Il dolo dell'omissione di soccorso

Paola Rigonat
13 Ottobre 2017

Il caso portato all'attenzione della Suprema Corte riguarda un imputato, il quale, dopo aver investito con la propria auto la persona offesa, aveva consapevolmente proseguito la marcia per recarsi a un appuntamento di lavoro; successivamente, parcheggiata l'auto in posizione distante, l'uomo era ritornato a piedi sul luogo dell'incidente.
Massima

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 189, comma 6, del codice della strada, che punisce l'utente della strada che, nel caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all'obbligo di fermarsi, il dolo richiesto deve investire, innanzitutto e essenzialmente, l'omesso obbligo di fermarsi in relazione all'evento dell'incidente, ove questo sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, e va apprezzato come eventualmente sussistente avendo riguardo alle circostanze fattuali del caso laddove queste, ben percepite dall'agente, siano univocamente indicative di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone. La sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata non è elemento costitutivo del reato, che è integrato dal semplice fatto che in caso di incidente stradale con danni alle persone non si ottemperi all'obbligo di prestare assistenza. Tale condotta va tenuta a prescindere dall'intervento di terzi, poiché si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell'incidente medesimo.

Il caso

Il caso portato all'attenzione della Suprema Corte riguarda un imputato, il quale, dopo aver investito con la propria auto la persona offesa, aveva consapevolmente proseguito la marcia per recarsi a un appuntamento di lavoro; successivamente, parcheggiata l'auto in posizione distante, l'uomo era ritornato a piedi sul luogo dell'incidente. All'affermazione del pedone investito di provare dolore al braccio, gli aveva offerto del denaro “per un caffè”, chiedendogli di far finta di niente.

Due i motivi sostanziali di ricorso: 1) erronea applicazione dell'art. 189, comma 6,cod. strada, non sussistendo né l'elemento materiale (ossia un sinistro ricollegabile al comportamento del conducente), né l'elemento soggettivo di tale delitto (l'imputato si era allontanato solo dopo essersi accertato delle condizioni della persona offesa, che aveva negato di essersi fatta male; ad ogni modo, parcheggiato il mezzo, era ritornato sul posto); 2) erronea applicazione dell'art. 189, comma 7,cod. strada, atteso che il pedone era già assistito da altro soggetto.

La Corte di cassazione, evidenziate le censure in fatto contenute nel ricorso – in larga parte basato su questioni già devolute in appello e disattese con motivazione coerente e congrua, non autonomamente confutata – ha ritenuto conforme a diritto la motivazione della pronuncia impugnata, in particolare con riferimento all'elemento soggettivo dei reati ex art. 189, commi 1, 6 e 7 cod. strada.

La questione

Al netto delle censure di merito, volte a una rivalutazione del compendio probatorio non ammessa in sede di legittimità, il ricorso lamenta l'insussistenza del dolo dei reati contestati, perché l'imputato, dopo l'urto, si era reso conto che l'investito era già assistito da altra persona, e dunque aveva proseguito legittimamente la marcia. In seguito aveva fatto ritorno sul luogo del sinistro, presentandosi agli agenti che stavano compiendo i rilievi. L'accertamento dello stato di salute della persona offesa – desumibile dall'inesistenza di lesioni – e la circostanza che vi fosse chi prestava assistenza escluderebbe una volontà tesa a non farsi identificare e a non prestare assistenza.

Le soluzione giuridiche

La sentenza – che tratta congiuntamente sia del delitto di cui al comma 6 che al comma 7 – si richiama a un consolidato orientamento di legittimità, secondo cui il dolo del reato di cui all'art. 189, comma 6,cod. strada sussiste quando l'utente della strada, al verificarsi di un incidente idoneo a recar danno alle persone e riconducibile al proprio comportamento, ometta di fermarsi, non essendo necessario che costui abbia in concreto constatato il danno provocato alla vittima. Il dolo del reato menzionato non deve investire la constatazione dell'esistenza di un danno effettivo alle persone coinvolte ma unicamente l'omesso obbligo di fermarsi in relazione all'evento dell'incidente, ove questo sia idoneo a produrre eventi lesivi (Cass. pen., Sez. VI, 16 febbraio 2010, n. 21414; Cass. pen., Sez. IV, 3 giugno 2009, n. 34335; Cass. pen., Sez. IV, 16 dicembre 2005, n. 14222; Cass. pen., Sez. IV, 10 novembre 2004, n. 7615; Cass. pen., Sez. IV, 12 novembre 2002, n. 3982; Cass. pen., Sez. IV, 31 ottobre 1997, n. 327). Se, poi, il danno alla persona è percepito dall'agente, si configurerà anche la distinta ipotesi criminosa prevista dal comma 7 dell'art. 189 cod. strada (Cass. pen., Sez. IV, 21 novembre 2007, n. 863). La responsabilità sussiste anche in caso di dolo eventuale, qualora le circostanze concrete, conosciute dall'agente, siano univocamente e immediatamente indicative di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone (Cass. pen.,Sez. IV, 12 febbraio 2015, n. 11195; Cass. pen., Sez. IV, 12 marzo 2013, n. 16982).

La Corte, richiamato un precedente del 2012 (Cass. pen., Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 9128), sottolinea come l'art. 189 cod. strada prescriva i comportamenti da tenere in caso di incidente, stabilendo obblighi diversi e crescenti in relazione alla maggiore delicatezza delle situazioni che si possono presentare: sussiste in ogni caso il dovere di fermarsi – la cui trasgressione è punita in via amministrativa in caso di incidente con danni a sole cose, e con sanzione penale nel caso di danni anche a persone –, prescrizione cui si aggiunge quella di prestare assistenza, qualora vi siano feriti. Le disposizioni di cui ai comma 6 e 7 della norma citata rispondono a diverse finalità: la prima tutela l'interesse all'accertamento dei soggetti coinvolti negli incidenti stradali e delle modalità del sinistro, la seconda è invece improntata a principi di comune solidarietà.

Con riferimento all'obbligo di cui al comma 7 della disposizione citata, si precisa che l'elemento psicologico del reato può essere integrato dal dolo eventuale: è sufficiente che l'agente abbia la consapevolezza dell'esistenza di un incidente ricollegabile al suo comportamento, concretamente idoneo a produrre eventi lesivi. Non è necessario l'accertamento dell'esistenza di un effettivo danno e – coerentemente con la qualificazione dei reati in esame quali reati di mero pericolo – la sussistenza o meno di un effettivo bisogno da parte del ferito non è elemento costitutivo del reato.

Quanto alla presenza di altra persona sul luogo dell'incidente, la Corte afferma che l'obbligo di fermarsi e prestare assistenza grava sul soggetto coinvolto nel sinistro, che è tenuto ad assolverlo indipendentemente dall'intervento di terzi, senza poter fare affidamento sul richiesto intervento delle autorità sanitarie o di polizia, almeno fino a che non sia certo dell'avvenuto soccorso (Cass. pen., Sez. IV, 7 febbraio 2008, n. 8626).

Osservazioni

La sentenza in commento amplia l'operatività delle fattispecie, svincolando l'obbligo di fermarsi dalla presenza – e percezione – di un danno effettivo che emerga con evidenza al momento del verificarsi del sinistro. Alcune delle sentenze sopra citate, appartenenti allo stesso filone giurisprudenziale, si spingono sino ad affermare che il danno alle persone costituirebbe condizione obiettiva di punibilità, con la conseguenza che non dovrebbe essere coperto da dolo, nemmeno eventuale.

Vi è anche un orientamento opposto, minoritario, secondo il quale l'utente della strada, al cui comportamento si ricollega un incidente con danno a persone, è tenuto a fermarsi solo se si sia reso conto sia del sinistro che del danno. Per il reato di omissione di assistenza si richiederebbe anche l'effettività del bisogno dell'investito, che verrebbe meno in caso di assenza di lesioni, di morte o quando qualcuno abbia già provveduto e non risulti necessario l'ulteriore intervento dell'obbligato (Cass. pen., Sez. IV, 25 novembre 1999, n. 5416). Il nocumento alle persone sarebbe dunque presupposto del reato: senza effettivo danno fisico, il comportamento dell'agente degraderebbe a semplice illecito amministrativo. Il reato non si configurerebbe quindi nei casi in cui l'investito non sia o non appaia ferito: perché sussista il dolo richiesto dalla fattispecie, l'obbligato deve essersi reso perfettamente conto che l'incidente ha provocato un effettivo danno a persone.

Vi è poi un orientamento intermedio secondo cui il dolo del reato di cui all'art. 189, comma 6, cod. strada – e, dunque quello del delitto previsto dal comma 7 – deve investire non solo l'evento dell'incidente ma anche il danno alle persone (Cass. pen., Sez. IV, 8 novembre 2006, n. 41962; Cass. pen., Sez. IV, 10 aprile 2006, n. 21445; Cass. pen., Sez. IV, 10 gennaio 2003, n. 8103; Cass. pen., Sez. IV, 16 febbraio 2000, n. 5164). Il danno non può essere condizione obiettiva di punibilità e deve dunque essere coperto dal dolo.

Le pronunce citate precisano che questo può essere anche eventuale: la consapevolezza dell'esistenza di lesioni deve ritenersi sussistente anche quando il conducente consapevolmente si rifiuta di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettando il rischio della loro esistenza.

In concreto, sul piano dell'accertamento dei fatti, la differenza tra il primo e il terzo degli orientamenti citati è estremamente labile: se il dolo deve investire l'inosservanza dell'obbligo di fermarsi in relazione all'evento dell'incidente, ove questo sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, casi di dolo eventuale come quelli sopra ricordati – in cui l'agente ha accettato il rischio della possibilità concreta di danni alle persone – rientrano a pieno titolo in tale ambito. Se l'utente della strada ha la percezione di essere coinvolto in un sinistro che per modalità e circostanze dell'azione è concretamente idoneo a produrre eventi lesivi e, nonostante ciò, si allontana, agisce invero con dolo eventuale.

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