Società inattiva, l’Agenzia può legittimamente rigettare l’istanza di rimborso IVA
27 Luglio 2017
Massima
Nel caso in cui una società risulti inattiva, l'Agenzia delle Entrate può legittimamente rigettare l'istanza di rimborso ai fini IVA, qualora non vengano dimostrati i motivi che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto. Infatti, spetta al contribuente fornire la prova dei motivi per cui non è stato in grado di raggiungere un determinato importo di ricavi. Il caso
Con la sentenza n. 70/01/2017 del 5 giugno 2017 (depositata in segreteria il 21 giugno 2017), la Commissione Tributaria di secondo grado di Trento, ha respinto l'appello di una società presentato contro la pronuncia di primo grado che ha accolto le eccezioni dell'Ufficio. In particolare, da quanto si legge nella parte relativa allo svolgimento del processo, l'Agenzia delle Entrate ha rigettato l'istanza di rimborso IVA presentata da una società di persone, in quanto quest'ultima risultava non operativa ai sensi del comma 4 dell'art. 30 della Legge 23 dicembre 1994, n. 724, avendo determinato ricavi effettivi inferiori a quelli presunti in base al test di operatività.
Le motivazioni della ricorrente si sono basate sul fatto che, in caso di cessazione dell'attività, è possibile disapplicare automaticamente la normativa sulle società di comodo. La Commissione di primo grado, al contrario, non ha condiviso tale tesi e, accogliendo le ragioni erariali, ha affermato che l'ipotesi di inattività si riconduce nell'ambito delle oggettive situazioni oggetto di specifica dimostrazione in sede di istanza disapplicazione.
Contro codesta pronuncia, parte contribuente ha presentato ricorso in appello, facendo presente di avere avanzato la richiesta di restituzione entro il termine biennale di cui all'art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992, e ricordando che il diritto al rimborso del credito d'imposta è soggetto a prescrizione decennale.
Inoltre, la società ha basato la propria difesa del secondo grado di giudizio sul fatto che nell'anno oggetto di contestazione il valore della sua produzione sarebbe stato superiore all'attivo, avendo ceduto delle attrezzature che hanno generato dei componenti di reddito positivi. In tale caso, infatti, troverebbe applicazione la causa di esclusione dalla disciplina delle società di comodo prevista dall'art. 30, comma 1, lettera c), n. 6 quater) della Legge n. 724/1994, che disciplina la fattispecie de qua.
La Commissione di Trento in esame ha ritenuto l'appello infondato, in quanto la normativa sulle società di comodo prevede esplicitamente che, per le società non operative, l'eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini IVA non è ammessa al rimborso. Nel caso in esame, in particolare, la società non avrebbe prodotto le prove relative all'oggettiva impossibilità di produrre ricavi e solamente in secondo grado avrebbe cercato, senza depositare documenti contabili, di dimostrare che il valore della produzione era superiore all'attivo.
La questione
La sentenza in esame si basa sulla corretta applicazione della normativa sulle società di comodo in caso di richiesta di rimborso IVA.
In merito alla definizione di società di comodo, si ricorda che sono previste due fattispecie:
Il comma 4 dell'art. 30 della Legge n. 724/1994 prevede precise conseguenze ai fini IVA per le società considerate non operative, che interessano l'eccedenza a credito che emerge dalla dichiarazione annuale (sotto il profilo delle limitazioni all'utilizzo del credito IVA è bene precisare che nessuna differenza è riscontrabile tra le due ipotesi sopra esaminate le quali, pertanto, su questo versante debbono ritenersi pienamente allineate). In particolare, sussiste:
A queste limitazioni se ne deve aggiungere un'altra ben più rilevante: la cancellazione (ovvero perdita definitiva) del credito IVA per i soggetti che risultano essere di comodo per tre anni consecutivi e che negli stessi periodi effettuano operazioni rilevanti ai fini IVA per un ammontare inferiore ai ricavi medi figurativi determinati nei tre anni. È bene in proposito ricordare che tale ultima disposizione non è stata coordinata con l'ampliamento a cinque periodi d'imposta sancito dal D.Lgs. n. 175/2014, ed è quindi rimasto ai fini della cancellazione del credito IVA l'originario limite triennale. Con specifico riferimento alla possibilità di ottenere il rimborso IVA, si deve segnalare che già la Legge n. 662/1996, al comma 45, dell'articolo 3, aveva previsto per le società considerate di comodo l'impossibilità di ottenere il rimborso IVA per il periodo di imposta in cui le stesse risultano non operative.
In sede di applicazione della precedente normativa era stato sciolto un dubbio interpretativo circa il quantum oggetto del rimborso; inizialmente non era chiaro infatti se l'importo, pari all'eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione, dovesse consistere nella sola eccedenza di IVA del periodo di imposta, oppure se si dovesse prendere a riferimento tutto il credito IVA riportato in dichiarazione, comprensivo di eventuali eccedenze pregresse. La Corte di Cassazione con sentenza n. 13079/2005 ha ritenuto corretta la seconda tesi, stabilendo quindi che l'IVA non rimborsabile comprendesse l'intero ammontare riportato in dichiarazione.
A riguardo è bene precisare che stando alla lettera della norma, che si riferisce all'“eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell'imposta sul valore aggiunto per l'anno che comprende l'esercizio”, il rimborso non è consentito per il credito IVA risultante dalla dichiarazione annuale; a questo punto sembra tuttavia percorribile la strada del rimborso IVA infra annuale (tramite modello TR); tale tesi pone le sue basi sulla circostanza che lo status di non operatività può essere verificato solamente a fine anno; specularmente però, la società che durante l'anno ha chiesto e ottenuto il rimborso IVA e che a fine anno in sede di dichiarazione risulta di comodo, dovrà restituire l'intero rimborso, aumentato degli interessi (senza applicare sanzioni, così come spiegato anche nella circolare n. 25/E/2007). Le soluzioni giuridiche
La sentenza della CT di secondo grado di Trento conferma il dettato normativo, ovvero che, nel caso in cui un soggetto non risulti operativo, non sussiste per lo stesso alcun fatto costitutivo del diritto al rimborso, pur senza la contestazione dell'esistenza dell'eccedenza a credito. Solamente nel caso in cui il contribuente sia in grado di dimostrare la sussistenza di eventuali “oggettive situazioni” che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi, è possibile procedere all'erogazione del rimborso.
Lo stato di inattività, però, non sarebbe sufficiente per escludere una società dalla disciplina delle società di comodo. Al contrario, sarebbe necessario dimostrare che tale stato non sia conseguente ad una scelta dei responsabili della società, ma sia riconducibile a cause oggettive indipendenti dalla volontà dell'imprenditore.
Lo scopo della normativa, secondo i giudici di secondo grado, sarebbe, non solo quello di disincentivare l'utilizzo dello strumento societario per perseguire intenti effettivi estranei alla causa sociale dichiarata, ma anche quello di contrastare la permanenza in vita di società che non hanno più interesse a svolgere attività commerciale. Osservazioni
La problematica del rimborso IVA per le società operative è di estrema attualità, in quanto, anche a causa della crisi economica, molte società potrebbero non avere realizzato ricavi per raggiungere il minimo richiesto dalla relativa normativa. A questo danno, potrebbe aggiungerci anche l'aggravio di non ricevere il rimborso dell'eccedenza di credito, con conseguente violazione del principio di neutralità dell'IVA.
A questo punto è necessario ricordare che la Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 33 del 22 luglio 2016, ha chiarito le procedure che devono seguire le società di comodo che intendano richiedere il rimborso IVA.
In particolare, possono alternativamente:
Anche la Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 9 del primo aprile 2016, che si è occupata della nuova normativa relativa all'istituto dell'interpello, ha effettuato un chiarimento, specificando che l'"Attestazione delle società e degli enti non operativi" riguarda, non solo i soggetti che superano il test di operatività o che possono far valere cause di esclusione/disapplicazione, ma anche i soggetti che ritengono, mediante un'autovalutazione (e senza, quindi, la presentazione dell'interpello), sussistenti le condizioni oggettive per disapplicare la disciplina.
In assenza sia della dichiarazione sostitutiva, di cui all'apposito quadro della dichiarazione IVA, sia delle istanze preventive di interpello, secondo la Circolare n. 33/2016 sopracitata, il rimborso può essere erogato qualora la società presenti un'autonoma dichiarazione sostitutiva su richiesta dell'Ufficio, effettuata nell'ambito dell'attività istruttoria. Nel caso di una richiesta di rimborso IVA fatta in presenza della sola dichiarazione sostitutiva o della sola attestazione in dichiarazione dei redditi di trovarsi nelle "oggettive situazioni" autovalutate, laddove sia successivamente accertata dall'Ufficio l'assenza delle suddette condizioni e, quindi, la non spettanza del rimborso del credito IVA, ad avviso dell'Agenzia si applica la sanzione amministrativa dal 90 al 180% della maggior imposta dovuta o della differenza di credito rimborsato (art. 5 co. 4 del D.Lgs. n. 471/97).
In merito ai rimborsi IVA richiesti dalle società di comodo, se ne è occupata anche la Corte di Cassazione.
In particolare, con la sentenza n. 6195 del 10 marzo 2017, i giudici di legittimità hanno affermato che, che per il rimborso IVA, le società che non superano il test di operatività stabilito dall'art. 30 della L. 724/1994 hanno l'onere di fornire la prova della loro natura imprenditoriale, “essendo inidonea allo scopo la prova di un'operazione non produttiva di reddito, bensì di mero incremento patrimoniale”; una semplice operazione patrimoniale, nel caso specifico, l'acquisto del capannone, non sarebbe quindi sufficiente a smentire la natura fittizia della società.
Secondo l'ordinanza del 14 aprile 2015, n. 7534, l'onere della prova grava sul contribuente, il quale deve dimostrare le situazioni oggettive che hanno impedito l'effettuazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA.
Ovviamente, come riportato dalla pronuncia della Suprema Corte del 22 maggio 2017, n. 12829 non può considerarsi di comodo la società in fase di start up che non supera il test di operatività, la quale ha altresì precisato che, ai fini IVA, lo status di società non operativa (per insufficienza di ricavi) non è "permanente", in quanto la verifica del superamento delle soglie va eseguita per ogni singolo periodo di imposta. |