Anche le associazioni non riconosciute pagano gli interessi moratori ex. D.lgs. n. 231/2002

Redazione Scientifica
30 Novembre 2015

Ai fini dell'applicabilità della disciplina ex D.Lgs. n. 231/2002, si considerano imprese anche gli enti non riconosciuti che non perseguano nessuna attività di lucro, ma la cui organizzazione e attività presenti oggettivi caratteri di economicità.

La vicenda. L'ente autonomo Giffoni si opponeva al decreto con cui Tribunale di Milano lo aveva ingiunto a pagare in favore di una società la cifra di 72.000 €, oltre interessi ex D.lgs. n. 231/2002 dalla scadenza delle fattura al saldo effettivo e spese giudiziali. Secondo l'opponente erano dovuti i soli interessi al tasso legale, a decorrere dall'atto di costituzione in mora.

L'opponente, quindi, non contestava il credito vantato dalla controparte, bensì l'applicabilità al rapporto della disciplina sugli interessi moratori. Difatti sosteneva che, essendo una società non riconosciuta, non poteva rientrare nella categoria delle imprese soggette al D.Lgs. n. 231/2002. D'altronde, essendo l'attività dell'opponente prevalentemente non lucrativa, l'ente non poteva essere ricompreso nella categoria dei «soggetti esercenti un'attività economica organizzata» prevista dall'art. 1 della predetta normativa.

Non è il lucro a fare un'impresa. Il Giudice di Milano, nel decidere la questione, ricorda che «la definizione di impresa, contenuta nella disciplina di derivazione comunitaria, risulta particolarmente ampia», tant'è vero che «il perseguimento di uno scopo non lucrativo non esclude necessariamente l'esercizio professionale di un'attività di impresa».

In conclusione, non è l'intento soggettivo dell'imprenditore (ovverosia il perseguimento di un lucro) che ha rilevanza, ma l'oggettiva circostanza che l'organizzazione dell'attività risponda a criteri di economicità (v. Cass., sent., n. 16612/2008; Tar Basilicata, n. 41/2014).

L'Ente Giffoni – spiega il Giudice - deve essere ricompreso tra i destinatari della normativa suindicata dal momento che il proprio oggetto sociale ricomprende molteplici attività commerciali, che presuppongono una struttura complessa ed organizzata; attività che quindi, pur perseguendo scopi culturali, presentano oggettivi caratteri di economicità.

Sulla base di tali argomenti, il Tribunale di Milano ha rigettato l'opposizione.

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