L'ex coniuge ha diritto alla quota di TFR ma non all'incentivo all'esodo

Paola Silvia Colombo
03 Ottobre 2017

La sentenza in commento fornisce l'occasione per approfondire le tematiche sorte in riferimento all'art. 12-bis l. n. 898/1970 e, in particolare, quelle relative alla interpretazione dell'espressione “durata del matrimonio” e alla individuazione delle indennità di fine rapporto concretamente attribuibili.
Massima

Ai sensi dell'art. 12-bis l. n. 898/1970 il coniuge divorziato titolare dell'assegno, ha diritto alla quota del TFR effettivamente percepito dall'obbligato e anche con riferimento a quanto maturato successivamente alla separazione; viceversa il coniuge divorziato non ha diritto alla quota ex lege calcolata sulle somme destinate ai fondi di previdenza complementare, né a quella calcolate sulle somme liquidate al lavoratore a titolo di incentivo all'esodo.

Il caso

Con atto di citazione regolarmente notificato, Tizia ha convenuto in giudizio Caio chiedendo di dichiarare il suo diritto ex art. 12-bis l. n. 898/1970 su tutte le somme percepite dal coniuge per effetto della cessazione del rapporto di lavoro con una società presso la quale era stato dipendente e, per l'effetto, la condanna di Caio a corrisponderle la quota nella misura prevista dal richiamato articolo.

Con comparsa di costituzione Caio si è costituito in giudizio contestando la pretesa avversaria sotto il profilo dell'an, giacché il rapporto di lavoro si era svolto «nel solo periodo di separazione» - e pertanto all'indomani della cessazione della convivenza - e nel quantum, assumendo che nulla fosse dovuto all'ex coniuge né sugli importi ricevuti a titolo di incentivazione all'esodo né su quelli destinati a fondi di previdenza complementare.

La questione

La pronuncia in esame affronta, da un lato, a) la questione del sorgere del diritto in capo a un coniuge alla quota del TFR accantonato in costanza di un rapporto di lavoro svoltosi esclusivamente durante il periodo di separazione dei coniugi; dall'altro, b) la questione dell'individuazione della “base imponibile” su cui calcolare la quota ex art. 12-bis l. n. 898/1970 spettante all'ex coniuge, con riferimento alla possibilità di farvi rientrare, estensivamente, indennità diverse, quali, ad esempio, i fondi di previdenza complementare e l'incentivo all'esodo.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in esame fornisce una approfondita disamina delle questioni in essa trattate, partendo, per la soluzione della prima, dalla sentenza della Corte cost. 24 gennaio 1991, n. 23, nella quale i Giudici della Consulta hanno espressamente riconosciuto che la commisurazione della quota della indennità di fine rapporto debba essere operata sulla base dell'intera durata del matrimonio, non potendo acquisire rilievo il venir meno della convivenza o l'instaurarsi della separazione legale o di fatto.

Per i Giudici delle leggi, infatti, l'ancorare il riconoscimento di tale indennità a un dato certo e irreversibile quale la durata del matrimonio risponde a criteri di ragionevolezza che sarebbero, invero, disattesi nell'ipotesi in cui il legislatore avesse optato per un criterio incerto quale è quello della fine della convivenza.

Facendo proprio tale principio, il Tribunale di Milano ha ritenuto di poter accordare a Tizia il diritto riconosciuto dall'art 12-bis l. n. 898/1970 e successive modifiche, ritenendo irrilevante la circostanza che il rapporto di lavoro fosse iniziato quando la separazione di fatto dei coniugi era già in essere e fosse cessato subito dopo l'instaurazione della causa di divorzio.

Accertata, la sussistenza del diritto, il Tribunale di Milano ha individuato le indennità che possono formare oggetto di attribuzione ex art. 12-bis l. n. 898/1970 e successive modifiche, avendo nel caso specifico, parte attrice, richiesto l'attribuzione della quota non solo del TFR ma anche delle somme confluite in un fondo di previdenza complementare e quelle percepite da Caio quale incentivo all'esodo.

Con un'attenta disamina, il Tribunale ha riconosciuto di poter attribuire solo la quota del TFR, così come previsto dalla norma, escludendo sia gli accantonamenti pensionistici, sia l'incentivo all'esodo. Queste due indennità - ha rilevato il Tribunale - hanno natura e funzione diversa dal TFR e non perseguono le finalità previste dalla norma.

Osservazioni

La sentenza in commento fornisce l'occasione per approfondire le tematiche sorte in relazione all'art. 12-bis l. n. 898/1970 e in particolare quelle relative alla interpretazione dell'espressione “durata del matrimonio” e alla individuazione delle indennità di fine rapporto concretamente attribuibili.

Al di là dei presupposti per il riconoscimento del diritto all'ex coniuge di cui al già richiamato art. 12-bis l. n. 898/1970, ormai pacificamente assunti come necessari per il riconoscimento del diritto ex art. 12-bis l. n. 898/1970 e successive modifiche (l'esistenza di una sentenza di divorzio passata in giudicato, l'assenza di nuove nozze del richiedente, la titolarità dell'ex coniuge dell'assegno divorzile, la cessazione del rapporto di lavoro del coniuge onerato, la percezione della indennità), la questione che si pone riguarda il momento in cui il rapporto di lavoro si è svolto, facendo la norma espresso riferimento alla coincidenza del rapporto di lavoro con il matrimonio.

La questione è stata risolta dalla giurisprudenza consolidata nel senso di ritenere pacifico il riferimento all'intero arco del matrimonio, compreso il periodo di separazione di fatto o legale ai fini del calcolo della quota di indennità dovuta (cfr. Cass. 31 gennaio 2012 n. 1348; Cass. 9 maggio 2007, n. 10638; Cass. 7 marzo 2006, n. 4867, Cass. 3 settembre 1997, n. 8477). In questo senso, d'altra parte, è indirizzata la giurisprudenza, là dove riconosce che il matrimonio può dirsi definitivamente sciolto solo successivamente alla pronuncia della sentenza di divorzio.

Il riferimento alla durata del matrimonio non potrebbe essere, quindi, diversamente interpretato nella norma in esame, ritenendosi rilevante, dunque, unicamente il fatto che il rapporto di lavoro sia sorto anteriormente alla sentenza di divorzio.

Da ciò ne deriva che l'indennità debba riferirsi a un rapporto di lavoro necessariamente antecedente al divorzio, svoltosi durante il periodo in cui il matrimonio non era ancora sciolto (e, quindi, anche durante il periodo della separazione).

Si tratta di un principio, che, come correttamente rileva il Tribunale, ha altresì ispirato la disciplina relativa alla pensione di reversibilità, il cui riconoscimento opera nel momento in cui il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anch'esso anteriore alla sentenza di divorzio.

La sentenza in commento merita di essere segnalata anche per la puntuale analisi delle indennità concretamente attribuibili ex art. 12-bis l. n. 898/1970 e ss. m..

Indubbia deve ritenersi - anche in considerazione del tenore letterale della norma - la spettanza del trattamento di fine rapporto, cioè di quella indennità che matura alla cessazione del rapporto di lavoro, che è composta da somme maturate negli anni in relazione alla durata del rapporto di lavoro e che ha natura di retribuzione differita (art. 2120 c.c.). Sul punto, la giurisprudenza è unanime (cfr. Cass. 17 dicembre 2003, n. 19309; Cass. 11 aprile 2003 n. 5720; Cass. 17 aprile 1997, n. 3294).

Non altrettanto può dirsi per altre indennità e in particolar modo per quelle oggetto dell'esame del Tribunale di Milano.

La giurisprudenza di legittimità, alla quale la sentenza in commento si è uniformata, esclude dalle indennità liquidabili pro quota le forme di previdenza disciplinate nell'art. 2123 c.c..

Ciò in ragione del fatto che le somme conferite ai fondi di previdenza non hanno natura retributiva e non sono riconosciute alla cessazione del rapporto di lavoro, bensì come pensione integrativa, erogata o in forma di rendita o in forma di capitale secondo quanto previsto dal singolo rapporto contrattuale. La differenza di questo istituto rispetto al TFR è ulteriormente data dal fatto che il beneficio per il lavoratore non è costituito dai versamenti effettuati dal datore di lavoro ma dalla pensione che verrà percepita (cfr. Cass., S.U., 12 marzo 2015, n. 4949).

Esiste, invece, contrasto in giurisprudenza sulla possibilità di far rientrare nella base imponibile di quanto spettante all'ex coniuge le somme erogate al lavoratore a titolo di incentivo all'esodo, cioè, come noto, quale sollecitazione alla conclusione anticipata del rapporto di lavoro.

La giurisprudenza è pacificamente orientata a ritenere tale incentivo un vero e proprio reddito per il lavoratore, da imputarsi alla quota imponibile (al pari del TFR) e ne ha quindi esclusa la natura liberale o eccezionale (cfr. Cass. n. 13777/2013; Cass. n. 17986/2013). Sulla scorta di tale riconoscimento, parte della giurisprudenza (Trib. Napoli 29 ottobre 2013 e App. Napoli confermate da Cass. n. 14171/2016), ha riconosciuto di poter attribuire all'ex coniuge anche la quota dell'incentivo all'esodo, al pari del TFR.

Il Tribunale di Milano si è discostato da tale orientamento, ritenendo, diversamente da quanto enunciato dai Giudici di legittimità, non fondante, per l'assimilazione dell'incentivo all'esodo al TFR, la circostanza che le due indennità siano sottoposte al medesimo regime fiscale (quello cioè della tassazione separata ex art. 16, comma 1, lett. a) d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917); i Giudici hanno invece – e in modo puntuale - posto l'accento su altre e ben più differenziati circostanze.

In primo luogo, si è sottolineata la funzione ristoratrice dell'istituto, finalizzato a porre rimedio al mancato guadagno (lucro cessante) conseguente alla cessazione anticipata del rapporto di lavoro, così valorizzando la natura risarcitoria della misura in esame, finalizzata a sostituire un reddito lavorativo futuro che non sarà mai percepito.

In secondo luogo, il Tribunale di Milano ha focalizzato la propria attenzione sulla impossibilità di rapportare tale erogazione al periodo matrimoniale (circostanza che invece caratterizza il TFR), in quanto l'incentivo all'esodo non è formato, diversamente dal TFR, da somme accantonate dal datore di lavoro nell'interesse del lavoratore durante il matrimonio, bensì da somme dirette a compensare un mancato guadagno futuro.

Da ultimo, è stato posto l'accento – in modo decisivo – sulla sostanziale differenza tra i due istituti: il TFR costituisce, infatti, per costante interpretazione giurisprudenziale, una quota differita della retribuzione, accantonata per legge, la cui riscossione è condizionata sospensivamente alla risoluzione del rapporto di lavoro (tra le altre, cfr. Cass. n. 19309/2013); l'incentivo all'esodo è formato da somme aggiuntive rispetto al TFR, erogate in forza di un accordo tra le parti diretto a sciogliere consensualmente il contratto di lavoro.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.