L'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio non garantisce la conoscenza effettiva del processo da parte dell'imputato

02 Ottobre 2017

Fondare, in maniera automatica, la presunzione della volontarietà dell'assenza dell'imputato – e quindi di conoscenza del processo – su una circostanza di carattere formale ...
Massima

Fondare, in maniera automatica, la presunzione della volontarietà dell'assenza dell'imputato – e quindi di conoscenza del processo – su una circostanza di carattere formale e meramente cartolare, quale l'elezione del domicilio presso il difensore nominato d'ufficio, rischia di non rivelarsi in linea con la garanzia del diritto di partecipazione.

Il caso

L'imputato, di nazionalità straniera e senza fissa dimora, con decreto che dispone il giudizio emesso in data 5 aprile 2017, veniva chiamato a rispondere del reato di detenzione di banconote false, fatto avvenuto il 17 febbraio 2014. Non presente all'udienza preliminare, il decreto con la data di udienza veniva notificato presso il difensore d'ufficio presso cui si sarebbe domiciliato.

L'imputato, sulla base degli atti nella disponibilità del giudice, risultava essere stato identificato da personale del gruppo pronto impiego della guardia di finanza in data 17 febbraio 2014, atto, insieme al verbale di sequestro, prodromico ad una denunzia in stato di libertà per il reato di cui sopra.

Nel verbale d'identificazione l'imputato, senza fissa dimora, risultava individuato solo mediante i rilievi fotodattiloscopici. Gli veniva pertanto nominato un difensore d'ufficio presso il cui studio eleggeva domicilio.

La questione

La questione giunta al vaglio del tribunale di Milano involge il tema della prova della conoscenza da parte dell'imputato della celebrazione dell'udienza a suo carico.

Il punctum pruriens della vicenda in esame richiede di verificare se l'imputato senza fissa dimora, non comparso alla udienza preliminare, abbia avuto con certezza conoscenza del processo e se possa quindi essere o meno comunque giudicato “in assenza” ai sensi delle modifiche agli artt. 420-bis e seguenti del codice di rito introdotte dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 oppure se debba essere adottata in tal caso dal giudice una Ordinanza di sospensione del processo.

Inoltre occorre verificare se dalla elezione di domicilio effettuata dall'imputato senza fissa dimora presso il difensore d'ufficio nominato col verbale d'identificazione, del tutto formale se non fittizia, possa ricavarsi la prova della conoscenza da parte dell'imputato delle celebrazione dell'udienza suo carico.

Le soluzioni giuridiche

Il giudice del tribunale di Milano con l'ordinanza in commento ha osservato che la scelta di fondare in maniera automatica la presunzione della volontarietà dell'assenza da una circostanza di carattere formale e meramente cartolare rischia di non rivelarsi, in concreto, in linea con la garanzia del diritto di partecipazione, ciò soprattutto quando vi sia una grande distanza temporale tra l'elezione di domicilio da parte del “senza fissa dimora” e l'instaurazione del processo.

Nel caso in esame l'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, con il quale l'imputato stesso non ha mai avuto alcun contatto è avvenuta il 17 febbraio 2014 al momento dell'identificazione. Da tale momento, non essendovi più alcuna traccia dell'imputato ed essendo stata comunicata al difensore d'ufficio la data di fissazione dell'udienza, la presunzione di conoscenza del processo da parte dell'imputato si basa inevitabilmente, osserva il giudice, su un dato assai fragile e cioè su un'antica elezione di domicilio, avvenuta al momento dell'identificazione su indicazione di operanti, presso un difensore con il quale l'imputato stesso certamente non ha mai avuto alcun contatto.

Una questione analoga a quella giunta al vaglio del tribunale di Milano è stata recentemente affrontata dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n.9441/2017, in un caso simile di verbale di identificazione e di elezione di domicilio da parte di uno straniero presso il difensore d'ufficio, ha affermato come tale circostanza non sia sufficiente a provare la conoscenza del processo. Infatti, secondo la Corte, l'elezione di domicilio era avvenuta nel corso di un atto di iniziativa della Polizia giudiziaria anteriore alla formale instaurazione del procedimento, instaurazione che si realizza solo con l'iscrizione della persona nel registro di cui all'articolo 335 c.p.p. da parte della Procura. Di conseguenza l'elezione di domicilio era avvenuta in una fase ancora preprocessuale e non poteva costituire prova della conoscenza del processo.

Anche senza ricorrere alla distinzione tra fase preprocessuale e fase processuale la possibilità da parte del Giudice di operare una valutazione in merito all'effettiva conoscenza del procedimento da parte dell'imputato non presente può desumersi anche dall'ultimo alinea dello stesso articolo 420-bis c.p.p. in cui si legge che si procede in assenza anche «quando risulti comunque con certezza che l'imputato sia a conoscenza del procedimento». Tale norma di chiusura rispetto alle ipotesi tipizzate , può leggersi anche a contrario. Può consentire infatti che il giudice nel caso concreto operi una valutazione di assoluta incertezza sulla conoscenza anche in presenza di un atto solo apparentemente efficace a produrre la conoscenza stessa.

In sostanza, tornando al caso in esame, si celebrerebbe, osserva il giudice, un processo ad un “fantasma”, a un soggetto di fatto irreperibile, in contraddizione con la scelta, derivante anche dalle normative europee e dalle sentenze della corte Edu, di non procedere quando il rapporto processuale di fatto non si sia costituito.

Il giudice nell'ordinanza in commento rileva altresì come proprio la legge 103/2017 di riforma del processo penale, in vigore dal 3 agosto 2017, abbia rafforzato la garanzia di effettività del rapporto tra assistito e difensore d'ufficio con l'introduzione del comma 4-bis all'art. 162 c.p.p. secondo cui «l'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio non ha effetto se l'autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l'assenso del difensore».

Osservazioni

Come è noto la legge 67 del 2014, recependo alcune delle criticità segnalate dai giudici delle leggi e dalla giurisprudenza della Cedu ha disciplinato il processo "in assenza" dell'imputato, eliminando, quasi integralmente, i riferimenti alla contumacia, e ridisegnando i presupposti, in presenza dei quali, il processo può essere celebrato senza la presenza dell'imputato.

La disciplina si articola avendo come riferimento tre categorie di situazioni, ben scandite dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, in particolar modo nella sentenza della seconda Sezione penale n. 9441/ 2017 (Presidente: Fiandanese Franco Relatore: Verga Giovanna)

Secondo i giudici di legittimità, il processo potrà essere celebrato in assenza quando al momento della costituzione delle parti, in sede di udienza preliminare o dibattimentale, vi sia la prova certa della conoscenza da parte dell'imputato della data della udienza e questi abbia espressamente rinunciato a parteciparvi; il processo può essere celebrato in assenza quando non vi sia la prova certa della conoscenza dell'imputato della data della udienza, ma, al contempo, vi siano una serie di "fatti o atti" da cui può farsi discendere, direttamente o indirettamente, la prova che l'imputato sia a conoscenza della esistenza del procedimento penale nei suoi riguardi; il processo deve essere sospeso quando non vi sia la prova certa della conoscenza da parte dell'imputato né della data dell'udienza, né della esistenza del procedimento penale.

Il problema che si pone, osserva la Corte regolatrice, è quello di stabilire quando si possa ritenere la conoscenza dell'udienza o del procedimento da parte dell'imputato e quando, invece, si debba sospendere il processo perché si reputa, o si teme, che manchi tale conoscenza.

A tal fine si ricorda che ante novella del 2014 con la modifica dell'art. 175 c.p.p. a seguito del d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito con modificazioni nella l. 22 aprile 2005, n.60, era stato riconosciuto al contumace il diritto alla restituzione nel termine per impugnare, salvo che avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento e avesse volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione ed opposizione.

In particolare, il comma secondo della norma, facendo riferimento, quanto alla effettiva conoscenza quale causa di esclusione della richiesta di rimessione, tanto al procedimento che alla sentenza, indicava chiaramente come, anche solo la prova positiva della conoscenza da parte dell'imputato della pendenza del procedimento, gli precludesse di ottenere il rimedio straordinario.

Nonostante la riforma, la Corte Edu nei casi Kollcaku c. Italia e Pititto c. Italia (8 febbraio 2007) ha osservato che «la notifica delle azioni intentate nei confronti del contumace costituisce un atto giuridico di tale importanza da richiedere condizioni formali e sostanziali idonee a garantire l'esercizio effettivo dei diritti dell'accusato».

Nella Causa Kollcaku c. Italia la Corte Europea dei Diritto dell'Uomo ha constatato la violazione dell'art. 6 par. 1 e 3 Cedu, relativo al diritto ad un equo processo, poiché al condannato in contumacia, del quale non era provata la volontà di sottrarsi alla giustizia o l'inequivoca rinuncia al diritto a comparire in giudizio, l'ordinamento non aveva offerto la possibilità di chiedere che un altro giudice statuisse nuovamente, nel rispetto del diritto alla difesa, sul merito della imputazione. Quando un soggetto è condannato all'esito di un procedimento svolto in violazione dell'art. 6 Cedu, un nuovo processo o la riapertura del precedente a domanda dell'interessato rappresentano in via di principio il mezzo appropriato di riparazione della violazione constatata.

Allo stesso modo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo nella sentenza Sejdovic c. Italia (10 novembre 2004) stabilì che vi era violazione dell'art. 6 della Cedu nel sistema processuale dello Stato membro in conseguenza dell'esistenza di una lacuna strutturale del sistema, costituita dall'assenza di un meccanismo effettivo volto a garantire e ad attuare il diritto delle persone condannate in contumacia - non informate in maniera effettiva delle pendenze a loro carico e che non avessero rinunciato in maniera non equivoca al loro diritto a comparire – di ottenere che una giurisdizione statuisca di nuovo sul merito delle accuse.

Da tale principio fi fatto derivare il corollario per cui il “rifiuto” di riaprire un processo svoltosi in contumacia, ma in assenza di ogni indicazione rivelatrice della volontà dell'imputato di rinunciare al suo diritto a comparire, dovesse considerarsi come un flagrante diniego di giustizia , manifestamente contrario ai principi che ispirano l'art. 6 della Cedu.

A seguito della ennesima condanna il legislatore intervenne modificando l'art. 175 c.p.p. riconoscendo al contumace il diritto alla restituzione nel termine per impugnare, salvo che avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento e avesse volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione ed opposizione.

Sulla scorta di detti principi questa Corte ha avuto modo di affermare che, premesso che secondo la giurisprudenza Cedu la conoscenza "effettiva" del procedimento presuppone un atto formale di contestazione idoneo ad informare l'accusato della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico, al fine di consentirgli di difendersi nel "merito", tale esigenza era assicurata dall'ordinamento interno dalla vocatio in iudicium.

Al giudizio sul merito dell'accusa è infatti riferibile il diritto a partecipare e difendersi personalmente cui si contrappone la rinunzia a "comparire", giacché perché s'abbia rinunzia occorre che vi sia diritto o altra situazione soggettiva azionabile, mentre nella fase prodromica alla formulazione dell'accusa in vista dell'esercizio dell'azione penale l'accusato può chiedere solo d'essere sentito, non reclamarne il diritto.

Ratio legis e sua collocazione sistematica imponevano di affermare che la restituzione in termini poteva essere negata solo al soggetto che avesse avuto effettiva conoscenza del fatto che a suo carico era stata formalmente elevata una imputazione in relazione alla quale aveva diritto a difendersi e avesse deciso di non partecipare al giudizio su tale imputazione, così rinunziando al diritto di essere ascoltato dal suo giudice (Cass. pen., n. 40734/2006).

Sempre in merito al procedimento in absentia pare utile evidenziare i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria con la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, Sez. IV, 13 ottobre 2015, caso Baratta c. Italia.

Per la Corte Edu, un procedimento che si svolge in assenza dell'imputato non è di per sé incompatibile con l'articolo 6 della Convenzione, ma rimane comunque il fatto che un diniego di giustizia è costituito quando un individuo condannato in absentia non può ottenere successivamente che un giudice decida nuovamente, dopo averlo sentito, sulla fondatezza dell'accusa in fatto come in diritto, quando non è certo che abbia rinunciato al suo diritto a comparire e difendersi.

Il principio della indispensabile partecipazione al processo da parte dell'imputato oltre ad un diritto implicitamente riconosciuto dalla stessa Costituzione (art. 111) trova indefettibile affermazione nelle norme pattizie internazionali e in particolare nell'art. 6, comma 3, lett. c), d), e), della Convenzione nella parte in cui prescrive che «ogni accusato ha più specialmente diritto a […] c) difendersi da sé o avere l'assistenza di un difensore di propria scelta […]; d) interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; e) “farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua parlata in udienza”.

Guida all'approfondimento

CONZ – LEVITA, La Depenalizzazione: commento organico alla legge n. 67/2014, in tema di particolare tenuità del fatto, sospensione del procedimento con messa alla prova, Roma.

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