Il ricorso personale dell'imputato in Cassazione dopo la l. 103/2017. Prime questioni di legittimità costituzionale

Cristina Ingrao
09 Ottobre 2017

La questione attiene al potere dell'imputato di proporre personalmente ricorso per cassazione e trae origine dalle modifiche apportate in materia dalla recente legge di riforma del processo penale, n. 103 del 2017. Nella specie, l'art. 1, comma 54, della c.d. legge Orlando, nel corpo dell'art. 571, comma 1, c.p.p., che disciplina l'impugnazione dell'imputato, ha anteposto alla previsione secondo la quale l'imputato può proporre impugnazione personalmente o per mezzo di procuratore speciale la clausola di esclusione "alvo quanto previsto per il ricorso per cassazione dall'art. 613, comma 1.
Massima

La Sesta Sezione della Corte di cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la questione della illegittimità costituzionale dell'art. 613, comma 1, c.p.p., nella formulazione introdotta dalla l. 103 del 2017, per violazione degli artt. 111, comma 7, Cost. e 13 Cedu.

Il caso

La Corte di appello di Milano disponeva la consegna all'autorità giudiziaria tedesca del ricorrente, in virtù del mandato di arresto europeo processuale per il reato di contributo all'evasione fiscale (art. 370, comma 1, nn. 1 e 3, cod.pen. ted.), commesso tra il 2009 ed il 2011, per un totale di 14 casi a Freising (Germania).

La stessa Corte di appello, ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. c), della l. 69/2005, subordinava la consegna alla condizione che lo stesso ricorrente, dopo essere ascoltato, venisse rinviato in Italia per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privativa della libertà personale eventualmente pronunciata nei suoi confronti dallo Stato tedesco.

L'imputato personalmente ricorreva per cassazione avverso tale sentenza e deduceva la questione di legittimità costituzionale della l. 23 giugno 2017, n. 103, nella parte in cui ha soppresso nell'art. 613, comma 1, c.p.p. l'inciso salvo che la parte non vi provveda personalmente; in subordine, chiedeva l'annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguenziale statuizione di legge.

La novella legislativa, secondo il ricorrente, viola il diritto costituzionalmente sancito dell'imputato alla autodifesa mediante la proposizione personale del ricorso per cassazione.

Nel decidere in merito alla eccezione di legittimità costituzionale del nuovo art. 613 c.p.p., la Suprema Corte afferma la correttezza della integrale applicazione nel caso di specie, così come prospettato dal ricorrente, della nuova disciplina, essendo stata la sentenza impugnata adottata in data successiva all'entrata in vigore della legge di riforma.

Tuttavia, la questione relativa alla eccezione di incostituzionalità proposta dal ricorrente viene, dalla Corte di legittimità, dichiarata manifestatamente infondata ed il ricorso dichiarato inammissibile, perché, appunto, proposto personalmente dall'interessato.

La questione

La questione attiene al potere dell'imputato di proporre personalmente ricorso per cassazione e trae origine dalle modifiche apportate in materia dalla recente legge di riforma del processo penale, n. 103 del 2017.

Nella specie, l'art. 1, comma 54, della c.d. legge Orlando, nel corpo dell'art. 571, comma 1, c.p.p., che disciplina l'impugnazione dell'imputato, ha anteposto alla previsione secondo la quale l'imputato può proporre impugnazione personalmente o per mezzo di procuratore speciale la clausola di esclusione salvo quanto previsto per il ricorso per cassazione dall'art. 613, comma 1.

Il comma 55 del medesimo articolo ha, poi, soppresso nell'incipit dell'art. 613, comma 1, c.p.p., che preclude la sottoscrizione del ricorso ai difensori non iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione, le parole: salvo che la parte non vi provveda personalmente.

Ci si chiede, pertanto, a seguito di tale duplice incisione: può l'imputato proporre ricorso per cassazione personalmente?

Le soluzioni giuridiche

Come anticipato, la Suprema Corte dichiara manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente e inammissibile il ricorso dallo stesso proposto, in quanto da lui presentato personalmente.

Tale decisione deriva da una serie di considerazioni.

In primo luogo, dalla lettura della relazione illustrativa al disegno di legge e degli atti del dibattito parlamentare emerge chiaramente come l'intervento di riforma sia volto ad evitare la proposizione di ricorsi in cassazione vocati spesso alla declaratoria di inammissibilità per carenza dei necessari requisiti di forma e di contenuto, in ragione della obiettiva incapacità del ricorrente di individuare i vizi di legittimità del provvedimento impugnato in un giudizio connotato da uno spiccato tecnicismo.

Inoltre, si vuole evitare che la previsione che consente il ricorso personale in cassazione possa essere strumentalizzata per eludere il contenuto precettivo dell'art. 613, comma 1, c.p.p., attraverso la predisposizione, da parte del difensore non abilitato al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori, del ricorso e la sottoscrizione dello stesso da parte dell'imputato.

A causa dell'elevato numero dei ricorsi incardinati ogni anno, il Legislatore della riforma ha, pertanto, ritenuto di garantire maggiore efficacia ed efficienza al controllo di legittimità ed alla funzione nomofilattica attribuita alla Corte di cassazione, riducendo il numero delle sopravvenienze destinate a quasi certa declaratoria di inammissibilità, perché prive dei requisiti richiesti.

La questione di costituzionalità proposta dal ricorrente è, pertanto, rilevante.

L'art. 22 della l. 69 del 2005, invero, contempla espressamente la legittimazione della persona interessata a presentare personalmente ricorso per cassazione contro i provvedimenti che decidono sulla consegna.

Tuttavia, la Suprema Corte ritiene che tale previsione sia stata abrogata, ancorché tacitamente, per la incompatibilità del suo contenuto precettivo con il principio derivante dalle previsioni attuali degli artt. 613, comma 1, e 571, comma 1, c.p.p.

Nella formulazione previgente l'art. 613 c.p.p. era, infatti, considerato, secondo una interpretazione consolidata, come norma meramente ricognitiva della facoltà di proposizione personale dell'impugnazione, che l'art. 571, comma 1, c.p.p. attribuiva al solo imputato. Pertanto, configurandosi tale norma, quale deroga alla regola generale della rappresentanza tecnica, non poteva operare nei confronti di soggetti processuali che, diversi dall'imputato, non risultassero nella stessa contemplati.

Nel contesto della disciplina attuale, invece, l'art. 613 c.p.p., in ragione dell'inciso inserito nella disposizione dell'art. 571, comma 1, c.p.p., muta radicalmente la propria funzione. Questa, infatti, diviene costitutiva e l'art. 613 c.p.p. citato assurge a norma di esclusione, espressa e generalizzata, della sottoscrizione personale del ricorso per cassazione per l'imputato ed i soggetti al medesimo legislativamente equiparati.

La valenza universale conferita dal Legislatore al principio della rappresentanza tecnica nel giudizio di legittimità, mediante la modifica della disciplina generale per la proposizione del ricorso per cassazione in materia penale, induce, pertanto, a ritenere che lo stesso debba essere ritenuto operante anche con riferimento a tutte le ulteriori ipotesi di ricorso per cassazione proponibile dall'imputato o da altri soggetti processuali e, pertanto, anche al ricorso presentato, avverso le decisioni in materia di consegna, ai sensi dell'art. 22 della l. 69/2005, dall'interessato.

Nel silenzio della legge, la dottrina e la giurisprudenza di legittimità sono, peraltro, unanimi nel ritenere che la previsione dell'art. 22 l. 69/2005, per il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti che decidono sulla consegna, debba essere integrata mediante il rinvio alla disciplina generale del giudizio di legittimità.

Non vi sono, del resto, plausibili ragioni, sotto il profilo funzionale, per ritenere che il ricorso formulato ai sensi dell'art. 22 l. 69/2005 citato debba essere escluso dall'ambito applicativo dell'art. 613 c.p.p. per la presentazione del ricorso in cassazione. Tale norma, infatti, è posta a garanzia di un razionale ed equilibrato esercizio della funzione di nomofilachia riservata alla Corte di cassazione dalla Costituzione e dall'art. 65 ord. giud., mediante la selezione delle capacità tecniche dei soggetti legittimati alla presentazione della impugnazione. La stessa ratio sussiste anche con riguardo al ricorso in cassazione contro i provvedimenti che decidono la consegna nella trama della disciplina del mandato di arresto europeo.

L'art. 22 l. 69/2005 citato, nella parte in cui attribuisce la legittimazione al ricorso personale del soggetto interessato, peraltro, non gode di uno statuto sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria e, pertanto, è suscettibile di essere implicitamente abrogato da una norma di legge posteriore, che si riveli incompatibile con lo stesso.

La decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea del 2002, relativa al mandato d'arresto europeo ed alle procedure di consegna tra Stati membri, infatti, non contempla alcuna previsione espressa in ordine all'esercizio del diritto di autodifesa innanzi alla Corte di ultima istanza nella procedura del mandato di arresto europeo e, pertanto, nessun vincolo alla discrezionalità del Legislatore ordinario, derivante dal diritto eurounitario, è ravvisabile sul punto.

Il Legislatore italiano, del resto, nel delineare la disciplina del mandato di arresto europeo con la legge del 2005, ha rivisitato integralmente la materia, interpretando in senso estensivo gli ambiti di discrezionalità che la decisione quadro aveva riservato ai Legislatori nazionali.

La previsione del sindacato della Corte di cassazione esteso anche al merito, nella ipotesi delineata dall'art. 22 l. 69/2005, non muta i tratti strutturali di tale giudizio, che è incardinato, trattato e deciso nelle forme proprie del giudizio di legittimità. Il ricorso per cassazione contro la sentenza con la quale è disposta la consegna allo Stato che ha emesso il mandato di arresto europeo è, infatti, soggetto alla disciplina che caratterizza il ricorso come impugnazione e non come gravame di merito.

Secondo la Corte, pertanto, non sussistono ragioni che possano indurre ad assimilare il ricorso presentato ai sensi dell'art. 22 della l. 69/2005 ai gravami di merito e non già al giudizio di legittimità, con la conseguente permanenza della legittimazione personale al ricorso.

La Corte costituzionale, peraltro, ha chiarito il ruolo, costituzionalmente necessario, che il giudizio di cassazione assume nel nostro sistema processuale.

La garanzia del giudizio di cassazione si qualifica, infatti, in funzione dell'art. 111 Cost., il quale, anche dopo la riforma operata della legge costituzionale 2 del 1999, continua a prevedere, quale nucleo essenziale del giusto processo regolato dalla legge, il principio secondo il quale contro tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale è sempre ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge.

Il carattere costituzionalmente imposto del controllo di legalità dell'operato dei giudici di merito mediante il ricorso in cassazione, tuttavia, non preclude la discrezionalità del Legislatore ordinario di conformare razionalmente l'esercizio di una simile garanzia e di rinvenire soluzioni, quali la esclusione della legittimazione personale alla impugnazione in sede di legittimità, al fine di garantire un migliore funzionamento della Corte di cassazione.

La giurisprudenza di legittimità ha, del resto, spesso, ribadito che, nel sistema del diritto processuale penale italiano, il Legislatore ha delineato un modello di esercizio del diritto di difesa e, conseguentemente, anche del diritto alla impugnazione differenziato per le varie fasi e tipologie di processi.

La necessità del ricorso alla rappresentanza tecnica per l'esercizio della impugnazione in cassazione, in ragione delle peculiari connotazioni di tale giudizio, è, peraltro, principio noto alla giurisprudenza della Corte costituzionale (v. Corte cost., 12 maggio 1988,n. 588).

Alla stregua di tali principi la esclusione della legittimazione dell'imputato a sottoscrivere personalmente il ricorso per cassazione non comporta alcuna limitazione del pieno esercizio del diritto di impugnazione, in quanto lo stesso può essere realizzato pur sempre mediante l'ausilio tecnico di un difensore appositamente legittimato. La previsione dell'art. 613, comma 1, c.p.p. non costituisce, pertanto, una espressione della discrezionalità legislativa manifestamente irragionevole, proprio in ragione delle approfondite conoscenze giuridiche e dell'elevato livello di qualificazione professionale che postula l'esercizio del diritto di difesa innanzi alla Corte di Cassazione.

Secondo la Suprema Corte la disposizione censurata incide, invero, sul diritto alla autodifesa del ricorrente e non già sulla titolarità del diritto al controllo di legittimità della decisione di merito, che permane immutata.

La disposizione in esame non si rivela, inoltre, in contrasto con le previsioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

La Cedu all'art. 6, comma 3, lett. c), sancisce, in particolare, il diritto dell'accusato di difendersi da sé o avere l'assistenza di un difensore di propria scelta.

La Corte Edu, unico soggetto legittimato ad interpretare le norme della convenzione, in molte pronunce (cfr. Corte Edu, Sez. III, 27 aprile 2006, Sannino c. Italia, § 48; Corte Edu, Sez. VI, 21 settembre 1993, Kremzow c. Austria) non ritiene, tuttavia, indefettibile il diritto alla autodifesa, né la presentazione personale del ricorso innanzi alle giurisdizioni superiori, posto che tale garanzia può essere soddisfatta anche mediante la previsione della sola difesa tecnica.

La giurisprudenza di legittimità, del resto, ha ritenuto in più pronunce che il principio della rappresentanza tecnica è compatibile con il diritto di ogni accusato di difendersi da sé, riconosciuto dall'art. 6 Cedu, norma che implica, solo nel giudizio di merito sull'accusa e non anche in quello di legittimità, l'obbligo di assicurare il diritto dell'accusato di contribuire con il difensore tecnico alla ricostruzione del fatto ed alla individuazione delle conseguenze giuridiche.

Osservazioni

Da quanto esposto emerge che la scelta del Legislatore della riforma è stata netta nel senso di eliminare il potere dell'imputato di proporre personalmente impugnazione con ricorso per cassazione; ciò in quanto l'elevato numero dei procedimenti definiti su ricorsi personali viene ancora oggi indicato come una delle concause dell'ingolfamento delle attività del giudice di legittimità.

Tuttavia, dubbi di costituzionalità sorgono in relazione al venir meno dell'impugnazione personale del detenuto anche in fase cautelare, in quanto, attraverso tale scelta legislativa, viene eliminata la possibilità del controllo di legalità ante condanna senza difesa tecnica.

In generale, l'esclusione della possibilità di impugnare personalmente, ormai riconosciuta anche dalla giurisprudenza con la sentenza in esame, avrà indubbiamente delle ripercussioni.

In particolare, quanto alle possibili conseguenze di tale eliminazione, è stato segnalato che l'esclusione del ricorso personale dell'imputato è possibile che possa determinare una lieve contrazione del numero di ricorsi, perché l'affidamento esclusivo del ricorso penale al ministero del professionista abilitato potrebbe anche dar luogo solo ad una discovery del reale autore del ricorso. Certo sarà, per tale via, un aumento di entrate per l'erario, considerata la necessità di far figurare il difensore come effettivo estensore del ricorso.

Ma se il beneficio che l'imputato può trarre dal ricorso per cassazione è superiore ai costi supplementari che egli deve mettere in conto, di sicuro l'onere economico ulteriore non costituirà un deterrente, così come la preclusione alla prescrizione in caso di impugnazione inammissibile non ha costituito un disincentivo alla proposizione dei ricorsi, che sono anzi aumentati costantemente nel tempo.

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