Immobile concesso in leasing: la base imponibile da ricercare nel valore venale in comune commercio

La Redazione
25 Novembre 2016

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 23859/2016, ha statuito in tema di valore venale, sostenendo che il criterio adottato per la determinazione di detto valore, deve tener conto non solo della sommatoria del prezzo di riscatto del bene e dei canoni corrisposti in corso di rapporto ma anche della detrazione dell'incidenza finanziaria dell'operazione, affinché il trattamento fiscale risulti omogeneo ed unitario.

L'Agenzia delle Entrate propone ricorso in Cassazione avverso la decisione dalla Commissione regionale che aveva ritenuto illegittimo il silenzio-rifiuto opposto all'istanza di rimborso per imposte ipotecarie e catastali pagata in eccesso dalla contribuente in relazione a due acquisizioni di immobili in leasing mediante opzione di riscatto.

Nel caso specifico la CTR aveva sostenuto che l'istanza di rimborso era da considerarsi fondata, in quanto il valore venale in comune commercio degli immobili riscattati doveva desumersi dal prezzo di riscatto, aumentato dei canoni di leasing, meno la componente finanziaria dell'operazione.

L'Agenzia delle Entrate ritiene, invece, che la Commissione aveva adottato un criterio di determinazione della base imponibile diverso da quello che la legge dispone.

La questione a questo punto giunge alla Corte, che, chiamata a pronunciarsi, sostiene le ragioni enunciate dai giudici di merito. I Supremi giudici ritengono giusto l'accoglimento dell'istanza di rimborso che non trova, nel caso specifico, ostacolo nel criterio del valore venale di comune commercio così come stabilito dall'art. 51 d.P.R. n. 131/1986 (cui rinvia il D.Lgs. n. 347/1990). Continuano dalla Corte statuendo che il criterio di legge deve trovare attuazione nella considerazione del doppio trasferimento connaturato all'operazione di finanziamento in leasing, e anche sulla base di un criterio che appaia uniforme, che equipari l'acquisto in leasing all'acquisto diretto.

Dunque, proseguono i giudici, la base imponibile in sede di riscatto dell'immobile concesso in leasing deve essere indivuiduata "nel valore venale in comune commercio, che può essere individuato nel prezzo di riscatto del bene aumentato dei canoni, depurati dalla componente finanziaria". Se ne ricava che la base imponibile viene rapportata (senza che contravvenga al criterio legale) al costo originario sostenuto dal concedente per l'acquisto del bene al momento della stipula del contratto.

Vale la pena sottolineare, poi, che la decisione presa in sede di legittimità muove da diverse considerazioni interpretative di leggi e di sistema, ad esempio: il parametro legale fondamentale del valore venale ex art. 51 d.P.R. n. 131/1986 da conto del valore concreto riferibile allo specifico immobile dedotto nella pretesa impositiva (con incidenza di ogni onere e vincolo) sussistente al momento del trasferimento.

Ulteriore aspetto considerato è la peculiarità dell'articolazione strutturale tipica del leasing, ovvero che il trasferimento a titolo di riscatto segue necessarimente l'acquisizione del bene da parte del concedente all'inizio del rapporto. Con possibilità che vi siano duplici momenti impositivi sul medesimo bene e nel medesimo rapporto contrattuale preordinato all'acquisto finale.

A tal proposito il legislatore tributario ha voluto non penalizzare questa modalità di acquisizione di beni immobili strumentali differente rispetto a quella ordinaria. Tale maniera implica che il valore venale tenga conto non solo della sommatoria del prezzo di riscatto del bene e dei canoni corrisposti in corso di rapporto ma anche della detrazione dell'incidenza finanziaria dell'operazione, affinché il trattamento fiscale risulti omogeneo ed unitario.

Alla luce di queste considerazioni se ne ricava che l'obiettivo equiparativo rispetto al trasferimento diretto è stato perseguito anche nella materia oggetto di controversia (imposizione ipotecaria e catastale), così è chiaro percepire che la soluzione accolta dai giudici di legittimità non trova ostacolo formale nella circostanza che il criterio del valore venale fosse stato proposto dalla stessa società contribuente mediante allegazione in sede amministrativa di due perizie di stima.

Con questa pronuncia i giudici intendono anche contemperare l'orientamento di emendabilità della dichiarazione in favore del contribuente ai sensi dell'art. 2 e 8-bis del d.P.R. n. 322/1998, tale principio si ritiene applicabile anche nel caso di specie, in cui il rimborso sia richiesto facendo valere un errore nel valore dei cespiti dichiarato inizialmente.

In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.