Gli effetti preclusivi dell'interdittiva antimafia in presenza di un giudicato di condanna al risarcimento del danno: la parola all'Adunanza Plenaria
25 Settembre 2017
Massima
Vanno rimessi all'Adunanza plenaria i seguenti quesiti: a) se l'art. 67, comma 1, lett. g), Codice delle leggi antimafia osti a che possano essere erogate da una pubblica amministrazione – sia pure in esecuzione di una pronuncia definitiva di condanna resa dal giudice amministrativo – somme di danaro, spettanti a titolo di risarcimento del danno, in favore di un soggetto che sia stato attinto prima della definizione del giudizio risarcitorio da un'informativa interdittiva antimafia, conosciuta solo successivamente alla formazione del giudicato e taciuta dal soggetto stesso, ovvero se il giudicato favorevole, comunque formatosi, obblighi in ogni caso l'amministrazione a darvi corso e a corrispondere la somma accertata come spettante; b) se la previsione di cui all'art. 67, comma 1, lett. g) (laddove espressamente richiama “altre erogazioni dello stesso tipo”), possa essere intesa anche nel senso di precludere il versamento in favore dell'impresa di somme dovute a titolo risarcitorio in relazione a una vicenda sorta dall'affidamento (o dal mancato affidamento) di un appalto. Il caso
La società ricorrente, in conseguenza della mancata aggiudicazione di una gara di appalto cui aveva partecipato, otteneva, all'esito di un complesso contenzioso, una favorevole pronuncia risarcitoria con riguardo al mancato utile e al danno all'immagine (Cons. St., Sez. V, n. 644 del 2014). Nella pendenza del contenzioso suddetto e, in particolare, prima del deposito della pronuncia del Consiglio di Stato, veniva emessa nei confronti della società una informativa interdittiva antimafia, ai sensi dell'art. 84, comma 3, e dell'art. 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011. Ciò posto, la Stazione Appaltante proponeva ricorso per revocazione avverso la succitata sentenza del Consiglio di Stato n. 644 del 2014 adducendo l'impossibilità di adempiere l'obbligo di risarcimento del danno in quanto l'esistenza della predetta informativa interdittiva avrebbe impedito in radice la possibilità per l'ente di procedere al pagamento, ostandovi le generali preclusioni di cui all'art. 67 del Codice delle leggi antimafia. Il collegio respingeva il ricorso statuendo che, seppure il provvedimento interdittivo antimafia a carico della società concorrente era stato emesso in data antecedente (19 luglio 2013) alle sentenze del TAR Campania, Salerno, (26 settembre 2013, n. 1956) e del Consiglio di Stato (Sez. V, 11 febbraio 2014, n. 644), le stesse costituiscono pronunce di esecuzione, ovvero di attuazione di un giudicato di condanna al risarcimento del danno risalente al 2011, e, pertanto, in quanto tale, intangibile (Cons. St., Sez. V, n. 4787 del 2011). Restando l'amministrazione inadempiente all'obbligo risarcitorio la società ha proposto ricorso per l'ottemperanza della (più volte citata) sentenza del Consiglio di Stato (Sez. V, n. 644 del 2014) con cui era stata disposta la condanna della Stazione Appaltante al risarcimento del danno, pari a € 23.005,03, per l'illegittima mancata aggiudicazione dell'appalto indetto in data 25 settembre 2006. La questione
La res controversa richiede la risoluzione di almeno due questioni interpretative che, in considerazione della loro massima importanza, sono state rimesse dall'ordinanza in esame all'attenzione dell'Adunanza Plenaria. La prima questione ha ad oggetto la corretta interpretazione dell'art. 67, comma 1, lett. g) del Codice delle leggi antimafia (secondo cui «le persone alle quali sia stata applicata con un provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II, non possono ottenere: […] g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali»). In particolare, il Consiglio di Stato si interroga sulla legittimità di una interpretazione della norma in esame volta a precludere anche il versamento in favore dell'impresa di somme dovute a titolo risarcitorio in esecuzione di un giudicato di condanna pronunciato all'esito di un contenzioso sorto dall'affidamento – o dal mancato affidamento – di un appalto. Quanto alla seconda questione, il Collegio si interroga se dall'eventuale interpretazione estensiva dell'art. 67 (come sopra delineata) ne possa conseguire un contrasto con il generale principio dell'intangibilità della cosa giudicata. Le soluzioni giuridiche
La risoluzione del primo dei quesiti articolati si pone quale naturale conseguenza dell'accoglimento di una delle due possibili interpretazioni, prospettate dalla pronuncia in commento, della previsione contenuta nell'art. 67, comma 1, lett. g), del Codice delle leggi antimafia. La questione interpretativa verte infatti sulla possibilità di ricomprendere le somme dovute a titolo di risarcimento del danno nell'ambito delle “altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate concesse o erogate da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee”, per le quali il legislatore ha previsto, come condizione per la loro concessione, l'assenza di cause interdittive. Ebbene, tale clausola dal contenuto generale ed al tempo stesso generico non consente, sostiene il Collegio, di stabilire con ragionevole certezza se anche il credito di natura risarcitoria, sorto dall'illegittima mancata aggiudicazione di un appalto e definitivamente accertato con sentenza passata in giudicato, possa essere ricompreso nell'ampio genus delle “altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”. Con la pronuncia in commento, il Consiglio di Stato elabora due possibili soluzioni interpretative in merito al significato e all'ampiezza della norma in esame. Aderendo a un'interpretazione di carattere letterale della norma, si dovrebbe, escludere il risarcimento del danno dal novero delle erogazioni pubbliche precluse dall'art. 67, comma 1, lett. g), in ragione della diversa ratio che anima il risarcimento rispetto alla categoria dei “contributi, finanziamenti o mutui agevolati”. Al contrario, valorizzando una interpretazione logico-sistematica della norma, si dovrebbe ritenere che il catalogo delle ipotesi di cui alla lett. g) sia solo esemplificativo e che la locuzione “altre erogazioni dello stesso tipo” presenti una valenza “pantipizzante”, volta ad impedire l'erogazione di qualunque utilità pubblica in favore dell'impresa, sospettata di essere passibile di infiltrazione criminale, a prescindere dalla fonte e dal tipo di tale utilità. L'interpretazione estensiva della norma ha già trovato un primo avallo, in tempi recenti, nella pronuncia dell'Adunanza Plenaria n. 19 del 2012. In tale occasione, infatti, il Supremo Consesso della giustizia amministrativa si è pronunciato, seppur in occasione di una vicenda fattuale diversa da quella odierna, accogliendo un'interpretazione ampia dell'art. 4 d.lgs. n. 490 del 1994 (il d.lgs. n. 490 del 1994 è stato poi abrogato dall'art. 120, comma 2, lett. b) e c) del codice delle leggi antimafia, ma la previsione contenuta nell'art. 4 è stata riprodotta testualmente nell'art. 67 del codice delle leggi antimafia). In tale occasione l'Adunanza Plenaria ha motivato la propria decisione evidenziando come l'interpretazione ampia della norma ben si coniugasse non solo con le considerazioni discendenti da un'analisi sistematica della stessa, ma anche con il tenore letterale della prescrizione (contrariamente a quanto ipotizzato dal Consiglio di Stato in una delle due ipotesi interpretative formulate nell'ordinanza in esame, ove l'argomento letterale viene valorizzato, invece, per escludere un'eventuale interpretazione estensiva della norma). Dal punto di vista letterale, l'Adunanza Plenaria ha, infatti, osservato come non risulti contenuto nella norma alcun richiamo discriminante alla “causale” per cui il contributo, il finanziamento, il mutuo agevolato o “l'erogazione dello stesso tipo comunque denominata” debba essere concessa; da qui l'irragionevolezza di escludere dalla previsione in esame le erogazioni con finalità non di arricchimento ma di indennizzo o di risarcimento. In secondo luogo, dal punto di vista sistematico, l'Adunanza Plenaria ha rilevato come l'interpretazione “estensiva” ben si inquadrerebbe nell'ottica più generale perseguita con il d.lgs. n. 490 del 1994 (oggi d.lgs. n. 159 del 2011), ovvero quella di escludere l'impresa sospettata di infiltrazioni criminali dalla fruizione di benefici erogati da un soggetto pubblico. In ragione di ciò, si dovrebbero ricomprendere nella portata della norma in esame, dunque, non solo le erogazioni dirette ad arricchire l'imprenditore ma anche quelle dirette a compensarlo di una perdita subita, sussistendo per entrambe il pericolo che l'esborso di matrice pubblicistica giovi a una impresa ritenuta coinvolta in circuiti criminali. Opposto indirizzo ermeneutico è stato, invece, affermato dal Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6807 del 2011, che ha delimitato la locuzione “altre erogazioni dello stesso tipo” alle sole forme (comunque denominate) di contributi, finanziamenti o mutui di natura premiale con funzione, dunque, incentivante, e non meramente indennitaria o risarcitoria. Con la pronuncia in esame, il Collegio sembra aderire all'interpretazione più ampia dell'art. 67 del codice, valorizzando, in particolare, gli argomenti sistematici elaborati dall'Adunanza Plenaria n. 19 del 2012 (che, come detto, ha già esteso la portata preclusiva della norma alle erogazioni aventi matrice indennitaria) estendibili anche alle erogazioni pubbliche aventi carattere risarcitorio. In secondo luogo il Collegio si interroga sulla compatibilità di una soluzione ermeneutica estensiva con il generale principio dell'intangibilità del giudicato: il divieto di erogazioni esteso a qualsivoglia titolo potrebbe infatti collidere con l'effetto di giudicato laddove si dovesse ritenere che il giudicato formale, in qualsiasi modo formatosi, impedisca in ogni caso all'amministrazione di sottrarsi agli obblighi da esso nascenti (ivi compreso quindi l'obbligo di corrispondere una somma a titolo di risarcimento ad un soggetto attinto da una informativa interdittiva antimafia mai entrata nella risalente dialettica processuale). Per superare l'obiezione il Collegio prospetta la possibilità di sostenere che l'informativa interdittiva antimafia dia vita a una situazione di incapacità legale ex lege idonea a sospendere temporaneamente l'obbligo per l'amministrazione di eseguire quel giudicato. Osservazioni
La pronuncia in commento sottende la tematica più generale del rapporto che intercorre tra il principio di certezza del diritto, vero e proprio “dictum indiscusso” a cui gli ordinamenti dovrebbero tendere, e quello dell'ordine pubblico. Nonostante l'ordinanza di rimessione non abbia esplicitato i profili connessi alla natura giuridica della disposizione (ed in particolare la sua natura latamente sanzionatoria), è da considerare che i valori di rango primario in gioco impongano una necessaria cautela nell'interpretazione della normativa antimafia. Il carattere eccezionale delle disposizioni in esame trova fondamento nella funzione svolta, ovvero quella di anticipare la soglia di difesa sociale contro la criminalità organizzata e le sue potenzialità espansive nei settori delle commesse pubbliche e delle erogazioni economiche a carico degli enti pubblici. Ne deriverebbe, dunque, un onere per gli operatori del diritto di stretta interpretazione, in base all'applicazione del principio di stretta legalità; ciò porterebbe ad escludere l'ammissibilità di estensioni analogiche della normativa in esame, sulla base dei noti principi in tema di interpretazione (art. 14 preleggi). Non può sfuggire, inoltre, che, seppure le preclusioni di cui all'art. 67 del Codice delle leggi antimafia non incidano direttamente sul vincolo nascente dal giudicato in quanto tale (quanto piuttosto sulle modalità di esercizio in executivis delle pretese dallo stesso rinvenienti), l'accoglimento della tesi estensiva della portata della norma, volta cioè a interpretare le preclusioni ivi previste nel senso di impedire la concreta erogazione anche delle somme dovute a titolo risarcitorio, dovrà comunque confrontarsi con la forza del principio dell'intangibilità della cosa giudicata. Il tema della capacità di resistenza del giudicato amministrativo rispetto alle sopravvenienze (di fatto e di diritto) intervenute nel tempo è da sempre oggetto di dibattito nella cultura giuridica. Da ultimo, l'Adunanza Plenaria n. 11 del 2016 ha riaffermato il tradizionale orientamento giurisprudenziale volto a identificare quale punto di equilibrio tra l'esigenza di continuità dell'azione amministrativa e i valori di effettività e stabilità del giudicato il principio secondo cui l'esecuzione del giudicato può trovare limiti solo nelle sopravvenienze di fatto e di diritto antecedenti alla notificazione della sentenza divenuta irrevocabile. Ebbene, tale principio a parere di chi scrive è stato correttamente applicato nella controversia in esame dal Consiglio di Stato (nella decisione 1078 del 2016, con la quale è stato respinto il ricorso per revocazione dell'amministrazione pubblica), il quale ha statuito che il provvedimento interdittivo antimafia «è stato emesso il 19 luglio 2013, quindi in data sì antecedente alle sentenze 26 settembre 2013 n. 1956 e 11 febbraio 2014 n. 644, che però sono pronunce di esecuzione, o più sostanzialmente di attuazione di un giudicato risalente al 2011, che dunque deve restare intangibile rispetto ad un provvedimento particolarmente grave e tra l'altro confermato nella sua legittimità dal giudice amministrativo in primo e secondo grado, ma sempre successivo a ciò che in uno Stato di diritto non può essere più messo in discussione». Ciò posto, la pronuncia in commento rimette all'Adunanza Plenaria il compito di operare un bilanciamento tra due contrapposti valori, entrambi di rilievo primario. L'uno è rappresentato dalla certezza del diritto e, dunque, dalla conseguente necessità di portare a esecuzione il giudicato in considerazione del fatto che «dal giudicato amministrativo, quando riconosce la fondatezza della pretesa sostanziale, esaurendo ogni margine di discrezionalità nel successivo esercizio del potere, nasce ex lege, in capo all'amministrazione, un'obbligazione, il cui oggetto consiste nel concedere “in natura” il bene della vita di cui è stata riconosciuta la spettanza» (Cons. St., Ad. Plen., n. 2 del 2017); l'altro è rappresentato dalla tutela dell'ordine pubblico, per la cui attuazione si renderebbe necessaria una sospensione temporanea (capace di venir meno con un successivo provvedimento dell'autorità prefettizia) dell'obbligo di eseguire il giudicato al fine di prevenire indebite influenze del potere criminale e orientare il corretto svolgimento dei rapporti contrattuali ed economici tra pubblica amministrazione ed imprese. In dottrina si segnala per un approfondimento sul giudicato amministrativo: C. Cacciavillani, Giudizio amministrativo e giudicato, Padova, 2004. M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989. S. Valguzza, Il giudicato amministrativo nella teoria del processo, Milano, 2016.
In dottrina si segnala per un approfondimento sulla normativa antimafia: G. Corso, La normativa antimafia, in M. A. Sandulli, R. De Nictolis, R. Garofoli (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, tomo V, Milano, 2008.
In dottrina si segnala per un approfondimento sul rapporto tra certezza del diritto e ordine pubblico: G. Alpa, La certezza del diritto nell'età dell'incertezza, Napoli, 2006. G. Corso, L'ordine pubblico, Bologna, 1979. G. Corso, Ordine pubblico nel diritto amministrativo, (voce), in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. X, Torino, 1995. C. Debouy, Les moyens d'ordre public dans la procédure administrative contentieuse, Paris, 1980. F. Lopez De Oñate, La certezza del diritto, Milano, 1942. L. Paladin, Ordine pubblico, (voce), in Novissimo digesto italiano, vol. XII, Torino, 1965. A. Pizzorusso, Certezza del diritto, (voce), in Enciclopedia giuridica, vol. VI, Roma, 1988. |