La disciplina dell'intermediazione finanziaria è contenuta nel d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58(TUF) e nei relativi regolamenti attuativi della CONSOB, tra cui il regolamento adottato con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007. L'intermediazione finanziaria consiste nell'esercizio di servizi ed attività di investimento, individuati dall'art. 1, comma 5 TUF e aventi ad oggetto strumenti finanziari. Nell'ambito dei cd. contratti finanziari assume rilevanza fondamentale per la valutazione della responsabilità la qualifica della controparte dell'intermediario; quest'ultimo può, infatti, relazionarsi con clienti al dettaglio, clienti professionali e controparti qualificate.
Nozione e natura della responsabilità
BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE
La disciplina dell'intermediazione finanziaria è contenuta nel d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF) e nei relativi regolamenti attuativi della CONSOB, tra cui il regolamento adottato con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007.
L'intermediazione finanziaria consiste nell'esercizio di servizi ed attività di investimento, individuati dall' art. 1, comma 5 TUF e aventi ad oggetto strumenti finanziari.
Nell'ambito dei cd. contratti finanziari assume rilevanza fondamentale per la valutazione della responsabilità la qualifica della controparte dell'intermediario; quest'ultimo può, infatti, relazionarsi con clienti al dettaglio, clienti professionali e controparti qualificate.
Se i primi sono definiti per esclusione, ai clienti professionali è dedicata una compiuta disciplina; essi si distinguono in clienti professionali di diritto (operatori professionali del mercato finanziario e imprese di grandi dimensioni identificati secondo un parametro quantitativo, in presenza di almeno due requisiti dimensionali, inerenti il bilancio, il fatturato ed i fondi propri) e su richiesta. Questi ultimi sono clienti al dettaglio che, per aspirare al riconoscimento della professionalità, debbono superare un test, soddisfacendo almeno due requisiti tra il numero di operazioni significative sul mercato in veste professionale, il valore di portafoglio degli strumenti finanziari e il lavoro nonché la competenza del cliente.
Le controparti qualificate sono soggetti di specifica competenza operanti nel settore dell'intermediazione finanziaria.
Prima di concentrarsi sulle specifiche questioni che vengono in rilievo in questa materia, è opportuno chiarire la natura della responsabilità dell'intermediario.
Salve le ipotesi espressamente previste in cui il mancato rispetto di una regola da parte dell'intermediario determini invalidità del contratto (cfr. inter alia art. 23 TUF , nullità per vizio di forma), la responsabilità dell'intermediario deriva, in buona sostanza, dalla violazione di regole comportamentali, in particolare di obblighi informativi.
Sul punto le Sezioni Unite della Suprema Corte sono intervenute a dirimere il contrasto sorto rispetto alla natura della regola di buona fede, chiarendo che la violazione dei doveri di informazione, posti dalla legge a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento, non determina nullità del contratto per violazione di norme imperative. L'intermediario, trasgredendo agli obblighi informativi, portato della generale regola di buona fede, si rende responsabile perché la buona fede ha natura di una regola di comportamento, non di validità.
La violazione determina responsabilità:
precontrattuale nel caso in cui il contratto quadro non sia ancora stato stipulato o qualora la violazione degli obblighi avvenga in sede di trattative e il contratto sia concluso a condizioni differenti;
contrattuale nell'ipotesi in cui la violazione riguardi singoli ordini di investimento o disinvestimento, a fronte di un contratto già concluso. In questo caso, la parte non inadempiente può scegliere se far venir meno gli effetti del negozio, domandandone la risoluzione (beninteso in caso di inadempimento di non scarsa importanza), oltre al risarcimento dei danni, oppure mantenere in vita il rapporto, azionando la sola tutela risarcitoria (v. Cass. civ., S.U., sent., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725).
Obblighi dell'intermediario, in particolare quelli di natura informativa
I soggetti abilitati all'intermediazione finanziaria sono destinatari dei criteri generali di comportamento di cui agli artt. 21 ss. TUF (normativa rimasta sostanzialmente invariata dopo l'entrata in vigore della disciplina Mifid).
Gli intermediari devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l'interesse dei clienti e preservare l'integrità dei mercati. Il dovere di diligenza si colloca a ragione accanto a quello di correttezza e trasparenza: il soggetto abilitato è diligente in quanto instauri un rapporto fiduciario, caratterizzato da lealtà e cura degli interessi del fiduciante.
È compito dell'intermediario inoltre «acquisire, le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati» ( art. 21, lett. b) TUF).
L'intermediario è, quindi, diligente, corretto e trasparente quando si attivi per conoscere il profilo del cliente e operi per una sua adeguata informazione. Spetta quindi all'intermediario rimediare alle asimmetrie informative inevitabilmente presenti nel mercato finanziario. L' art. 21 TUF si configura come una clausola generale, non prevedendo uno specifico comportamento, ma imponendo alla parte (prima ed all'interprete poi) di tenere (e valutare) quello imposto dal caso di specie. Secondo la giurisprudenza, il dovere di chiarezza è corollario indefettibile del dovere d'informazione e non può essere assolto in maniera puramente formale, tramite la consegna di documenti non comprensibili, in quanto il risparmiatore è titolare di un diritto, il cui corretto e proficuo esercizio dipende dal possesso di informazioni, che gli debbono essere fornite per consentirgli di prestare un "consenso informato" ( Cass. civ., Sez. III, sent., 3 aprile 2014, n. 6777).
A specifica precisazione dei doveri generali l'art. 27 reg. n. 16190/2007 impone all'intermediario di fornire informazioni corrette, chiare e non fuorvianti, comprensibili ed appropriate perché tutte le sue controparti siano in grado di comprendere la natura del servizio di investimento, il tipo di strumenti, i rischi connessi e, per l'effetto, determinarsi consapevolmente (la norma è applicabile ai rapporti instaurati con ogni tipologia di clientela).
L'art. 28 del medesimo regolamento detta una serie di requisiti perché le informazioni possano essere considerate corrette, chiare e non fuorvianti (nonostante la norma richiami il solo cliente al dettaglio si deve ritenere che, dovendosi garantire il diritto di ogni cliente ad essere adeguatamente informato, l'intermediario sia tenuto a rispettare alcune cautele fondamentali anche in presenza di clienti professionali, fornendo informazioni che non celino, minimizzino od occultino elementi od avvertenze importanti (v. art. 28, comma 2 lett. d). Questa considerazione è corroborata dall'art. 31 reg. n. 16190/2007, che, in merito all'informazione sui rischi, impone di modulare, per ogni tipo di cliente, la descrizione della natura e dei rischi.
Nella normativa post Mifid, gli intermediari possono trattare (anche di loro iniziativa), un cliente professionale (di diritto) come cliente al dettaglio, oppure una controparte qualificata come cliente al dettaglio o professionale; tuttavia la disapplicazione della relativa normativa può avvenire solo dopo «una valutazione adeguata della competenza, dell'esperienza e delle conoscenze del cliente», che, «tenuto conto della natura delle operazioni o dei servizi previsti», porti l'intermediario a ritenerlo in grado di adottare, consapevolmente, le proprie decisioni e di comprenderne i rischi.
Quando gli intermediari non ottengono le informazioni necessarie, essi devono «astenersi dal prestare i menzionati servizi» (art. 39, comma 6, reg. n. 16190/2007).
Dal quadro normativo emerge la necessità che l'intermediario mantenga sempre un atteggiamento vigile sulla capacità effettiva della clientela, pur professionale, di comprendere la scelta di investimento e che gli obblighi informativi devono intendersi tanto più stringenti, quanto più la parte sia priva di competenza.
Adeguatezza e appropriatezza
Accanto alla necessità che l'intermediario si curi del cliente, utilizzando al meglio le informazioni ricevute per orientarlo verso la scelta più adatta alle sue esigenze, la normativa prevede due distinti processi di apprezzamento: quello di adeguatezza (applicabile ai servizi di gestione di portafoglio e di consulenza in cui, essendo maggiore il ruolo di indirizzo dell'intermediario, egli deve garantire una tutela preventiva più incisiva) e di appropriatezza (applicabile ai restanti servizi di investimento).
La valutazione di adeguatezza presuppone una profonda e puntuale attività di acquisizione di informazioni presso il cliente (su cui l'intermediario deve basarsi e può far affidamento, a meno che non siano manifestamente superate, inesatte o incomplete ex art. 39, comma 5 reg. n. 16190/2007). L'intermediario deve, quindi, porre in essere il giudizio di adeguatezza, valutando se l'operazione consigliata corrisponda, o meno, agli obiettivi di investimento del cliente, al livello di rischio massimo dal medesimo sopportabile, nonché alla sua esperienza e conoscenza in relazione alla singola operazione.
La valutazione di appropriatezza implica, invece, una valutazione di semplice coerenza dell'operazione alle conoscenze ed esperienze del cliente, senza una stima della coerenza con gli obiettivi e col rischio massimo sopportabile.
Occorre valutare quale deve essere il comportamento dell'intermediario ove, all'esito della sua valutazione, ritenga che il prodotto richiesto dal cliente sia inadeguato al suo profilo, e ciononostante, in seguito alla comunicazione, il cliente insista per procedere.
Nel silenzio della legge, si sono registrate differenti opinioni. Alla tesi secondo cui l'intermediario dovrebbe astenersi dal porre in essere l'operazione ritenuta inadeguata (senza che possa valere come esonero di responsabilità la manifestazione espressa resa dal cliente di essere a perfetta conoscenza delle ragioni di inadeguatezza, v. F. Sartori, Le regole di adeguatezza e i contratti di borsa: tecniche normative, tutele e prospettive Mifid, in Riv. dir. priv., 2008, I, 25), si contrappone quella di chi ritiene che, così opinando, l'intermediario si renderebbe inadempiente agli obblighi promananti dal contratto di intermediazione (E. Girino, I contratti derivati, Milano, 2010, 355). Nei casi in cui il cliente cooperi pienamente con l'intermediario, fornendo tutte le informazioni dovute, e sia stato al contempo informato dei profili di inadeguatezza ritenuti dalla banca, la sua volontà deve prevalere; si graverebbe altrimenti l'intermediario di una funzione protezionistica nei confronti dell'investitore che, oltre che anacronistica, appare del tutto avulsa dal dettato normativo.
Conflitti di interesse
L'impianto normativo post Mifid ha ridisegnato la tematica dei doveri comportamentali dell'intermediario correlati al conflitto di interesse, incentrandola sull'esigenza di evitare che lo stato conflittuale procuri un danno al cliente (anche in questo caso la normativa è applicabile a tutti i clienti indistintamente).
Nell' art. 21 TUF è stato inserito un apposito comma, che prevede l'identificazione dei conflitti attraverso "ogni misura ragionevole", la gestione finalizzata a sterilizzare il rischio di danno per gli interessi della clientela, i correlati obblighi informativi su natura e fonte del conflitto, ove il rischio di nuocere sia evitabile "con ragionevole certezza".
La normativa regolamentare identifica la nozione rilevante di conflitto di interessi, oggi ristretta a taluni casi predeterminati, considerati tuttavia non tassativi, in cui può presumersi la concreta configurabilità di un danno al cliente ove l'intermediario, nonostante il conflitto, dia corso all'operazione.
La norma cardine (art. 23 reg. n. 16190/2007) prevede che, ove la necessaria politica preventiva, posta in essere per identificare la situazioni di conflitto e istituire una prassi di gestione dei conflitti, non porti alla prevenzione di possibili danni, l'intermediario sia tenuto, prima di agire, ad informare il cliente della natura e delle fonti del conflitto perché quest'ultimo possa "assumere una decisione informata".
Le questioni su cui si sono concentrati gli interpreti sono principalmente due.
In primo luogo, il riferimento al mancato successo della politica di prevenzione comporta che l'intermediario si consideri autorizzato a procedere quando abbia la ragionevole certezza che la situazione di conflitto non comporti il rischio di nocumento per il cliente. La norma non prevede più un divieto di porre in essere l'operazione, salva l'autorizzazione scritta, ma una sorta di "condizione liberatoria". L'intermediario può operare senza comunicare il possibile conflitto e senza ottenere la relativa autorizzazione, ma dovrà usare una particolare cautela nell'esecuzione dell'operazione e, in un eventuale giudizio, sarà tenuto a provare di aver compiuto operazione unicamente nell'interesse del cliente, non curandosi degli interessi coesistenti, o eventualmente addirittura in contrasto con loro.
In secondo luogo, occorre stabilire quando si sia in presenza, in concreto, di un conflitto di interessi.
La giurisprudenza ha ritenuto ricorrere il conflitto di interessi quando, in virtù dei rapporti di controllo totalitario, la banca negoziatrice faccia parte dello stesso gruppo della banca collocatrice (App. Torino, sent. n. 495, 4 aprile 2011, pres. M. Griffey, est. G. Stalla).
Al contrario si è negato che la vendita in contropartita diretta sia di per sé sufficiente per ritenere integrato un conflitto di interessi, dovendosi altresì riscontrare la presenza di indici di un concreto interesse dell'intermediario a trasferire sul cliente il rischio di insolvenza dell'emittente (tra cui il numero rilevante di titoli di quel tipo nel portafoglio della banca; il far parte del consorzio di collocamento delle obbligazioni; l'aver finanziato, direttamente o per il tramite di società del gruppo, la emittente, v. Trib. Piacenza, sent., 30 novembre 2010).
Inoltre occorre interrogarsi se possa ritenersi sussistente la responsabilità dell'intermediario per non avere comunicato la situazione di conflitto di interesse nel caso in cui l'investitore abbia avuto una serie di elementi per accorgersi che detti strumenti finanziari fossero un prodotto del medesimo gruppo del collocatore (ad esempio quando il nome degli strumenti sottoscritti evidenzi l'immediato collegamento con il gruppo). In altri termini, ci si domanda se la normativa sopra richiamata renda necessaria una particolare forma (ad es. con l'evidenziazione grafica delle clausole) nella comunicazione dei conflitti di interesse. Proprio per la natura non formalistica degli obblighi gravanti sull'intermediario, non si configura alcuna responsabilità qualora, per le circostanze del caso, si abbia la prova che l'investitore fosse comunque a conoscenza del conflitto di interessi.
Il caso dei contratti derivati
In tema di contratti derivati emerge in maniera ancora maggiore la profonda asimmetria informativa tra le parti contraenti, in quanto si tratta di strumenti sofisticati, connotati da una elevata aleatorietà, la cui valutazione di oneri e rischio finanziario è scarsamente decifrabile per operatori non qualificati. La peculiarità è data dal fatto che le parti non negoziano un valore finanziario già esistente, ma creano un nuovo strumento finanziario, correlato al variare degli indici sottostanti, un corpus novum di reciproci diritti ed obblighi (E. Girino, I contratti derivati, cit., 13).
Il problema dell'asimmetria informativa e del conflitto di interessi si presenta soprattutto nel caso di derivati c.d. over the counter (di seguito anche OTC, espressione con cui s'intendono i derivati non trattati in un mercato regolamentato), ove le parti si scelgono per intuitus personae, svolgono attività contrattuale creativa, anche se spesso è l'operatore professionale a disciplinare, creando il derivato e determinandone il contenuto, un rapporto contrattuale di medio e lungo termine. Diversamente nei derivati trattati su mercati regolamentati (c.d. uniformi), la contrattazione è telematica e l'autonomia privata sulla disciplina si riduce al "se contrarre", con la conseguenza che la situazione è molto simile a quella dei titoli costituenti valori mobiliari.
Il sindacato giudiziale si è soffermato sul tema del conflitto di interessi in quanto l'intermediario è, sia il depositario della conoscenza specifica, sia colui che sostanzialmente ha la facoltà di imporre il regolamento negoziale.
Per questa ragione, l'intermediario che stipuli un contratto derivato OTC deve palesare il conflitto ed ottenere la relativa autorizzazione; in caso contrario potrà andare esente da responsabilità solo ove dimostri di aver pianificato una struttura interna, ancor più rigorosa, in grado di garantire la gestione del derivato nell'interesse del cliente, così da eliminare o minimizzare i danni derivanti da una contrattazione, in cui è palese il suo interesse opposto al cliente.
Nonostante ciò, il riferimento alla cd. decisione informata comporta che il conflitto di interessi non pregiudichi a priori il compimento dell'operazione. Il cliente, debitamente informato sul conflitto (attraverso un supporto duraturo che gli consenta di riflettere adeguatamente sulle relative implicazioni), può sempre consentire il compimento dell'operazione e, anzi, qualora si esprima in tal senso, l'intermediario è vincolato a procedere.
Il tema del conflitto di interessi riguarda, in particolar modo, la stipula di interest rate swap di durata pluriennale (contratti di durata, OTC), in quanto l'intermediario è parte di un contratto finanziario, allo stesso tempo, commutativo ed aleatorio. In tali casi, la politica preventiva, l'informazione sulla fonte e sulla natura del conflitto, oltre all'acquisizione del consenso informato potrebbero non essere sufficienti.
Nella fase di stipula del contratto derivato l'intermediario è tenuto al rispetto dello standard di adeguatezza: più ci si avvicina ad un prodotto adeguato agli interessi ed alle esigenze del cliente, con nozionali agganciati all'esposizione debitoria effettiva, ad un prodotto il più possibile semplice e chiaro nel funzionamento, o anche ad un prodotto complesso ove l'impresa cliente abbia l'effettiva possibilità di monitorarne l'andamento, più il processo di gestione virtuosa del conflitto di interessi può dirsi in buona parte realizzato.
L'intermediario non esaurisce, tuttavia, in questo modo i suoi doveri, dovendo, infatti, gestire il conflitto anche nell'esecuzione del contratto, sforzandosi di adottare soluzioni che limitino gli effetti negativi di un conflitto comunque in atto.
I contratti stipulati con l'operatore qualificato
Non pochi problemi interpretativi ha sollevato anche la stipula di contratti finanziari con i cd. operatori qualificati, persone giuridiche in possesso di una specifica competenza ed esperienza, espressamente dichiarata per iscritto.
In particolare controversa è risultata la questione della valenza di detta dichiarazione da parte del cliente dell'intermediario.
La Suprema Corte ha ritenuto che la natura di operatore qualificato discenda dalla contemporanea presenza di due requisiti: uno di natura sostanziale, ovvero la specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in valori mobiliari; uno di carattere formale, costituito dalla espressa dichiarazione di possedere la competenza ed esperienza richieste, sottoscritta dal soggetto medesimo. La previsione di una dichiarazione da parte del cliente è volta a richiamare la sua attenzione sull'importanza della dichiarazione stessa e, al contempo, a svincolare l'intermediario dall'obbligo generalizzato di compiere uno specifico accertamento di fatto sul punto, riconducendo invece alla responsabilità di chi amministra e rappresenta la società gli effetti di tale dichiarazione. In mancanza di elementi contrari, emergenti dalla documentazione già in possesso dell'intermediario, la semplice dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante che la società disponga della competenza ed esperienza richieste, esonera, quindi, l'intermediario dall'obbligo di ulteriori verifiche (v. Cass. civ., Sez. I, sent., 26 maggio 2009, n. 12138). Questi principi sono stati applicati anche dalla giurisprudenza successiva (cfr. ex multis Trib. Bari, sent., 15 luglio 2010 , est. E. Scoditti).
Assumono altresì rilevanza i questionari di profilazione adottati dagli intermediari in applicazione della Mifid; essi possono essere utilizzati per valutare il requisito sostanziale e ritenere l'investitore un operatore qualificato tutte le volte che dalla compilazione emerga che abbia esperienza e competenze tali da differenziarlo da un investitore sprovveduto. Al riguardo può essere preso in considerazione anche il rapporto tra entità degli strumenti sottoscritti, o acquistati, e la massa e la tipologia del portafoglio di investimento.
Onere della prova
In presenza di una responsabilità da inadempimento di obblighi informativi, la regola dell'onere della prova nei rapporti contrattuali subisce taluni correttivi.
Se, da un lato, l'accertamento della conformità dell'operato della banca alle prescrizioni normative primarie e secondarie, nonché agli obblighi contrattuali segue il criterio generale (in quanto ex art. 23, TUF , «spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta», cfr. App. Torino, sent. n. 615, 10 aprile 2012, pres. M. Griffey, est. G. Stalla), dall'altro si assiste ad una vera e propria inversione dell'onere in presenza della dichiarazione di operatore qualificato. In caso di contestazione della veridicità della dichiarazione di competenza si determina una inversione dell'onus probandi, gravando sul cliente l'onere di dimostrare la non corrispondenza alla realtà di quanto dichiarato e la conoscenza - o quanto meno la agevole conoscibilità - da parte dell'intermediario di specifiche circostanze da cui desumere la reale situazione soggettiva del cliente (Trib. Milano, sent. n. 4379, 14 aprile 2012, pres. M. Monte, est. F. Ferrari).
Inoltre, in mancanza di elementi contrari, la dichiarazione del legale rappresentante che la società disponga della competenza ed esperienza richieste esonera l'intermediario dall'obbligo di ulteriori verifiche sul punto; in assenza di allegazioni contrarie, essa può costituire in giudizio argomento di prova, ex art. 116 c.p.c., ed anche unica e sufficiente fonte di prova ai fini dell'accertamento della diligenza dell'intermediario rispetto alla verifica della qualifica di operatore qualificato (v. ex multis, Cass. civ., sent. n. 12138/2009 ).
Anche nell'ipotesi di contestazione del conflitto di interessi, un onere più gravoso incombe sull'intermediario, che ha l'onere di dimostrare di avere informato il cliente producendo copia dell'ordine di negoziazione (Trib. Torino, sent. n. 3600, 26 maggio 2010, pres. G. Dominici, est. M. D. Grillo).
Accertata la mancata informazione e la conseguente autorizzazione del cliente, è comunque richiesto l'accertamento del nesso causale tra siffatto inadempimento dell'intermediario ed il danno lamentato dall'investitore, incombendo, invece, su quest'ultimo dimostrare che, se fosse stato a conoscenza di quell'interesse, non avrebbe dato il proprio consenso all'operazione (App. Firenze, sent., 19 giugno 2009 , pres. L. Grimaldi, est. P. Occhipinti).
I danni risarcibili
Si tratta di un profilo molto problematico. Occorre preliminarmente specificare che il quantum risarcibile è fisiologicamente ricollegato al singolo caso, essendo dipendente dalla natura dell'obbligo violato e alla tipologia di strumento acquistato.
Accertata la responsabilità dell'intermediario, la questione che si pone al giudice è la seguente: spetta all'investitore l'intera somma investita (oltre interessi o rivalutazioni) o il "danno differenziale", ossia la differenza tra il valore al momento dell'acquisto e quello al momento in cui è stata adita la giurisdizione. Questa seconda opzione può ovviamente enuclearsi differentemente a seconda della tipologia di strumento finanziario e deve peraltro tenere conto dei vantaggi patrimoniali comunque percepiti nel corso del rapporto contrattuale (questione frequente trattandosi di contratti di durata).
Sul punto si è chiarito che il danno subito dal cliente per effetto della violazione dei doveri informativi dell'intermediario è costituito dalla differenza tra il valore di acquisto dello strumento finanziario e quello al momento della domanda, ovvero quello precedente, in cui il cliente ha avuto consapevolezza della perdita di valore, tenendo conto degli eventuali interessi percepiti e del valore attuale dello strumento (Cass. civ., Sez. I, sent., 24 gennaio 2014, n. 1511).
A fronte della violazione da parte dell'intermediario dell'obbligo di informare il cliente del conflitto di interessi e di astenersi in assenza dell'autorizzazione dell'investitore, non residua margine per la sussistenza di un concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 c.c.
Il danno deve considerarsi attuale e risarcibile, a prescindere dalla permanenza dei titoli nel portafoglio dell'investitore, ed è rappresentato dalle somme che il cliente ha fornito alla banca per l'acquisto dei titoli; il quantum va individuato nell'ammontare degli importi prelevati dal conto corrente dell'investitore, detratto il vantaggio economico conseguito medio tempore dal titolare in relazione alle cedole versate sul conto (v. Trib. Torino, sent. n. 6709, 11 novembre 2010, pres. G. Dominici, est. R. Zappasodi).
Contratti stipulati dal promotore finanziario
Nei rapporti conclusi dal promotore finanziario, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che l'intermediario preponente risponde in solido del danno causato al risparmiatore dai promotori finanziari da lui indicati in tutti i casi in cui sussista un nesso di occasionalità necessaria tra il fatto del promotore e le incombenze affidategli. Tale responsabilità sussiste, non solo quando detto promotore sia venuto meno ai propri doveri nell'offerta dei prodotti finanziari ordinariamente negoziati dalla società preponente, ma anche in tutti i casi in cui il suo comportamento, fonte di danno per il risparmiatore, rientri comunque nel quadro delle attività funzionali all'esercizio delle incombenze affidategli (Cass. civ., Sez. I, sent., 24 marzo 2011, n. 6829, conforme ex multis Trib. Torino, sent. n. 5687, 27 settembre 2013, est. M. Giusta).
Nel caso di indebita appropriazione di somme di denaro da parte del promotore, la consegna al promotore finanziario di dette somme attraverso modalità diverse da quelle previste non preclude la possibilità d'invocare la responsabilità solidale dell'intermediario preponente, in quanto non interrompe il nesso causale tra attività del promotore e la consumazione dell'illecito. Solo laddove emerga la prova della collusione del risparmiatore, o della fattiva acquiescenza del cliente alla violazione delle regole di condotta da parte del promotore, o quando le circostanze concrete siano tali da imporre al cliente di adottare maggiore diligenza, non prestandosi al compimento di operazioni anomale, la condotta dell'investitore può rilevare ex art. 1227, comma 2, c.c. (Cass. civ., Sez. I, sent., 24 maggio 2012, n. 8236 , cui ha aderito ex multis Trib. La Spezia, sent., 26 marzo 2014, pres. ed est. A. Farina).
Dal "contratto quadro", cui può darsi il nome di contratto di intermediazione finanziaria, per taluni aspetti riconducibile alla figura del mandato, derivano obblighi e diritti reciproci e le successive operazioni, benché possano consistere in atti di natura negoziale, costituiscono il momento attuativo del precedente contratto di intermediazione. La violazione dei doveri dell'intermediario riguardanti la fase successiva alla stipula può, quindi, assumere i connotati di un vero e proprio inadempimento contrattuale: quei doveri, pur essendo di fonte legale, derivano da norme inderogabili e sono quindi destinati ad integrare a tutti gli effetti il regolamento negoziale vigente tra le parti (Cass. civ., Sez. Un., sent., 19 dicembre 2007 n. 26724).
Non integra inadempimento dell'obbligo informativo la mancata consegna delle Offering Circular, in tutti i casi in cui l'intermediario abbia comunque reso tutte le informazione riguardanti il titolo, consentendo al cliente una scelta consapevole (Trib. Milano, sent., 23 gennaio 2013, est. F. Ferrari).
La mera mancata consegna del documento generale sui rischi in materia di investimenti mobiliari, non può essere qualificato grave ex art. 1455 c.c., considerata la sua evidente inefficienza causale rispetto alle singole operazioni di investimento (Trib. Milano, sent., 23 gennaio 2013, est. F. Ferrari).
Violazione obblighi informativi
Gli obblighi dell'intermediario non vengono meno nei casi in cui il cliente chieda l'acquisto di un titolo, o abbia una certa pregressa operatività finanziaria e devono variare, caso per caso, modellandosi sulle capacità, conoscenze ed esperienze del cliente. La loro previsione non può essere svilita a previsione meramente formale, ma deve essere in grado di assolvere alla finalità conoscitiva specifica. Occorre quindi che l'intermediario si informi sulle conoscenze ed esperienze del proprio cliente e sulla sua propensione al rischio, nonché sulle caratteristiche degli strumenti finanziari proposti (Trib. Milano, sent., 23 gennaio 2013, est. F. Ferrari).
Il conflitto di interessi
Anche se la sottoscrizione della dichiarazione di operatore qualificato esclude l'applicazione della disciplina del conflitto di interessi, l'intermediario non può tuttavia ritenersi autorizzato a gestire il conflitto esclusivamente a proprio favore, senza garantire al cliente un equo e trasparente trattamento. Trasparenza ed equo trattamento nella gestione dei conflitti di interesse costituiscono precetti comportamentali basilari, alla cui osservanza l'intermediario è sempre tenuto (Trib. Milano, sent. n. 5443, 19 aprile 2011, pres. L. Cosentini, est. P. Guidi).
I contratti derivati, interest rate swap
La banca che raccomandi al cliente la stipula di un contratto di swap OTC, trovandosi in conflitto di interessi, ha l'obbligo di illustrare al cliente i rischi relativi allo specifico prodotto ovvero: i) scomporre il prodotto complesso nelle componenti elementari che giustificano l'esborso finanziario; ii) in presenza di strutture complesse produrre le risultanze di analisi di scenario dei rendimenti mediante simulazioni effettuate secondo metodologie oggettive; iii) porre a confronto il prodotto con altri analoghi semplici, noti, liquidi, a basso rischio e di analoga durata e, ove esistenti, con prodotti succedanei di larga diffusione e di adeguata liquidità; iv) esplicitare nel contratto il valore del derivato, gli eventuali costi impliciti, i criteri con cui determinare i costi di recesso o di sostituzione. In assenza di informazioni specifiche sul profilo di rischio del prodotto, l'investitore non è in grado di formulare un giudizio di convenienza economica del derivato in termini di costo/ rischio/ beneficio (Trib. Milano, sent. n. 2145, 13 febbraio 2014, est. P. Guidi).
Onere della prova
In caso di asserita discordanza tra il contenuto della dichiarazione di operatore qualificato e la situazione reale, incombe su chi intenda dedurla l'onere di provare circostanze specifiche dalle quali desumere la mancanza dei requisiti e la conoscenza, o la conoscibilità, da parte dell'intermediario di quelle circostanze, sulla base di elementi obiettivi, già nella sua disponibilità, o risultanti dalla documentazione prodotta dal cliente. Compito del giudice è valorizzare parametri da cui può trarsi il grado di conoscenza delle regole che disciplinano il mercato dei valori mobiliari e la consapevolezza dei rischi a cui l'azienda si espone (peso economico e commerciale rivestito sul mercato, volume d'affari registrato, persone e mezzi a disposizione; Cass. civ., sent. n. 12138/2009).
In tema di onere della prova circa il risarcimento del danno da lucro cessante, si richiede all'investitore di fornire adeguati riscontri probatori che consentano di desumere elementi in ordine alla tipologia dell'investitore, alle preferenze ed alla composizione del suo portafoglio titoli, così da poter presumere, con ragionevole grado di verosimiglianza, quali sarebbero stati i possibili investimenti alternativi rispetto a quelli contestati (detti elementi non possono essere desunti solo dalla tipologia dei titoli oggetto di contestazione, in quanto non possono costituire il presupposto per ritenere assicurato un rendimento pari a quello prospettato; cfr. Trib. Milano, sent. n. 6324, 7 maggio 2013, est. S. Brat).
Danni risarcibili
Nell'ipotesi di contratto quadro concluso a condizioni deteriori per violazione degli obblighi informativi il risarcimento deve essere commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto, salvo siano dimostrati danni ulteriori, collegati a detto comportamento da un rapporto consequenziale e diretto (Cass. civ., sent. n. 26724/2007).
Nell'ipotesi di obbligazione andata in default, la misura del risarcimento va commisurata alla perdita dell'investimento ed alla conseguente impossibilità di investire: le voci di danno sono rappresentate dal capitale perduto (importo impiegato per l'acquisto dell'obbligazione) e dalla mancata ricezione dei frutti percepibili dall'investimento (danno da provare, ma, rispetto al quale il giudice può ricorrere a criteri presuntivi ed equitativi, quale il rendimento annuo al tasso di interesse medio ponderato riconosciuto sui BOT di durata non superiore a dodici mesi, se l'investitore ha un atteggiamento difensivo rispetto al potere di acquisto, v. Trib. Genova, sent. n. 920, 26 febbraio 2011, pres. L. Costanzo, est. L. Calcagno).
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Sommario
Nozione e natura della responsabilità
Obblighi dell'intermediario, in particolare quelli di natura informativa