“Colpo di frusta”. Il ruolo della medicina-legale

Franco Marozzi
30 Ottobre 2015

La legge 27/2012 costituiva un provvedimento legislativo adottato nel tentativo, poi realizzatosi con discreto successo, di frenare i risarcimenti da ricondurre al verificarsi dei cosiddetti “colpi di frusta cervicali” che, secondo fonti assicurative appesantivano il mercato della RC auto impendendo una discesa dei premi con ovvie ripercussioni di natura socio – economica. Il compito della medicina legale era quello mettere a disposizione le conoscenze necessarie ad affrontare un problema che restava di carattere eminentemente scientifico ovvero valutare la relazione causale tra un fenomeno lesivo ed il suo estrinsecarsi, come menomazione temporanea o permanente dell'integrità psico-fisica. Si dà atto in questo scritto di un semplice elenco delle uniche “evidenze” risultanti da importanti lavori di revisione sistematica (selezione di fonti di letteratura referenziata) e metanalisi (applicazione di metodi matematico-statistici per integrare risultati di lavori clinici ottenendo un unico indice quantitativo di stima) di studi sulle sequele del cosiddetto “colpo di frusta cervicale”.
Il ruolo della medicina-legale nel dibattito sul risarcimento del danno a persona

In questi anni d'intenso dibattito e di grandi mutamenti nell'ambito della tematica della valutazione e liquidazione del danno a persona, ovviamente, la medicina legale si è assisa insieme alle altre componenti delle diverse “assemblee” operative (giuridiche, legislative, assicurative) con una partecipazione, che da tempo, è da considerare sintomatica rispetto al suo ruolo reale in quest'ambito. A mio parere, infatti, mentre gli altri “attori” dell'importante pièce che si stava rappresentando, consideravano la medicina legale come un elemento essenziale, una vera prima donna quindi, per comprendere i fenomeni in giuoco, quest'ultima, attraverso i suoi rappresentanti chiamati via via ad esprimersi sulle questioni poste sul tappeto, ha dimostrato l'incapacità di assumere una parte principale rimanendo nascosta tra le quinte, in una condizione di semplice comprimario addetto a portare un contributo che si declinava, essenzialmente, in commenti di spiccato carattere giuridico alle tematiche che via via venivano sottoposte alla riflessione generale, senza che ella mettesse in evidenza quelle sottolineature che avrebbero contribuito a tratteggiare in modo adeguato i fenomeni in discussione sotto il profilo delle conoscenze clinico - scientifiche.

Un esempio di quanto si è detto poc'anzi, è rappresentato dall'approccio della nostra medicina legale ai famigerati artt. 32, commi 3-ter e quater ex legge 27/2012. Non mi passa nemmen per la testa ora di rammentarli qui, già fin troppo se n'è parlato, ma è parso ai più, che il provvedimento legislativo venne adottato nel tentativo, poi realizzatosi con discreto successo, almeno a quel che si dice in mancanza di rilievi ufficiali provenienti da parte terza, di frenare i risarcimenti da ricondurre al verificarsi dei cosiddetti “colpi di frusta cervicali” che, secondo fonti assicurative appesantivano il mercato della RC auto impendendo una discesa dei premi con ovvie ripercussioni di natura socio – economica. Una legge dunque contro una “lesione”, ritenuta responsabile di conseguenze che economicamente si riverberavano sull'intera comunità.

Il compito del clinico, quindi del medico-legale in questo ambito, sarebbe stato quello di fornire alla comunità politico-giuridico-economico-assicurativa, che si interessava delle questioni sul tappeto, le conoscenze necessarie ad affrontare un problema che restava di carattere eminentemente scientifico visto che il provvedimento legislativo in questione agiva su un terreno, che culturalmente, era di stretta pertinenza medico-legale: si stava parlando, infatti, della relazione causale tra un fenomeno lesivo ed il suo estrinsecarsi, come menomazione temporanea o permanente dell'integrità psico-fisica.

La metodologia per approcciare una tale problematica non sarebbe potuta che essere quella di fornire alla già richiamata comunità politico-giuridico-economico-assicurativa quelle che, grazie all'approccio “evidence based” offerto dalla letteratura internazionale in ambito medico, sono le attuali reali conoscenze scientifiche sull'argomento.

Quello che seguirà è un semplice elenco delle uniche “evidenze” risultanti da importanti lavori di revisione sistematica (selezione di fonti di letteratura referenziata) e metanalisi (applicazione di metodi matematico-statistici per integrare risultati di lavori clinici ottenendo un unico indice quantitativo di stima) di studi sulle sequele del cosiddetto “colpo di frusta cervicale”.

I dati della letteratura “evidence based” sulla “questione colpo di frusta”

Cercherò, visto l'ambito di pubblicazione certo più di natura giuridica che clinica, di fornire alcuni dati in modo sintetico, assicurando soltanto la comprovata significatività statistica delle associazioni (o non associazioni) con il “colpo di frusta”.

Due semplici parole di introduzione sul tema: molti di voi sapranno che il cosiddetto “colpo di frusta” o “whiplash”, come lo chiamano gli anglosassoni, non è affatto una lesione ma una forma di lesività rappresentata da un meccanismo di accelerazione-decelerazione di energia trasferita al collo che comporta alterazioni dei tessuti molli che possono portare a manifestazioni cliniche che includono dolori cervicali e sintomi associati (cefalea, vertigini, disturbi del visus ecc…) ovvero ai cosiddetti “Whiplash-associated disorders” o WAD secondo la definizione della Quebec Task Force on Whiplash Associated Disorders che a partire dagli anni 90 fornì spunti definitori e classificatori che portarono alla suddivisione dei WAD in 5 gradi (dal WAD 0 al WAD 4) di progressiva gravità (generalmente quelli di cui ci si occupa sono i WAD I e II e, in netta minoranza, i WAD III) ovvero quelli che fanno presentare al paziente situazioni di natura dolorosa associati (WAD II) o meno (WAD I) a disturbi nella mobilizzazione del collo o ad alterazioni di natura neurologica periferica (WAD III).

Contrariamente, forse a quanto sapete o a quanto è stato detto più volte, il colpo di frusta è estremamente diffuso, in tutte le casistiche registrate in letteratura a livello mondiale, dal punto vista epidemiologico, riguardando più dell'80 % dei soggetti coinvolti in un incidente stradale nel mondo.

Gli studi di cui si è detto precedentemente si sono occupati essenzialmente di due aspetti.

Il primo è quello rappresentato dal profilo prognostico e riguarda in particolare il numero dei soggetti i quali, sottoposti al meccanismo lesivo in questione, sviluppano forme di disturbo cronicizzate e le condizioni cliniche che favoriscono il mantenimento della sintomatologia.

In merito a ciò, diverse revisioni sistematiche e metanalisi di studi ci dicono che:

- le diverse casistiche esaminate attestano la persistenza della sintomatologia ad un anno in una percentuale variabile che dal 30 al 50 % dei soggetti (gli studi che si occupano della sintomatologia dolorosa in un arco superiore all'anno dall'accadimento sono scarsi).

- la stabilizzazione della sintomatologia avviene in un arco di tempo cha va dai tre ai sei mesi ovvero, nella maggioranza dei casi, a tre mesi si giunge ad una stabilizzazione della maggioranza dei casi con risultati clinici, in questo ambito, di maggiore considerazione statistica, se misurati a 6 mesi dall'evento lesivo.

- i fattori statisticamente associati allo sviluppo di una sintomatologia dolorosa cronica sono rappresentati da:

  • l'intensità del dolore iniziale misurata tramite le classiche scale di misurazione soggettive (il rischio di presentare dolori dopo tre mesi dal fatto aumenta del 3 % per ogni mm di aumento rispetto alla scala VAS per il dolore di 100 mm).
  • la gravità del fatto clinico misurata su scala WAD per le classi II e III (ovvero per i “colpi di frusta” con sintomi clinici relati alla difficoltà nella mobilizzazione del capo o di natura neurologica periferica).
  • il numero di sintomi “fisici” presentati dal soggetto (se sono più di 9 la probabilità di avere dolore ad un anno aumenta di 2,5 volte).
  • la presenza di condizioni di stress psicologico – ansia – depressione (anche misurabili su specifiche scale ad esempio quella denominata SCL – 90).
  • la messa in opera di strategie di cosiddetto coping passivo ovvero il grado di adattamento emotivo del soggetto alla situazione sintomatologica.
  • il sesso femminile (le donne hanno una probabilità di presentare dolore a 12 mesi di 4,5 volte superiore rispetto agli uomini).
  • il basso livello educativo (2 volte superiore la possibilità di dolore a 12 mesi nei soggetti privi di istruzione superiore – gli autori anglosassoni parlano specificatamente di laurea).
  • la presenza in anamnesi di precedente cefalea o algie cervicali (aumento di 2,5 volte della possibilità di presentare disturbi dolorosi a 16 mesi di distanza dal trauma anche se altri studi parlano soltanto di un aumento di 1,5 volte).
  • nessun altro sintomo o segno clinico è prognostico rispetto al mantenimento della sintomatologia distanza (raddrizzamento della lordosi cervicale al RX, vertigini, cefalea ecc…).

Inoltre, le uniche due condizioni, rispetto alla modalità di accadimento dell'incidente, che sono stata studiate e sono risultate significativamente associate allo sviluppo di sintomatologia a distanza di tempo, sono l'impreparazione all'urto e il mancato uso delle cinture di sicurezza; non rilevano, almeno allo stato delle attuali conoscenze, l'entità dell'urto, la velocità dei veicoli, la rotazione del capo al momento dell'urto ecc…

- l'altro aspetto ampiamente indagato è quello riguardante l'efficacia delle diverse terapie e il loro ruolo nel superamento della sintomatologia: in questo ambito le evidenze sono concordanti: al di là della terapia sintomatica farmacologica, nessun'altra terapia di tipo “fisico” ha una qualche efficacia statisticamente comprovata, sia nella prevenzione, sia nel trattamento dei disturbi algici cronici se non la precoce mobilizzazione.

Qualche considerazione pratica sui dati di letteratura

Bene, sulla base di queste evidenze scientifiche, a mio avviso mai correttamente messe a disposizione dell'intera comunità che a lungo ha dibattuto sui significati delle novelle legislative introdotte all'art. 139 del Codice delle Assicurazioni che hanno anche goduto dell'imprimatur offerto recentemente dalla Corte Costituzionale, si possono operare alcune sintetiche considerazioni.

- La percentuale di soggetti che presenta, dopo un meccanismo lesivo a tipo “colpo di frusta”, una sintomatologia clinica (quasi sempre rappresentata da dolore – la letteratura internazionale non considera nemmeno altri sintomi come vertigini, parestesie artuali ecc… considerandoli residuali statisticamente o non chiaramente attribuibili alla lesione iniziale) è da considerare pari a meno della metà dei soggetti passivi. Sempre considerando se sia corretto o meno attribuire la qualifica di “permanenza” a tale quadro soggettivo, stante l'esistenza di evidenze robuste solo riguardo alla sintomatologia presente a distanza di un anno dal fatto lesivo.

- Nessuno dei fattori indicati dalla letteratura scientifica come significativamente associati alla cronicizzazione della sintomatologia può essere accertato tramite strumenti oggettivi o strumentali per lo meno nel senso che la dottrina medico-legale ha individuato fin d'ora. Quindi non vi sarebbe alcuna relazione tra una rigida applicazione delle norme della 27/2012 nell'ambito della determinazione di una condizione menomativa derivata dal fatto lesivo e l'applicazione di una criteriologia scientifica basata sulle “evidenze”. È vero d'altronde che, al contrario di quanto sembrerebbe finora esser stato fatto nella quotidiana pratica medico-legale, le norme dei celebrati artt. 32, commi 3-ter e quater della 27/2012 non si rivolgono affatto a profili decisionali sulla valutazione della menomazione ma ad una delimitazione della possibilità che fatti lesivi (o lesioni) siano risarcite: ovvero l'oggetto primario promosso dall'intenzione del Legislatore era l'identificazione di “non lesioni” e quindi di possibili “frodi”.

- È altrettanto certo che l'applicazione delle conoscenze sopra riportate nella quotidiana pratica clinica medico-legale, soprattutto nell'ambito più diffuso rappresentato dalle valutazioni operate dai sanitari consulenti delle Compagnie assicurative, assai poco nota nel suo svolgimento dal “parterre” degli utenti del modo giuridico-legislativo, troverebbe enormi difficoltà esecutive qualora si dovesse utilizzare parametri decisionali basati su questioni assai complesse quali il profilo di personalità del paziente, la carenza di rilievi iniziali importanti (in quanti Pronti Soccorsi si misura l'entità del dolore; in alcuni sì ma non certo la maggioranza), la soggettività rispetto al riferimento di profili anamnestici, ecc…Il tutto considerando una modalità di produzione della relazione medico-legale assicurativa – prima o poi se ne dovrà parlare – assoggettata alla consegna in tempi ristretti (attenzione alle sanzioni IVASS), su format predeterminati, redatta con tempi e qualità informatizzate: in altre parole, velocità di esecuzione, pochi dubbi e pochi fronzoli.

- Il problema delle spese mediche andrebbe completamente rivisto sulle basi di criteri di efficacia delle cure, nel caso di specie scarsamente comprovata sotto il profilo statistico ripassando la palla nel campo dei giuristi in relazione alla risarcibilità di un danno emergente, la cui sussistenza non sarebbe supportata da adeguati fondamenti scientifici: in realtà, da qui, dovrebbero arrivare i maggiori risparmi per le parti assicurative.

Medicina legale e evidenze scientifiche: una sfida nella complessità

È chiaro che una piccola occhiata su un mondo in divenire quale quello dell'utilizzo delle conoscenze scientifiche su tematiche di pratica attuativa quotidiana, consente a tutti gli operatori del campo (Magistrati, Legali, Assicuratori ecc…) di confrontarsi con una realtà, a mio avviso, assai più complessa dalla rappresentazione di rassicurante facile risolvibilità delle tematiche in gioco offerta, fino ad oggi, dal confronto con la medicina legale: quello che qui si vuol dire è che un approccio scientificamente corretto su un tema apparentemente di banale risoluzione come un semplice “colpo di frusta”, quasi irrilevante come entità singola, ma assai importante nella sua incidenza sul “mercato globale del risarcimento del danno” ci fa scontrare con il tema della “complessità” derivante dal confronto con le “reali” conoscenze, che non consente banalizzazioni delle problematiche ma sollecita soluzioni anche semplificative fondate però su una metodologia corretta che abbia il sapore, almeno per i medici, di quello che la clinica e la comunità scientifica ci suggeriscono.

In più la comunità medico-legale si dovrà confrontare con il dilemma derivato dalla definitiva presa di coscienza della sua essenza dovendo scegliere tra due vie.

O essere sponda del dibattito tra le diverse componenti deputate allo studio ed alla pratica valutativo-liquidativa del danno a persona con ruolo ancillare, adattandosi ad un placido discettare su sentenze e semantica legislativa, oppure, pur rammentando a tutti la sua origine e funzione ovvero quella di essere una cinghia di trasmissione “reale” tra il mondo clinico e quello della legge, con tutte le implicazioni socio-economiche che ne derivano, traendo dal primo le sue reali fondamenta e acquisendo quei tratti di qualità tecnica e di indipendenza di giudizio, che sono le uniche sue prospettive di sopravvivenza futura.

Guida all'approfondimento

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W O Spitzer et AA, Scientific monograph of the Quebec task force on whiplash-associated disorders: redefining “Whiplash” and its management, Spine 1995, 8, 1–73

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