L'impugnazione del diniego di autotutela nel contesto del favor rei conseguente alla riforma delle sanzioni tributarie
21 Marzo 2016
Inquadramento
L'impugnazione del diniego di autotutela rappresenta, senza ombra di dubbio, una delle questioni maggiormente dibattute in giurisprudenza, soprattutto alla luce delle più recenti e contrastanti pronunce della Corte di Cassazione.
Se, difatti, è vero che l'intangibilità del giudicato sostanziale (e non meramente formale) intervenuto sul rapporto tributario sottostante impedisce l'esercizio del potere di autotutela da parte dell'Amministrazione finanziaria (“L'annullamento in autotutela di un atto impositivo e la sua sostituzione con uno nuovo incontra i soli limiti rappresentati dal rispetto del termine decadenziale di notifica, dal divieto od elusione del giudicato sostanziale formatosi sull'atto annullato e dal rispetto del diritto di difesa del contribuente”, Corte di Cassazione, sentenza 8 luglio 2015, n. 14219), è altrettanto vero che, al di fuori di questa ipotesi tassativa, nessun ostacolo può essere frapposto tra la richiesta di annullamento di un atto illegittimo e l'esercizio di quel potere amministrativo, con l'unico limite rappresentato dalla preclusione, da parte del contribuente istante, a reintrodurre un riesame nel merito del rapporto.
Ciò comporta, in particolare, che a fronte di un atto impositivo divenuto oramai definitivo per omessa impugnazione da parte del contribuente, a quest'ultimo sarà, sicuramente, impedito di reintrodurne un esame nel merito recuperando, a posteriori, il medesimo status posseduto all'indomani della notifica dell'atto e fino alla scadenza naturale del termine per la proposizione del ricorso, facendo, in tal modo, rivivere il diritto all'impugnazione non esercitato.
Allo stesso modo, tuttavia, non sembra potersi negare il diritto del contribuente a vedersi annullare, in tutto o in parte, un atto impositivo divenuto illegittimo, nell'ipotesi in cui siano sopravvenuti nuovi elementi che, se non debitamente considerati, rischierebbero di compromettere quel generale principio di legalità che, come si dirà subito dopo, potrebbe, innanzitutto, tradursi nella violazione del principio di uguaglianza, ove fattispecie identiche per natura finissero con l'essere assoggettate a previsioni diverse, anche e soprattutto ai fini sanzionatori.
Si verrebbe, così, a realizzare quell'interesse di carattere generale alla rimozione dell'atto, che la giurisprudenza della Suprema Corte ha posto alla stregua di un vero e proprio requisito di proponibilità della domanda (“Il contribuente che richiede all'Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi ad eccepire eventuali vizi dell'atto medesimo, la cui deduzione è definitivamente preclusa, ma deve prospettare l'esistenza di un interesse di rilevanza generale dell'Amministrazione alla rimozione dell'atto”, sentenza 21 settembre 2015, n. 18597). Il perimetro del problema
Si è già detto, da queste pagine (vedi LIGRANI M. “Impugnabilità del diniego di autotutela: la Cassazione non fa ancora chiarezza”, in “IlTributario” del 28 settembre 2015), che la Suprema Corte, proprio valutando l'impugnabilità di un diniego espresso di autotutela, ha stabilito che l'esercizio del potere di autotutela in materia tributaria attraverso l'annullamento parziale di un avviso impositivo, non preclude al contribuente, nonostante l'originario provvedimento fosse già definitivo, la possibilità di impugnare, nei termini di legge, il provvedimento emesso in autotutela, privandosi altrimenti il contribuente della possibilità di difesa relativamente a tale atto, ancorchè riduttivo della originaria pretesa (sentenza 8 luglio 2015, n. 14243).
Risolta, dunque, favorevolmente alle ragioni dei contribuenti la questione dell'impugnabilità, tout court, del diniego di autotutela, si pone il problema di valutare la sussistenza dei presupposti per la proponibilità di un'istanza di annullamento nella ipotesi, particolare, del mutamento, in senso favorevole al contribuente, del quadro normativo sanzionatorio, intervenuto in epoca successiva alla notifica dell'atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione.
L'ipotesi è quella del favor rei, previsto, in materia tributaria, dall'art. 3 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 ed è quantomai attuale: la Legge di Stabilità 2016 (28 dicembre 2015, n. 208), infatti, avendo anticipato di un anno l'originaria entrata in vigore del nuovo sistema sanzionatorio amministrativo introdotta con il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, ha fissato allo scorso 1° gennaio la decorrenza delle nuove norme – appunto - più favorevoli, che, pertanto, già dall'inizio dell'anno stanno trovando applicazione da parte degli uffici.
Si tratta, dunque, di stabilire se, in sede di autotutela, si possa invocare, o meno, la riduzione, da parte degli uffici finanziari, delle sanzioni più onerose pretese in base alla previgente disciplina, nonostante l'intervenuta definitività dell'atto. Per rispondere alla domanda occorre, senza dubbio, prendere le mosse dal disposto letterale del terzo comma dell'articolo 3, il quale, com'è noto, prevede che “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo.”. L'ultimo inciso “salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo” appare tranciante: l'intervenuta definitività del provvedimento sanzionatorio, dunque, sembrerebbe escludere a priori l'esercizio del potere di autotutela, se non fosse che, come ricordato, l'unico ostacolo opponibile da parte dell'Amministrazione finanziaria è rappresentato dall'esistenza di un giudicato sostanziale a proprio favore, tuttavia estraneo al contesto in esame. Si fronteggiano, dunque, da un lato la preclusione posta dal terzo comma dell'art. 3 incentrato sulla intervenuta definitività del provvedimento sanzionatorio, dall'altro la piena operatività del potere di autotutela amministrativa non impedito dalla definitività dell'atto. Il contrasto, a parere di chi scrive, sembrerebbe potersi risolvere favorevolmente all'esercizio dell'autotutela, per un duplice ordine di considerazioni.
In primo luogo, occorre avere riguardo alla inevitabile diseguaglianza che verrebbe a crearsi tra due fattispecie sanzionatorie tra loro identiche, ma differenziate esclusivamente dal tempestivo esercizio del diritto di difesa da parte di uno dei due contribuenti. Appare evidente, infatti, che la medesima violazione tributaria, ad esempio la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, verrebbe sanzionata in modo differente in base al fatto che il contribuente abbia, o meno, impugnato il relativo provvedimento, finanche con finalità meramente strumentali; basti ricordare, a tal proposito, che, all'indomani della pubblicazione del decreto di riforma che fissava, in un primo momento, al 1° gennaio 2017 la data di entrata in vigore delle disposizioni sanzionatorie più favorevoli, era emersa una inevitabile convenienza di fatto ad impugnare comunque, con finalità anche meramente dilatorie, tutti i provvedimenti sanzionatori, per il solo fatto di creare la pendenza della lite fino a quando non sarebbe entrata in vigore la nuova normativa. Non v'è chi non veda, tuttavia, come l'esercizio, anche strumentale, del diritto di difesa, rectius la pendenza dell'impugnazione, non possa, di per sé stesso, tradursi in uno status di premialità per il contribuente che ne abbia usufruito, a discapito di colui il quale, sanzionato per la medesima violazione, sia, invece, rimasto inerte. Se la questione sta, dunque, in questi termini, appare stridere, appunto, con il principio di uguaglianza il permanere di una misura sanzionatoria più gravosa, sostituita con una più mite che premierebbe solo il contribuente che abbia presentato ricorso, ancorchè, ripetesi, con finalità unicamente strumentali. Al contrario, risponderebbe ad un più generale e indubbio criterio di equità l'applicazione della misura sanzionatoria successiva e più favorevole, che consentirebbe di tener conto del favor rei quale unico criterio giuridicamente applicabile, per nulla in contrasto con il perimetro in cui può essere esercitato il potere di autotutela che è, infatti, precluso nella sola e diversa ipotesi di un giudicato sostanziale esistente a sfavore del contribuente. Del resto, che la definitività del provvedimento sanzionatorio non sia, di per sé stessa, di ostacolo all'applicabilità della disposizione più favorevole, lo si desume, indirettamente, anche dal secondo comma del medesimo articolo 3, con il quale, infatti, il legislatore, superando, questa volta, a piè pari l'ostacolo, ha stabilito la non punibilità della violazione, ancorchè contestata con atto divenuto definitivo, che abbia però formato oggetto non già di una mera riduzione, come nel caso del decreto di riforma, bensì di un'abrogazione tout court. La norma, infatti, dopo l'inciso “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile”, precisa, subito dopo, che “se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato.” Come si vede, dunque, lungi dal rappresentare un ostacolo all'applicazione dello status giuridico più favorevole, l'unico effetto della intervenuta definitività del provvedimento sanzionatorio è rappresentato dal mancato rimborso delle somme eventualmente pagate, meramente quantitativo e di ordine esclusivamente pratico. Ma se l'ipotesi dell'abrogazione della disposizione sanzionatoria non trova ostacolo, per espressa previsione di legge, nella intervenuta definitività dell'atto, a fortiori non si comprende il perché altrettanto non possa accadere nella ipotesi, di cui al successivo comma terzo, rappresentata dalla mera riduzione della misura sanzionatoria, cui, è bene ricordarlo, non osta la preclusione dell'esercizio del potere di autotutela che, infatti, opera nella sola ipotesi dell'esistenza di un giudicato sostanziale contrario. A questa considerazione prettamente giuridica se ne aggiunge un'altra, di carattere più propriamente pratico.
L'ipotesi è quella di un atto impositivo, divenuto definitivo, che contenga, come accade nella generalità dei casi, anche un provvedimento di irrogazione sanzioni; si pensi all'ipotesi, classica, dell'avviso di accertamento, in cui alla liquidazione della maggiori imposte faccia seguito l'irrogazione delle relative sanzioni. Ebbene, nulla quaestio rispetto all'esercizio del potere di autotutela dell'accertamento anche in presenza della intervenuta definitività dell'accertamento, ove vengano evidenziate questioni anche di tipo meramente formale che inducano l'Amministrazione finanziaria a rimuoverlo (si pensi all'accertamento IRES erroneamente notificato anche al socio). In questa ipotesi, tuttavia, è evidente che l'annullamento in autotutela della pretesa impositiva non può che travolgere anche il contestuale provvedimento sanzionatorio, che del primo è la diretta conseguenza sia sul piano logico che più propriamente giuridico, nonostante tale provvedimento sanzionatorio sia divenuto definitivo unitamente all'accertamento che lo incorporava.
Così facendo, tuttavia, ad essere pregiudicato dalla preclusione prevista dal terzo comma dell'art. 3 sarebbe il solo provvedimento sanzionatorio autonomo, qual è l'atto di contestazione ovvero l'avviso di irrogazione sanzioni, non potendo, ragionevolmente e praticamente, impedirsi che il provvedimento sanzionatorio contestuale all'avviso di accertamento venga travolto dall'annullamento, appunto in autotutela, dell'intero atto impositivo. Anche sotto tale profilo, dunque, la piena operatività ed efficacia del potere di autotutela consentirebbe di scongiurare la inevitabile e ulteriore disparità di trattamento che verrebbe a crearsi in conseguenza della diversa tipologia di provvedimento sanzionatorio, atteso che solo quello autonomo e non contestuale all'avviso di accertamento resterebbe escluso dagli effetti dell'annullamento in autotutela della imposta e, dunque, della relativa sanzione. La giurisprudenza, ultima in ordine di tempo, della Suprema Corte sembra aprire anch'essa all'esercitabilità del potere di autotutela nell'ipotesi dell'entrata in vigore di una norma successiva alla definitività dell'atto, evidentemente di favore per il contribuente.
Nella recentissima sentenza 20 gennaio 2016, n. 942, infatti, la Corte, nel censurare quella domanda giudiziale con la quale si intenda, per il tramite della istanza di autotutela, reintrodurre un esame del merito della pretesa già definitiva, ha, incidenter tantum, fatto salva l'ipotesi dell'applicabilità dell'autotutela in caso di una normativa sopravvenuta, appunto, più favorevole.
Invero, si legge in sentenza, la Corte ha evidenziato che “se, dunque, va affermata la giurisdizione del giudice tributario in relazione alle controversie nelle quali si impugni il rifiuto espresso o tacito dell'Amministrazione di procedere ad autotutela (Cass. civ., sez. un., n. 16776/2005), deve però rilevarsi che l'istanza di adozione, da parte dell'Amministrazione finanziaria, di un provvedimento di autotutela sulla base di eventi sopravvenuti all'atto impositivo, è cosa ben diversa dalla domanda di annullamento dell'atto per suoi vizi originari, posto che il ricorso proposto al giudice tributario avverso il diniego totale o parziale di autotutela non può mai risolversi in una inammissibile impugnazione di atti impositivi in ordine ai quali siano già decorsi i termini per esperire la tutela giurisdizionale (Cass. civ., n. 11457/2010 e Cass. civ., n. 15220/2012).” Dal tenore dell'inciso, dunque, sembra potersi trarre un ulteriore argomento a favore dell'applicabilità dell'autotutela anche in presenza di provvedimenti sanzionatori definitivi, facendo spazio alla normativa sanzionatoria più favorevole, nella specie quella in vigore dal 1° gennaio di quest'anno; ipotesi, evidentemente, riconducibile alla fattispecie dell'evento sopravvenuto fatta salva dalla stessa Cassazione, ai fini della operatività dell'esercizio del potere di annullamento, anche parziale. |