Fondo patrimoniale ed illecito aquiliano

Giuseppe Fiengo
30 Novembre 2016

Il contributo esamina il tema dell'aggredibilità dei beni oggetto di fondo patrimoniale da parte del titolare del diritto al risarcimento del danno derivante da illecito aquiliano; questione che, anche a causa di una non felice formulazione dell'art. 170 c.c., ha determinato l'emersione di un contrasto tra la giurisprudenza di legittimità ed una parte della giurisprudenza di merito. Ricostruiti i profili generali dell'istituto disciplinato a partire dall'art. 167 c.c. con particolare riferimento al regime generale di pignorabilità dei beni del fondo, l'autore analizza gli orientamenti emersi con riferimento alla questione specificamente esaminata e, valorizzata la natura eccezionale dell'art. 170 c.c., giunge a ritenere preferibile la soluzione (attualmente minoritaria) che assicura al danneggiato da illecito aquiliano la possibilità di trovare piena soddisfazione del proprio diritto sui beni ed i frutti del fondo.
Caratteri e natura giuridica del fondo patrimoniale

Al fine di tutelare l'interesse della famiglia e, in particolare, di assicurare ai componenti della stessa il godimento di un determinato tenore di vita, la l. n. 151/1975 di riforma del diritto di famiglia ha introdotto nell'ordinamento italiano il fondo patrimoniale. La funzione di tale istituto va ricercata nella destinazione di determinati beni (immobili, mobili registrati e titoli di credito) al soddisfacimento dei bisogni della famiglia (art. 167, comma 1, c.c.). In conseguenza dell'abrogazione della dote e del patrimonio familiare, il fondo patrimoniale è l'unico regime coniugale funzionalizzato al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, anche se è discussa la possibilità di realizzare analogo scopo mediante l'istituto disciplinato all'art. 2645-ter c.c.

La dottrina maggioritaria (tra gli altri, AULETTA) riconduce il fondo patrimoniale alla categoria dei patrimoni di destinazione e, in particolare, dei patrimoni separati; esso è quindi privo di soggettività secondo quanto del resto deriva sia dalla mancanza di una volontà autonoma rispetto a quella dei coniugi, sia dal difetto di una specifica organizzazione del patrimonio (come accade, invece, per le società).

La finalità dell'istituto permea il regime giuridico dei beni oggetto del fondo.

Tali beni (ed i relativi frutti) devono infatti essere utilizzati dai coniugi a vantaggio della famiglia; analogo vincolo sussiste con riferimento all'alienazione degli stessi per la quale, in presenza di minori, è prescritta l'autorizzazione giudiziale (art. 169 c.c.). Nello stesso senso, ancora, si giustifica il regime di limitata pignorabilità previsto dall'art. 170 c.c.

Tanto i limiti nel godimento dei beni da parte dei componenti della famiglia, quanto la ridotta pignorabilità incrementano la possibilità, per la famiglia, di ottenere credito da terzi. Quanti abbiano concesso credito per far fronte alle esigenze familiari, oltre a potere (secondo la dottrina maggioritaria) aggredire in sede esecutiva il patrimonio personale del coniuge obbligato, potranno infatti veder realizzato coattivamente il proprio diritto anche sui beni del fondo (oggetto, come visto, di limitata disponibilità) senza concorrere con i creditori personali dei coniugi.

Fondo patrimoniale ed esecuzione forzata

La disciplina della responsabilità dei beni oggetto del fondo patrimoniale è estremamente concisa e non in grado di offrire soluzioni univoche a numerosi problemi che sovente sorgono nella pratica.

La norma di riferimento è l'art. 170 c.c. che, coerentemente alla natura del fondo quale patrimonio di destinazione, si limita ad escludere la possibilità di agire in sede esecutiva sui beni del fondo e sui frutti di essi per i debiti che il creditore conosceva esser stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Nulla è espressamente previsto, tuttavia, in ordine alla possibilità per i creditori per bisogni della famiglia di aggredire il patrimonio personale dei coniugi o, ancora, con riferimento al concorso (in conseguenza dell'instaurazione di procedura espropriativa avente ad oggetto i medesimi beni –personali o del fondo) dei creditori personali del coniuge e di quelli del fondo.

La stessa formulazione letterale dell'art. 170 c.c. ha del resto suscitato non poche perplessità soprattutto in dottrina. Senza dubbio la norma consente di individuare tre categorie di creditori della famiglia:

1) i creditori consapevoli della strumentalità dell'obbligazione ai bisogni della famiglia;

2) i creditori che, incolpevolmente, ignoravano l'ultroneità dell'obbligazione rispetto alle esigenze familiari;

3) i creditori a conoscenza della mancata strumentalità dell'obbligazione alle esigenze familiari.

Solo i creditori appartenenti alle prime due categorie potranno aggredire in sede esecutiva i beni del fondo patrimoniale; tale facoltà è invece preclusa alla terza categoria di creditori.

È allora fondamentale (anche, come si vedrà, con riferimento alla questione oggetto delle presenti considerazioni) precisare la portata della locuzione “bisogni della famiglia” il cui contenuto non è esplicitato dal legislatore.

Non vi sono particolari dubbi quanto alla individuazione dei componenti il nucleo familiare in favore del quale può essere costituito il fondo patrimoniale. I plurimi riferimenti normativi ai coniugi ed al matrimonio e la previsione della cessazione della destinazione del fondo in caso di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio hanno tradizionalmente indotto a ritenere che la famiglia cui hanno riguardo gli artt. 167 e ss. c.c. è composta dai coniugi e dai relativi, eventuali, figli. Peraltro, in conseguenza della recente entrata in vigore della l. n. 76/2016 (legge c.d. “Cirinnà”), deve ritenersi che il fondo patrimoniale possa essere costituito anche per far fronte ai bisogni dell'unione civile (si vedano in particolare i commi 13 e 20 dell'art. 1, l. n. 76/2016).

Maggiori dubbi sono sorti, invece, quanto al profilo oggettivo della nozione di bisogni della famiglia.

Secondo autorevole dottrina (GABRIELLI), tale nozione va ricondotta a quella di mantenimento dei coniugi e dei figli (e, pertanto, al più generale dovere di contribuzione - art. 143, comma 3, c.c., richiamato, per le unioni civili, dall'art. 1, comma 11, l. n. 76/2016); mantenimento da intendersi tuttavia in senso ampio, comprensivo non dei soli bisogni essenziali, ma, anche, di quelli della vita di relazione, considerato il costume affermato nella cerchia sociale cui appartiene la famiglia. Ne deriva, secondo questa tesi, l'estraneità ai bisogni della famiglia delle esigenze della persona singola, ivi comprese le esigenze professionali le quali attengono alla sfera extradomestica e solo indirettamente possono tradursi in un vantaggio per gli altri familiari.

Nello stesso senso si è osservato (AULETTA) che il fondo risponde anche delle obbligazioni (indirettamente riconducibili ai bisogni familiari) sorte per rendere produttivi, conservare o migliorare i beni ad esso appartenenti, non anche delle obbligazioni tese ad accrescere o gestire il patrimonio del singolo coniuge o derivanti da attività d'impresa o di lavoro, perché non v'è un obbligo del titolare di destinare interamente i propri redditi alle necessità familiari.

La giurisprudenza, in modo costante, accoglie invece una nozione di bisogni della famiglia ben più ampia di quella fatta propria dalla maggioritaria dottrina.

Richiamando un principio affermato, con riferimento alla dote, già da Cass. civ., 12 maggio 1941, n. 1412, la Suprema Corte, con decisione che costituisce una pietra miliare nella materia qui esaminata, ha ritenuto che i bisogni della famiglia cui ha riguardo l'art. 170 c.c. vanno intesi non in senso restrittivo e cioè come relativi alla necessità di soddisfare l'indispensabile per l'esistenza della famiglia, ma in modo da ricomprendere anche «quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi» (Cass. civ., sez. III, 7 gennaio 1984, n. 134; in termini, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 26 agosto 2014, n. 18248, Cass. civ., sez. V, 7 luglio 2009, n. 15862). L'ampliamento giurisprudenziale dei bisogni della famiglia ha portato ad affermare che la nozione in esame deve essere valutata avendo riguardo non, solo, ai bisogni oggettivi, ma, anche, a quelli soggettivamente ritenuti tali dai coniugi (ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4011). Ancora (e sotto tale profilo massima è la distanza tra la maggioritaria dottrina e la giurisprudenza), si è ritenuto che il fondo patrimoniale può rispondere anche di obbligazioni contratte dal coniuge nell'esercizio della propria attività imprenditoriale. In proposito la Suprema Corte ritiene che la derivazione del debito dall'esercizio dell'attività imprenditoriale è circostanza di fatto di per sé neutra ai fini dell'art. 170 c.c., dovendo piuttosto l'interprete verificare l'esistenza del nesso di strumentalità richiesto dalla norma da ultimo citata tra il fatto generatore dell'obbligazione e le esigenze della famiglia (Cass. civ., sez. VI-5, ord., 23 novembre 2015, n. 23876; Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4011). Tale orientamento è stato tuttavia criticato atteso che, in conseguenza dell'ampiezza della nozione di bisogni della famiglia accolta dalla giurisprudenza e della ripartizione dell'onere della prova (v. infra), esso rischia di “svuotare” il regime di impignorabilità dei beni del fondo con pregiudizio per gli interessi (costituzionalmente rilevanti) che tale istituto è volto a salvaguardare.

Esecuzione forzata sui beni del fondo patrimoniale per crediti aquiliani

Una delle questioni più attuali e delicate in materia di fondo patrimoniale è quella relativa alla possibilità di sottoporre ad esecuzione forzata i beni ed i frutti del fondo da parte di colui che vanti un credito per risarcimento del danno da illecito aquiliano commesso da uno o da entrambi i coniugi.

In dottrina e giurisprudenza sono state al riguardo sostenute tesi differenziate la cui elaborazione è favorita da una formulazione letterale della norma non univoca.

Secondo un diffuso indirizzo la natura costituzionalmente rilevante dell'interesse (tutela della famiglia) in funzione del quale è stato introdotto il fondo patrimoniale impone di ritenere che la portata dell'art. 170 c.c. vada individuata non alla luce del titolo (contrattuale o non contrattuale) del credito, ma alla luce della strumentalità del fatto generatore dell'obbligazione ai bisogni della famiglia. In definitiva, mediante un'interpretazione sostanzialmente analogica dell'art. 170 c.c., l'orientamento in esame afferma che il credito da illecito aquiliano può essere realizzato in sede esecutiva solo quando l'illecito è riconducibile ai bisogni della famiglia (con tutti i dubbi che, come visto, tale nozione genera).

La tesi da ultimo citata è stata accolta da Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2003, n. 8991 e Cass. civ., sez. I, 18 luglio 2003, n. 11230 relative al medesimo caso (la duplicità di giudizi deriva dal fatto che la stessa vicenda sostanziale era stata oggetto di distinte opposizioni ex art. 615 c.p.c. atteso che i beni oggetto del fondo -e pignorati- ricadevano in due distinti circondari) di induzione all'inadempimento di contratto preliminare avente ad oggetto il bene successivamente acquistato dall'autore dell'illecito e da questi destinato al proprio fondo patrimoniale. La Suprema Corte ha osservato che l'art. 170 c.c. deve essere interpretato valorizzando l'elemento distintivo del fondo patrimoniale, ossia il vincolo di destinazione dei beni. Ne consegue che i crediti che possono essere realizzati in via esecutiva sui beni del fondo vanno individuati non alla luce della natura delle obbligazioni da cui discendono, ma in base alla relazione tra il fatto che ne determina l'insorgere ed i bisogni della famiglia (con riferimento al caso concreto il giudice di legittimità, rilevato che l'immobile acquistato per effetto dell'induzione all'inadempimento di precedente contratto era stato costituito in fondo patrimoniale, ha ritenuto che l'illecito generatore dell'obbligazione risarcitoria fosse strumentale ai bisogni della famiglia). Né, prosegue la Corte, argomento contrario può desumersi dal fatto che il danneggiato è creditore inconsapevole. L'art. 170 c.c. infatti non richiede, quale requisito positivo, la conoscenza da parte del creditore della strumentalità dell'obbligazione ai bisogni della famiglia, ma si limita a prevedere il requisito negativo della mancata conoscenza dell'estraneità dell'obbligazione alle esigenze familiari (mancata conoscenza che deve ritenersi ricorrente per definizione con riferimento al danneggiato da illecito aquiliano il quale è creditore inconsapevole). Il richiamo, in sede di interpretazione dell'art. 170 c.c., alla relazione tra il fatto generatore delle obbligazioni ed i bisogni della famiglia e non alla fonte dell'obbligazione è assai diffuso nella giurisprudenza di legittimità. In questo senso, oltre alla giurisprudenza citata alla fine del precedente paragrafo, anche Cass. civ., sez. VI – 5, ord. 24 febbraio 2015, n. 3738 che appare particolarmente rilevante ai fini della presente trattazione in quanto relativa ad un credito tributario e, pertanto, ad una tipica obbligazione ex lege.

L'orientamento accolto dalla giurisprudenza di legittimità è stato criticato da quella parte (in vero, minoritaria) della dottrina per la quale il riferimento ai debiti “contratti” per scopi estranei ai bisogni della famiglia impone di ritenere che l'art. 170 c.c. faccia riferimento alle sole obbligazioni sorte per effetto della volontà delle parti di collegare il vincolo giuridico ai bisogni della famiglia. Resterebbero invece escluse le obbligazioni aventi fonte diversa e, pertanto, anche quelle derivanti da responsabilità extracontrattuale (art. 1173 c.c.).

Nello stesso senso si è osservato che il danneggiato da un illecito aquiliano, in quanto creditore “inconsapevole”, per definizione non può essere a conoscenza dell'estraneità del fatto generatore dell'illecito ai bisogni della famiglia. Difetterebbe quindi, per il caso in esame, quel requisito soggettivo dell'art. 170 c.c. che trova il proprio fondamento nel principio di auto-responsabilità in base al quale colui che contrae volontariamente con una parte i cui beni sono stati devoluti in un fondo patrimoniale accetta il rischio che, in caso di inadempimento, il patrimonio residuo del debitore sia insufficiente alla realizzazione coattiva del credito.

Da ultimo, si è rilevato (DI STASO) che la tesi accolta dalla Suprema Corte presenta dubbi di legittimità costituzionale sotto un duplice profilo.

Per un verso essa rischia di realizzare un'ingiustificabile discriminazione nell'ambito della categoria dei creditori involontari; costoro, infatti, pur essendo -tutti- creditori inconsapevoli, vedrebbero concessa o preclusa la possibilità di realizzare il proprio diritto sui beni ed i frutti del fondo in conseguenza di una circostanza (il collegamento tra il fatto generatore dell'illecito ed i bisogni della famiglia) che esula del tutto dalla propria sfera giuridica.

D'altro canto, si è osservato che la rigidità del criterio accolto dalla giurisprudenza di legittimità pone seri pericoli al corretto bilanciamento degli interessi in gioco nel caso concreto. Basta al riguardo pensare per un verso al fatto che la responsabilità aquiliana è strumento di tutela non solo di interessi patrimoniali, ma, anche, di interessi fondamentali della persona (si pensi, ad esempio, al frequente caso del danno da sinistro stradale) e, per altro verso, che il fondo patrimoniale (come risulta dall'esaminata, ampia nozione di bisogni della famiglia oggi accolta) può essere strumentale alla tutela di interessi patrimoniali, o, addiruttura, voluttuari, del nucleo familiare.

L'attualità e la difficoltà di risolvere in modo univoco la questione qui in esame è confermata dal fatto che la giurisprudenza di merito ha sovente adottato decisioni contrastanti con i citati precedenti di legittimità del 2003. Il riferimento letterale dell'art. 170 c.c. tanto ai debiti “contratti” quanto alla conoscenza da parte del creditore dell'estraneità del debito ai bisogni della famiglia è stato alla base di decisioni (tra le altre, Trib. Lodi, ord. 14 gennaio 2016, Trib. Lecce, sent. 24 agosto 2012, Trib. Lanusei, 31 maggio 2011, Trib. Sanremo, sent. 29 ottobre 2003, Trib. Salerno, sent. 28 ottobre 2003) tese a ritenere la norma da ultimo citata applicabile solo in caso di crediti di natura contrattuale, con conseguente, generalizzata, aggredibilità del fondo patrimoniale per crediti aventi altra fonte. Tale conclusione è stata argomentata anche alla luce dell'eccezionalità dell'art. 170 c.c. che costituisce deroga al principio generale posto all'art. 2740, comma 1, c.c.

Posizione intermedia è assunta da quella dottrina (AULETTA) per la quale è possibile agire in via esecutiva sui beni del fondo per la realizzazione del diritto al risarcimento del danno causato dallo stesso bene oggetto del fondo patrimoniale. Si pensi, ad esempio, alla rovina di un edificio compreso nel fondo (art. 2053 c.c.) o al danno cagionato dagli animali impiegati per la coltivazione del podere costituito in fondo (art. 2052 c.c.).

Fondo patrimoniale, opposizione all'esecuzione e profili processuali

Esaminata la disciplina sostanziale vigente in materia di aggredibilità in sede esecutiva dei beni e dei frutti del fondo patrimoniale, pare opportuno soffermarsi su alcuni profili processuali vigenti in materia.

È pacifica la mancata rilevabilità d'ufficio, da parte del giudice dell'esecuzione, della costituzione del fondo patrimoniale sui beni oggetto di pignoramento. Il vincolo di destinazione dovrà invece esser fatto valere, mediante opposizione all'esecuzione (art. 615, comma 2, c.p.c.), dalla parte interessata. Tale è, sicuramente, il debitore esecutato. La legittimazione attiva è tuttavia attribuita anche al coniuge non esecutato e, in generale, a ciascun componente della famiglia a tutela della quale è stato costituito il fondo nonché, mediante il ricorso all'azione surrogatoria (art. 2900 c.c.), ai creditori per bisogni della famiglia. La disciplina della legittimazione attiva non consente tuttavia di rinvenire un litisconsorzio necessario tra i componenti della famiglia che non hanno proposto l'opposizione; costoro potranno tuttavia esperire intervento adesivo-dipendente nel giudizio di opposizione già instaurato.

Orientamenti a confronto: ripartizione dell'onere della prova in ordine alla ricorrenza dei presupposti di applicabilità dell'

art. 170 c.c.

Dottrina maggioritaria

Dottrina minoritaria

L'onere della prova incombe sul debitore o, più in generale, sull'opponente; ciò alla luce dell'impossibilità di provare il fatto negativo (estraneità del debito ai bisogni della famiglia) e del generale principio di responsabilità patrimoniale risultante dall'art. 2740 c.c., derogato dall'art. 170 c.c. (da ultimo, Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2016, n. 1652)

L'ignoranza dell'estraneità del debito ai bisogni della famiglia deve essere provata dal creditore; ciò in considerazione tanto del principio di vicinanza della prova, quanto del fatto che la parte che invoca la tutela del proprio incolpevole affidamento deve provare il fatto alla base di tale affidamento (FRANCISETTI BROLIN).

Con specifico riferimento al tema dell'aggredibilità dei beni del fondo da parte del titolare di un credito da illecito aquiliano deve ritenersi, alla luce della segnalata natura inconsapevole del creditore, che non deve essere provata la conoscenza dell'estraneità del debito ai bisogni della famiglia.

Ove si acceda alla giurisprudenza di legittimità che ritiene necessaria, anche in questo caso, la prova della strumentalità del fatto generatore dell'obbligazione ai bisogni della famiglia pare preferibile, alla luce delle posizioni maggioritarie in dottrina e giurisprudenza, porre l'onere della prova della ricorrenza di tale requisito a carico della parte che ha instaurato l'opposizione all'esecuzione. La questione è invece superata ove si aderisca alla giurisprudenza di merito per la quale il limite all'espropriabilità previsto dall'art. 170 c.c. non opera per le obbligazioni derivanti da illecito aquiliano.

È, infine, appena il caso di rilevare che la prova potrà essere fornita anche mediante presunzioni semplici (art. 2729 c.c.), fermo l'onere dell'opponente di allegare e dimostrare i fatti noti dai quali desumere, in via presuntiva, i fatti oggetto di prova (tra le altre, Cass. civ.,sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4011).

In conclusione

I diversi orientamenti –giurisprudenziali e dottrinari- emersi anche di recente con riferimento al tema dell'aggredibilità dei beni oggetto di fondo patrimoniale da parte del titolare di un credito risarcitorio da illecito aquiliano testimoniano l'attualità della questione qui analizzata. Questione che, come detto, è complicata tanto dall'oscurità dell'art. 170 c.c., quanto, almeno secondo alcuni, dalla necessità di bilanciare contrapposti interessi di rango costituzionale.

Nonostante la Suprema Corte (in verità raramente chiamata a pronunciarsi sulla specifica questione in esame) ribadisca ormai da tempo che la pignorabilità dei beni oggetto del fondo deve essere valutata non alla luce del titolo del credito, ma del nesso di strumentalità tra il fatto generatore dell'obbligazione ed i bisogni della famiglia, preferibile risulta, secondo chi scrive, la tesi accolta dalla segnalata giurisprudenza di merito. La natura eccezionale dell'art. 170 c.c. (che, pacificamente, pone una deroga al generale regime della responsabilità patrimoniale) impone un'interpretazione rigorosa di tale norma che preclude la possibilità di intendere il riferimento ai debiti “contratti” come rinvio ai debiti “assunti”. Una simile operazione (di fatto seguita anche dalla giurisprudenza di legittimità) si traduce in un'interpretazione sostanzialmente analogica dell'art. 170 c.c. che, tuttavia, dovrebbe ritenersi preclusa dalla segnalata natura eccezionale della norma da ultimo citata (art. 14 disp. prel. c.c.).

Del resto la lettura tesa a limitare la portata dell'art. 170 c.c. ai soli crediti di natura negoziale risulta confermata, ove si guardi al più ampio sistema dei patrimoni separati, anche dall'art. 2447-quinques, comma 3, c.c. il quale esplicitamente esclude, per le obbligazioni da fatto illecito, la limitazione di responsabilità vigente, quanto ai soli debiti di natura negoziale, per i patrimoni destinati disciplinati a partire dall'art. 2447-bis c.c.

Non v'è dubbio che l'adesione alla tesi qui accolta comporta uno svuotamento ulteriore (rispetto a quello già derivante dall'ampia nozione di bisogni della famiglia accolta dalla giurisprudenza di legittimità) di quella separazione patrimoniale che caratterizza il fondo patrimoniale. Tale circostanza non consente tuttavia di superare la necessità di interpretare in modo rigoroso le norme eccezionali. Né, in senso contrario, pare possibile invocare un astratto bilanciamento di interessi di rango costituzionale; anche in considerazione dell'ampiezza della nozione di bisogni della famiglia accolta in giurisprudenza, il bilanciamento in concreto di tali interessi può portare, come detto, ad affermare la prevalenza dell'interesse del creditore.

Da ultimo, non può non rilevarsi che, secondo quanto emerso già in sede di lavori preparatori, l'istituto disciplinato a partire dall'art. 167 c.c. ben può prestarsi (e, sovente, si è prestato) ad atti in frode dei creditori e che, anche di recente, il legislatore, mediante l'introduzione dell'art. 2929-bis c.c., è intervenuto per limitare l'efficacia di atti di disposizione (mediante costituzione di vincoli di indisponibilità o alienazioni a titolo gratuito) di beni in pregiudizio dei creditori.

Guida all'approfondimento

AULETTA, Il fondo patrimoniale, in Trattato di diritto di famiglia diretto da Bonilini, II. Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 2016;

DI STASO, Responsabilità da fatto illecito e fondo patrimoniale, in La responsabilità civile, 2011, 3, 219 ss.;

FRANCISETTI BROLIN, L'indisponibilità e l'inespropriabilità (limitata) del fondo patrimoniale, Napoli, 2012;

GABRIELLI, Patrimonio familiare e fondo patrimoniale, in Enc. giur., XXXII, 1982, 203 ss.;

SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, Padova, 20116.

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