 2059c.c., “costituzionalizzato” (senza limitazioni sul fronte dei diritti contemplati dalla Carta costituzionale) e liberato dai suoi vincoli tradizionali.

Al danno esistenziale, quale sotto-categoria del “nuovo” danno non patrimoniale, era riservata una duplice funzione:

  • contribuire alla personalizzazione delle liquidazioni delle altre due sotto-categorie, quindi, in questo scenario, senza la stretta necessità di trovare riconoscimento autonomo;
  • costituire un'indipendente sotto-categoria di danno non patrimoniale nei casi di impossibilità od insufficienza delle altre due a garantire un'adeguata tutela risarcitoria.
Gli attacchi al danno esistenziale dopo il suo successo: le nuove “tort wars”

Ovviamente anche questa nuova versione del sistema risarcitorio del danno non patrimoniale non piacque in alcun modo ai “poteri forti”, assicurazioni in testa; risultò contrariare anche alcuni giudici.

Per quali motivi?

Essa non fu gradita, perché, a beneficio dei cittadini, il nuovo danno non patrimoniale ormai concepito in senso unitario:

  • contribuiva ad ampliare i margini della r.c. (incrementando tra l'altro la tutela di tutta una serie di soggetti “deboli”, tra i quali consumatori e lavoratori);
  • aveva innalzato i livelli dei risarcimenti (in primis sul fronte dei danni da uccisione);
  • imponeva, per il persistere del danno esistenziale quale voce incidente sulla personalizzazione delle liquidazioni per i danni biologici, flessibilità nell'impiego delle tabelle (ciò nella direzione opposta alle scelte del legislatore lobbizzato);
  • produceva più contenziosi a detrimento dei pagatori seriali.

Le assicurazioni intensificarono così ulteriormente i loro sforzi di resistenza attiva a questi progressi, schierando di nuovo i loro fidi accademici/avvocati fiduciari (nonché alcuni magistrati cooptati lungo il percorso) e promuovendo vere e proprie campagne denigratorie contro il danno esistenziale, sì per attaccare questo, ma in realtà per contrastare la r.c. progressista nel suo complesso.

Noto è quanto è occorso negli anni successivi.

Autorevoli riviste del settore sono divenute la voce dei reazionari della r.c.; seminari e convegni sono assurti ad occasioni per plagiare gli interpreti attraverso false rappresentazioni ed autentiche mistificazioni; associazioni “culturali” sono divenute la gran cassa delle assicurazioni, che hanno pure finanziato e promosso pubblicazioni per detronizzare il nuovo danno non patrimoniale.

Si sono intensificati i miti negativi della r.c. progressista, colpevolizzata di esagerazioni, di stravolgere l'operato di medici e ospedali, di causare il collasso delle assicurazioni, dei comuni, dello Stato e delle imprese.

Tutte le strategie di disinformazione/disorientamento tipiche dei reazionari statunitensi (i cosiddetti “tort reformers”) sono state riprodotte in Italia dagli avversari del danno esistenziale, venendo poi recepite e riprese anche da interpreti, i quali, pur super partes, sono rimasti colpiti dalle appassionate arringhe di accademici ed altri esponenti del settore sì dotti, ma per certo non disinteressati (guarda caso avvocati fiduciari di assicurazioni e/o membri di consigli di amministrazione di assicurazioni e banche, medici-legali centrali di primarie compagnie assicuratrici, avvocati di associazioni a tutela dei medici, ecc.).

In questo scenario, contraddistinto da un elevato livello di condizionamenti culturali, si è pure venuta ad inserire l'emergenza della giustizia civile, con i nostri politici intenti a caldeggiare “riforme processuali” (chiamiamole così!) del tutto ostili verso i cittadini aspiranti ad un risarcimento, accusati, al posto dei responsabili seriali (Stato in primis), di aggravare il contenzioso.

In particolare, in questo contesto gli avversari del danno esistenziale hanno, purtroppo, trovato sponda in una parte della magistratura indotta a credere, del tutto erroneamente, che il rimedio alla situazione della giustizia civile consista nel disincentivare le cause attraverso una riduzione delle prospettive di tutela invece che nell'assicurare sanzioni certe ed adeguatamente costose per gli autori di illeciti/inadempimenti ed i loro assicuratori, soprattutto dinanzi ad esasperati tentativi di risparmi sui risarcimenti.

L'attacco alla r.c. progressista si è così venuto a saldare con la politica - legislativa e giurisprudenziale - di disincentivazione al ricorso alla giustizia civile.

Orbene, le celebri sentenze delle Sezioni Unite del novembre 2008 hanno risentito enormemente di queste varie pressioni ed unioni di intenti, come dimostrano la costante esaltazione in esse di tutti gli argomenti posti in campo dagli avversari della r.c. progressista e la contestuale banalizzazione della giurisprudenza “esistenzialista”.

Sono state delle sentenze ideologicamente schierate, sin troppo [cfr., amplius, M. Bona, Per una «critica politica» delle pronunce dell'11 novembre 2008 (percorsi alternativi), in Aa.Vv., Il risarcimento del danno non patrimoniale, I - Parte generale, La responsabilità civile, Aggiornamento 2009, in Il Diritto Privato nella Giurisprudenza, a cura di P. Cendon, Torino, 2009, 551-623].

Nondimeno, essendosi spinte ben oltre ogni limite accettabile (fino ad inglobare il danno morale in quello biologico, con un enorme regalo alle assicurazioni, le quali continuano a beneficiarne), queste pronunce non potevano che dare luogo a nuovi (senz'altro indesiderati) conflitti e, quindi, incontrare la strenua resistenza dei progressisti della r.c.

Di fatto, le sentenze del San Martino 2008 non hanno prodotto certezze, ma acutizzato il divario tra gli schieramenti, peraltro incentivando i convenuti seriali, galvanizzati dal mutamento di direzione, a stringere ulteriormente i cordoni delle rispettive borse (con contestuale incremento del contenzioso giudiziario!).

A distanza ormai di diversi anni può rilevarsi un bilancio negativo della deriva reazionaria inaugurata da queste sentenze, bilancio che annovera, tra l'altro, una manifesta spaccatura anche all'interno della Suprema corte su questioni prima pacifiche quali, per esempio, la distinzione tra pregiudizi biologici e pregiudizi morali.

A quest'ultimo riguardo merita ricordare come le Sezioni Unite del 2008 siano state smentite da una parte della Cassazione a più riprese: in primis sul fronte dei danni non patrimoniali “bagatellari” dei consumatori, ciò da parte delle stesse Sezioni Unite (cfr. Cass. civ., S.U., 16 febbraio 2009, n. 3677); poi in relazione ai rapporti tra danno biologico e danno morale.

Tali contrasti giurisprudenziali, ancora più palesi tra le pronunce di merito, hanno dimostrato e continuano ad evidenziare la fallacia delle politiche reazionarie, ciò anche sul piano del deflazionamento dei giudizi: negare oppure ridimensionare la tutela risarcitoria potrà anche, nel breve periodo, comportare risparmi per le casse pubbliche e maggiori profitti per assicurazioni, banche e multinazionali, ma non genera certezze, anzi produce effetti opposti; tale policy of law rende più poveri i danneggiati, sminuisce la giustizia, allenta la repressione di illeciti ed inadempimenti, nonché, disincentivando i potenziali convenuti a ricercare soluzioni transattive, incrementa il contenzioso giudiziario (difatti, un cittadino vittima di soprusi, non disponendo di altri mezzi per tutelarsi e, peraltro, pagando le tasse anche per accedere al servizio giustizia, non può che rivolgersi alla magistratura; viceversa, il suo convenuto resisterà in giudizio, confidando in nuove forme di immunità).

Oggi e domani del danno esistenziale: la “guerra” continua

Dopo il San Martino del 2008 i blocchi contrapposti si sono ormai cristallizzati, la frattura è netta, resa ancora più profonda dagli ultimi interventi incostituzionali - costantemente operati per decreti legge - del legislatore lobbizzato.

Nello scenario attuale, peraltro, il danno esistenziale è soltanto uno dei tanti bersagli degli scontri in atto tra i progressisti della r.c./giustizia civile ed i reazionari.

Che sia risarcito quale categoria autonoma non è neppur più un particolare cruccio dei suoi sostenitori, anche quelli più accaniti: a realizzare gli scopi del danno esistenziale potrebbe bastare la categoria del danno non patrimoniale, laddove affrancata dai ceppi che le Sezioni Unite del novembre 2008 hanno cercato di apporre su indicazione della “dottrina” reazionaria.

Il vero problema odierno va ravvisato nel seguente scenario, molto più ampio ed allarmante: conseguire la liquidazione del “nuovo” danno non patrimoniale costituisce sempre di più un'impresa ardua, perché si frappongono ostacoli di ogni sorta e genere, ivi comprese serie questioni di “litigation funding” (l'accesso alla giustizia per molti cittadini è divenuto un autentico dramma economico, di cui pochi risultano appieno consapevoli).

Nel contesto attuale, dunque, l'idea del danno esistenziale, quale uno degli strumenti per garantire una tutela risarcitoria integrale in un novero aperto di illeciti ed inadempimenti, avrà futuro soltanto nella misura in cui i giuristi progressisti non si faranno scoraggiare dalle battaglie che ogni giorno li attendono nelle aule di giustizia contro leggi vessatorie ed una parte della magistratura sempre più reazionaria e sensibile alle pressioni esercitate dai poteri forti, spalleggiata da un legislatore a cui importano le statistiche e non già i diritti delle persone.

Chi scrive crede ancora in quei giudici, i quali resistono ai condizionamenti, che hanno ben presente la loro missione fondamentale al servizio dei cittadini, che comprendono come questi ultimi abbiano bisogno di giustizia più che mai in un mondo che evoca la supremazia dell'economia sul diritto e dei “poteri forti” sugli individui, che, allorquando si trovano dinanzi ad una nota a sentenza od assistono ad un convegno, riescono ancora a discernere tra, da un lato, giuristi liberi e, dall'altro lato, interpreti vincolati alle strategie dei loro clienti seriali, se non prezzolati od attaccati come chiocce alla politica lobbizzata.

Il danno esistenziale: come impiegarlo negli scenari odierni

Le vere battaglie oggi non vertono sul danno esistenziale, ma, più in generale, sul danno non patrimoniale (perfino sui danni biologici e morali) e, a monte, sulle stesse regole funzionali all'imputazione delle responsabilità extracontrattuali e da inadempimento.

Infatti, anche i profili relativi all'an debeatur sono ormai ritornati ad essere oggetto di scontri.

A quest'ultimo proposito basti pensare agli attacchi recenti all'art. 1218c.c. sia sul versante della responsabilità medica sia sul piano della sua estensione oltre i margini degli inadempimenti contrattuali, nonché alle contese in atto sul fronte della causalità civile ed al gran ritorno della colpevolizzazione dei pedoni alle prese con strade a groviera, tanto per citare alcuni esempi.

La stessa costante vituperazione dei danni non patrimoniali “bagatellari” (da taluna giurisprudenza di merito ancora inquadrati sotto il lemma “danno esistenziale”) è, in realtà, espressione di una battaglia sui confini della r.c., giacché negandosi i risarcimenti di questi pregiudizi si supportano nuove forme di immunità in barba a doveri contrattuali, ad obblighi di correttezza e di buona fede.

Al cittadino si vorrebbe imporre di tollerare di tutto al fine di scongiurare nuove cause, ciò in beneficio di soggetti (Stato compreso) che, invece, andrebbero incentivati a tenere comportamenti virtuosi e, in quanto tali, funzionali a costruire un Paese più efficiente e serio.

Si pensi, inoltre, al deplorevole tentativo, posto in essere anche in seno alla Cassazione ultima (che ora annovera alcuni magistrati non esattamente super partes), di scardinare le tradizionali interazioni tra risarcimenti e “collateral benefits”, cercandosi di far dimenticare che i primi si incrociano con i secondi soltanto in dipendenza di azioni di regresso o di surrogazione o, qualora vi sia coincidenza causale tra illecito e vantaggio, nei ristretti limiti della compensatio lucri cum damno.

Ciò rilevato, si tratta, dunque, di difendere la tutela risarcitoria delle persone nel suo complesso.

In questa direzione la concezione “esistenzialista” dei danni e, più in generale, della responsabilità civile, unitamente ad altri affinamenti (per esempio, il danno morale aggravato dalla condotta, già prospettato in M. Bona, La responsabilità civile per i danni da circolazione di veicoli - Nuovi scenari dell'azione ex art. 2054 c.c. e dell'azione diretta ex Cod. Ass. Priv., Milanofiori Assago, 2010), può tuttora contribuire a sostenere tale difesa e, quindi, costituire un'“arma in una battaglia”.

Nondimeno, affinché produca i suoi effetti migliori e non induca a reazioni avverse anche da parte degli interpreti meno assoggettati a pregiudizi, l'idea del danno esistenziale va impiegata con la dovuta attenzione, cioè valorizzando e ponendo al centro i concetti su cui essa si è retta sin dalle sue origini.

Il danno esistenziale, infatti, non è come il prezzemolo, fermo stando che anche quest'ultimo non può condire ogni pietanza. Esso, come del resto qualsiasi altro istituto, non va utilizzato con leggerezza, non va abusato per generare contenziosi insulsi, come, purtroppo, si è verificato in talune aree geografiche del Paese; senz'altro una maggiore preparazione ed un contestuale recupero di serietà da parte di una cospicua serie di avvocati “attivisti” sarebbero più che auspicabili.

In pratica, occorre concentrarsi sull'allegazione e sulla prova dei pregiudizi esistenziali (naturalisticamente intesi) non già per conseguire a tutti i costi il risarcimento di una categoria autonoma di danno, bensì ai seguenti scopi:

  • per ottenere una corretta personalizzazione del danno non patrimoniale;
  • per superare i limiti, legislativi o giurisprudenziali, delle tabelle;
  • per sostanziare l'incostituzionalità dei limiti di legge alla personalizzazione del danno biologico;
  • per rilevare l'insufficienza di determinate liquidazioni (basti pensare alle liquidazioni al ribasso, decisamente irrisorie, per i soprusi subiti dalle vittime di Bolzaneto e della Scuola Diaz di Genova, od ai ridicoli risarcimenti prospettati per i passeggeri della Costa Concordia, oppure, ancora, alle liquidazioni accordate a vittime di violenze sessuali o di altri gravi reati; un'“esistenzialista” doc, Patrizia Ziviz, nell'evidenziare recenti casi di risarcimenti al ribasso, ha evocato lo spettro di una “lotteria dei danni”; il fatto è che ormai trattasi di una lotteria ormai degna di una festa paesana, ove solo pochi fortunati - talvolta personaggi noti o grandi società o la stessa p.a. che vantano danni all'immagine - riescono ad accedere a cospicue liquidazioni);
  • last but not least, per fare emergere situazioni di danno scongiurabili dagli offensori e meritevoli di essere sanzionate attraverso la r.c. (aquiliana o da inadempimento); ci si riferisce, per esempio, ai disservizi che colpiscono i consumatori così come i cittadini alle prese con la pubblica amministrazione, le casse previdenziali, il fisco ed altri soggetti consimili tanto solerti a spremerci quanto pronti a negarci tutele.

In altri termini occorre richiamare l'attenzione, sfruttando al massimo i mezzi di prova a disposizione, sulla rilevanza della tutela rimediale della sfera esistenziale degli individui per l'ordinamento interno, quest'ultimo chiaramente da concepirsi anche in relazione ai diritti sovranazionali.

La realizzazione di questi fini non costituisce un'impresa facile, soprattutto dinanzi ad un “sistema giustizia civile” sempre più ostile alle esigenze di un processo calibrato per risarcimenti personalizzati e, più in generale, vieppiù lontano dalle legittime istanze ed aspettative dei cittadini, in altri ordinamenti adeguatamente considerate, da noi ignorate innanzitutto sul piano culturale (già, perché nel nostro Paese ormai è in piena crisi l'idea che il cittadino abbia diritto a servizi efficienti, a non subire illeciti od inadempimenti per quanto “bagatellari” questi siano, ad essere rispettato per ogni singolo euro e spazio esistenziale che con sudore e fatica si conquista ogni giorno).

Peraltro, occorrerà portare tutta una serie di magistrati a liberarsi del timore, alimentato dalla compagine assicurativa, di risarcire “troppo” ed a preoccuparsi nuovamente di non risarcire “troppo poco”.

L'asserito stretto collegamento tra risarcimenti e premi assicurativi è una bufala, un autentico “mito”. Così come costituisce una falsa rappresentazione che in Italia si risarcisca più che in altri Stati membri dell'Unione europea.

Inoltre, le eventuali ricadute sulle finanze pubbliche non dovrebbero ammontare ad un problema di primario interesse per la magistratura; semmai spetta al legislatore pensare di più alla prevenzione: sarebbe meglio e più economico per tutti avere strade prive di buche e più sicure che spendere soldi per risarcire danni evitabili; si eviterebbero infezioni nosocomiali e si arginerebbero i casi di medical malpractice, se si investisse di più e razionalmente sulle strutture sanitarie pubbliche e non si buttassero via montagne di soldi in appalti truccati spesso affidati ad imprese malavitose; sarebbe opportuno prevedere sistemi efficaci per mettere alla porta dipendenti infedeli od inetti invece che continuare a pagare per disservizi.

Insomma, diversi magistrati dovrebbero tornare a ragionare sulle funzioni basilari della responsabilità civile, sui costi degli illeciti e degli inadempimenti, sulle scelte politiche che governano la tutela risarcitoria, interrogarsi sulle reali cause dei sinistri e dei contenziosi.

Il clima culturale ed economico, le politiche legislative, le pressioni esercitate dallo Stato e dalle amministrazioni locali, le cantilene delle varie lobbies sono tutti fattori che giocano contro una magistratura progressista.

Nondimeno, le difficoltà odierne non devono scoraggiare ed è imprescindibile continuare ad insistere per una tutela risarcitoria forte, ciò in quanto a garanzia dei cittadini non è rimasto molto altro.

A questo fine sarebbe opportuno comprendere alcuni basilari concetti:

  • il cittadino danneggiato, dinanzi a continui giochi al ribasso da parte dei responsabili/pagatori seriali, non può che ricorrere alla magistratura; gli “intasatori” delle corti sono altri (le assicurazioni che negano sistematicamente ogni danno ed ogni personalizzazione, oltre che, tra fusioni e riorganizzazioni, gestire i sinistri con gravi noncuranze; lo Stato e le pubbliche amministrazioni che, per risparmiare, non fanno prevenzione ed incrementano le occasioni di danno, senza neppure assicurarsi od accantonare fondi per provvedere ai risarcimenti; enti pubblici ed imprese che si affidano ai giudizi confidando nella lunghezza dei processi e nell'incappare in giudici condizionati dalle ideologie reazionarie; pubbliche amministrazioni che non sono organizzate per la gestione dei sinistri ed ove nessuno si assume la responsabilità di addivenire a transazioni, in uno scenario in cui i fondi per scongiurare le cause non ci sono mai; … ovviamente tutti coloro che, pur potendo scongiurare situazioni di danno, non si prodigano in questa direzione, magari per miopi politiche di spending review o per conseguire maggiori profitti);
  • per disincentivare il contenzioso giudiziario è necessario incutere il timore nei convenuti, soprattutto quelli seriali, di trovarsi a risarcire di più in caso di giudizio; si tratta di rendere meno premiante la resistenza dei convenuti nelle aule di giustizia;
  • il miglior sistema per arginare ilnumero delle cause rimane, ad ogni modo, la prevenzione degli illeciti e degli inadempimenti; e tra gli incentivi alla prevenzione si annovera indubbiamente la certezza di una tutela risarcitoria forte, un bene prezioso che è opportuno preservare, non già svilire.

Non prendere sul serio le istanze, che hanno connotato e continuano a caratterizzare l'idea di una responsabilità civile a tutela effettiva dell'esistenza quotidiana di ciascun individuo, conduce verso una giustizia civile inidonea alla sua missione, sempre più fragile, debole agli occhi dei cittadini, soprattutto tale da non preoccupare gli autori di illeciti ed inadempimenti ed i pagatori seriali.

L'indebolimento della r.c. si riflette non solo sui danneggiati, ma sulla magistratura e sulla società, divenendo lo specchio di un Italia in cui al danno tende spesso ad associarsi la beffa.

La concezione “esistenzialista” del danno e della r.c., dunque, continua a preservare tutto il suo valore, perlomeno per coloro che anelano ad un'Italia migliore, alleggerita dal peso di miriadi di risarcimenti perfettamente evitabili attraverso una tutela risarcitoria forte, scevra dalle caterve di cause alle quali i convenuti seriali (Stato in testa) costringono quotidianamente i danneggiati.

In definitiva, la bilancia della giustizia deve tornare a pendere a favore dei cittadini danneggiati.

Una chiosa faceta: capelli maltagliati e tacchi rotti

Mi auguro che chi avrà avuto la pazienza di leggere quanto sopra non si sia tediato eccessivamente. Come ovvio, questo articolo – uno tra i mille editi in materia – non farà mutare idea ad alcuno, ma ai lettori rimasti convinti che l'esperienza del danno esistenziale si sia risolta, come azzardato dalle Sezioni Unite del San Martino 2008 (Cass. S.U., 11 novembre 2008, n. 26972/3/4/5), in una serie di sentenze che «risarcivano pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere dall'individuazione dell'interesse leso, e quindi del requisito dell'ingiustizia», vorrei ricordare quanto segue:

  • senza l'intervento e gli stimoli degli “esistenzialisti” oggi ci troveremmo a risarcire i danni da uccisione ed altri considerevoli pregiudizi con cifre davvero ridicole; inoltre, un novero amplissimo di illeciti ed inadempimenti rimarrebbero in concreto impuniti;
  • ridicolizzare l'idea del danno esistenziale menzionandosi un'isolata sentenza sul danno da erroneo taglio di capelli oppure una altrettanto singolare pronuncia sulla rottura del tacco della scarpa nuziale potrà anche risultare estremamente efficace in convegni uggiosi, ma occorrerebbe non lasciarsi impressionare da certi numeri da cabaret.

E, comunque, gli amici appassionati di tali casi dovrebbero raccontarli in modo veritiero e sottoporre alle dotte platee alcune questioni:

  • taglio maldestro di capelli (Giudice di pace Catania, 25 aprile 1999): il giudice di pace, senza fare alcun cenno al danno esistenziale (!!!), risarcì il danno nella misura di lire 700.000, dacché era stato accertato, attraverso un'accurata istruttoria per testi e con tanto di C.T.U. (un maestro d'arte parrucchiere), che effettivamente vi era stato l'inadempimento del dipendente della società convenuta (il quale aveva ecceduto nel tagliare i capelli della ragazza in procinto di sposarsi, nonostante la diversa e comprovata richiesta di quest'ultima circa il taglio da effettuarsi); la gestrice del negozio di parrucchieri non solo aveva ritenuto di non addivenire ad una transazione stragiudiziale, ma, costituendosi, aveva pure proposto, oltre chiamare in manleva la propria compagnia assicuratrice, una strampalata domanda riconvenzionale per la somma di lire 5.000.000 per i danni che avrebbe subito per diffamazione al suo buon nome; certamente questi sono casi che non dovrebbero mai approdare dinanzi ad un giudice, ma a scongiurare un contenzioso siffatto non dovrebbe essere chi si è reso inadempiente, non già chi lo ha subito? Inoltre, il nostro ordinamento forse contempla l'immunità dei parrucchieri dalla r.c.?
  • rottura del tacco della sposa (Giudice di pace Palermo, 17 maggio 2004): perché mai una sposa, nel giorno del suo matrimonio mentre si reca all'altare, dovrebbe tollerare la rottura del tacco della sua scarpa, imputabile ad un difetto del prodotto acquistato per l'occasione, nuovo di zecca e magari pagato a caro prezzo? Per quale recondita ragione il giudice di pace avrebbe errato nel risarcire poche centinaia di euro a fronte di un sicuro inadempimento da parte della ditta produttrice e di un altrettanto certo pregiudizio non patrimoniale (ancorché modesto)? Perché il produttore non ha provveduto a scongiurare il contenzioso risarcendo il danno stragiudizialmente e magari degnandosi di scrivere una lettera di scuse come avverrebbe in un qualsiasi Paese normale?

Logicamente non sono questi i casi per i quali si sono battuti e si battono gli “esistenzialisti”, ma, at the end of the day, non è senz'altro risibile la pretesa che in questo nostro bel Paese ciascuno – anche un parrucchiere od un produttore di scarpe – faccia il suo lavoro per bene e, laddove sia in difetto, non intasi le corti, pretendendo di avere ragione (peraltro, con la prospettiva di avere successo).

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