Come cambia il regime delle prove nelle azioni del danneggiato dopo la Legge Concorrenza

Giuseppe Sileci
11 Ottobre 2017

La Legge concorrenza ha modificato l'art. 135 cod. ass., aggiungendo i commi 3-bis, ter e quater che stabiliscono nuove preclusioni processuali quando i testimoni non sono stati indicati nei tempi e con le forme prescritte dalla legge.
Inquadramento

La legge n. 124 del 4 agosto 2017, pubblicata sulla G.U. del 14 agosto 2017 n. 189, ha inciso, modificandole, su numerose norme del Codice delle Assicurazioni e ne ha introdotte di nuove.

Ad un primo esame, si ha netta la sensazione che alcune di queste novità saranno foriere di molti dubbi interpretativi, anche a causa del testo legislativo non sempre particolarmente felice.

Ed in effetti già appare poco comprensibile la scelta del legislatore di inserire in un disegno di legge intitolato “Legge annuale per il mercato e la concorrenza” una serie di norme che non pare proprio abbiano tutta questa attinenza con la materia.

Tra queste vi sono quelle che saranno oggetto di approfondimento e che saranno esaminate congiuntamente perché accomunate dal fatto, invece, di interferire con alcune regole processuali.

Più nel dettaglio, l'art. 1 comma 15 della l. n. 124/2017 ha modificato l'art. 135 cod. ass., aggiungendo i commi 3-bis, ter e quater che stabiliscono nuove preclusioni processuali quando i testimoni non sono stati indicati nei tempi e con le forme prescritte dalla legge; il comma 20, invece, ha introdotto l'art. 145-bis intitolato «valore probatorio delle c.d. scatole nere e di altri dispositivi elettronici»; infine, il comma 24 ha inserito nel Codice delle Assicurazioni l'art. 149-bis intitolato «trasparenza delle procedure di risarcimento».

I nuovi limiti alla ammissibilità della prova testimoniale

Allo scopo di contrastare le frodi nel settore dell'assicurazione obbligatoria dei veicoli, l'art. 1 comma 15 della l. n. 124/2017 ha modificato l'art. 135 cod. ass. intitolato «Banca dati sinistri e banche dati anagrafe tributaria e anagrafe danneggiati».

Sono stati aggiunti, infatti, i commi 3-bis, ter e quater, il cui contenuto ha suscitato molte perplessità tra gli addetti ai lavori durante la discussione parlamentare del disegno di legge.

D'ora in avanti, infatti, dovrà essere disvelata immediatamente la esistenza di eventuali testimoni se si vorranno evitare alcune gravi conseguenze processuali.

In particolare, il comma 3-bis stabilisce che, nel solo caso di sinistri con danni a cose, la identificazione di eventuali testimoni sui luoghi dell'incidente deve risultare dalla denuncia di sinistro o comunque dal primo atto formale del danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione.

Dunque, poiché i conducenti dei veicoli coinvolti o, se persone diverse, i rispettivi proprietari, devono denunciare il sinistro al proprio assicuratore ai sensi dell'art. 143 cod. ass., l'onere di “identificare” i testimoni (ossia, pur nel silenzio della legge, di indicarli con le loro generalità complete) grava innanzitutto sull'assicurato.

In mancanza (questo sarebbe il senso della congiunzione “o” seguita dall'avverbio “comunque”), alla identificazione dovrà provvedere il danneggiato nel suo primo atto formale, e cioè, chiamando le cose con il loro nome, con la richiesta di risarcimento del danno di cui all'art. 145 cod. ass.

Nulla esclude, quindi, che le generalità dei testimoni siano indicate sia nella denuncia di sinistro che nella richiesta di risarcimento del danno e forse è proprio questo l'obiettivo perseguito dal legislatore.

Se l'assicurato o il danneggiato omettono di indicare i nominativi dei testimoni, la norma stabilisce che sia l'impresa di assicurazione a richiederli con lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Ma non è chiaro se l'assicuratore debba chiederlo all'assicurato ovvero al danneggiato ovvero ad entrambi; stando al tenore letterale della norma, laddove stabilisce che «in mancanza, (la identificazione di eventuali testimoni) deve essere richiesta dall'impresa di assicurazione con espresso avviso all'assicurato delle conseguenze processuali della mancata risposta», la richiesta andrebbe rivolta all'assicurato.

E ciò troverebbe conferma nel fatto che il termine di sessanta giorni, entro il quale l'assicuratore deve chiedere la indicazione dei nominativi dei testimoni, decorre dalla denuncia di sinistro, che è adempimento dell'assicurato.

Ma questa interpretazione non persuade affatto.

Intanto perché il legislatore, che era stato tanto pignolo nell'individuare il soggetto al quale l'impresa deve richiedere le informazioni (e cioè l'assicurato), torna ad essere generico quando, prevedendo il termine (sessanta giorni dal momento in cui è pervenuta la richiesta) entro il quale – sempre con lettera raccomandata con avviso di ricevimento – devono essere trasmessi i nominativi dei testimoni, individua il medesimo soggetto con la locuzione «la parte che riceve tale richiesta».

In secondo luogo perché, se l'impresa dovesse richiedere i nominativi di eventuali testimoni al solo assicurato, non avrebbe senso alcuno quanto ulteriormente stabilito dalla legge, e cioè che sia dato espresso avviso al destinatario della richiesta «delle conseguenze processuali della mancata risposta».

Poiché la sanzione, qualora l'identificazione dei testimoni sia avvenuta in un momento successivo, consiste nella inammissibilità della prova testimoniale (e dunque nella assoluta preclusione processuale di escutere i testi i cui nominativi siano stati irritualmente e/o intempestivamente comunicati), il destinatario della richiesta di integrazione e dell'avvertimento circa le conseguenze processuali derivanti dalla mancata risposta non può che essere innanzitutto proprio il danneggiato, cioè colui che ha un interesse primario alla istruzione della causa ed alla prova dei fatti che costituiscono l'imprescindibile presupposto della domanda giudiziaria, e non certo l'assicurato e tanto meno l'impresa di assicurazione, i quali avrebbero solo un vantaggio dalla omessa indicazione dei testimoni.

Nell'incertezza, sarà prudente che il danneggiato indichi i nominativi dei testimoni immediatamente, e cioè con lettera raccomandata con la quale chiede il risarcimento dei danni, ma soprattutto che l'impresa, nel caso di omissione da parte del danneggiato, compulsi “anche” quest'ultimo (e non solo l'assicurato) così da poter invocare la sanzione della inammissibilità, che scatterebbe non in ogni caso ma solo qualora «la parte che riceve» la richiesta di indicazione dei nominativi di eventuali testimoni non provveda nel termine di legge (e cioè sessanta giorni da quando ha ricevuto la richiesta).

L'obbligo di individuare e comunicare i nominativi di eventuali testimoni graverebbe anche sull'impresa di assicurazione, la quale – a mente del penultimo periodo del comma 3-bis – «deve procedere a sua volta all'individuazione e alla comunicazione di eventuali ulteriori testimoni entro il termine di sessanta giorni».

Ma non è chiaro da quando dovrebbe decorrere questo termine, a chi debbano essere comunicati i nominativi e quali siano le conseguenze ove l'impresa non vi provveda.

Sembrerebbe che la individuazione dei testimoni da parte dell'impresa sia solo consequenziale, nel senso che essa debba attivarsi solo se la parte (che riceve la richiesta di indicazione dei testimoni) ha trasmesso le generalità di eventuali testi e dunque il termine dovrebbe decorrere dal momento in cui è pervenuta la lettera raccomandata del danneggiato con le generalità dei testimoni; identica dovrebbe essere la sanzione qualora l'impresa di assicurazione abbia omesso di individuare e comunicare (al danneggiato e/o all'assicurato) eventuali testimoni: questi nominativi non potrebbero fare ingresso nel processo.

Nessuna preclusione, tuttavia, opererà qualora si tratti di testimoni che siano stati generalizzati nei verbali delle autorità di polizia intervenute sul luogo dell'incidente: saranno dunque sempre ammissibili le prove testimoniali che vertano su circostanze che le parti intendano dimostrare facendo escutere i testi le cui generalità risultino dal rapporto di incidente stradale della pubblica autorità.

Il comma 3-ter attribuisce al giudice il potere di non ammettere le testimonianze che non risultino acquisite secondo le modalità previste dal comma 3-bis.

Il giudice dovrà adottare i propri provvedimenti solo «sulla base della documentazione prodotta» e potrà disporre l'audizione dei testimoni che non sono stati indicati nei modi e nei tempi suddetti soltanto se «risulti comprovata l'oggettiva impossibilità della loro tempestiva identificazione»: francamente è difficile immaginare in quali casi la giurisprudenza ravviserà l'impossibilità oggettiva ma non è così remoto il rischio che gli effetti della norma possano essere neutralizzati nella sua concreta applicazione processuale.

Il comma 3-quater, infine, attribuisce al giudice il potere di trasmettere alla procura della Repubblica una apposita informativa «in relazione alla ricorrenza dei medesimi nominativi di testimoni presenti in più di tre sinistri negli ultimi cinque anni» e che risultino dalla banca dati sinistri di cui al comma 1 dell'art. 135 cod. ass. la norma, però, non si applica agli ufficiali ed agli agenti delle autorità di polizia.

Il Giudice dovrà trasmettere l'informativa “anche” su documentata segnalazione delle parti che, a tale fine, possono richiedere i dati all'IVASS, ma è abbastanza plausibile ritenere che questa trasmissione degli atti avverrà sempre su segnalazione di parte, apparendo abbastanza improbabile che un giudice possa avere notizia del nominativo di un testimone “abituale”.

Infine, più di un dubbio suscita il comma 3-quater circa il suo ambito di applicazione.

Mentre il comma 3-bis circoscrive ai soli sinistri con danni a cose le preclusioni processuali derivanti da una tardiva e/o irrituale identificazione dei testimoni, il 3-quater, facendo genericamente riferimento alle «controversie civili promosse per l'accertamento della responsabilità e per la quantificazione dei danni», sembra estendere la regola della segnalazione alla procura della Repubblica del testimone “abituale” a tutti i giudizi in materia di circolazione stradale.

I sospetti di incostituzionalità

Ma la norma, che ha avuto una “gestazione” particolarmente problematica perché introduce nell'ordinamento una preclusione processuale che – nonostante alcuni temperamenti – rischia di incidere sul diritto sostanziale del danneggiato di ottenere il risarcimento, quasi certamente sarà oggetto di vaglio da parte della Corte Costituzionale.

A prima vista, infatti, la disposizione sembrerebbe essere in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.

Potrebbe apparire di dubbia legittimità costituzionale innanzitutto la norma laddove circoscrive l'ambito di applicazione ai sinistri con soli danni a cose (con esclusione dei danni alla persona), in tal modo determinando una disparità di trattamento tra soggetti che abbiano subito ripercussioni dal medesimo fatto illecito.

L'art. 135 comma 3-bis cod. ass., poi, potrebbe conculcare il diritto ad una piena ed effettiva tutela giurisdizionale, la quale è tale non solo quando è garantito il principio del contraddittorio o, più in generale, è assicurato un giusto processo, ma anche quando è salvaguardato il diritto della parte di provare nel processo la fondatezza di un proprio diritto: anticipando, rispetto ai termini processuali entro i quali la parte ha l'onere di allegare i mezzi di prova di cui intende avvalersi, il momento in cui devono essere indicati i nominativi dei testimoni, si precluderebbe (o comunque si renderebbe più difficoltoso) l'esercizio in sede giudiziaria di un diritto.

A ben vedere, però, non sembra giustificato il sospetto di incostituzionalità per contrasto con l'art. 3: l'avere circoscritto l'ambito di applicazione di questa norma ai soli sinistri con danni a cose può avere una ragionevole spiegazione nella maggiore facilità per la parte danneggiata di avere immediata contezza della presenza di testimoni; non lo stesso potrebbe dirsi quando dal sinistro siano derivate lesioni, potendo le condizioni di salute del danneggiato rendere più difficoltoso – se non impossibile – la immediata individuazione di persone in grado di testimoniare.

Inoltre, potrebbe non ravvisarsi una disparità di trattamento anche per il differente rilievo dei beni in considerazione: un maggior rigore nei modi e nei tempi di indicazione dei testimoni potrebbe giustificarsi quando sono in gioco solo interessi di natura patrimoniale – tanto più se ciò persegue una finalità di carattere generale quale l'esigenza di contrastare il fenomeno delle frodi assicurative - e non quando, invece, sono in primo piano beni di rango primario e costituzionale quale la salute.

Ma anche il secondo profilo di illegittimità costituzionale per contrarietà all'art. 24 Cost. potrebbe non sussistere.

Per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, «l'art. 24, comma 1, Cost., garantisce la difesa in giudizio dei diritti soggettivi, considerati nella configurazione e nei limiti che ad essi derivano dal diritto sostanziale; in particolare dalla tutela assicurata dalla legge ad altri diritti e ad altri interessi, giudicati degni di protezione giuridica secondo criteri di reciproco coordinamento» (C. Cost. 16 giugno 1964 n. 42).

Dunque, il diritto alla tutela giurisdizionale può, in taluni casi, incontrare un limite nella previsione di restrizioni dei mezzi istruttori che – se non impongono un onere tale da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio del diritto - siano giustificate dalla necessità di salvaguardare altri diritti e/o interessi di carattere generale: e nella specie lo sarebbe senz'altro la finalità perseguita dalla norma, ossia contrastare il fenomeno delle frodi assicurative, il cui costo finisce per gravare sull'intera collettività attraverso la raccolta dei premi assicurativi.

In nome di questo scopo, cioè, potrebbe apparire costituzionalmente legittima la scelta del legislatore di subordinare l'ammissibilità della prova testimoniale nel processo civile (e non l'esercizio dell'azione, che rimane impregiudicato) alla preventiva e tempestiva indicazione dei nominativi dei testimoni da escutere: e d'altronde costituisce un precedente non trascurabile l'orientamento della Consulta, la quale – con due distinte pronunce – ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 139 cod. ass. nella parte in cui subordina la risarcibilità del danno biologico permanente di lieve entità all'accertamento strumentale obiettivo della lesione (C. Cost., ord. 26 novembre 2015 n. 242 e C. Cost., sent. 16 ottobre 2014 n. 235).

Peraltro, la previsione di un termine, entro il quale compiere un atto la cui omissione implichi una preclusione processuale o una decadenza, non è di per sé lesiva del diritto alla tutela giurisdizionale quando questo termine è congruo, ossia quando non renda meramente apparente o estremamente difficile la possibilità del suo esercizio (C. Cost., sent. 26 giugno 1973 n. 106; C. Cost., sent. 4 giugno 1975 n. 138).

E nella specie questa condizione sembra soddisfatta perché è prevista la possibilità di rimediare all'eventuale omissione (qualora i testimoni non siano stati indicati nella richiesta di risarcimento del danno) comunicando i nominativi entro il termine di sessanta giorni dal momento in cui perviene la richiesta da parte dell'impresa di assicurazione.

Inoltre, non è privo di rilievo sia il fatto che l'assicuratore deve richiedere la indicazione dei nominativi di eventuali testimoni entro sessanta giorni dalla denuncia di sinistro (in difetto dell'atto di impulso, infatti, l'escussione del testimone dovrebbe essere sempre ammissibile) sia l'obbligo di rendere edotto il destinatario della richiesta delle conseguenze processuali derivanti dalla “mancata risposta”.

Infine, e ciò anche nell'ottica del principio di parità processuale tra le parti, dovrebbe contribuire ad un positivo giudizio di costituzionalità della norma la ulteriore previsione di un analogo obbligo di individuazione e comunicazione posto a carico dell'impresa di assicurazione, la quale dovrà “svelare” i nominativi dei propri testimoni ben prima del processo, anche se non è chiaro quando.

Ma probabilmente può aiutare a sgomberare il campo da qualsivoglia sospetto di incostituzionalità una recente decisione della Consulta, la quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 145 comma 1 cod. ass. nella parte in cui subordina la proponibilità della domanda giudiziaria all'inutile spirare dello “spatium deliberandi”, che la norma fa decorrere dall'invio di una richiesta di risarcimento «con le modalità e i contenuti previsti dall'art. 148 cod. ass.» (C. Cost., sent. 3 maggio 2012 n. 111).

La Corte ha infatti escluso che «l'onere di conformazione della previa richiesta risarcitoria ex art. 145 ai contenuti prescritti dall'art. 148 cod. ass. menomi, sul piano sostanziale e processuale, la tutela del danneggiato».

E ciò perché «la normativa denunciata, coerente con la ratio e i principi della legge delega e della direttiva 2005/14/Ce sulla tutela del danneggiato, prevede prescrizioni formali al fine di rafforzare, e non già di indebolire, le possibilità di difesa offerte al danneggiato, attraverso il raccordo dell'onere di diligenza, a suo carico, con l'obbligo di cooperazione imposto all'assicuratore, il quale, proprio in ragione della prescritta specificità di contenuto della istanza risarcitoria, è tenuto alla formulazione di proposta adeguata nel quantum».

Ed allora la recente novella dell'art. 135 cod. ass., lungi dal costituire un vulnus alla tutela giurisdizionale, tenderebbe invece ad implementarla, rafforzando quei reciproci doveri di cooperazione tra danneggiato ed impresa di assicurazione già previsti quando il legislatore ha subordinato l'azione giudiziaria all'invio non di una qualsivoglia richiesta risarcitoria (come accadeva in passato) bensì di una lettera raccomandata il cui contenuto, soddisfacendo determinati standard normativamente predeterminati, metta in condizione l'assicuratore di liquidare il danno più rapidamente.

Semmai, occorrerà capire come si coordina la tempistica prevista dalla norma in esame con i tempi stabiliti dagli artt. 145 e 148 cod. ass.: è stato osservato, infatti, che il subprocedimento delineato dal novellato art. 135 cod. ass. «rallenterà di molto i tempi per definizioni stragiudiziali delle vertenze» (PENTA A., La rilevanza dei testimoni nella lotta al contrasto delle frodi assicurative, in Ridare.it) perché l'impresa di assicurazione potrebbe legittimamente rifiutarsi di formulare un'offerta qualora la richiesta di risarcimento non contenga i nomi dei testimoni e debba essere integrata: in tal caso, il termine potrebbe dilatarsi sino a non meno di 120 giorni.

Benché il rischio sia concreto, non può trascurarsi il fatto che già il Codice delle Assicurazioni prevedeva la possibilità che i termini rimanessero sospesi in caso di richiesta incompleta.

Dunque, non avrebbe motivo di dolersi il danneggiato se la liquidazione del danno tardasse per ragioni a lui imputabili, e cioè una richiesta risarcitoria non conforme al dettato normativo e – dopo la recente riforma – priva della indicazione dei testimoni.

La efficacia probatoria delle risultanze della scatola nera

Il comma 20 dell'art. 1 della l. n. 124/2017 (“Legge Concorrenza”) ha introdotto una nuova norma nel Codice delle Assicurazioni, l'art. 145-bis.

La disposizione è di estremo interesse perché il legislatore, nel duplice obiettivo di ridurre il contenzioso derivante dalle controversie in materia di circolazione stradale e di contenere il costo dei premi assicurativi, per un verso ha previsto che le imprese di assicurazioni pratichino uno sconto quando il veicolo installi meccanismi elettronici che ne registrano l'attività e per altro verso ha attribuito una particolare efficacia probatoria alle risultanze di questi dispositivi.

Più in particolare, a mente dell'art. 132-ter cod. ass., le imprese di assicurazione debbono applicare uno sconto, nei limiti di un regolamento che sarà emanato dall'Ivass, se al momento della stipula del contratto o di rinnovo ricorra almeno una delle seguenti condizioni:

a) nel caso in cui, su proposta dell'impresa di assicurazione, i soggetti che presentano proposte per l'assicurazione obbligatoria accettano di sottoporre il veicolo a ispezione da eseguire a spese dell'impresa di assicurazione;

b) nel caso in cui vengono installati, su proposta dell'impresa di assicurazione, o sono già presenti e portabili meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo, denominati "scatola nera" o equivalenti, ovvero ulteriori dispositivi, individuati, per i soli requisiti funzionali minimi necessari a garantire l'utilizzo dei dati raccolti, in particolare, ai fini tariffari e della determinazione della responsabilità in occasione dei sinistri, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione;

c) nel caso in cui vengono installati, su proposta dell'impresa di assicurazione, o sono già presenti, meccanismi elettronici che impediscono l'avvio del motore qualora sia riscontrato nel guidatore un tasso alcolemico superiore ai limiti stabiliti dalla legge per la conduzione di veicoli a motore.

Ai sensi dell'art. 145-bis cod. ass. invece, quando un veicolo, che installi uno dei dispositivi previsti dal comma 1 lett. b e c dell'art. 132-ter cod. ass., rimane coinvolto in un incidente stradale, le risultanze del dispositivo formano piena prova, nei procedimenti civili, dei fatti a cui esse si riferiscono.

L'efficacia probatoria privilegiata è estesa anche ai dispositivi elettronici già in uso alla data di entrata in vigore dell'art. 132-ter cod. ass., in quanto equiparabili.

La parte contro la quale le risultanze di questi dispositivi elettronici sono prodotte, tuttavia, può dimostrare il mancato funzionamento o la manomissione.

La norma potrebbe rivoluzionare l'accertamento delle responsabilità in materia di circolazione stradale perché, se si diffonderà l'uso di questi dispositivi e se questi saranno in grado di registrare un elevato numero di informazioni relative alla circolazione del veicolo, il giudice dovrà fondare la propria decisione unicamente valorizzando queste risultanze, le quali dovranno prevalere su ogni altro mezzo di prova.

Solo se la parte, contro la quale queste informazioni saranno utilizzate nel processo, riuscirà a dimostrarne la inattendibilità provando che il dispositivo non funzionava, il giudice non potrà tenerne conto e la causa dovrà essere decisa sulla base di tutte le emergenze istruttorie.

In altri termini, il legislatore, attribuendo alla risultanze dei dispositivi elettronici in questione il valore di prova piena, le ha elevate a prova legale e le ha sottratte al prudente apprezzamento del giudice (Cass. civ., sez. II, sent. 16 marzo 2017 n. 6852; Cass. civ., sez. Lav., sent. 16 maggio 2000 n. 6347; Cass. civ., sez. III, sent. 12 maggio 1999 n. 4687; Cass. civ., Sez. Un., sent. 14 dicembre 1999 n. 898).

Sembra necessaria una puntualizzazione, però: se ad esempio il dispositivo non avrà registrato alcun evento “crash” alla data ed all'ora dell'evento e se l'impresa di assicurazione, costituendosi, contesta che il veicolo sia rimasto coinvolto in un sinistro, il giudice non potrà ugualmente ritenere provati i fatti, anche se questi fossero stati confermati da un testimone, dovendo sempre prevalere le risultanze del dispositivo; se invece fosse in discussione la responsabilità del sinistro, le risultanze del dispositivo non potrebbero precludere al giudice di valutare secondo il proprio prudente apprezzamento ogni altra circostanza che sia stata acquisita con ogni mezzo di prova.

In altri termini, a meno che questi dispositivi non abbiano in futuro uno sviluppo tecnologico tale da registrare tante e tali informazioni da tracciare nei minimi dettagli la circolazione di un veicolo, è difficile immaginare che le cause di infortunistica stradale non richiederanno più una approfondita istruttoria e potranno essere decise solo sulla scorta delle risultanze dei suddetti dispositivi.

La cessione del credito risarcitorio e la rilevanza della fattura dell'autoriparatore

L'art. 149-bis cod. ass., norma introdotta dalla “Legge Concorrenza” stabilisce che «in caso di cessione del credito derivante dal diritto al risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, la somma da corrispondere a titolo di rimborso delle spese di riparazione dei veicoli danneggiati è versata previa presentazione della fattura emessa dall'impresa di autoriparazione abilitata ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n.122, che ha eseguito le riparazioni».

La disposizione sembra subordinare il risarcimento (rectius, il rimborso delle spese di riparazione dei veicoli danneggiati) a due condizioni:

a) che le riparazioni siano state effettuate da un'impresa a ciò abilitata ai sensi della l. 5 febbraio 1992 n. 122 (e dell'art. 10 d.P.R. 14 dicembre 1999 n. 558);

b) che l'impresa di autoriparazione abbia emesso regolare fattura.

E poiché la norma non circoscrive l'ambito di applicazione alla sola ipotesi in cui il credito risarcitorio sia stato ceduto ad un'impresa di autoriparazione, ma lo estende a tutti i casi di cessione del credito derivante dal diritto al risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore, è lecito chiedersi se d'ora in avanti questi crediti saranno suscettibili di cessione solo se il cessionario è un'impresa abilitata a svolgere l'attività di autoriparatore.

Se così fosse, una cessione tra privati di questo tipo di crediti rischierebbe di essere priva di effetti perché, pur non prevedendo la norma una qualche invalidità dell'atto, non consentirebbe al cessionario di agire per la soddisfazione del credito.

Si tratterebbe di una interpretazione restrittiva che configgerebbe con il principio della libera cessione del credito (Cass. civ., sez. III, sent. 20 gennaio 2015 n. 825) e che già per questo solo motivo sembra poco convincente.

Ma la norma è foriera di ulteriori dubbi anche laddove non chiarisce se debba applicarsi nella fase stragiudiziale ovvero anche in sede giudiziale.

In altri termini, non è agevole comprendere se l'assicuratore possa legittimamente rifiutarsi di risarcire il danno al cessionario, se questi non è un autoriparatore e se il costo non è documentato da idonea fattura, e se anche il Giudice debba rigettare la domanda del cessionario se non soddisfatte le suddette condizioni.

In realtà l'esegesi della norma sembra meno problematica: il legislatore non ha voluto in alcun modo limitare la cessione di questo tipo di crediti tra privati (peraltro poco frequente, essendo molto più ricorrente il caso in cui il danneggiato ottenga la riparazione del proprio mezzo e ceda a titolo di corrispettivo al proprio “carrozziere” il suo credito risarcitorio verso il responsabile civile) e non ha voluto nemmeno limitarne la tutela giudiziaria, ma ha voluto solo subordinare il rimborso di questo costo alla esibizione di una regolare fattura emessa da un'impresa abilitata all'attività di autoriparatore.

Semmai, vi è da chiedersi se il giudice – nel caso in cui sia contestato l'ammontare del costo delle riparazioni – debba senz'altro liquidare l'importo indicato nella fattura ovvero possa riconoscere una somma minore qualora – come sovente accade – il consulente tecnico abbia stimato i danni in maniera più contenuta.

Aderendo al consolidato orientamento della Suprema Corte, dovrebbe escludersi l'efficacia vincolante del documento fiscale.

Ha infatti affermato la Cassazione che il risarcimento del danno patrimoniale ha la funzione di reintegrare il patrimonio del danneggiato nella esatta misura della sua lesione e conseguentemente «le spese sostenute per le riparazioni dell'autoveicolo, che ha subito danni in un incidente stradale, sono rimborsabili solo per la parte che corrisponde ai correnti prezzi di mercato, a meno che il maggiore esborso non sia giustificato da particolari circostanze oggettive … e queste siano state provate dall'interessato, che non può di conseguenza, a fondamento della sua pretesa risarcitoria, limitarsi a produrre la documentazione di spese, da lui sostenute, non corrispondenti ai costi correnti, secondo una valutazione del giudice di merito, fondata su nozioni di comune esperienza o su dati acquisiti con consulenza tecnica d'ufficio» (Cass. civ., sez. VI, sent. 13 maggio 2016 n. 9942).

In definitiva, il cessionario, che non necessariamente dovrà essere un'impresa che svolga la attività di autoriparazione e potrà anche essere un privato cittadino, potrà chiedere all'assicuratore del responsabile civile il pagamento delle somme da questo dovute al danneggiato (cedente) e potrà anche agire giudizialmente, ma l'assicuratore potrà legittimamente rifiutarsi di pagare ed il giudice dovrà rigettare la domanda se il cessionario non documenterà il proprio credito mediante la produzione di una fattura emessa da un'impresa di autoriparazione a ciò abilitata, fermo restando il diritto dell'assicuratore ed il potere del giudice di ridurre l'ammontare delle somme dovute al cessionario se superiori ai correnti prezzi di mercato.

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