In Gazzetta la nuova "black list" costi

21 Maggio 2015

Il recente D.M., pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'11 maggio scorso, ha modificato il Decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze 23 gennaio 2002, al fine di dare attuazione alla disposizione, contenuta nell'art. 1, co. 678, della Legge di Stabilità per l'anno 2015. Ecco spiegate le ragioni che hanno consentito di eliminare dalle liste taluni Stati, unitamente alla analisi delle ricadute in termini di qualificazione fiscale delle operazioni commerciali rientranti nel campo di applicazione della normativa in esame.
Le novità del decreto

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto ministeriale che modifica la black list “costi”: importanti novità in arrivo per le aziende italiane che hanno rapporti commerciali con imprese estere.

Nella Gazzetta Ufficiale n. 107 dell'11 maggio 2015, è stato pubblicato il decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze, datato 27 aprile 2015, che ha profondamente modificato, ai fini dell'applicazione dell'art. 110, commi 10 e 12-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, le previgenti liste degli Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato.

Prima di illustrare la logica giuridica di tale riforma, occorre ripercorrere, in maniera sintetica, l'evoluzione del quadro normativo, in cui il decreto ministeriale in parola è destinato ad operare.

L'art. 110, co. 10, del T.U.I.R., nella versione in vigore dal 1° gennaio 2008, stabilisce a chiare lettere come le spese ed in genere gli altri componenti negativi di reddito, derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti o localizzate in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale, emanato ai sensi dell'articolo 168-bis del medesimo testo unico, sono indeducibili.

La descritta disciplina, tuttavia, non ha ancora trovato applicazione in quanto la norma di carattere transitorio, contenuta nell'art. 1, comma 88, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha previsto che, fino al periodo di imposta in corso alla data di pubblicazione del suddetto decreto, continuano ad applicarsi le disposizioni in vigore al 31 dicembre 2007, le quali prevedevano un'analoga disciplina tributaria, ma basata sulla individuazione degli Stati “paradisiaci”, attraverso, quindi, l'emanazione di una apposita black list.

In questo quadro normativo si è inserita, da ultimo, la Legge di Stabilità per il 2015.

L'art. 1, comma 678, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190, infatti, ha stabilito che, nelle more del passaggio al nuovo sistema white list, l'individuazione degli Stati o territori a fiscalità privilegiata debba essere effettuata esclusivamente sulla base della mancanza di un adeguato scambio di informazioni.

Tale passaggio è quindi fondamentale: se il sistema previgente, infatti, stabiliva che l'individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata poteva avvenire, oltre che in base al criterio dello scambio di informazioni, anche su quello del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello domestico o, ancora, su altri criteri, definiti “equivalenti”, la cui concreta individuazione era demandata alla discrezionalità dell'Amministrazione finanziaria, quello attuale fa assurgere il primo a criterio regolatorio esclusivo.

Sulla base di quanto rappresentato, è derivata, quindi, la necessità di modificare il decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze 23 gennaio 2002, affinché l'elencazione di Stati a fiscalità privilegiata, ivi contenuta, fosse armonizzata con il nuovo criterio-guida.

Come si legge nella relazione illustrativa, l'operazione è stata quella di individuare quegli Stati con cui non sussiste una base giuridica internazionale, che garantisce lo scambio di informazioni, o quelli che non hanno partecipato alla peer review del Global Forum presso l'OCSE, considerata la vera cartina di tornasole dell'effettività di una collaborazione fiscale tra gli Stati.

Nello specifico, con riferimento al primo requisito legale, si è ritenuta idonea la stipulazione:

  • di una Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni;
  • di un Tax Information Exchange Agreement (TIEA).

In alternativa, si è considerato equivalente alle prime due ipotesi l'adesione alla Convenzione sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa ed i Paesi membri dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1988.

Per quanto riguarda la prima fattispecie, la base giuridica è rappresentata dalla stipula di un Convezione bilaterale contro le doppie imposizioni, conforme allo standard, fissato dal modello OCSE, il quale all'art. 26 disciplina espressamente il fenomeno dello scambio di informazioni.

Con riferimento alla stipulazione di un TIEA, con esso si fa riferimento al modello convenzionale, elaborato dall'OCSE nel 2002, con il chiaro obiettivo di fissare a livello internazionale uno standard in materia di scambio di informazioni, destinato a rappresentare la base giuridica per futuri accordi internazionali; questo modello, tuttavia, a differenza di quello contro le doppie imposizioni, è deputato esclusivamente alla regolazione di questa forma di collaborazione fiscale. Tali accordi generalmente vengono preferiti quando il volume dei rapporti commerciali è relativamente esiguo o, comunque, non sufficiente a ritenere opportuna la stipulazione di un trattato di natura bilaterale contro le doppie imposizioni.

In chiave compartiva, giova evidenziare come tale ultimo modello, avendo ad oggetto solo lo scambio di informazioni è, sotto questo aspetto, senz'altro più complesso ed articolato, rispetto all'articolo 26 del modello OCSE, necessitando quindi di una negoziazione internazionale più approfondita; ciò nonostante, sotto il profilo dell'efficacia, il modello contro le doppie imposizioni garantisce uno livello di assistenza fiscale del tutto adeguato, in considerazione della irrilevanza, in capo allo Stato richiesto, di un suo specifico interesse fiscale alla collaborazione e del contestuale superamento, consacrato nel paragrafo 5 del citato articolo, del segreto bancario, non essendo, quindi, più causa ostativa la detenzione dell'informazione presso un istituto creditizio.

Infine, sussiste la possibilità di raggiungere lo standard richiesto in materia di scambio di informazioni attraverso l'adesione alla Convenzione sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa e i Paesi membri dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo, che, al contrario delle precedenti basi giuridiche, ha natura multilaterale.

A tale riguardo, va evidenziato come, in data 31 marzo 2010, le organizzazioni partecipanti hanno adottato il Protocollo di modifica della Convenzione: con tale atto si è proceduto all'adeguamento delle disposizioni convenzionali ai più recenti standard di trasparenza e scambio di informazioni, ampiamente riconosciuti a livello internazionale, i quali implicano, tra gli altri, l'obbligo dello scambio di informazioni coperte dal segreto bancario, secondo la legislazione interna, nonché analogo obbligo, anche in assenza di uno specifico interesse dello Stato richiesto; la Convenzione originaria, infatti, era stata redatta anteriormente all'adozione, risalente al 2002, da parte del Global Forum on Transparency and Exchange of Information dell'OCSE, degli standard internazionali di trasparenza e scambio di informazioni.

Per effetto di questa modifica, la normativa multilaterale è stata armonizzata, sia con il modello OCSE di Convezione internazionale contro le doppie imposizioni, nella versione del 2005, sia con quello convenzionale in materia di scambio di informazioni del 2002 e, per tali ragioni, in sede di modifica del Decreto ministeriale 23 gennaio 2002, si è ritenuto sostanzialmente equivalente l'adozione di una delle tre convenzioni.

Infine, merita un'approfondimento il tema della decorrenza della modifica normativa.

Nell'articolato del decreto ministeriale non si rinvengono diposizioni in merito all'entrata in vigore, per cui deve ritenersi che la stessa decorra dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ovverosia dall'11 maggio 2015.

Più complessa, al contrario, la questione di diritto transitorio, attinente ai presupposti di imposta in itinere al momento dell'introduzione del nuovo regime di indeducibilità degli elementi negativi di reddito, derivanti da operazioni intercorse con soggetti non più localizzati in Paesi black listed, poiché per gli altri, ovviamente, nulla cambia.

In tal senso, in considerazione del generale principio di unitarietà dell'obbligazione tributaria, si ritiene che per le operazioni intercorse nel periodo di imposta 2015, con soggetti residenti in Stati espunti dall'elencazione ministeriale, i componenti negativi di reddito siano fiscalmente deducibili nella determinazione della base imponibile.

Così, ad esempio: la Alfa S.p.A. ha acquistato, in data 5 aprile 2015, dalla società Beta, localizzata negli Emirati Arabi Uniti, materie prime da utilizzare nel proprio ciclo produttivo; tale elemento negativo di reddito, indeducibile al momento dell'effettuazione dell'operazione, risulta tuttavia posto in essere con un operatore economico localizzato in uno Stato che, nel periodo di imposta interessato, è stato eleminato dalla black list; pertanto, la società importatrice non dovrà effettuare alcuna variazione in aumento dell'utile civilistico, potendo godere dell'ordinario regime di deducibilità di tale costo d'impresa.

In conclusione

All'esito della descritta verifica, sono stati quindi eliminati dalle liste, contenute nel citato decreto, i seguenti Stati: Alderney (Isole del Canale); Anguilla; Antille Olandesi; Aruba; Belize; Bermuda; Costarica; Emirati Arabi Uniti; Filippine; Gibilterra; Guernsey (Isole del Canale); Herm (Isole del Canale); Isola di Man; Isole Cayman; Isole Turks e Caicos; Isole Vergini Britanniche; Jersey (Isole del Canale); Malesia; Mauritius; Montserrat; Singapore.

Riferimenti

Normativi:

D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917

Legge 23 dicembre 2015, n. 190

Prassi:

Decreto ministeriale 23 gennaio 2002

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