La professione dell'avvocato dopo le novità della legge concorrenza

06 Ottobre 2017

La legge 4 agosto 2017, n. 124 (legge annuale per il mercato e la concorrenza), in vigore dal 29 agosto u.s., emanata al dichiarato fine di garantire una maggiore concorrenzialità nell'ambito della professione forense, pone non pochi interrogativi rispetto all'effettiva tutela del cittadino rispetto all'evoluzione (o rivoluzione) della figura dell'avvocato. "Evoluzione" cui aveva fatto espresso riferimento nella presentazione del nuovo codice deontologico Guido Alpa: l'avvocato dovrà essere «forte nelle tradizioni, innovativo nell'esercizio della professione, qualificato nelle competenze, nella formazione e nelle specializzazioni, conscio della responsabilità sociale assunta dalla categoria a cui appartiene, difensore dei diritti e quindi del diritto, pronto a raccogliere le sfide di questa nostra società liquida».
Abstract

La legge 4 agosto 2017, n. 124 (legge annuale per il mercato e la concorrenza), in vigore dal 29 agosto u.s., emanata al dichiarato fine di garantire una maggiore concorrenzialità nell'ambito della professione forense, pone non pochi interrogativi rispetto all'effettiva tutela del cittadino rispetto all'evoluzione (o rivoluzione) della figura dell'avvocato. Evoluzione cui aveva fatto espresso riferimento nella presentazione del nuovo testo del codice deontologico forense Guido Alpa, all'epoca Presidente del C.N.F.: l'avvocato dovrà essere «forte nelle tradizioni, innovativo nell'esercizio della professione, qualificato nelle competenze, nella formazione e nelle specializzazioni, conscio della responsabilità sociale assunta dalla categoria a cui appartiene, difensore dei diritti e quindi del diritto, pronto a raccogliere le sfide di questa nostra società liquida». L'avvocato deve imparare a muoversi e orientarsi nella modernità liquida che, per dirla con le parole del sociologo polacco Zygmunt Bauman, è «la convinzione che il cambiamento è l'unica cosa permanente e che l'incertezza è l'unica certezza».

La società tra avvocati

L'art. 5 della legge 247/2012 (nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense), aveva demandato al Governo di disciplinare le società tra avvocati (Sta), tenuto conto di quanto previsto dall'art. 10 della l. 183/2011 (attuata con d.m. 34/2013 Regolamento in materia di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordini ordinistico) e nel rispetto della rilevanza costituzionale del diritto di difesa. La norma dettava principi e criteri direttivi molto chiari, prevedendo che alle Sta potessero partecipare solo avvocati iscritti all'albo, escludendo quindi la possibilità che vi potessero partecipare meri soci di capitale (art. 5, comma 2 lett. a) l. 247/2012).

La possibilità per gli avvocati di svolgere la propria attività professionale in forma societaria era già ammessa con il d.l. 96/2001, nella forma della S.N.C. i cui soci potevano essere solo avvocati iscritti all'albo.

Scaduto il termine di cui alla delega, alcuni articoli di stampa paventarono l'ipostesi che il Governo non avesse rispettato la delega per il contrasto delle previsioni contenute nell'art. 5 l. professionale con il diritto dell'Unione europea e, in particolare, con l'art. 5 della legge europea 97/2013. Il Consiglio nazionale forense, con circolare n. 18 – C-2013, aveva subito chiarito che la nuova disciplina europea si era limitata a rimuovere un requisito previsto dalla normativa sull'esercizio in forma societaria della professione forense da parte degli avvocati c.d. stabiliti (d.lgs. 96/2001) e cioè la necessaria presenza di un avvocato iscritto all'albo ordinario nella compagine societaria costituita da avvocati stabiliti. Tale innovazione non incideva, invece, sulla la regola in base alla quale, per svolgere la professione forense in Italia, anche in forma societaria, fosse necessario essere avvocati. La legge europea si era limitata a prevedere che, ai sensi del d.lgs. 96/2001, si potessero costituire anche società formate da soli avvocati stabiliti.
Le due disposizioni richiamate (art. 5, comma 2, lett. a) l. professionale e art. 5 della legge 97/2013) non erano in contrasto in quanto il requisito richiesto alla lett. a) faceva riferimento all'iscrizione nell'albo; iscrizione di cui sono in possesso anche gli avvocati stabiliti. Ciò chiarito, la circolare precisava che il mancato esercizio della delega non privava l'art. 5 l. professionale di ogni efficacia normativa, essendo stata ormai superata, tanto in dottrina come nella giurisprudenza costituzionale (cfr. ex multis, sentenza n. 224/1990), la costruzione della legge di delegazione nei termini di una legge meramente formale, che esaurisce cioè la sua efficacia nei rapporti tra Governo e Parlamento. Nella fattispecie, doveva considerarsi salva la volontà del Legislatore di assoggettare le società tra avvocati ad una normativa speciale rispetto a quella delle società tra professionisti di cui all'art. 10 della legge 183/2012 e al d.m. 34/2013, mediante una fonte di rango primario e non con un regolamento.
La disciplina, tanto attesa quanto temuta, è contenuta nel comma 141 dell'art. 1 della legge 124/2017 e affidata ad un unico articolo introdotto nella l. 247/2012 (4-bis) del tutto insufficiente a disciplinare compiutamente una materia tanto delicata in quanto destinata ad incidere sui diritti fondamentali delle persone. La novella ha tradito il principio cardine dettato della legge delega, ovvero che alle Sta potessero partecipare esclusivamente avvocati iscritti all'albo prevedendo, invece, espressamente anche la partecipazione di altri professionisti iscritti in albi di altre professioni e implicitamente di soci di capitale (art. 4-bis, comma 2, l. 247/2012).

L' art. 1, comma 141, della l. 124/2017, oltre ad aver introdotto nella legge professionale l'art. 4-bis sull'esercizio della professione forense in forma societaria, ha apportando alcune modifiche alla disciplina delle associazioni tra avvocati e multidisciplinari di cui all'art. 4 l. professionale e ha introdotto l'obbligo della comunicazione al cliente del preventivo in forma scritta (art. 13, comma 5, l. professionale).

Le novità introdotte dalla legge sulla concorrenza. L'associazione tra avvocati e multidisciplinare (art. 4)

La modifica riguarda i commi 3 e 4. Mentre resta la previsione che la sede della associazione debba essere fissata nel circondario dove si trova il centro principale degli affari, è stato eliminato l'obbligo che i singoli associati debbano avere domicilio professionale nella sede della associazione (comma 3). Tale modifica è correlata alla soppressione del successivo comma 4 che prevedeva che l'avvocato potesse partecipare ad una sola associazione. Potendo partecipare anche a più associazioni fra avvocati o a più associazioni multidisciplinari, l'avvocato potrà decidere dove fissare il proprio domicilio, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 7 l. professionale, iscrivendosi nell'albo del circondario del tribunale in cui ha il domicilio professionale, di regola coincidente con il luogo in cui svolge la professione in modo prevalente.

La previsione di cui all'art. 4, comma 2, l. professionale ovvero l'individuazione dei professionisti non iscritti all'albo forense che possono partecipare ad una associazione multidisciplinare, era già stata assolta con la pubblicazione del d.m. 23 del 4 febbraio 2016, in vigore dal 16 marzo 2016.

(Segue). L'esercizio della professione forense in forma societaria (art. 4-bis)

È senz'altro la modifica maggiormente avversata e temuta dagli organi istituzionali dell'Avvocatura che tanto si erano battuti per evitare che la professione di avvocato venisse inserita nella disciplina comune a tutti gli altri ordinamenti professionali, come inizialmente previsto dal governo “tecnico” con il decreto 137 dell'agosto 2012 che, in una visione riduttiva del ruolo dell'avvocato, aveva negato la specificità della funzione difensiva dequalificandola al servizio della crescita economica.

La norma avrebbe dovuto dare attuazione a quanto stabilito dall'art. 5 l. professionale (ora soppresso). Tuttavia, a dispetto di quanto previsto nel comma 2 lett. a), secondo cui si sarebbe dovuto prevedere che «l'esercizio della professione forense in forma societaria sia consentito esclusivamente a società di persone, società di capitali o società cooperative i cui soci siano avvocati iscritti all'albo» la nuova norma, pur vietando la partecipazione societaria tramite società fiduciarie, trust o per interposta persona, ha previsto la partecipazione degli avvocati iscritti all'albo per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, ammettendo nella medesima misura la partecipazione di avvocati iscritti all'albo e altri professionisti iscritti in albi di altre professioni.

La disposizione prevede implicitamente la possibilità che fino al limite del restante terzo, alla società possano partecipare soci non professionisti e, quindi, anche di capitale.

La nuova disciplina delle Sta, concepita allo scopo di favorire la creazione di sinergie con altre categorie professionali ampliando le opportunità di mercato, presenta numerose criticità, puntualmente evidenziate dal C.N.F. e dall'O.C.F. (Organismo Congressuale Forense) in un documento congiunto del 12 giugno 2017, diffuso ai Consigli degli ordini territoriali. La maggiore preoccupazione riguardava e riguarda il rischio che la presenza, pur minoritaria (nei limiti di un terzo) dell'ingresso di soci di capitale non professionali possa seriamente pregiudicare l‘autonomia e l'indipendenza nell'esercizio della professione forense e mortificare le legittime aspettative dei cittadini nei confronti degli avvocati «in quanto custodi di fondamentali garanzie di tutela di tutti i diritti, e non certo degli interessi dei cosiddetti poteri forti». È stato evidenziato come l'ingresso di soci di capitale (come tali interessati per definizione soltanto all'accrescimento del capitale investito e alla ripartizione degli utili) ponga la Sta in una prospettiva nella quale gli interessi da difendere e il tempo dedicato alla difesa possano dipendere esclusivamente dalla redditività che cause e consulenze possono apportare alla società, con il rischio che le logiche di mercato condizionino la libertà dell'avvocato nell'assunzione del mandato professionale.

Le Sta non costituiscono un genere autonomo, ma appartengono alle società tipiche disciplinate dal codice civile e restano, pertanto, soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto, salve unicamente le deroghe e le integrazioni espressamente previste dalla normativa speciale (art. 4-bis l. professionale).

L'esercizio della professione forense è consentito sia nella forma di società di persone, di società di capitali e di società cooperative (comma 1)

Sarà, quindi, senz'altro possibile costituire una Sta in forma di S.R.L. con capitale compreso tra 1 e 10.000 euro, in quanto le S.R.L. rientrano tra i tipi sociali espressamente previsti.

Nella maggior parte dei casi, gli avvocati avranno interesse a conferire in società la propria opera professionale, tuttavia, ciò non esclude che gli stessi possano limitare il proprio conferimento al denaro o ad altri beni che risultino funzionali al perseguimento degli interessi sociali. In quest'ultimo caso, l'avvocato resterà libero di prestare o meno la propria opera professionale a favore della società, negoziando ogni incarico, nel rispetto del divieto di concorrenza.

Nel caso in cui, invece, l'avvocato intenda conferire la propria opera, egli assumerà la posizione di socio d'opera, ammissibile tanto nelle società di persone (artt. 2263, comma 2, e 2295, n. 7 c.c.), quanto nelle S.R.L. (art. 2464, comma 6, c.c.). Nelle Spa, invece, la prestazione d'opera professionale potrà formare oggetto o di prestazione accessoria ai sensi dell'art. 2345 c.c., o di apporto eseguito a fronte dell'emissione di strumenti finanziari ai sensi dell'art. 2346, comma 6, c.c.

Nel caso in cui i soci optino per il modello della società per azioni, la prestazione tecnica, che può formare oggetto di prestazioni accessorie ex art. 2345 c.c., si aggiunge all'obbligo di eseguire anche un versamento a titolo di conferimento.

È stato ritenuto possibile che l'avvocato possa conferire in società anche l'avviamento dello studio legale, inteso come andamento medio del fatturato del singolo professionista che svolgerà la propria attività in forma societaria. Nonostante la natura personale del rapporto fiduciario che caratterizza il contratto d'opera professionale, la giurisprudenza ha considerato lecito e valido un contratto di trasferimento a titolo oneroso di uno studio legale, anche relativamente alla parte inerente la clientela. Per quest'ultima, infatti, secondo la Suprema Corte, è configurabile non una cessione in senso tecnico (stante il carattere personale e fiduciario del rapporto tra prestatore d'opera intellettuale e cliente e la conseguente necessità del conferimento dell'incarico da parte del cliente medesimo al cessionario) ma un complessivo impegno del cedente volto a favorire la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il soggetto subentrante attraverso l'assunzione di obblighi positivi di fare, quali il compimento di un'attività promozionale di presentazione e canalizzazione, e negativi di non fare, quali il divieto di esercitare la medesima attività nello stesso luogo (Cass. civ., Sez. II, 9 febbraio 2010, n. 2860).

La Sta dovrà essere iscritta in una apposita sezione speciale dell'albo tenuto presso l'ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede, rendendo disponibile la documentazione analitica, per l'anno di riferimento, relativa alla compagine sociale (comma 1). Necessariamente, ogni variazione della ragione o denominazione sociale, dell'oggetto sociale, della sede legale, del nominativo del legale rappresentante, dei nomi dei soci iscritti, nonché degli eventuali soci iscritti presso albi o elenchi di altre professioni, le deliberazioni che importano modificazioni dell'atto costitutivo o dello statuto e le modifiche del contratto sociale, che importino variazioni della composizione sociale, andranno comunicate all'ordine, il quale provvederà alle relative annotazioni nella sezione speciale dell'albo.

Il comma 2, lett. b) e c), prevede che la maggioranza qualificata (almeno 2/3) dei membri dell'organo di gestione debba essere composta da avvocati iscritti all'albo (o altri professionisti) e che i componenti dell'organo di gestione debbano appartenere esclusivamente alla compagine sociale. Tali disposizioni, pur impedendo che la società possa essere controllata dai soci non professionisti (ai quali comunque non è stato sottratto il diritto di voto) non impedisce che ad amministrare la società possa essere un socio non professionista (amministratore delegato, o componente con i più ampi poteri gestori).

Nella disciplina delle Sta non è rinvenibile un divieto assoluto di attribuire l'incarico di amministratore ai soci con finalità di investimento. L'incarico di amministratore può, quindi, essere attribuito anche ad un soggetto diverso dal socio avvocato, purché non estraneo alla società e purché la maggioranza dei membri dell'organo di gestione sia composta da soci avvocati. Per gli avvocati soci e/o amministratori che abbiano assunto l'obbligo di conferire la propria opera professionale, si porranno i problemi connessi al divieto di concorrenza e relativi agli eventuali contratti conclusi dall'amministratore in conflitto d'interesse.

È stato segnalato come pur restando la riserva legale della maggioranza dei 2/3 del capitale sociale e dei consensi esprimibili nelle decisioni dei soci ai soci professionisti, trovino applicazione integrale le altre regole sulla determinazione delle maggioranze decisionali proprie del modello societario prescelto, compresa quella eventuale che consente di prevedere nei patti sociali o nello statuto quorum decisionali superiori ai due terzi, rendendo in tal modo necessario il concorso dei soci di capitale nell'adozione delle decisioni dei soci.

Tra le clausole statutarie obbligatorie vi è la previsione che in ogni caso il numero dei soci professionisti e la loro partecipazione al capitale sociale deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci; il venir meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società e il consiglio dell'ordine presso il quale è iscritta la società dovrà procedere alla cancellazione della stessa dall'albo, salvo che la società non provveda a ristabilire il quorum dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi.

Il comma 3 prevede come anche nel caso di esercizio della professione forense in forma societaria resti fermo il principio della personalità della prestazione professionale. La disposizione implica che la prestazione professionale possa essere eseguita solo da un avvocato in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento dello specifico incarico richiesto dal cliente. La prestazione professionale, tuttavia, sarà l'oggetto di un'obbligazione imputabile alla società. I cliente stipulerà il contratto d'opera professionale con la società e non con il singolo professionista socio. In caso di recesso o di cessione della propria partecipazione da parte del professionista incaricato, sarà quindi la società a dover garantire la continuità nell'espletamento dell'incarico, designando un nuovo avvocato ed in caso di inadempimento sarà la società a risponderne.

Il C.N.F. e l'O.C.F. hanno evidenziato come la norma preveda un regime della responsabilità da parte del professionista che ha eseguito la singola prestazione del tutto abnorme rispetto a quella del socio di puro capitale. Quest'ultimo, infatti, potrà godere delle limitazioni patrimoniali in caso di risarcimento di eventuali danni, mentre l'avvocato che effettuerà la prestazione sarà soggetto a responsabilità piena ed illimitata (comma 4).

Appare del tutto evidente come l'aver consentito l'ingresso di meri soci finanziatori nella compagine e negli organi sociali limiti l'autonomia decisionale dei professionisti i quali soli possono rendere le specifiche prestazioni professionali e delle quali assumono la responsabilità di fronte al cliente. Si è evidenziato come, concretamente, i finanziatori potranno decidere se e come assistere un cliente mentre gli effetti di una decisione sconsiderata ricadranno sugli avvocati, dal momento che non i primi, bensì i secondi, sono tenuti a rendere la prestazione professionale, assumendone la responsabilità professionale piena (rispetto alla quale, quanto all'ammontare di un eventuale risarcimento, non può essere invocata la limitazione patrimoniale della quale, invece, godono le società di capitali e i loro meri finanziatori).

Il comma 6 della norma in esame prevede che le Sta siano tenute al rispetto del codice deontologico e siano soggette alla competenza disciplinare dell'ordine di appartenenza (leggasi C.D.D. al quale compete la potestà disciplinare ex art. 50, comma 1 l. professionale).

L'art. 8 del codice deontologico forense aveva già previsto che le norme in esso contenute trovassero applicazione anche nei confronti delle Sta, in quanto compatibili (comma 1) e che la responsabilità disciplinare della società concorra con quella del socio quando la violazione deontologica commessa da quest'ultimo sia ricollegabile a direttive impartite dalla società (comma 2).

L'irrogazione di sanzioni disciplinari interdittive, quali la sospensione o la radiazione, nei confronti del professionista socio comporterà l'interruzione dei giudizi a lui affidati anche se il rapporto contrattuale si sia instaurato tra cliente e società. La società dovrà provvedere a sostituire il professionista cui era affidato l'incarico.

La sospensione, la radiazione o la cancellazione costituiscono cause di esclusione dell'avvocato dalla società.

Nel caso in cui sia la società a venir sanzionata disciplinarmente, le liti dovrebbero poter proseguire tramite il singolo professionista che ha ricevuto la procura e sia rimasto estraneo al provvedimento disciplinare che colpisce la società. Si è osservato come, in tale ipotesi, il cliente non sarà tenuto a versare i compensi alla società perché divenuto impossibile l'adempimento del contratto da parte della stessa. La società, benché sospesa o radiata, continuerà ad esistere e resterà titolare, verso il cliente, solo del diritto di credito relativo all'attività svolta sino a quel momento.

Come premesso, la novella ha introdotto una disciplina frammentaria e lacunosa che presenta non poche criticità.

Mentre il soppresso art. 5 l. professionale prevedeva espressamente che il reddito prodotto dalle società tra avvocati dovesse essere considerato reddito da lavoro autonomo sia ai fini fiscali che previdenziali, la novella non ha previsto né quale inquadramento fiscale debbano avere i redditi della Sta, né quale regime fiscale sia applicabile (criterio di competenza o per cassa).

È utile considerare che, stando all'opinione diffusa degli studiosi, l'incertezza sul regime fiscale ha rappresentato e rappresenta il deterrente più significativo al decollo delle società tra professionisti (S.T.P. di cui all' art. 10, l. 183/2011).

Non è stato disciplinato, inoltre, il delicato profilo del trattamento previdenziale e dei rapporti con la casse professionali, la cui elaborazione è tecnicamente complessa e richiede una attenta ponderazione degli effetti sugli equilibri patrimoniali delle casse e sui diritti previdenziali degli iscritti. Poiché è parso incongruo che dette società siano tenute all'iscrizione alla Cassa Forense, nel silenzio della norma, vi è da chiedersi se le fatture della società dovranno esporre l'ordinario 4% C.P.A. Si è giustamente osservato che se così non fosse, le Sta sarebbero in grado di attuare un significativo ribasso rispetto a quanto richiesto dai professionisti che, operando individualmente, sono tenuti, invece, ad applicare detta aliquota.

Parimenti, non è chiaro se il professionista-socio (che trarrà la propria remunerazione non dai compensi percepiti ma dai dividendi) dovrà calcolare la propria contribuzione previdenziale sulla base del fatturato della società ovvero sulla base dei dividendi stessi. Se valesse la seconda ipotesi, potrebbe emergere qualche effetto distorsivo della concorrenza, quanto meno perché i dividendi dovranno essere riconosciuti anche al socio di capitale, così da abbattere, in ragione dell'ammontare della partecipazione di quest'ultimo, la base previdenziale imponibile e da favorire, anche in tal caso, la richiesta di compensi più bassi. Nulla è precisato sul regime previdenziale dei compensi agli amministratori, ovvero se andranno pagati all'INPS o alla Cassa Forense.

Non è stata prevista alcuna regolamentazione della crisi della società tra avvocati. L'art. 5, comma 2 lett. m) l. professionale (escludendo la possibilità che alla società potessero partecipare soci di capitale) prevedeva, invece, espressamente che l'esercizio della professione forense in forma societaria non costituisse attività d'impresa e che, conseguentemente, la Sta non fosse soggetta al fallimento e alle procedure concorsuali diverse da quelle di composizione delle crisi da sovra indebitamento.

Manca del tutto una compiuta disciplina delle società c.d. multidisciplinari che pongono questioni tecniche complesse, fra l'altro, con riferimento al riparto di competenze tra i vari ordini professionali e alla soggezione dei relativi ordinamenti.

Manca la disciplina della ragione sociale e della sorte di essa in caso di cessazione dalla qualità di socio (per decesso o altre cause); non è stato previsto che la ragione sociale debba contenere l'indicazione società tra avvocati, consentendo dunque la costituzione di società che potrebbero ingenerare confusione nel cliente.

Manca la disciplina degli obblighi di informazione della società nei confronti del cliente, che dovrebbe consentirgli di scegliere, nell'ambito delle professionalità presenti, a quale avvocato affidarsi.

Ancora, manca la disciplina che eviti conflitti di interessi e limiti la società tra avvocati nella possibilità di influenzare il voto dei professionisti afferenti, nelle elezioni dei Consigli dell'ordine e del Consiglio nazionale.

Non è previsto il divieto di stabilire nei patti sociali o nello statuto quorum decisionali superiori ai due terzi, rendendo in tal modo necessario il voto dei soci di capitale nell'adozione delle decisioni.

art. 4-bis - Esercizio della professione forense in forma societaria

1. L'esercizio della professione forense in forma societaria è consentito a società di persone, a società di capitali o a società cooperative iscritte in un'apposita sezione speciale dell'albo tenuto dall'ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società; presso tale sezione speciale è resa disponibile la documentazione analitica, per l'anno di riferimento, relativa alla compagine sociale. È vietata la partecipazione societaria tramite società fiduciarie, trust o per interposta persona. La violazione di tale previsione comporta di diritto l'esclusione del socio.

2. Nelle società di cui al comma 1:

a) i soci, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere avvocati iscritti all'albo, ovvero avvocati iscritti all'albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni; il venire meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società e il consiglio dell'ordine presso il quale è iscritta la società procede alla cancellazione della stessa dall'albo, salvo che la società non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi;

b) la maggioranza dei membri dell'organo di gestione deve essere composta da soci avvocati;

c) i componenti dell'organo di gestione non possono essere estranei alla compagine sociale; i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori.

3. Anche nel caso di esercizio della professione forense in forma societaria resta fermo il principio della personalità della prestazione professionale. L'incarico può essere svolto soltanto da soci professionisti in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione professionale richiesta dal cliente, i quali assicurano per tutta la durata dell'incarico la piena indipendenza e imparzialità, dichiarando possibili conflitti di interesse o incompatibilità, iniziali o sopravvenuti.

4. La responsabilità della società e quella dei soci non esclude la responsabilità del professionista che ha eseguito la specifica prestazione.

5. La sospensione, cancellazione o radiazione del socio dall'albo nel quale è iscritto costituisce causa di esclusione dalla società di cui al comma 1.

6. Le società di cui al comma 1 sono in ogni caso tenute al rispetto del codice deontologico forense e sono soggette alla competenza disciplinare dell'ordine di appartenenza.

(Segue). L'obbligo del preventivo in forma scritta (art. 13, comma 5)

La l. 124/2017, abrogando dalla norma in esame le parole a richiesta ha reso obbligatorio per l'avvocato comunicare sempre al cliente il preventivo in forma scritta. La norma prevedeva già che l'avvocato, in ossequio ai principio di trasparenza, e al dovere deontologico d'informazione previsto dall'art. 27, comma 2 C.D.F., dovesse rendere noto al cliente o alla parte assistita la prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale. L'informazione poteva, tuttavia, avvenire anche solo verbalmente, salvo che il cliente facesse espressa richiesta di ricevere il preventivo in forma scritta. Il mancato assolvimento del dovere deontologico avrebbe potuto comportare l'irrogazione della sanzione dell'avvertimento.

Dal 29 agosto 2017, il preventivo, anche quando non richiesto, dovrà essere sempre comunicato e redatto in forma scritta.

Il legale dovrà redigere il preventivo prevedendo la misura del costo della propria prestazione professionale, secondo una valutazione unilaterale effettuata in base a quanto riferitogli o richiesto dal cliente. Il preventivo è uno strumento per predeterminare il costo della prestazione professionale che costituisce, giuridicamente, una proposta di contratto. Perché diventi contratto, e quindi vincolante, occorrerà che sia accettato oppure che venga sottoscritto un successivo contratto.

L'avvocato dovrà fornire al cliente tutte le informazioni utili relative agli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico, sia comunicare per iscritto la prevedibile misura del costo della prestazione.

La violazione dell'obbligo di preventivare i costi del giudizio non comporterà alcuna conseguenza per la liquidazione del compenso dell'avvocato. Non è infatti prevista alcuna sanzione civilistica che infici il contratto professionale. Tale circostanza potrà, semmai, orientare il giudice in modo difforme rispetto alla richiesta nella determinazione del quantum del compenso dovuto sulla base dei parametri stabiliti dal d.m. 55/2014 (art. 13, comma 6, l. professionale).

L'inosservanza dell'obbligo, in quanto contrario al principio di trasparenza nel rapporto tra cliente e avvocato, potrà invece esporre l'avvocato ad un'eventuale azione di risarcimento danni da parte del cliente, oltre che a procedimento disciplinare per violazione dell'art. 27, comma 2 C.D.F. (norma che dovrà essere uniformata al nuovo disposto legislativo, anche se, ex art. 2, comma 4, l. professionale «L'avvocato nell'esercizio della sua attività è soggetto alla legge e alle regole deontologiche» e, quindi, anche ogni violazione di legge è suscettibile di valutazione deontologica).

Certo è ben difficile pensare che nel rapporto fra cliente e avvocato, geneticamente fondato sulla fiducia (salvo le difese officiose), già al primo incontro, sia l'uno che l'altro debbano pensare di mettersi al riparo da possibili future azioni dell'uno nei confronti dell'altro (ma è la “concorrenza”, bellezza!).

Appare, inoltre, evidente la difficoltà di vincolare, per iscritto, la misura di una prestazione spesso destinata a mutare nel tempo e divenire più o meno complessa a causa di fattori né prevedibili, né ipotizzabili al momento del conferimento dell'incarico. Predisporre e svolgere una difesa per l'avvocato non è esattamente come progettare un edificio per un ingegnere.

Specie in materia penale, nel rispetto dei principi deontologici di diligenza, competenza, lealtà e correttezza, l'avvocato dovrà fare molta attenzione prima di accettare un incarico e predeterminare il costo della relativa prestazione, procedendo per singole fasi o, addirittura, per singoli atti. Occorrerà aggiornare continuamente il preventivo per renderlo aderente all'attività effettivamente da svolgere. Come si potrà redigere un preventivo all'atto del conferimento di un mandato difensivo per un procedimento in fase d'indagini quando ancora non sarà possibile sapere né la durata dell'incarico, né l'effettiva attività che potrà concretamente essere necessaria? Si pensi al caso in cui vengano disposte perquisizioni, sequestri, misure cautelari e si debbano, conseguentemente, attivare procedimenti di riesame, assistere ad interrogatori, compiere accessi alle cancellerie e al carcere. Quando ancora non sarà prevedibile, ovviamente, l'esito delle indagini, se sarà necessario svolgere indagini difensive, quale rito affrontare all'esito. Come è possibile redigere un preventivo per l'assistenza e la costituzione di una parte civile che si presenta al nostro studio con il decreto di citazione a giudizio senza che possiamo, preventivamente, accedere in cancelleria per valutare concretamente la mole di atti da studiare o senza conoscere le scelte processuali che potrà compiere l'imputato? Le difficoltà sono evidenti e rese ancor più gravose dalla necessità di doversi vincolare per iscritto con la deprecabile, quanto possibile, conseguenza di ridurre l'impegno nell'assolvimento della prestazione al fine di rispettare il preventivo.

È indubbio che si voglia sempre più assimilare l'attività professionale forense ad un'attività d'impresa, secondo logiche che non solo non le appartengono culturalmente (il rapporto fra cliente ed avvocato si fonda sulla fiducia: art. 11, comma 2 C.D.F.) ma che non sono concretamente adattabili al tipo d'impegno necessario, alle imponderabili variabili del quotidiano e soprattutto alla tutela dei diritti e degli interessi in campo (“L'avvocato deve adempiere fedelmente il mandato ricevuto, svolgendo la propria attività a tutela dell'interesse della parte assistita e nel rispetto del rilievo costituzionale e sociale della difesa” recita l'art. 10 del C.D.F. relativo al dovere di fedeltà).

Purtroppo, spesso gli avvocati che seguono le logiche e le dinamiche dl mercato incorrono in violazioni deontologiche, segno di una incompatibilità evidente tra l'avvocato e il professionista imprenditore.

Se davvero si fosse voluto privilegiare la tutela degli interessi dei clienti e degli assistiti in ossequio al principio di trasparenza e di affidamento non si sarebbero dovute abrogare le tariffe professionali (l. 27/2012), che offrivano un chiaro ed oggettivo parametro di determinazione e predeterminazione della prestazione riferita ad ogni singola attività compiuta o da svolgere. Lo stesso Parlamento europeo, già nel 2006, evidenziava come la concorrenza dei prezzi non regolamentata tra i professionisti legali, che conduce a una riduzione della qualità del servizio prestato, va a detrimento dei consumatori e come il mercato dei servizi legali sia caratterizzato dall'asimmetria dell'informazione tra avvocati e consumatori, tra cui le piccole e medie imprese, in quanto questi ultimi non dispongono dei criteri necessari per valutare la qualità dei servizi prestati. Difficilmente il cittadino/cliente sarà in grado di poter valutare, confrontando due diversi preventivi, se davvero quello più basso potrà garantirgli la prestazione migliore o viceversa.

L'utilizzo dei parametri di cui al d.m. 55/2014, resta oggi, più di ieri, il riferimento residuale nel caso in cui il compenso non sia stato determinato in forma scritta ed in ogni altro caso di mancata determinazione consensuale (art. 13, comma 6 l. professionale). Tuttavia, nulla vieta di far riferimento proprio ai parametri per la determinazione dei compensi nella redazione del preventivo (come suggerito dall'Organismo Congressuale Forense) dal momento che lo stesso art. 13, comma 7 l. professionale ha previsto che «i parametri sono formulati in modo da favorire la trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali e l'unitarietà e la semplicità nella determinazione dei compensi».

In conclusione

Vecchie questioni, rimaste inascoltate, si ripropongono: segno di una battaglia, forse definitivamente persa. Sin dal 2012, prima che l'avvocatura riuscisse a “spuntare” sul fil di lana della legislatura una propria legge professionale, il Congresso nazionale forense straordinario intitolava: i diritti non sono merce (Milano, 23 e 24 marzo 2012).Sin da allora si voleva scongiurare che le società fra avvocati venissero aperte a soci di capitali, evidenziando il gravissimo rischio per la perdita della effettiva indipendenza ed autonomia del singolo professionista, e il pericolo che tale conformazione dell'attività professionale potesse facilitare il controllo degli studi legali da parte di capitale di sospetta provenienza e il perseguimento di finalità e d'interessi che potessero porsi in conflitto con il diritto all'effettività della difesa.

Il pericolo pareva essere stato scongiurato con l'approvazione della l. 247/2012 e da quanto previsto nell'art. 5.

I principi dettati dalla legge professionale in materia di regolamentazione della società tra avvocati sono stati invece traditi dalla l. 124/2017 che consente, seppur nel limite di un terzo, la partecipazione di soci non professionisti e quindi anche di soci di capitale.

La novella si discosta radicalmente dai principi ispiratori della legge professionale subordinando la funzione sociale dell'avvocatura, che si esplica nella difesa dei diritti, costituzionalmente garantita, alle logiche di redditività e al perseguimento di finalità meramente economiche.

La regolamentazione contenuta nell'art. 4-bis della l. professionale è, lacunosa e poco attenta alla specificità della funzione difensiva (specie di quella in ambito penale) determinando un inaccettabile condizionamento dei principi e doveri deontologici di indipendenza, autonomia, riservatezza e del segreto professionale. L'art. 3, l. 247/2012 ha previsto che le norme deontologiche ponessero al centro dei comportamenti dell'avvocato i cittadini, garantendo e tutelando non solo gli assistiti e i clienti dell'avvocato ma l'affidamento dell'intera collettività. La specificità della funzione difensiva e il rilievo sociale della difesa imponevano ed impongono di riaffermare l'autonomia e l'indipendenza dell'avvocato, rimarcando la differenza della professione forense dall'attività d'impresa.

Guida all'approfondimento

I quaderni per la professione: la società per l'esercizio della professione forense (STA), a cura dell'Organismo Congressuale Forense;

I quaderni della professione: obbligo del preventivo, a cura dell'Organismo Congressuale Forense, 20 agosto 2017;

Le osservazioni del Consiglio nazionale forense e dell'Organismo congressuale forense al ddl concorrenza del 12 giugno 2017;

Circolare C.N.F. n. 18-C-2013 del 12.09.13;

C. TINELLI (a cura di), CNF: Le società fra avvocati – Work in progress, in www.re.camcom.gov.it

Risoluzione del Parlamento europeo sulle professioni legali e l'interesse generale nel funzionamento dei sistemi giuridici, 21 marzo 2006, in Dossier n. 3/2012, a cura di Ufficio studi CNF (materiali raccolti in occasione della riunione del comitato organizzatore del congresso nazionale forense), pagg. 175 ss.

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