Nella materia della contrattualistica pubblica il perimetro della nozione del grave illecito professionale riveste un ruolo centrale nella ricerca del punto di equilibrio tra due poli: il primo legato alla necessità di garantire che le pubbliche amministrazioni stipulino i contratti con soggetti affidabili e moralmente integri, il secondo addensato attorno al rispetto delle garanzie processuali e alle esigenze imposte dal principio di concorrenza e massima apertura del mercato.
Inquadramento
La nozione di grave illecito professionale affonda le proprie radici nella disciplina europea, da ultimo confluita nelle Direttive 2014/23/UE (in tema di concessioni), 2014/24/UE (settori ordinari) e 2014/25/UE (settori speciali).
Il recepimento da parte del Legislatore nazionale delle precedenti Direttive del 2004 era avvenuto con il d.lgs. 163/2006 (cd. Codice De Lise) che aveva introdotto una nozione “ampia” di illecito professionale, applicabile trasversalmente agli appalti di lavori, servizi e forniture.
Segnatamente l'art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163/2006 prevedeva l'estromissione degli operatori economici che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, avessero commesso “grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”[1], senza però attribuire rilevanza alla contestazione di illeciti di natura penale non ancora accertati in via definitiva.
Secondo la giurisprudenza, la malafede era da intendersi integrata in presenza di una volontà fraudolenta volta a violare i principi di correttezza e buona fede, mentre la nozione di negligenza veniva assimilata all'imperizia professionale, idonea a pregiudicare l'esecuzione a regola d'arte del contratto. (cfr. ex multisCons. Stato, Sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8913; T.A.R Puglia, Sez. I, 14 maggio 2003, n. 1928).
Con l'entrata in vigore della c.d. “quarta generazione” di direttive europee sugli appalti pubblici, il Legislatore del 2016 scelse di rimodellare l'istituto col principale obiettivo di assicurarne una maggiore aderenza al diritto europeo, così come interpretato dalla Corte di Giustizia.
Così, l'art. 80, co. 5, lett. c) d.lgs. n. 50/2016, individuava, tra le cause di esclusione c.d. “non automatiche”, l'ipotesi in cui “la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”.
Anche in questa formulazione il Legislatore continuava a far uso di clausole generali e concetti giuridici indeterminati imponendo l'integrazione dell'interprete per la sussunzione del fatto concreto nell'ipotesi normativa.
L'ampiezza della portata della norma portò la giurisprudenza a ritenere che le stazioni appaltanti potessero desumere il compimento di gravi illeciti da ogni altra vicenda pregressa dell'attività professionale dell'operatore economico di cui fosse stata accertata la contrarietà a un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa, se essa ne avesse messo in dubbio l'integrità e l'affidabilità (Cons. St., Sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407; Cons. St., Sez. V, 25 gennaio 2019, n. 586; Cons. St., Sez. V, 24 gennaio 2019, n. 586; Cons. St., Sez. V, 3 gennaio 2019, n. 72; Cons. St., Sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7231; Cons. St., Sez. III, 27 giugno 2017, n. 4192).
La formula legislativa aveva, in effetti, una portata molto più ampia dell'omologa previsione del precedente Codice degli appalti, ricomprendendo ogni fattispecie, collegata all'esercizio dell'attività professionale, contraria a un dovere posto da una norma giuridica, sia essa di natura civile, penale o amministrativa (Cons. St., Sez. III, 5 settembre 2017, n. 4192; Sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7231; Sez. V, 24 gennaio 2019, n. 591; Sez. IV, 16 gennaio 2023, n. 503), prescindendo dalla circostanza – meramente accidentale ai fini della configurazione dell'illecito – che la violazione si fosse verificata in un rapporto con la stessa stazione appaltante o con un'altra amministrazione.
L'amplissima discrezionalità riservata alle stazioni appaltanti – nell'opera di sussunzione del fatto concreto nell'ipotesi normativa – veniva preservata anche nella giurisprudenza europea e domestica.
La Corte di Giustizia, a più riprese, aveva sottolineato come il legislatore dell'Unione avesse inteso affidare all'amministrazione aggiudicatrice, e a essa soltanto, il compito di valutare, nella fase della selezione degli offerenti, se un candidato dovesse essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto (CGUE, 15 settembre 2022, C‑416/21; CGUE, 3 giugno 2021, C-210/2020; CGUE 10 luglio 2014, C-358/12; CGUE 28 marzo 2019, C-101/18; CGUE 30 gennaio 2020, C-395/18; CGUE -19 giugno 2019, C-41/18).
Anche recentemente la Corte di Giustizia (CGUE, V sez., 7 novembre 2024, C-683-2022), ha ricordato come la “nozione di «illeciti professionali», […] deve essere oggetto di un'interpretazione estensiva”, ampliando ulteriormente i margini di discrezionalità valutativa delle amministrazioni aggiudicatrici.
Il Consiglio di Stato, del pari, con riferimento al giudizio di affidabilità morale e professionale delle imprese, ha sempre difeso e tuttora preserva lo spazio di valutazione riservato alla stazione appaltante, assumendo che per tali valutazioni amministrative operino i consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale riservate all'amministrazione, chiamata a fissare, sulla base del proprio apprezzamento, il punto di rottura dell'affidamento nel futuro contraente (in tal senso Cons. Stato, Ad. Plen., 28 agosto 2020, n. 16).
Sulla scorta di tale impostazione si è tratto il corollario secondo cui il giudice amministrativo non potrebbe far altro che limitare il proprio controllo sul piano della verifica del percorso logico attraverso il quale l'amministrazione è giunta alla sua decisione, per accertare l'eventuale travisamento dai fatti o anche altri vizi come eventuali carenze motivazionali della decisione assunta che possano essere sintomatiche dell'eccesso di potere, senza però potersi sostituire all'amministrazione (Cons. St., Sez. V, 12 marzo 2020, n. 1762. In termini analoghi, Cons. St., Sez. V, 2 luglio 2020, n. 4253).
Gli interpreti, tuttavia, non mancavano di notare come l'atipicità delle condotte ascrivibili nella previgente nozione normativa di grave illecito professionale conducesse a decisioni discordanti delle stazioni appaltanti sull'affidabilità del medesimo operatore economico, con proliferazione del contenzioso.
La dottrina segnalava il rischio che le amministrazioni potessero facilmente abusare del potere attribuito in subiecta materia, senza che ai concorrenti fossero forniti adeguati strumenti di tutela giurisdizionale, stretti nelle maglie del sindacato estrinseco di mera ragionevolezza.
Neppure le Linee Guida dell'ANAC (Linee Guida n. 6 emanate in attuazione dell'art. 80, co. 13 d. lgs. n. 50/2016) avevano limitato la discrezionalità̀ riconosciuta alle stazioni appaltanti, ribadendo viceversa la natura del tutto atipica della nozione e facendovi ricadere qualsiasi illecito civile, penale o amministrativo ancorché non definitivamente accertato ritenuto dall'amministrazione sintomatico di scarsa affidabilità morale.
Anche la successiva evoluzione normativa, dapprima col d.l. 14 dicembre 2018, n. 135 (convertito con modificazioni dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12) e poi col d.l. 18 aprile 2019, n. 32 (convertito con modificazioni dalla L. 14 giugno 2019, n. 55), nel prevedere ipotesi tipiche di grave illecito professionale nell'ordinamento nazionale (rispettivamente, la lettera c-bis) in tema di omissioni o falsità nelle informazioni fornite dall'impresa e la lettera c-ter) sulle significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto, nonché la lettera c-quater) sui gravi inadempimenti nei confronti di uno o più subappaltatori, riconosciuti o accertati con sentenza passata in giudicato), non era riuscita a conferire maggiore prevedibilità al sistema: le ipotesi delineate dal legislatore restavano non tassative.
In tale quadro si sono registrate posizioni differenti: tra chi ha affermato, con riguardo ai gravi illeciti professionali, che “tutto è cambiato affinché nulla cambiasse” e chi – preso atto che la discrezionalità attribuita all'amministrazione nella valutazione riservata del grave illecito professionale non garantiva prevedibilità e certezza – ha proposto che il giudizio di affidabilità e integrità venisse affidato a un soggetto centralizzato, per evitare prassi difformi tra le stazioni appaltanti al cospetto del medesimo illecito imputabile a uno specifico concorrente.
È dunque in questo contesto, sinteticamente descritto, che si inserisce la scelta di introdurre nella Delega al Governo per l'emanazione del nuovo codice dei contratti pubblici (cfr. art. 1, comma 2, lett. l) l. 21 giugno 2022 n. 78) il criterio direttivo avente ad oggetto la razionalizzazione e semplificazione delle cause di esclusione, al fine di rendere le regole di partecipazione chiare e certe, individuando le fattispecie che configurano l'illecito professionale di cui all'articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE.
Analisi della disciplina dell'art. 98 d.lgs. n. 36/2023
Il nuovo codice dei contratti pubblici, all'interno di una più generale revisione della materia dei requisiti generali (nel codice previgente contenuti tutti indifferentemente nell'art. 80 d.lgs. n. 50/2016), è intervenuto sull'istituto dei gravi illeciti professionali sia da un punto di vista formale sia sostanziale.
Formalmente, il grave illecito professionale – pur essendo ricompreso tra le cause di esclusione c.d. non automatiche (non più facoltative, come si esprimeva il d.lgs. n. 50/2016, ingenerando l'equivoco per cui, in presenza di un motivo di esclusione, l'amministrazione potesse stabilire di non disporla senza nemmeno valutare la fattispecie) – ha trovato una sua autonoma collocazione nell'art. 98 d.lgs. n. 36/2023.
In attuazione del criterio della legge delega, il legislatore ha operato una tipizzazione delle fattispecie rientranti nella categoria dei gravi illeciti professionali e dei corrispondenti mezzi di prova, superando le (esemplificative) Linee Guida n. 6 dell'ANAC, attraverso un elenco di ipotesi – indicate dal comma 3 – da considerarsi tassative.
La tassatività dei gravi illeciti professionali trova diversi riscontri positivi nella sistematica del nuovo codice.
Essa, innanzitutto, si pone in linea con il principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall'art. 10 d.lgs. n. 36/2023, ed è confermata dallo stesso art. 95 d.lgs. n. 36/2023, ove espressamente si dispone (cfr. comma 1, lett. e) che “all'articolo 98 sono indicati, in modo tassativo, i gravi illeciti professionali, nonché i mezzi adeguati a dimostrare i medesimi”.
Si ricava, infine, indirettamente, dalla scelta di espungere, nell'ambito della stesura definitiva del codice, la previsione di chiusura – presente nel testo bollinato di schema di decreto legislativo all'art. 98, comma 3, lett. i) – che attribuiva all'amministrazione il potere di disporre l'esclusione in caso di “commissione, da parte dell'operatore economico, di condotte diverse da quelle di cui alle precedenti lettere, la cui gravità incida in modo evidente sull'affidabilità ed integrità del medesimo in misura tale da compromettere l'interesse pubblico”.
In particolare, l'art. 98, comma 2, d.lgs. n. 36/2023 richiede la necessaria sussistenza (cumulativa) di tre condizioni ai fini dell'esclusione, specificamente:
a) “elementi sufficienti ad integrare il grave illecito professionale”, elencati, in modo tassativo, dal comma 3, in tal modo definitivamente superando la precedente concezione “aperta” dell'illecito;
b) “idoneità del grave illecito professionale ad incidere sull'affidabilità e integrità dell'operatore”;
c) “adeguati mezzi di prova”, definiti, in modo ugualmente tassativo, dal successivo comma 6, che identifica con precisione – con riferimento a ciascuna ipotesi di grave illecito professionale – le idonee fonti di prova al ricorrere delle quali può ritenersi giustificata l'esclusione dell'operatore economico.
L'art. 98, comma 3, invece, elenca tassativamente gli “elementi” dai quali è possibile desumere il grave illecito professionale.
Il comma 4 delinea i criteri sottesi alla valutazione di gravità del grave illecito professionale: tale valutazione di gravità, infatti, deve tener conto dell'entità della lesione inferta dalla condotta integrante uno degli elementi di cui al comma 3 e del tempo trascorso dalla violazione, anche in relazione alle eventuali misure di self-cleaning adottate (art. 96 d.lgs. n. 36/2023).
Il comma 5 – in linea di continuità con le indicazioni di cui alla sentenza Cons. Stato ad. plen. 28 agosto 2020 n. 16 – sancisce che le dichiarazioni omesse o non veritiere (non assistite da dolo specifico o da negligenza) possono essere utilizzate a supporto della valutazione di gravità riferita agli elementi di cui al comma 3.
Il comma 6 indica i mezzi di prova che la stazione appaltante è tenuta a utilizzare per dimostrare la sussistenza dei gravi illeciti professionali.
I commi 7 e 8 precisano la portata dell'obbligo motivazionale della stazione appaltante. Si stabilisce che, nel valutare i provvedimenti sanzionatori e giurisdizionali di cui al comma 6, venga motivata puntualmente la ritenuta idoneità di questi ultimi a incidere sull'affidabilità e sull'integrità dell'offerente, ammettendo poi che l'eventuale impugnazione dei medesimi da parte dell'operatore debba essere presa in considerazione dall'amministrazione nell'ambito della valutazione volta a verificare la sussistenza della causa escludente.
Il comma 8 afferma infine espressamente il principio per cui il provvedimento di esclusione deve essere motivato in relazione a tutte e tre le condizioni di cui al comma 2, rafforzando gli strumenti di verificabilità dell'iter logico seguito dalle stazioni appaltanti nell'esercizio del potere.
Quanto all'efficacia temporale di rilevanza del grave illecito professionale, infine, il nuovo codice riprende quella giurisprudenza che – vigente il codice del 2016 – aveva sostenuto che “il fatto astrattamente idoneo a integrare la causa di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c), cessa di avere rilevanza, a questi fini, una volta decorsi tre anni dalla data della sua commissione” (Cons. Stato, sez. V, 27 gennaio 2022, n. 575). E difatti – come ribadito recentemente dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza del 25 ottobre 2024, n. 8529 – l'art. 96, comma 10, lett. c), d. lgs. n. 36/2023 stabilisce ora che il grave illecito professionale – salvo il caso di cui al comma 3, lett. b), art. 98 – rileva, ai fini della sua efficacia escludente, per tre anni, decorrenti: a) dalla data di emissione degli atti di cui all'art. 407-bis, comma 1 c.p.p. oppure di eventuali provvedimenti cautelari personali o reali del giudice penale, se antecedenti all'esercizio dell'azione penale ove la situazione escludente consista in un illecito penale rientrante tra quelli valutabili ai sensi del comma 1 dell'art. 94 o 98, comma 3, lett. h), d. lgs. n. 36/2023; b) dalla data del provvedimento sanzionatorio irrogato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato o da altra autorità di settore; c) dalla commissione del fatto in tutti gli altri casi.
Onde fugare ogni dubbio, viene poi finanche precisato – all'art. 96, comma 11 – che “l'eventuale impugnazione di taluno dei provvedimenti suindicati non rileva ai fini della decorrenza del triennio”.
Singole fattispecie escludenti
Singole fattispecie escludenti
La prima ipotesi tipizzata di grave illecito professionale prevista dall'art. 98, comma 3, lett. a), d. lgs. n. 36/2023 è quella della “sanzione esecutiva irrogata dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato o da altra autorità di settore, rilevante in relazione all'oggetto specifico dell'appalto”.
Negata inizialmente la sua rilevanza sotto la vigenza del codice del 2006 (Cons. Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 813), la violazione della disciplina antitrust era stata considerata dalle linee guida ANAC n. 6 cit. alla stregua di una delle situazioni idonee a porre in dubbio l'integrità e affidabilità dell'operatore economico: prevedevano in particolare le Linee Guida – dopo le modifiche apportate con deliberazione 11 ottobre 2017 n. 1008 – che fossero sufficienti a configurare una causa (non automatica) di esclusione i provvedimenti esecutivi (anche se ancora non inoppugnabili) emanati dalla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per pratiche commerciali scorrette o illeciti antitrust. A conclusioni analoghe giunse anche la giurisprudenza amministrativa (cfr. ex multis, Cons. Stato 7 febbraio 2022, n. 845), anticipando la successiva codificazione della fattispecie.
L'art. 98, comma 6, stabilisce che, con riferimento a tale ipotesi, costituiscono “adeguati mezzi di prova” unicamente “i provvedimenti sanzionatori esecutivi resi dall'Autorità garante della concorrenza o del mercato o da altra autorità di settore”.
La seconda ipotesi di grave illecito professionale è quella della “condotta dell'operatore economico che abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a proprio vantaggio oppure che abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione” (art. 98, comma 3, lett. b).
Quanto alla prima parte, la norma non pone particolari problemi interpretativi: incorre in grave illecito professionale (e può dunque essere escluso dalla gara) l'operatore che tenta di influenzare il processo decisionale dell'amministrazione o provi a ricevere informazioni di tipo riservato, con lesione della par condicio degli altri concorrenti.
Oggetto di contrasto giurisprudenziale è stata invece la questione delle informazioni false o fuorvianti, che trovava nell'art. 80, comma 5, d. lgs. n. 50/2016 due referenti diretti alla lett. c-bis) e lett. 5 f-bis).
Sul punto – come accennato – era intervenuta l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. Stato ad. plen. 28 agosto 2020 n. 16) che, operando un raffronto tra le due norme, aveva valorizzato un criterio di specialità ritenendo che la falsità di informazioni rese dall'operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all'adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l'ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l'aggiudicazione, fosse riconducibile all'ipotesi prevista dalla lett. c) dell'art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, con la conseguenza che la stazione appaltante sarebbe stata tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo. La pronuncia aveva ipotizzato il medesimo regime anche con riguardo all'omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, purché si trattasse di omissione di informazioni evidentemente incidenti sull'integrità ed affidabilità dell'operatore economico sulla scorta delle valutazioni demandate alla stessa stazione appaltante.
In linea di estrema sintesi la citata pronuncia giungeva alla conclusione che la lett. f-bis) dell'art. 80, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016 e i relativi effetti di estromissione automatica potessero applicarsi solo a ipotesi residuali non rientranti in quelle previste dalla lett. c) [poi c-bis)] della medesima disposizione.
L'art. 98, comma 3, lett. b) d.lgs. n. 36/2023 ha riunito le fattispecie prima distinte – contenute nell'art. 80, comma 5, lett. c-bis) e lett. f-bis) d.lgs. n. 50/2016 – stabilendo che è causa di esclusione dalla gara la “condotta dell'operatore economico [...] che abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione”
Tale disposizione va peraltro letta in combinato disposto con l'art. 96, comma 14, d. lgs. n. 36/2023, che stabilisce: “L'operatore economico ha l'obbligo di comunicare alla stazione appaltante la sussistenza dei fatti e dei provvedimenti che possono costituire causa di esclusione ai sensi degli articoli 94 e 95, ove non menzionati nel proprio fascicolo virtuale. L'omissione di tale comunicazione o la non veridicità della medesima, pur non costituendo di per sé causa di esclusione, può rilevare ai sensi del comma 4 dell'articolo 98”.
Le due previsioni meritano però, ancora una volta, di essere raccordate, attesa l'apparente antinomia tra le stesse sotto il profilo delle conseguenze addebitabili alle condotte (nel primo caso si profila una fattispecie autonomamente idonea a supportare un provvedimento di esclusione, nel secondo invece si tratterebbe di un elemento da solo insufficiente). Se da una parte il nuovo codice sembra dar rilevanza alle informazioni false e fuorvianti ai fini di esclusione dalla gara, anche laddove frutto di mera negligenza da parte dell'operatore economico, dall'altra si afferma che l'omissione o la non veridicità delle comunicazioni – relative alla sussistenza di fatti e provvedimenti che possono rilevare alla stregua di fattispecie espulsive – non costituisce di per sé causa di esclusione dalla gara, potendo invece assumere un peso nella valutazione di gravità, compiuta dalla stazione appaltante sull'illecito professionale dell'operatore sostanziale (e non meramente dichiarativo), ai sensi dell'art. 98, comma 4, d.lgs. n. 36/2023.
Al riguardo si è sostenuto che assumerebbero rilievo decisivo le indicazioni contenute nella Relazione illustrativa al codice: da questa si ricaverebbe che l'elemento differenziale della fattispecie espulsiva dell'art. 98, comma 3, lett. b) sarebbe ancora rappresentato dalla precisa finalizzazione delle informazioni false o fuorvianti fornite dall'operatore a influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante.
Tanto con la conseguenza che tutte le altre informazioni false, non assistite però da tale “dolo specifico”, potrebbero rilevare solo nell'ambito della valutazione di gravità dell'illecito senza poter costituire elementi sufficienti a giustificare, ex sé, l'estromissione dalla procedura.
Tale interpretazione, pur autorevolmente avallata e in linea con la giurisprudenza formatasi in precedenza, non sembra però l'unica ricavabile dal dato letterale delle due previsioni.
A ben vedere, la formulazione dell'art. 98, comma 3, lett. b) richiama, nell'ambito delle fattispecie che possono giustificare l'estromissione, le informazioni false e fuorvianti rese “anche per negligenza”. Il dato testuale della citata previsione indurrebbe a dare rilevanza anche alle condotte colpose ai fini della configurazione di illecito professionale (e, conseguentemente, ai fini di esclusione dalla gara).
Un'altra lettura del combinato disposto delle norme contenute nell'art. 94, comma 14, e nell'art. 98, comma 3, lett. b), potrebbe indurre a ritenere che il legislatore abbia diversificato il trattamento sanzionatorio a seconda che le condotte – dolose o colpose che siano – abbiano carattere attivo od omissivo. Le prime ricadrebbero nella condotta di quanti abbiano “fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione”. Le seconde, caratterizzate da condotte omissive o reticenti dell'operatore, non costituirebbero un'autonoma causa di esclusione, bensì rappresenterebbero elementi utili per la stazione appaltante da cui inferire la gravità dell'illecito.
Quanto ai tassativi mezzi di prova di cui si deve avvalere l'amministrazione per vagliare gli illeciti professionali, l'art. 98, comma 6, lett. b) li circoscrive a quelli “gravi, precisi e concordanti che rendano evidente il ricorrere della situazione escludente”.
Configura grave illecito professionale – secondo l'art. 98, comma 3, lett. c) – anche la “condotta dell'operatore economico che abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento oppure la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili, derivanti da inadempienze particolarmente gravi o la cui ripetizione sia indice di una persistente carenza professionale.
Anche con riferimento a tale figura, l'amministrazione dispone di un ampio margine di discrezionalità: sul punto era intervenuta la Corte giustizia nel 2023, stabilendo a tal proposito che “L'articolo 18, paragrafo 1, e l'articolo 57, paragrafo 4, lettera g), della direttiva 2014/24/UE, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa o a una prassi nazionale secondo cui, qualora l'amministrazione aggiudicatrice risolva un contratto di appalto pubblico aggiudicato a un raggruppamento di operatori economici a causa di significative o persistenti carenze che hanno determinato la mancata esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di tale contratto d'appalto, ogni membro di detto raggruppamento è automaticamente inserito in un elenco di fornitori inaffidabili e gli è dunque temporaneamente preclusa, in linea di principio, la partecipazione a nuove procedure di aggiudicazione di appalti pubblici” (CGUE, sez. IV, 26 gennaio 2023, n. 682).
Non sarebbe dunque coerente con il diritto europeo un sistema che sposti la valutazione sull'affidabilità̀ dell'operatore economico nell'ambito di presunzioni legislative o di automatismi espulsivi.
Viceversa, si è anche negato che la mera contestazione giudiziale degli illeciti contestati possa automaticamente privare la stazione appaltante del potere di valutare l'illecito ai fini dell'adozione dei provvedimenti consequenziali.
Sul punto si è affermato che “[d]al testo della disposizione in questione [art. 57, par. 4 della direttiva 2014/24, ndr] risulta quindi che il compito di valutare se un operatore economico debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto è stato affidato alle amministrazioni aggiudicatrici, e non a un giudice nazionale”. Al contempo, in CGUE, ordinanza C-552/18, § 28, si ribadisce che “l'articolo 57, paragrafo 4, lettere c) [...] della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale in virtù della quale la presentazione di un ricorso giurisdizionale avverso una decisione di risoluzione di un contratto di appalto pubblico, adottata da un'amministrazione aggiudicatrice in ragione di un «grave illecito professionale», verificatosi in sede di esecuzione di tale contratto, impedisce all'amministrazione aggiudicatrice che indica una nuova gara d'appalto di escludere un operatore, nella fase della selezione degli offerenti, sulla base di una valutazione dell'affidabilità̀ dell'operatore stesso”(CGUE, sentenza 19 giugno 2019, C-41/18).
Con riferimento al vecchio codice, sosteneva la giurisprudenza amministrativa che “la causa di esclusione di cui all'art. 80 comma 5 lett. c) -ter del d. lgs. n. 50/2016 non consegue automaticamente alla semplice constatazione dell'esistenza di una pregressa risoluzione contrattuale per inadempimento pronunciata nei confronti del concorrente, ma presuppone l'accertamento da parte della stazione appaltante che tale risoluzione sia scaturita da “significative e persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto”, accertamento che la stazione appaltante conduce secondo criteri di ampia discrezionalità attraverso valutazioni tendenzialmente insindacabili dal giudice se non in presenza di profili macroscopici di illogicità o di travisamento del fatto” (T.A.R. Lombardia, Brescia, 10 febbraio 2021, n. 143).
Per quanto riguarda le modalità di accertamento, il nuovo codice compie un'opera di riperimetrazione della discrezionalità amministrativa: stabilisce infatti l'art. 98, comma 6, lett. c) che la stazione appaltante può dimostrare la condotta inaffidabile dell'operatore solo provando “l'intervenuta risoluzione per inadempimento o la condanna al risarcimento del danno o ad altre conseguenze comparabili”.
Al riguardo si è sostenuto che la nuova disciplina priverebbe le stazioni appaltanti della capacità di valutare tout court l'affidabilità e l'integrità dell'operatore economico: ciò in quanto questa valutazione di astratta rilevanza sarebbe stata compiuta dal Legislatore a priori indicando quali condotte possono essere rilevanti e quali no e tanto potrebbe far emergere dubbi di compatibilità col diritto europeo.
A ben vedere la tipizzazione delle condotte presente nell'art. 98 d.lgs. n. 36/2023 non ha affatto azzerato i margini di discrezionalità valutativa, che permangono con riferimento a diverse fattispecie costruite con largo impiego di concetti giuridici indeterminati, come quelli espressi con le locuzioni “inadempienze particolarmente gravi” o “significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto”.
Tanto è stato pure recentemente evidenziato in giurisprudenza. Si è attentamente notato come le nuove previsioni in tema di illecito professionale costituiscano un sistema composito che ricomprende, ai fini della valutazione dell'integrità e affidabilità dell'operatore, la condotta pregressa nell'ambito di altri affidamenti individuando in via tipica nella «intervenuta risoluzione per inadempimento» uno dei mezzi di prova dell'illecito professionale, in relazione alla fattispecie delle «significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione», che, appunto, ne abbiano «causato la risoluzione per inadempimento»; con l'ulteriore precisazione per cui ciò “se consente di orientare e indirizzare la valutazione dell'amministrazione attraverso la tipizzazione di fattispecie e mezzi di prova, non vale al contempo a eliderne la natura e il portato discrezionale” (Cons. Stato, sez. V, 25 ottobre 2024, n. 8529).
Non sembra invece destinato a sopravvivere nel nuovo contesto normativo un altro principio di diritto enunciato in via pretoria sotto la vigenza del d.lgs. n. 50/2016 con cui si era data rilevanza anche a condotte connesse all'attività giurisdizionale dell'operatore economico.
Ci si riferisce al principio – affermato da parte della giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 novembre 2022, n. 10483) – secondo cui l'instaurazione di una consistente mole di contenziosi da parte dell'impresa concorrente nei confronti della stazione appaltante potrebbe essere, di per sé, riconducibile alla nozione del grave illecito professionale.
Non sembra infatti che questo tipo di condotte, peraltro frutto dell'esercizio di diritti di rango costituzionale (24 Cost.), possano più essere ascritte nelle fattispecie nella nuova norma.
Considerazioni diverse possono farsi invece con riferimento a un altro tema sempre connesso alla definizione del perimetro della fattispecie in esame.
Sotto la vigenza del d.lgs. n. 50/2016, il Consiglio di Stato, sempre a proposito delle significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione, aveva equiparato le condotte registrate nell'ambito dell'esecuzione di contratti con committenti privati a quelle afferenti all'esecuzione di contratti pubblici. Si è assunto al riguardo che sarebbe irrilevante la circostanza che la condotta sintomatica sia emersa nell'ambito dell'esecuzione di un contratto pubblico piuttosto che privato. Ciò in quanto la “configurazione della disposizione di cui all'art. 80, comma 5, lettera c) del d.lgs. 15 aprile 2016 n. 16, non imponeva affatto che il fatto costitutivo dell'illecito debba essere forzatamente riconducibile ad un rapporto contrattuale con un soggetto pubblico, ben potendo derivare da fatti di natura organizzativa o dallo svolgimento di altre tipologie di attività comunque imputabili al concorrente, fossero anche riferibili a rapporti contrattuali di natura privata” (Cons. Stato, sez. IV, 3 settembre 2024, n. 7361).
Il tema sembra ancora attuale, posto che la nuova formulazione dell'illecito contenuta nell'art. 98, comma 3, lett. c) continua a far riferimento a vicende relative all'esecuzione di appalti o concessioni senza precisare che debba trattarsi necessariamente di contratti pubblici.
Quanto agli effetti della contestazione giurisdizionale del provvedimento di risoluzione vanno segnalati i recenti approdi della giurisprudenza, che in continuità con i precedenti insegnamenti, ha ribadito come non occorra un giudicato sulla vicenda addebitata al concorrente per poterne trarre ragioni d'inaffidabilità, segnalando come ciò troverebbe conferma “nella disciplina di cui all'art. 98, comma 7, d.lgs. n. 36 del 2023, a tenore del quale «l'eventuale impugnazione [dei provvedimenti di cui al comma 6, inclusa la risoluzione per inadempimento] è considerata nell'ambito della valutazione volta a verificare la sussistenza della causa escludente», di guisa che la contestazione giudiziale dell'atto pregiudizievole è valutata dall'amministrazione” (in termini: Cons. Stato, V. sez., 25 ottobre 2024, n. 8529).
Ancora, l'art. 98, comma 3, lett. d) stabilisce che il grave illecito professionale si possa desumere dalla “condotta dell'operatore economico che abbia commesso grave inadempimento nei confronti di uno o più subappaltatori”.
Sul punto è stato osservato come la locuzione ivi utilizzata possa ricomprendere anche fattispecie ulteriori rispetto al mancato pagamento delle prestazioni rese dai subappaltatori, così legittimando interpretazioni difformi da parte delle stazioni appaltanti.
Quanto agli “adeguati mezzi di prova”, la stazione appaltante – per escludere il concorrente – deve provare “la emissione di provvedimenti giurisdizionali anche non definitivi” a suo carico.
Tra le altre ipotesi tassative di grave illecito si ritrova – ex art. 98, comma 3, lett. e) – il c.d. divieto di intestazione fiduciaria (“condotta dell'operatore economico che abbia violato il divieto di intestazione fiduciaria di cui all'articolo 17 della legge 19 marzo 1990, n. 55, laddove la violazione non sia stata rimossa).
Come sottolineato dall'Autorità di Vigilanza dei Lavori Pubblici con riferimento all'art. 38, comma 1, lett. m), d.lgs. n. 163/2006, si tratta di un divieto la cui ratio va ricercata nell'esigenza di “evitare che la stazione appaltante perda il controllo del vero imprenditore che ha partecipato alla gara” (A.V.L.P. Determinazione 5 dicembre 2011).
Per la stazione appaltante, l'accertamento definitivo della violazione costituisce il mezzo di prova adeguato ai fini dell'esclusione dell'operatore (art. 98, comma 6, lett. e), d.lgs. n. 36/2023), escludendosi, viceversa, la possibilità di tener conto di contestazioni ancora non confermate in sede giurisdizionale.
C'è poi l'ipotesi dell'omessa denuncia di alcuni gravi reati di cui all'art. 98, comma 3, lett. f), d.lgs. n. 36/2023 (omessa denuncia all'autorità giudiziaria da parte dell'operatore economico persona offesa dei reati previsti e puniti dagli articoli 317 e 629 del codice penale aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1 del medesimo codice salvo che ricorrano i casi previsti dall'articolo 4, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689). La norma precisa che “tale circostanza deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell'imputato per i reati di cui al primo periodo nell'anno antecedente alla pubblicazione del bando e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente all'ANAC, la quale ne cura la pubblicazione”: tali indizi costituiscono altresì i necessari mezzi di prova tipizzati dal legislatore.
Assumono poi particolare rilevanza – per i problemi interpretativi che pongono – le vicende di rilevanza penale da cui si può desumere la sussistenza di gravi illeciti professionali.
In primo luogo, la contestata commissione da parte dell'operatore economico, ovvero dei soggetti di cui al comma 3 dell'articolo 94 di taluno dei reati consumati o tentati di cui al comma 1 del medesimo articolo 94.
Secondo la disposizione, assumono rilievo come cause di esclusione non automatica la contestata commissione di quei reati che, ex art. 94 d.lgs. n. 36/2023, darebbero luogo all'esclusione automatica della gara in caso di accertamento definitivo degli stessi in sede giurisdizionale.
Tali condotte assumono rilievo – come affermato dalla Corte di Giustizia (CGUE, 20 dicembre 2017, Mantovani, C-178/16) – anche quando i fatti oggetto di contestazione non siano ancora stati accertati in sede giurisdizionale, ma siano solo oggetto di atti di contestazione di varia natura.
In passato, la giurisprudenza tendeva a riconoscere una larga autonomia di apprezzamento alle stazioni appaltanti in ordine alla valutazione di fatti non ancora accertati in modo definitivo in sede giurisdizionale (T.A.R. Lombardia, Sez. I, 12 ottobre 2020, n. 188) consentendo l'impiego di varie fonti di conoscenza delle contestazioni non precisamente individuate.
Il Legislatore con il nuovo Codice ha, invece, delimitato il perimetro degli atti di contestazione che assumono rilievo (cfr. comma 6, lett. g) art. 98 d.lgs. n. 36/2023) stabilendo che la stazione appaltante debba basarsi su almeno uno di questi atti: gli atti di cui all'art. 407-bis c.p.p. (e, dunque, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di citazione diretta a giudizio, la richiesta di giudizio immediato, l'atto che dispone il giudizio direttissimo, la richiesta di emissione del decreto penale di condanna o di applicazione della pena); il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'art. 429 c.p.p. o eventuali provvedimenti cautelari reali o personali emessi dal giudice penale; la sentenza di condanna non definitiva; il decreto penale di condanna non irrevocabile; la sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p.
Si tratta comunque di un perimetro molto ampio che ricomprende situazioni anche molto lontane da un accertamento definitivo che si collegano a fasi embrionali del processo: si pensi alla richiesta di rinvio a giudizio che, come noto, prescinde da una delibazione anche solo sommaria di un giudice terzo e imparziale e scaturisce dalla mera attività di impulso del magistrato inquirente.
Sempre afferente alla sfera penale è infine l'ultima ipotesi tipica delineata dall'art. 98, comma 3, lett. h) che ricomprende la contestata o accertata commissione, da parte dell'operatore economico oppure dei soggetti di cui al comma 3 dell'articolo 94, di taluno dei seguenti reati consumati: 1) abusivo esercizio di una professione, ai sensi dell'articolo 348 del codice penale; 2) bancarotta semplice, bancarotta fraudolenta, omessa dichiarazione di beni da comprendere nell'inventario fallimentare o ricorso abusivo al credito, di cui agli articoli 216,217,218 e 220 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267; 3) i reati tributari ai sensi del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i delitti societari di cui agli articoli 2621 e seguenti del codice civile o i delitti contro l'industria e il commercio di cui agli articoli da 513 a 517 del codice penale; 4) i reati urbanistici di cui all'articolo 44, comma 1, lettere b) e c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con riferimento agli affidamenti aventi ad oggetto lavori o servizi di architettura e ingegneria; 5) i reati previsti dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
I mezzi di prova adeguati (e tassativi) sono rintracciabili nella sentenza di condanna definitiva, nel decreto penale di condanna irrevocabile, nella condanna non definitiva, nonché nei provvedimenti cautelari reali o personali, ove emessi dal giudice penale, ex art. 98, comma 6, lett. h).
Particolarità di tali ultime due ipotesi è che con riferimento alle stesse il Legislatore ritiene applicabile in via eccezionale la c.d. teoria del contagio permettendo che vicende di singole persone fisiche munite di specifici poteri o cariche in seno all'operatore economico si riverberino sulla sfera giuridica di quest'ultimo.
Presupposti applicativi e obbligo motivazionale
Le previsioni normative, come si è detto, hanno ridotto i margini di discrezionalità delle stazioni appaltanti nell’esercizio dei correlati poteri di accertamento del grave illecito professionale.
In questo senso si è recentemente espresso il T.A.R Sardegna, sez. II, con sentenza dell’11 marzo 2024 n. 204 che ha osservato come le indicazioni contenute nell’art. 98 d.lgs. n. 36/2023 “costituiscono, evidentemente, in senso innovativo, i parametri esterni di valutazione della legittimità dell’esercizio del potere discrezionale della stazione appaltante per come esternato nella motivazione”.
La nuova formulazione della nozione di illecito professionale ha anche nuovamente perimetrato i meccanismi di imputazione delle condotte delle persone fisiche alla persona giuridica.
Non sembra più poter trovare piena cittadinanza il principio di diritto, pur recentemente ribadito in giurisprudenza (con riguardo a vicende soggette all’applicazione del d.lgs. n. 50/2016), secondo cui “le condotte apprezzabili dalla stazione appaltante, ai fini della sussistenza di un grave illecito professionale, ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 non sono esclusivamente quelle che si riferiscono direttamente alla persona giuridica della Società partecipante alla gara, ma anche quelle ascrivibili alle persone fisiche dei suoi soci o amministratori […] dovendosi riconoscere alla c.d. «teoria del contagio» una latitudine applicativa necessariamente larga (e non ancorata a presupposti rigidamente tipizzati come sostenuto da parte ricorrente) che rispecchia tanto il carattere aperto e tendente all’atipicità della previsione normativa in parola quanto l’approccio sostanzialistico (e non formalistico) che ispira la disciplina unionale in tema di cause di esclusione (in termini: T.A.R., Lecce, sez. III, 13 gennaio 2023, n. 48; nello stesso senso anche Cons. Stato, sez. V, 22 aprile 2022, n. 3107; Cons. Stato, sez. V, 3 dicembre 2018, n. 6866).
L’art. 98, comma 1 d.lgs. n. 36/2023 sembra aver posto delle limitazioni più chiare alle ipotesi di operatività del cd. “contagio”, affermando la regola generale della non estensibilità del grave illecito professionale compiuto dalla persona fisica all’operatore economico, con le sole eccezioni della lett. g) e h) del comma 3, e cioè con riguardo alla contestata commissione dei reati ivi citati.
Solo con riferimento a questa tipologia di illeciti opera il “contagio” degli operatori economici che rischiano di subire effetti pregiudizievoli connessi alle condotte ascrivibili alle persone fisiche individuate in relazione alle cariche ricoperte (ovverosia: il titolare o direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; il socio amministratore o direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; i soci accomandatari o il direttore tecnico, se si tratta di società in accomandita semplice; i membri del c.d.a. cui sia stata conferita la legale rappresentanza, ivi compresi gli institori e i procuratori generali, i componenti degli organi con poteri di direzione e vigilanza o soggetti muniti di poteri di rappresentanza, direzione o controllo, il direttore tecnico o socio unico e l’amministratore di fatto, in caso di società di capitali).
Si tratta, è appena il caso di segnarlo, dei medesimi soggetti che in caso di definitività della condanna, rilevano – ex art. 94 d.lgs. n. 36/2023 – per l’operatività dei meccanismi di esclusione cd. automatica.
Quanto agli obblighi motivazionali connessi all’esercizio dei poteri in esame si può subito anticipare come il nuovo contesto normativo ne abbia intensificato la portata estendendo e precisando le regole già enucleate in via pretoria.
La giurisprudenza amministrativa, sviluppatasi sul grave illecito professionale, ha ritenuto pacifica la centralità della motivazione nel provvedimento di esclusione dell’operatore economico della gara (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 21 luglio 2020, n. 4668).
Il nuovo Codice ha ripreso tali insegnamenti, stabilendo espressamente all’ultimo comma dell’art. 98 d.lgs. n. 36/2023 che l’obbligo motivazionale dovrà necessariamente essere modulato sulle tre condizioni cumulative di cui al comma 2, e dunque: i) sugli elementi sufficienti ad integrare il grave illecito professionale; ii) sulla idoneità del grave illecito professionale ad incidere sull’affidabilità e integrità dell’operatore; iii) sulla sussistenza di adeguati mezzi di prova.
Si rafforza pertanto l’onere motivazionale imponendo un’analitica ricostruzione dell’iter logico, giuridico e fattuale alla base del provvedimento espulsivo agevolando, sul versante processuale, l’efficacia del sindacato giurisdizionale.
Tale onere motivazionale viene espressamente delineato per i provvedimenti con cui venga disposta l’esclusione degli operatori economici dalle procedure di gara, senza chiarire se lo stesso o un diverso onere sussista quando la stazione appaltante decida di ammettere il concorrente pur in presenza di un illecito professionale contestato o accertato.
La giurisprudenza formatasi sotto la vigenza del previgente art. 80, comma 5, del d.lgs. 50/2016 non era giunta ad approdi univoci.
Secondo un primo orientamento, la stazione appaltante era tenuta a motivare puntualmente i provvedimenti di estromissione, ma non anche quelli di ammissione (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2014, n. 2622, Cons. Stato, sez. VI, 6 dicembre 2021, n. 8081). Si assumeva che, pur in presenza di un illecito, la stazione appaltante non fosse tenuta a esternare le ragioni per le quali riteneva lo stesso inidoneo a incidere sulla moralità professionale del concorrente.
Secondo un altro orientamento, viceversa, la motivazione doveva essere resa dall’amministrazione anche in relazione ai provvedimenti di ammissione in gara, seppur in forma “attenuata”, almeno quando la vicenda professionale che interessava l’operatore, fosse di particolare rilevanza; ciò al fine di garantire il sindacato giurisdizionale sulle relative determinazioni (cfr. Cons. Stato, V, 5 dicembre 2022, n. 10607; Cons. Stato, V, 19 febbraio 2021, n. 1500).
Recentemente il Consiglio di Stato è tornato sul tema, sempre in una fattispecie soggetta al d.lgs. n. 50/2016 assumendo che “il principio dell’onere motivazionale “attenuato” in caso di ammissione trova un controlimite in presenza di motivi ostativi di particolare intensità e va declinato nel senso che la stazione appaltante non possa esimersi da rendere esplicite le ragioni per le quali abbia comunque apprezzato l’impresa come affidabile, pena l’insindacabilità delle scelte operate in questa fase”. Ciò in quanto “a fronte di un’attività pacificamente connotata da un ampio margine di discrezionalità, se la stazione appaltante fosse sempre e comunque esentata da qualsiasi onere motivazionale in fase di ammissione alla procedura di gara, a prescindere alla intensità e dalla molteplicità degli illeciti professionali dichiarati dagli operatori economici, ne discenderebbe l’impossibilità per il giudice amministrativo di verificare la logicità, la congruità e la ragionevolezza delle scelte operate in tale fase che costituirebbe un’inammissibile zona “franca” da qualunque tipo di sindacato giurisdizionale” (in termini: Cons. Stato, sez. V, 19 luglio, 2024, n. 6520).
I più recenti approdi giurisprudenziali paiono adattarsi anche al nuovo quadro normativo, soprattutto se si considera che le fattispecie escludenti sono state codificate in un numero chiuso e definito, sicché al ricorrere delle predette circostanze sembra che la stazione appaltante non possa esimersi dall’esplicitare le ragioni che l’inducano verso l’ammissione nonostante la ricorrenza di situazioni ex lege rilevanti.
Sotto altro aspetto, l’eredità della giurisprudenza amministrativa formatasi sul “vecchio” art. 80 d. lgs. n. 50/2016 sembra aver consegnato utili punti di riferimento anche con riferimento alla figura del grave illecito professionale per contestata commissione di reati in capo all’operatore, di cui all’art. 98, comma 3, lett. h), d.lgs. n. 36/2023.
Sul punto la giurisprudenza più recente ha tracciato un interessante trait d’union tra la vecchia e nuova disciplina.
Si è precisato al riguardo che: “Nella valutazione dell’incidenza delle condotte dell’impresa e/o dei soggetti titolari di incarichi apicali sull’affidabilità dell’operatore economico l’amministrazione gode di lata discrezionalità, fondata sulla necessità di garantire l’elemento fiduciario del rapporto contrattuale fin dalla sua genesi. Onde la decisione di estromettere dalla competizione il concorrente – anche utilizzando “fonti” non contenenti un accertamento del reato da parte del giudice penale, come l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e l’atto di esercizio dell’azione penale (ma anche il decreto di rinvio a giudizio, recante comunque solo una prognosi) – risulta sindacabile in sede di legittimità nei limiti della manifesta illogicità, macroscopica irragionevolezza, abnormità, travisamento dei fatti, o insufficienza della motivazione (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, n. 10970, cit.; Cons. St., sez. III, 2 agosto 2021, n. 5659; Cons. St., sez. V, 20 marzo 2019, n. 1846, cit.; Cons. St., sez. V, 17 settembre 2018, n. 5424, cit.; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, ord. 16 settembre 2022, n. 5918).
[…] Le richiamate conclusioni, raggiunte dalla giurisprudenza nella ricostruzione ermeneutica del grave illecito professionale da reato ai sensi dell’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, sono state recepite nel codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36/2023. Infatti, pur avendo introdotto nella materia de qua significative innovazioni (tra cui la tipizzazione delle fattispecie integranti il grave illecito professionale e dei relativi mezzi di prova), il nuovo codice, all’art. 98, comma 7, stabilisce che “La stazione appaltante valuta i provvedimenti…giurisdizionali di cui al comma 6, motivando sulla ritenuta idoneità dei medesimi a incidere sull’affidabilità e integrità dell’offerente”. Dunque, il legislatore ha confermato che, in presenza di reati non definitivamente accertati, spetta all’amministrazione decidere se mantenere l’impresa in gara oppure estrometterla, prevedendo espressamente che, nell’ipotesi di delitti gravi (comportanti l’esclusione automatica in caso di condanna definitiva), l’ente può desumere l’illecito professionale anche dagli atti con cui il P.M. esercita l’azione penale ai sensi dell’art. 407-bis, comma 1, c.p.p. (richiesta di rinvio a giudizio nel rito ordinario, formulazione dell’imputazione nei casi di applicazione della pena su richiesta, giudizio direttissimo, giudizio immediato e procedimento per decreto)” (in termini: T.A.R. Liguria, 19 giugno 2024, n. 32).
A ben vedere, tuttavia, nella sistematica del nuovo Codice, sussiste un elemento di discontinuità rappresentato dalla specifica indicazione degli atti giudiziari di cui si può avvalere la stazione appaltante quali “adeguati mezzi di prova” per desumere il grave illecito professionale (art. 98, comma 6, d.lgs. n. 36/2023).
Il Legislatore, infatti, ha circoscritto l’idoneità probatoria ai soli provvedimenti di esercizio dell’azione penale e di applicazione di misure cautelari reali o personali, oltre alle sentenze e decreti penali, anche non definitivi; precisando altresì al comma 7 come l’amministrazione non possa limitarsi a fare riferimento all’esistenza di tali fatti storici, ma debba – seppur in modo sintetico – dar conto dei motivi per cui li ritiene considerevoli ai fini dell’esclusione, anche alla luce di una “eventuale impugnazione” dei provvedimenti sanzionatori e giurisdizionali citati dal comma 6.
Non sembra tuttavia che l’innovazione normativa possa frenare i problemi di sconfinamento della discrezionalità amministrativa in un territorio, quello della valutazione degli atti di natura penale, storicamente riservato all’autorità giudiziaria (con i relativi dubbi, in termini di violazione del principio di separazione dei poteri, che ne discendono).
Ancora, rimane da capire se le limitazioni introdotte dal legislatore – perimetrando il materiale probatorio dell’amministrazione e prescrivendo, al tempo stesso un onere motivazionale rafforzato – siano in grado di attutire i rischi di anticipazione di effetti sanzionatori per condotte ancora non accertate in sede giurisdizionale e mitigare il vulnus al principio costituzionale di presunzione di innocenza, segnalato dalla più attenta dottrina.
Il sindacato giurisdizionale sul potere amministrativo: nuovi scenari all'orizzonte?
Con riferimento al sindacato giurisdizionale sulle valutazioni delle stazioni appaltanti in ordine alla sussistenza di gravi illeciti professionali, la giurisprudenza, nella vigenza del vecchio codice, si è attestata su un modello di sindacato estrinseco di tipo debole.
Occorre chiedersi se l'opera di tipizzazione delle fattispecie ricadenti nella nozione qui in esame possa avere un impatto sul modello di sindacato finora affermatosi.
Vi sono alcuni elementi che paiono militare in questo senso.
In primo luogo, la Relazione di accompagnamento al Codice, usata dagli interpreti come un testo essenziale per la ricostruzione del tessuto normativo (finanche, in qualche caso, per superare il dato testuale attingendo alla volontà “autentica” del Legislatore), si colloca solo parzialmente nel solco degli insegnamenti tralatizi.
Si legge al riguardo: “il potere demandato alla Stazione appaltante non riposa in una volizione, ma in un margine di apprezzamento della situazione concreta riconducibile al concetto di discrezionalità tecnica: apprezzata la sussistenza del presupposto enucleato nella disposizione di legge, la scelta espulsiva diviene necessitata”.
In secondo luogo, la riduzione delle zone grigie che caratterizzano la fattispecie facilita la ricostruzione delle modalità di esercizio del potere discrezionale e, sul versante del controllo, una maggiore efficacia della tutela giurisdizionale.
Le previsioni del nuovo codice paiono rafforzare le ragioni che militano per una diversa qualificazione delle valutazioni de quibus e per una loro riconduzione non già nell'ambito dei paradigmi della discrezionalità tecnica o amministrativa, bensì in quello della discrezionalità giudiziale.
Nella valutazione dei gravi illeciti professionali, l'amministrazione, a ben vedere, svolge accertamenti in tutto simili a quelle svolte dall'autorità giurisdizionale, anticipando attività di ricostruzione del quadro probatorio e di qualificazione di fatti (in termini di liceità o illiceità) ancora da appurare in sede giurisdizionale.
Si è già notato come l'attività preliminare su cui poggiano le valutazioni amministrative si sovrapponga con spazi di cognizione di esclusiva spettanza del potere giudiziario, cui compete accertare, in via definitiva e con tutte le garanzie processuali apprestate dall'ordinamento, i fatti su cui si fondano i dubbi di integrità e affidabilità dell'operatore.
In questi casi l'amministrazione viene chiamata a esercitarsi in “balzi in avanti”, anticipando con istruttorie frettolose gli esiti di processi che richiederanno la celebrazione di diversi gradi di giudizio con il coinvolgimento di giudici togati.
Si è sostenuto altrove che affinché la tutela giurisdizionale avverso gli atti di amissione o esclusione dalle gare per ragioni di moralità possa dirsi effettiva e realmente rispettosa del principio di separazione dei poteri, il giudice non dovrebbe limitarsi a verificare la correttezza del percorso valutativo condotto dall'amministrazione, ma dovrebbe poter procedere ad una compiuta disamina della fattispecie controversa, attraverso la risoluzione sia della quaestio iuris che della quaestio facti, sotto il profilo della sua intrinseca verità.
In ultima analisi, un sindacato giurisdizionale pieno ed effettivo, oltre ad apparire più armonico con la nuova cornice dell'istituto, sembra prezioso per bilanciare gli effetti dirompenti sulla vita delle aziende di decisioni amministrative assunte sulla base di elementi istruttori embrionali (o comunque incompleti) a supporto di ipotesi di illeciti, che potrebbero essere radicalmente smentite con la celebrazione del processo.
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Sommario
Analisi della disciplina dell'art. 98 d.lgs. n. 36/2023
Il sindacato giurisdizionale sul potere amministrativo: nuovi scenari all'orizzonte?