Dirigenti illegittimi: la Cassazione si avvicina alla decisione definitiva

27 Ottobre 2015

Prosegue il lento avvicinarsi della Cassazione alla pronuncia definitiva sulla nota questione dei dirigenti-non dirigenti che hanno sottoscritto illegittimamente atti tributari. Ad oggi la Suprema Corte si è potuta esprimere esclusivamente su aspetti marginali, non strettamente centrati sul merito del problema, tra cui l'inammissibilità della nuova eccezione di nullità dell'atto in sede di giudizio di legittimità.
L'inammissibilità dell'eccezione nuova per carenza dei requisiti dirigenziali

Il lento avvicinamento della Cassazione alla decisione definitiva sulla questione dei dirigenti-non dirigenti che hanno sottoscritto atti tributari prosegue con la sentenza della sezione tributaria civile n. 20984, depositata il 16 ottobre.

In verità, la Suprema Corte è stata nella specie sollecitata ex officio a provvedere alla declaratoria di nullità dell'atto impositivo in quanto asseritamente emesso da chi aveva assunto la funzione dirigenziale ex art. 8, D.L. 16/2012, dichiarato incostituzionale con la nota sentenza n. 37/2015.

L'argomento non era fra i motivi di ricorso e difficilmente avrebbe potuto esserlo, trattandosi di una cartella di pagamento relativa all'anno 1992 (così espone la sentenza) notificata in data 13.9.2008 (sic!).

Come già nella precedente pronuncia n. 18448 del 18 settembre 2015, la Suprema Corte rimane ellitticamente legata ad aspetti non strettamente centrati sul merito del problema.

In sostanza viene respinta la richiesta del ricorrente esclusivamente perché secondo la S.C. il “sottosistema del diritto amministrativo” che costituisce il diritto tributario obbedisce ad una regola diversa da quella generale del diritto amministrativo e pertanto la declaratoria di nullità non potrebbe, in buona sostanza, attingere alla caducazione della pretesa erariale, in quanto espressamente la Corte richiama il principio, non così univocamente riconosciuto in passato, dell'unitarietà della categoria della speciale “nullità tributaria” degli atti che contengono una pretesa erariale.

Pertanto o essa viene fatta valere con apposita impugnazione tempestiva, regolata dall'art. 21 del D. Lgs. 546/1992, oppure la pretesa tributaria si consolida persino nella sua fase esecutiva (nella fattispecie, era parte anche Equitalia, appunto) con il pieno diritto dell'Erario di agire anche per un atto “invalido-annullabile” ma non annullato tempestivamente e gravato nel tempo decadenziale previsto.

Il freno alla tesi dell'inesistenza degli atti tributari in difetto di elementi essenziali

Siffatta tesi sembra sgombrare il campo dall'ipotesi, pure affacciata in subiecta materia da numerose pronunce di merito

ex multis CT 2° Trento, n. 91/2008, cassata dalla sentenza della Cassazione 18448/2015 sopra individuata

per cui non solo agli atti tributari si applicherebbe il regime degli atti amministrativi di cui all'art. 21-septies, L. 241/1990 (nella versione novellata dalla L. 15/2005), ma tale applicazione consentirebbe ed imporrebbe, se si individua un vizio che rende l'atto radicalmente nullo per mancanza di uno dei suoi elementi essenziali, anche la caducazione della pretesa tributaria anche senza un rigore formale nel rispetto del termine di impugnazione, in quanto la nullità travolgerebbe ogni effetto dell'atto e non ne consentirebbe la sopravvivenza, neppure ove esso fosse giunto – come in entrambi i casi era accaduto – alla fase della sua esecutorietà concreta senza una preventiva concreta impugnazione sul punto.

La Cassazione, con le due citate pronunce, pone dunque un reiterato robusto freno alla teoria della inesistenza degli atti tributari ove ne difettino alcuni elementi essenziali, dovendosi dedurre che si richiede, anche in mancanza di uno o più di essi, una tempestiva impugnazione onde caducarne l'efficacia esecutiva, ma ancora non entra direttamente nel tema della validità degli atti sottoscritti da dirigenti nominati ex art. 8, D.L. 16/2012 o addirittura, come pure è accaduto, da non dirigenti.

In conclusione

Possiamo trarre da queste pronunce una prima considerazione sul punto, conclusiva e dirimente, e cioè che difficilmente, a meno di révirement del Giudice della Legittimità, saranno accolte le doglianze di coloro che non hanno impugnato tempestivamente con specifica doglianza gli atti tributari viziati da tale supposta illegittimità, che non vengono considerati affetti da una nullità di categoria speciale così forte da ledere il principio dell'unità e tempestività impugnatoria nel processo tributario.

In verità, nel prendere atto dell'orientamento della Corte, che sembra rafforzare dopo molte oscillazioni anche dottrinali la natura meramente impugnatoria del processo tributario e la centralità dell'atto e non del rapporto nella cognizione del giudice tributario, scarsamente sviluppata appare la questione sotto il profilo del rapporto fra norma autorizzatoria e pronuncia della Corte Costituzionale, che ha sì efficacia ex tunc, ma non fino al punto da richiedere al contribuente – ricorrente il possesso di virtù divinatorie.

Sta di fatto che sul punto di merito, cioè sul fatto se siano o no atti validi ed efficaci quelli emessi da dirigenti non aventi adeguato titolo formale, non c'è alcuna pronuncia definitiva della Corte, anche se in filigrana la seconda sentenza in commento sembra far intendere che gli atti sarebbero si annullabili, ma non tempestivamente impugnati.

Anche a voler essere tempestivi, la questione tuttavia non avrebbe potuto essere proposta utilmente se non dopo la pronuncia della Corte delle Leggi, essendo impossibile costruire a carico del contribuente un dovere generale impugnatorio di atti apparentemente legittimi di cui si dovrebbe affacciare l'illegittimità costituzionale.

Quanto meno mediante utilizzazione dell'istituto della rimessione in termini, dovrebbe sostenersi che è dalla pronuncia della Corte, con la conseguente abrogazione della norma da cui si traeva la legittimazione dei dirigenti, che decorrono nuovi termini per l'impugnazione dei provvedimenti tributari o per la richiesta di rimborso ove le somme fossero già state pagate all'Erario.

L'ipotetica consistenza del fenomeno non può di per se giustificare interpretazioni che producono una denegazione di diritti.

Una partita che è dunque ancora aperta e che, anche rispetto alla tardività delle doglianze, merita forse un ulteriore approfondimento.

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