Nullo l'atto con motivazione apparente
07 Aprile 2016
La motivazione dell'ordinanza di appello non può essere “apparente”, ma deve individuare sempre il fumus del reato, pena la nullità dell'atto. Ancora una volta, tale principio è stato ricordato, recentemente, dai giudici della Cassazione, chiamati a valutare il ricorso presentato da un contribuente legale rappresentante di una S.r.l., nei confronti del quale il Gip aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente, ritenendo che fossero state emesse delle fatture ad opera di un soggetto commerciale non realmente intervenuto nelle transazioni cui erano riferiti i documenti fiscali.
Il contribuente aveva impugnato l'atto asserendo che i due motivi erano carenti di una motivazione in ordine all'elemento soggettivo.
“Secondo la giurisprudenza di questa Corte – hanno affermato i Giudici della Cassazione, con la sentenza del 5 aprile 2016, n. 13498 – in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, il giudice, benché gli sia precluso l'accertamento del merito dell'azione penale ed il sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, deve operare il controllo, non meramente cartolare, sulla base fatturale nel singolo caso concreto, secondo il parametro del “fumus” del reato ipotizzato, con riferimento anche all'eventuale difetto dell'elemento soggettivo, purché di immediato rilievo”.
Nello specifico, secondo i Giudici, il dolo nel delitto di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti si ravvisa nella consapevolezza che chi effettivamente rende la prestazione non abbia provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall'emittente conseguendo, così, un vantaggio fiscale perché l'IVA versata dall'utilizzatore della fattura non è poi stata pagata dall'esecutore della prestazione. |