Novità in tema di spese di lite dopo la riforma del contenzioso tributario

Leonardo Margiotta
21 Gennaio 2016

Il tema delle “spese di lite” è una questione da sempre oggetto di dibattito in dottrina e che, talvolta, riscontra una difformità fra disposto normativo e la concreta, nonché auspicabile, applicazione da parte delle Commissioni tributarie le quali, invece che applicare il generale principio di soccombenza (art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992), utilizzano in maniera impropria l'istituto della compensazione quale strumento abituale, nonostante abbia un carattere assolutamente straordinario.
La riforma del contenzioso tributario: principio di soccombenza ed istituto della compensazione delle spese di lite

Il 26 giugno 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di riforma del processo tributario giusta delega contenuta nell'art. 10 della Legge 11 marzo 2014, n. 23, attuato mediante il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156. La revisione della disciplina del processo tributario si è focalizzata su molteplici argomenti, con particolare attenzione alle spese processuali, e più specificatamente al principio di soccombenza nella liquidazione delle spese di giudizio.

Con la riforma del contenzioso tributario, tra le varie innovazioni introdotte, si mira a consolidare il principio in base al quale le spese del giudizio tributario seguono sempre la soccombenza, giusta il quale “(..) la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza (..)” – cfr. art. 15, co. 1, D. Lgs. 546/1992.

In altre parole, il principio in esame stabilisce che la parte "perdente" all'interno del procedimento debba farsi carico delle spese di giudizio, sia proprie che di controparte, come naturale nonché conseguente rimborso delle spese anticipate da quest'ultimo; gli importi in questione fanno riferimento alle c.d. spese vive (bolli, notifiche, ecc..), agli onorari ed ai compensi collegati strettamente all'assistenza tecnica in giudizio ed alle varie consulenze e/o perizie tecniche che si rivelino necessarie nel corso del contenzioso.

L'art. 15, co. 2-ter, D. Lgs. 546/1992 introdotto dalla riforma, fa specifico riferimento alle spese di lite, stabilendo che, “(..) Le spese di giudizio comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l'imposta sul valore aggiunto, se dovuti (..)”.

Le Commissioni tributarie saranno tenute ad applicare quale regola generale, la condanna alle spese ai danni di chi perde, mentre avrà carattere del tutto straordinario la compensazione, richiesta solo per i casi più gravi, dietro espressa motivazione da parte del giudice.

Se prima della riforma del contenzioso tributario si ricorreva ampiamente, oltre che impropriamente, alla compensazione delle spese di lite anche senza fornire specifiche giustificazioni, oggi tale istituto è ammesso soltanto nei casi in cui vi sia soccombenza reciproca o in caso di sussistenza di gravi ed eccezionali motivazioni, espressamente spiegate dal giudice nel procedimento che decide sulle spese, pena la nullità della sentenza (art. 15, co. 2, D. Lgs. 546/1992).

Mediante l'art. 9, comma 1, lettera f) del D.Lgs. n. 156/2015 con il quale si è modificato l'art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992, si vuole impedire da una parte l'abuso dello strumento processuale (dissuadendo quindi dalla presentazione dei ricorsi meramente pretestuosi e dilatori) favorendo l'utilizzo degli strumenti deflattivi del contenzioso e, dall'altra, evitare che la parte sia costretta a sopportare gli oneri del giudizio nel caso di pretesa tributaria infondata, comportando pertanto una propria ed ingiustificata diminuzione patrimoniale.

Non vi è chi non veda come, in riferimento agli indicati principi successivi alla modifica del summenzionato articolo, sia stata ribadita l'importanza del criterio secondo cui le spese del giudizio seguono la soccombenza, mentre la possibilità per la Commissione tributaria di compensare in tutto o in parte le spese – giova ripeterlo – è stata consentita solo quando vi sia soccombenza reciproca oppure quando sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate dal giudice.

Nonostante il discostamento dall'art. 92 c.p.c., richiamato dalla vecchia formulazione dell'art. 15 D.Lgs. n. 546/1992, i criteri attualmente offerti dal codice di procedura civile propongono un'enunciazione più generale ma, allo stesso tempo, comprensiva dell'eccezionalità delle circostanze necessarie ai fini dell'applicazione dell'istituto della compensazione.

Per scoraggiare le c.d. liti temerarie è stato altresì previsto con il co. 2-bis dell'art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992, che nel caso risulti che la parte soccombente abbia agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, la Commissione tributaria la condanna, su istanza dell'altra parte, oltre alle spese, al risarcimento dei danni liquidati, anche d'ufficio, nella sentenza.

In altre parole, si cerca di impedire da una parte l'avvio di procedure contenziose pressoché tendenziose da parte del contribuente, quando le sue ragioni risultino essere inesistenti oltre che immotivate; di contro si vuole, altresì, bloccare una ipotetica resistenza in giudizio da parte dell'ufficio impositore, qualora non abbia provveduto ad annullare l'atto impositivo già in autotutela, essendo evidentemente valide le eccezioni avanzate dal ricorrente. In tale eventualità, la Commissione tributaria liquida non solo le spese del giudizio ma anche l'indennità risarcitoria.

Nelle ipotesi dianzi menzionate, pertanto, si applicheranno le disposizioni di cui all'art. 96, comma 1 e 3, c.p.c., che così testualmente recitano, “(..) Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza (..)” e che “(..) In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'articolo 91, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata (..)”.

Con Circolare del 23 aprile 1996, n. 98/E, il Ministero delle Finanze ha escluso per il contenzioso tributario l'applicazione della responsabilità aggravata di cui all'art. 96, co. 1 e 3, c.p.c., ritenendo che la normativa di riferimento adibita alla condanna del soccombente alle spese di lite sia quella disciplinata dagli artt. 91, 92, 93, 94 e 97 c.p.c.; tuttavia, gran parte della dottrina come anche la giurisprudenza di legittimità (cfr. Corte di Cassazione, ss.uu., 5 febbraio 1997, n. 1082), affermano come l'istituto della responsabilità aggravata sia applicabile anche nei casi delle c.d. liti temerarie.

A seguito della menzionata riforma, il co. 2-quater dell'art. 15 stabilisce che la statuizione delle spese di lite deve essere contenuta già a partire dall'ordinanza con cui il giudice definisce nella fase cautelare del giudizio. L'istanza cautelare all'uopo pronunciata sulle spese di giudizio produce effetti anche dopo l'adozione del provvedimento giurisdizionale che ne definisce il merito. Tale decisione può, in ogni caso, essere suscettibile di modifica nella sentenza di merito rispetto a quanto decretato durante la fase cautelare.

Analogamente a quanto previsto dall'art. 57 del C.p.a., codesta indicazione mira ad evitare un abuso delle richieste di tutela cautelare.

Inoltre, il parametro per la retribuzione degli incaricati dell'assistenza tecnica permane lo specifico tariffario professionale, per i soggetti autorizzati all'assistenza tecnica dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, ci si riferisce alla tariffa vigente per i dottori commercialisti ed esperti contabili (art. 15, comma 2-quinques, D.Lgs. n. 546/1992).

Ulteriore richiamo alla precedente formulazione è stabilito dal comma 2-sexies dell'art. 15 per quanto concerne la liquidazione a favore degli enti impositori, degli Agenti della riscossione e dei soggetti di cui all'art. 53 del D.Lgs. n. 446/1997, i quali, se assistiti da propri dipendenti, si devono avvalere alle tariffe previste per gli avvocati, con la riduzione del 20%; infine, l'iscrizione a ruolo per la riscossione dei una determinata somma di denaro da liquidare a tutti gli enti impositori, nonché agli agenti e concessionari della riscossione, avviene soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza, favorendo in questo modo il contribuente.

Per di più, il comma 2-septies dell'art. 15, giusta il quale “(..) Nelle controversie di cui all'articolo 17-bis le spese di giudizio di cui al co. 1 sono maggiorate del 50 per cento a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento (..)”, conferma che le spese di lite sono maggiorate del 50% nelle controversie proposte avverso atti reclamabili ai sensi dell'art. 17-bis. La maggiorazione è prevista a titolo di rimborso delle spese sostenute per la fase del procedimento amministrativo. Tale norma ha, quindi, la finalità di incoraggiare la mediazione (estesa a tutti gli Enti impositori) e di riconoscere alla parte vittoriosa i maggiori oneri sostenuti nella fase procedimentale obbligatoria ante causam.

Infine, per incentivare la deflazione del contenzioso, la nuova normativa stabilisce che la parte che abbia rifiutato senza giustificato motivo la proposta di conciliazione della controparte sia tenuta a pagare le spese processuali, qualora il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto dell'accordo proposto (cfr. art. 15, comma 2-octies, D. Lgs. n. 546/1992).

In conclusione

Con l'entrata in vigore del D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 (in G.U. n. 233 del 7 ottobre 2015 – Suppl. Ord. n. 55) viene pertanto consolidato il principio della soccombenza nella liquidazione delle spese di lite (art. 9, comma 1, lettera f), D.Lgs. n. 156/2015), riportando ex adverso l'istituto della compensazione ad un ruolo propriamente straordinario, quale semplice e naturale eccezione al summenzionato principio di soccombenza.

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