L'immediata esecuzione delle sentenze tributarie di rimborsoFonte: DM 6 febbraio 2017 n. 22
13 Aprile 2017
Con la pubblicazione del Decreto Ministeriale 6 febbraio 2017, n. 22 risulta finalmente consentita l'immediata esecuzione delle sentenze che condannano l'Ente impositore al rimborso. La Legge delega n. 23/2014, perseguendo l'obiettivo del “rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente”, contemplava la “previsione dell'immediata esecutorietà, estesa a tutte le parti in causa, delle sentenze delle Commissioni tributarie”.
Infatti, fino alla recente riforma, le sentenze di rimborso erano esecutive solo quando passavano in giudicato. Non diversamente, d'altronde, dalle pronunce comportanti la necessità di restituire al contribuente quanto versato a titolo provvisorio in corso di causa, che, in caso di inerzia del Fisco, permettevano di attivare il giudizio di ottemperanza solo se, appunto, erano divenute irretrattabili. Ciò con tanto palese quanto ingiustificata disparità di trattamento fra l'Amministrazione e il contribuente, in pregiudizio di quest'ultimo.
Il D.Lgs. n. 156/2015, attuando la delega, ha anzitutto ribadito che il tributo versato in eccesso rispetto a quanto statuito dalla sentenza va rimborsato d'ufficio entro 90 giorni dalla notificazione della pronuncia ed ha opportunamente aggiunto che, in difetto, il privato può agire in ottemperanza sebbene non si sia ancora formato il giudicato.
Quest'ultima rappresenta una significativa innovazione, considerando che – di regola – l'ottemperanza è fruibile solo allorché la pronuncia è divenuta irretrattabile. Tuttavia, l'eccezione si giustifica e si apprezza dal momento che fornisce uno strumento, sinora mancante e di cui si avvertiva la necessità, per rendere effettivo e cogente il dovere incombente sull'Ente impositore di restituire le somme indebitamente corrisposte in corso di causa dal privato, ancorché il giudizio non sia giunto al suo definitivo epilogo.
Quanto precede vale per tutti i tributi diversi dalle cosiddette “risorse proprie tradizionali”, di esclusiva spettanza dell'Unione Europea ed essenzialmente rappresentate dai dazi doganali, nonché per l'IVA riscossa all'importazione. Per le entrate tributarie testé indicate l'art. 68, co. 3-bis, D.Lgs. n. 546/1992 esclude che la restituzione degli importi ingiustamente pagati dal contribuente in corso di causa possa avvenire prima della formazione del giudicato. Ciò, peraltro, non toglie – contrariamente a quanto talora affermato dall'Agenzia delle Dogane – che la sentenza favorevole al privato, ancorché non definitiva, impedisca la riscossione della pretesa impositiva e sanzionatoria controversa e non ancora acquisita dall'Agenzia suddetta.
Infatti, sebbene tale pronuncia non imponga all'Agenzia delle Dogane la restituzione di quanto già versato dal contribuente, non può certamente consentirle di pretendere quanto costui non avesse ancora pagato. Lo esclude il rispetto del principio costituzionale dell'effettività della tutela giurisdizionale a fronte dei provvedimenti amministrativi (ritraibile dagli artt. 24 e 113 Cost.), che trova riconoscimento anche nella giurisprudenza europea.
Poi, il nuovo art. 69, D.Lgs. n. 546/1992 afferma l'immediata esecutività delle sentenze di rimborso – concernenti sempre tributi diversi dalle “risorse proprie tradizionali” e dall'IVA riscossa all'importazione – ed in materia catastale, prevedendo parimenti il ricorso in ottemperanza qualora l'Ente soccombente non si attivi.
Tuttavia, il pagamento di somme superiori a 10 mila euro, diverse dalle spese di lite, può essere subordinato dal Giudice – “anche” tenuto conto delle condizioni di solvibilità del privato (quindi, va pure considerata la possibilità che il Giudice dell'impugnazione muti avviso, come può accadere quando la questione è nuova o assai dibattuta) – alla prestazione di idonea garanzia. E il decreto appena varato, cui era subordinata l'operatività della nuova norma (dall'art. 12, co. 2, D.Lgs. n. 156/2015), disciplina contenuto, termine e modalità d'escussione di detta garanzia, il cui onere deve essere anticipato dal privato per poi gravare sulla parte definitivamente soccombente.
Per riprendere l'espressione usata dal Consiglio di Stato nel parere sullo schema del decreto, la garanzia rappresenta una “misura compensativa” rispetto all'immediata esecutorietà delle sentenze di condanna al rimborso. Ossia un equo contemperamento fra il diritto del privato a beneficiare del rimborso prima della definitività della sentenza, in ossequio a quanto di regola avviene nel sistema processuale italiano e su un piano di tendenziale parità col Fisco (che può avanzare le proprie pretese in base a una pronuncia impugnata), e il comprensibile interesse dell'Ente impositore di poter recuperare gli importi versati e non spettanti al contribuente al conclusivo esito del processo.
Questa previsione inoltre evita che l'Amministrazione debba sistematicamente rivolgersi al Giudice per chiedere la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata. D'ora in poi, quindi, spetterà alle Commissioni tributarie chiamate a pronunciarsi sul rimborso azionato dal contribuente stabilire se occorrerà o meno la garanzia perché costui possa subito ottenere la restituzione di quanto riconosciutogli come dovuto. Lo si ricava dal co. 1 dell'art. 69, che, menzionando in termini generici il Giudice, non può che riferirsi a quello che ha statuito sul merito del rimborso. Lo conferma, inoltre, il co. 4 dell'art. 69, secondo cui il Fisco deve versare quanto dovuto in base alla sentenza entro 90 giorni dalla sua notificazione o dalla presentazione della garanzia, se richiesta: ciò che esclude l'intervento del Giudice dell'ottemperanza o dell'impugnazione.
Scelta, questa, opportuna poiché asseconda il principio di economia processuale.
Compete poi al contribuente chiedere l'immediata esecutività dell'invocata pronuncia di condanna al rimborso e dimostrare le proprie condizioni di solvibilità: lo impone la logica e il rispetto del principio della domanda, che caratterizza il processo tributario.
Sostenendo il contrario e ritenendo che la sentenza di condanna sia immediatamente esecutiva pure per le somme superiori a 10 mila euro a meno che l'Ente impositore non eccepisca l'insolvibilità del privato, si perverrebbe a un esito incongruo. Il contribuente si vedrebbe immotivatamente preclusa la possibilità di attendere il giudicato per conseguire il rimborso.
Non si vede perché colui che non voglia anticipare il costo dell'eventuale garanzia o non intenda dar conto delle proprie condizioni di solvibilità debba essere costretto a farlo, ben potendo aspettare il giudicato.
Non solo, quanto precede trova riscontro nel co. 1 dell'art. 69, in cui si legge della “solvibilità dell'istante”: dunque, l'immediata esecuzione della condanna superiore a 10 mila euro necessita della richiesta in tal senso del contribuente. Ancora, il successivo co. 4, nel prevedere che il pagamento avvenga nei 90 giorni dalla notificazione della sentenza, presuppone un atto volitivo del privato.
Detta solvibilità non potrà che essere valutata dal Giudice allorché viene resa la pronuncia. La prova a tal riguardo prodotta all'avvio della lite (in primo o in secondo grado) potrebbe non essere più idonea al momento di adozione della sentenza.
Converrà perciò dimostrare la propria solvibilità in prossimità dell'udienza di trattazione, producendo la relativa documentazione di supporto nei 20 giorni liberi antecedenti tale udienza.
Invece, per le azioni di rimborso di valore inferiore a 10 mila euro e per le cause catastali non occorrerà alcuna richiesta di immediata esecuzione, essendo quest'ultima prevista in ogni caso dalla legge.
Di particolare interesse sono gli effetti della provvisoria esecutorietà in ambito catastale. Per un verso, i contribuenti verseranno i tributi per la cui determinazione rilevano le rendite catastali in base al dictum del Giudice seppur non definitivo; per l'altro verso, gli Enti impositori non potranno fondare i propri accertamenti su rendite sconfessate dalle sentenze non ancora immodificabili. Eventuali istanze di rimborso e pretese di maggiori imposte potranno avanzarsi quando si sarà formato il giudicato, nel rispetto dei relativi termini decadenziali. Laddove, poi, il rimborso non sia eseguito, si potrà agire solo in ottemperanza, non essendo più permesso fruire dell'esecuzione civilistica sulla scorta della sentenza di condanna.
Quest'ultima esclusione rappresenta un'anomalia rispetto agli altri processi del nostro ordinamento. Peraltro, se si considera che finora l'esecuzione delle sentenze tributarie è stata poco impiegata e che l'ottemperanza è più celere e meno onerosa del giudizio esecutivo, si può comprendere perché il legislatore delegato abbia consentito il solo giudizio ottemperanza.
Tant'è che, sempre nell'ottica di rendere più rapido quest'ultimo processo, si è previsto – nell'art. 70, co. 10-bis, D.Lgs. n. 546/1992 – che la decisione competa alla Commissione Tributaria in composizione monocratica per il pagamento delle somme fino all'importo di 20 mila euro e delle spese di lite, quale che sia la relativa entità. In conclusione
In conclusione, il nuovo art. 69, finalmente operativo grazie al (troppo a lungo atteso) Decreto Ministeriale n. 22/2017, è norma ragionevole e soprattutto concorre a rendere più equilibrati i rapporti fra le parti del giudizio tributario. La sentenza non ancora definitiva è adesso in grado di esplicare i propri effetti non solo in favore dell'Ente impositore, ma anche – seppur con il contemperamento evidenziato – del contribuente. Si tratta di una “conquista” significativa, che rende oltretutto più effettiva la tutela giurisdizionale dei diritti del privato nelle liti contro il Fisco.
Va segnalata, tuttavia, una lacuna che merita di essere colmata. Fino all'entrata in vigore della riforma qui esaminata, l'efficacia immediata della pronuncia favorevole al privato era contemplata solo dall'art. 22, co. 7, lett. c), D.Lgs. n. 472/1997, secondo cui i provvedimenti cautelari dell'ipoteca e del sequestro conservativo, ottenuti dall'Amministrazione a garanzia del credito vantato nei riguardi del contribuente, perdono efficacia a seguito della sentenza, “anche non passata in giudicato”, che accoglie il ricorso di quest'ultimo avverso gli atti impositivi e sanzionatori con i quali sia stato fatto valere detto credito. Anche la pronuncia che accolga solo parzialmente le ragioni del contribuente ha un'immediata efficacia in quanto comporta – su istanza di parte – la riduzione proporzionale dell'entità dell'iscrizione ipotecaria o del sequestro.
Siffatta efficacia immediata non è però riconosciuta dal nuovo art. 69, D.Lgs. n. 546/1992 per il caso di sentenze non definitive di accoglimento dei ricorsi avverso le misure cautelari dell'iscrizione ipotecaria di cui all'art. 77, d.P.R. n. 602/1973 e del fermo di beni mobili registrati ex art. 86, d.P.R. n. 602/1973.
Sono palesi l'irrazionalità e l'ingiustificata disparità di regime cui soggiacciono le pronunce appena indicate rispetto a quelle contemplate dal menzionato art. 22, co. 7, lett. c). Se la pronuncia non definitiva favorevole per il contribuente sul merito delle pretese impositive e sanzionatorie determina l'inefficacia delle misure cautelari di cui all'art. 22 cit., non si vede per quale ragione non dovrebbe produrre lo stesso esito la sentenza – parimenti non passata in giudicato – che condivida le difese del privato e che sia resa a seguito dell'impugnazione dei rammentati iscrizione ipotecaria e fermo di beni mobili.
Pertanto, in attesa dell'auspicato intervento del legislatore che adegui l'art. 69 cit. sancendo l'immediata esecuzione delle sentenze che ravvisino l'illegittimità e/o l'infondatezza dell'iscrizione ipotecaria e del fermo di beni mobili, ne va prospettata una lettura costituzionalmente corretta, al fine di evitare le rilevate irragionevolezza ed indebita disparità di trattamento. |