Ne bis in idem e il progressivo superamento del doppio binario sanzionatorio
04 Aprile 2016
Il principio del ne bis in idem
Quella del ne bis idem è un'espressione che rinvia ad un principio ormai risalente, secondo il quale un soggetto non può essere sottoposto ad un doppio giudizio per l'eadem re, sulla quale si sia già definitivamente statuito (Cicerone, Laelius de amicitia, cap. 22, § 85).
Si tratta di un principio che, diversamente dal panorama normativo internazionale e comunitario, non trova espresso riconoscimento nella nostra Carta costituzionale (tale individuazione si è resa possibile solo grazie agli sforzi della dottrina che, individuando gli interessi tutelati dal principio in parola, ha percepito un simile divieto nelle disposizioni di cui agli artt. 13, comma 2 e 3 Cost.; 14, comma 2, Cost. e 15, comma 2, nella parte in cui si permette una compressione di alcuni diritti fondamentali per consentire la repressione dei reati e all'art. 25, comma 2, Cost., nella misura in cui si limitano tali compressioni ad un arco temporale ben preciso).
Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico il divieto di un secondo giudizio trova una specifica previsione nel corpo dell'art. 649 c.p.p. (il quale dispone che “L'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345”) che, sostanzialmente, si preoccupa di enucleare l'effetto preclusivo del giudicato penale (cfr. CHIAVARIO M., Diritto Processuale penale, Torino 2007. L'Autore ricorda altresì la disposizione di cui all'art. 14 § 7 PIDCP a mente della quale “Nessuno può essere sottoposto a nuovo giudizio o a nuova pena, per un reato per il quale sia stato assolto o condannato con sentenza definitiva in conformità al diritto e alla procedura penale di ciascun Paese”).
A livello comunitario i parametri normativi di riferimento sono rappresentati dagli artt. 4 Prot. n. 7 CEDU (l'art. 4 Prot. 7 della CEDU dispone che “nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un'infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge ed alla procedura penale di tale Stato”) e 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE) (l'art. 50 della CDFUE dispone che “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”).
Ad una prima lettura delle citate disposizioni appaiono subito chiare le diverse ratio ispiratrici. Mentre, da un lato, la formula dell'art. 649 c.p.p. fa semplicemente riferimento al divieto di un secondo processo, quale conseguenza della irrevocabilità della sentenza che opera, dunque, con riferimento esclusivo ai processi penali, le norme comunitarie, dall'altro, sembrano custodire una portata ben più ampia, superando il divieto di un secondo processo e spingendosi verso una tutela volta a scongiurare il rischio di una doppia punizione per il medesimo fatto-reato. Nel senso appena descritto, le norme comunitarie, in un'ottica maggiormente garantista, sembrano quindi preoccuparsi di offrire una tutela, per così dire, “anticipata” in quanto orientata ad evitare non la semplice duplicazione di procedimenti e di decisioni, ma la duplice condanna dell'accusato o una condanna sul medesimo fatto sul quale, quindi, sia già intervenuta un'assoluzione definitiva.
La formula di queste norme, in sostanza, supera l' ”etichetta” attribuita dal legislatore nazionale al tipo di illecito disciplinato per dare doverosa rilevanza alla sua reale natura, in quanto il ne bis in idem europeo abbraccia ogni infrazione rispondente ai criteri enunciati a partire dalla sentenza Engel (Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi. In dottrina cfr. CARACCIOLI I., La progressiva assimilazione tra sanzioni penali e amministrative e l'inevitabile approdo al principio del ne bis in idem, in Il Fisco, n. 24/2014).
- i potenziali destinatari del precetto; - la finalità della sanzione comminata dalla norma incriminatrice; - il collegamento della sanzione con l'accertamento di una infrazione);
Quanto fin qui anticipato rende di agevole intuizione che la questione vede coinvolto anche il nostro Paese, ora per la vigenza di un sistema “binario”, ora per la “consistenza” delle sue sanzioni tributarie che, come si vedrà, paragonate a quelle vigenti in altri ordinamenti dell'Unione già oggetto di giudizio, appaiono senz'altro meritevoli di censura (cfr. Corte EDU, Grande Camera, 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia).
A partire dalla pronuncia Zolotoukhine, infatti, comincia a svilupparsi nella Corte quel convincimento orientato nel ritenere esteso al fatto storico (i.e. il fatto nella sua interezza) il concetto di infrazione evocato dall'art. 4 CEDU, in modo tale da riconoscere l'applicazione del ne bis in idem a tutti i casi in cui il medesimo fatto venga nuovamente sottoposto a giudizio (Corte EDU, Grande Camera, 10 febbraio 2009, Serguei Zolotoukhine c. Russia). Può dirsi, quindi, che il principio in parola vive nella dimensione interpretativa offerta dalla Corte EDU nei propri orientamenti (rilevante in proposito è anche il contributo della Corte di Giustizia nella pronuncia 26 febbraio 2013, Aklagaren c. Hans Akelberg Fransson, causa C-617/10, laddove si è astrattamente ammessa la combinazione di sanzioni amministrative e penali per medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA con il principio del ne bis in idem fatta eccezione per il caso in cui la sanzione amministrativa non debba essere considerata “penale” sulla base di una valutazione rimessa al giudice nazionale).
La Corte costituzionale, infatti, depone nel senso di ritenere che il giudice nazionale sia tenuto ad uniformarsi alla giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente (cfr. Corte Cost., 26 novembre 2009 e 22 luglio 2011) in modo da rispettare la sostanza di quella giurisprudenza (cfr. Corte Cost., 16 novembre 2011, n. 303), fermo il margine di apprezzamento che compete allo Stato membro (cfr. Corte Cost., 1° febbraio 2012 e 9 dicembre 2009).
I possibili rimedi
Per come delineata, la questione, grazie soprattutto agli sforzi della dottrina (si vedano altresì BONTEMPELLI M., Il doppio binario sanzionatorio in materia tributaria e le garanzie europee (fra ne bis in idem processuale e ne bis in idem sostanziale, in Arch. Pen., 2015.; VIGANO' F., Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem: verso una diretta applicazione dell'art. 50 della Carta?, in Dir. Pen. Cont., 2014), ha conosciuto nel tempo varie proposte interpretative. Tra esse possono annoverarsi quella dell'interpretazione convenzionalmente orientata del citato art. 649 c.p.p. che, però, appare, in prima analisi, una evidente forzatura poiché non può chiedersi a tale norma di regolare i rapporti del processo penale con altro tipo di processo (la soluzione è stata avanzata da CAIANIELLO M., Ne bis in idem e illeciti tributari per omesso versamento dell'IVA: il rinvio della questione alla Corte costituzionale, in Dir. Pen. Cont., 2015); il sollevamento di una questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. ex art. 117 Cost., che, per vero, sconta forti dubbi circa la sua ammissibilità; la diretta applicazione dell'art. 50 CDFUE, anche sotto forma di disapplicazione dell'art. 13 del D.lgs. n. 471/1997, ritenuta insufficiente in quanto limitata al campo di applicazione del diritto dell'Unione; la diretta applicazione dell'art. 4 Prot. n. 7 CEDU, soluzione declinata ab origine dalla stessa giurisprudenza costituzionale e non consentita ai giudici di merito in una materia, peraltro, già regolata dalla legislazione interna (in tal senso è sufficiente il richiamo alla pronuncia della Corte Cost., 26 novembre 2009, n. 311). Conclusioni
Sulla base delle considerazioni dianzi riportate emerge evidente un quadro complesso e di non facile composizione sistematica.
A ben vedere, sembra che una valida soluzione, ma il discorso può solo essere accennato in questa sede, possa rintracciarsi solo nell'ambito di una virtuosa valorizzazione del principio di specialità (ma vi è anche chi come GIOVANNINI A., Il ne bis in idem per la Corte EDU e il sistema sanzionatorio tributario domestico, in Rass. Trib., 2014, sostiene di risolvere le situazioni di contrasto in parola valorizzando l'art. 649 c.p.p., in modo da provocare l'estinzione del parallelo processo tributario per improcedibilità nel caso in cui intervenga una sentenza definitiva da parte del giudice penale). Non può negarsi, infatti, che i dubbi sulla tenuta del nostro modello sanzionatorio di fronte al principio del ne bis in idem siano principalmente imputabili ad una perdita di identità logica ed applicativa di tale principio.
Sotto questo specifico aspetto, dunque, il (non) intervento del legislatore desta fondate preoccupazioni, senz'altro originate anche da quel conflitto concettuale della legalità penale, ora di tipo “formale-nominalistico”, tipico del nostro sistema, ora di tipo “sostanzialistico”, tipico dell'orientamento maturato fin ora dalla Corte europea (non è un caso che, come recentemente evidenziato dalla già citata pronuncia n. 43809/2015 (§ 13.4), caso Dolce&Gabbana, il nostro Paese ha posto una specifica riserva all'atto della firma del Protocollo, secondo la quale la Repubblica italiana avrebbe applicato l'art. 4 alle sole infrazioni, procedure e decisioni espressamente qualificate come “penali” dalla legge italiana).
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