Incostituzionale il divieto di sospensione dell'esecuzione per i condannati minorenni

Pasquale Bronzo
17 Ottobre 2017

La Corte costituzionale, che già più volte in passato ha sottolineato come l'assoluta parificazione tra adulti e minori possa confliggere con le esigenze di specifica individualizzazione e di flessibilità del trattamento del detenuto minorenne, che comportano tra l'altro la necessità di eliminare automatismi applicativi nell'esecuzione della pena (Corte cost. n. 109/1997), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a), c.p.p., nella parte in cui non consente la sospensione
Massima

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a), c.p.p., nella parte in cui non consente la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva nei confronti dei minorenni condannati per i delitti ivi elencati.

Il caso

Un giudice milanese aveva emesso un ordine di esecuzione nei confronti di un minorenne per un residuo di pena di un anno e undici mesi di reclusione per rapina aggravata, reato allartenenti alle classi di reati ostativi alla sospensione dell'ordine di esecuzione di cui all'art. 656, commi 5 e 9, c.p.p. La difesa, in sede di incidente di esecuzione, aveva fatto presente che il condannato era da tempo domiciliato presso la residenza materna; era soggetto alla misura dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; si era autonomamente rivolto ad un Centro di sostegno psicologico presso il quale seguiva una psicoterapia a cadenza settimanale; stava intraprendendo una attività socialmente utile presso l'Associazione che si occupa di aiuto a famiglie in difficoltà. Insomma, un percorso di recupero sociale che era stato proficuamente intrapreso, e poi interrotto dalla carcerazione. Per questo, aveva chiesto che venisse sollevata una questione di illegittimità costituzionale della disposizione accennata nella parte in cui essa riferisce il divieto di sospensione anche ai titoli esecutivi per reati commessi da minorenni.

La questione

La Corte costituzionale, che già più volte in passato ha sottolineato come l'assoluta parificazione tra adulti e minori possa confliggere con le esigenze di specifica individualizzazione e di flessibilità del trattamento del detenuto minorenne, che comportano tra l'altro la necessità di eliminare automatismi applicativi nell'esecuzione della pena (Corte cost. n. 109/1997), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a), c.p.p., nella parte in cui non consente la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva anche nei confronti di condannati minorenni, in relazione ai reati ivi richiamati, ossia a quelli, elencati nell'art. 4-bis ord. pen., per i quali è tendenzialmente preclusa qualsiasi modalità extramuraria di espiazione della pena detentiva.

Le soluzioni giuridiche

Come noto, la sospensione dell'ordine di esecuzione (art. 656, comma 5, c.p.p.) vuole evitare l'inutilmente dannoso ingresso in carcere dei condannati ai quali siano applicabili misure alternative alla detenzione (c.d. porte girevoli): si consente alle persone in relazione alle quali è pensabile la concessione di tali misure, di farne richiesta ed ottenerne l'accoglimento, dallo stato di libertà. Questo meccanismo è tuttavia precluso in relazione ad alcuni delitti (comma 9 lett a)): quelli per i quali l'art. 4bis ord. pen. esclude la possibilità di beneficiare di misure alternative, ed una serie di altri reati, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'art. 89 d.P.R. 309/1990 (tossicodipendenti che, attinti da un provvedimento di carcerazione, abbiano un programma terapeutico in corso; previsione opinabile, nella misura in cui obbliga il pubblico ministero ad eseguire l'ordine anche nei riguardi di soggetti per i quali l'autorità giudiziaria ha reputato che non vi siano le condizioni per l'applicazione o il mantenimento di una misura custodiale).

La disposizione di cui all'art. 656, comma 9, lett. a) c.p.p. è emblematica delle tensioni che percorrono la disciplina dell'esecuzione penitenziaria, tra le istanze di impiego massiccio dell'istituto sospensivo in funzione di contrasto al sovraffollamento carcerario e le spinte securitarie che ciclicamente suggeriscono preclusioni all'accesso ai meccanismi di decarcerizzazione, dirette a categorie di detenuti presuntivamente pericolosi, dettate solo in ragione del titolo detentivo.

La sospensione - evitando gli effetti desocializzanti della carcerazione per chi, provenendo dalla libertà, sarebbe costretto ad attendere in carcere la concessione delle misure alternative - assicura la finalità rieducativa della pena, che per le persone minorenni è preminente, ancor più che per gli adulti, rispetto alle altre finalità.

Il divieto di sospensione, come tutte le preclusioni assolute che inibiscono una prognosi individualizzata in ordine all'idoneità e all'efficacia risocializzante di una misura premiale, già criticabili per gli adulti, sono pertanto ancor più opinabili in relazione alle esigenze di protezione dei minori. Viene qui in rilievo la particolare connotazione del sistema di giustizia minorile, che affida al giudice la prognosi individualizzata in funzione del recupero del minore deviante (Corte cost., n. 143 del 1996): in relazione all'ipotesi del condannato minorenne risulta perciò particolarmente incongruo il rigido automatismo che preclude - senza alcun apprezzabile significato di difesa sociale ma solo sulla base del nomen criminis per il quale c'è stata condanna - la sospensione dell'ordine di esecuzione.

Osservazioni

Nella perdurante assenza di un ordinamento penitenziario minorile, la Corte costituzionale continua l'opera di adeguamento della disciplina ordinaria della esecuzione della pena detentiva alle esigenze specifiche delle persone minorenni (cfr. Corte cost. n. 436 del 1999; n. 450 del 1998 e n. 403 del 1997). Sappiamo come ai minori d'età si applichi ancora in toto la legge penitenziaria del 1975, nell'attesa di una disciplina penitenziaria di settore, annunziata dall'art. 79 di quella legge e non ancora realizzata. D'altro canto, la clausola di salvaguardia di cui all'art. 1 del d.P.R. 448/1988 sul rito minorile (per quanto non espressamente disciplinato, si osserva il codice, applicato conformemente alle esigenze educative dei minorenni) impone al giudice minorile di verificare caso per caso se esista una disciplina concretamente più favorevole al minore, a prescindere dal fatto che sia destinata ai maggiorenni. Così, in tema di esecuzione, non sussistendo disposizioni riservate ai minorenni, si è sempre fatto riferimento alla disciplina degli adulti, e di fronte all'abnorme perpetuazione della parte transitoria dell'art. 79 ord. pen. la stessa Corte, pur segnalando l'urgenza di riempire la lacuna legislativa, non ha mai dichiarato incostituzionale la disposizione, temendo il “recupero” dell'applicazione al condannato minorenne della normativa preesistente (1934) ancor meno attenta alle peculiari esigenze del reinserimento minorile.

Si tratta di una lacuna grave: l'assoluta parificazione tra adulti e minori può confliggere con le esigenze di specifica individualizzazione e di flessibilità del trattamento del detenuto minorenne, cosicché la semplice estensione della disciplina generale stride con le esigenze del recupero e della risocializzazione dei minori devianti; «esigenze che comportano la necessità di differenziare il trattamento dei minorenni rispetto ai detenuti adulti e di eliminare automatismi applicativi nell'esecuzione della pena» (Corte cost. 125/1992).

La Corte costituzionale aveva già avuto occasione di sottolineare, in particolare, l'importanza della sospensione dell'esecuzione per le condanne inflitte ai minorenni, come quando ha risolto (positivamente) un dubbio sull'applicabilità dell'istituto sospensivo alle condanne alla 'semidetenzione' inflitte ai minorenni all'esito dell'udienza preliminare (Corte cost., 27 luglio 2000, ord. n. 318,).

Per un'altra più recente interlocuzione del giudice delle leggi sul problema dell'applicazione ai minorenni delle regole penitenziarie ordinarie cfr. Corte cost., 17 febbraio 2016, n.32, (v, CARACENI, Liberazione anticipata speciale e condannato minorenne per reati ostativi: l'irragionevole divieto di concedere lo sconto di pena più ampio supera un primo scrutinio di costituzionalità in Giur. cost. 2016, 197, dove critica l'inapplicabilità della liberazione anticipata speciale, di cui al d.l. 143 del 2016, a tutti condannati – anche se minori d'età – per delitti di cui all'art. 4-bis ord. pen.); in quell'occasione, tuttavia, essa ha escluso una lesione delle istanze di tutela del minorenne: la variazione dell'entità della detrazione riconnessa alla liberazione anticipata speciale (rispetto a quella ordinaria) non rappresenta – secondo la Corte – una individualizzazione del trattamento penitenziario in relazione al percorso risocializzativo del condannato.

Nella decisione in commento Corte costituzionale nota invece come l'"assaggio di carcere", al quale il minorenne va incontro quando il titolo di reato appartiene e a quelli ostativi, non solo comporta l'interruzione di percorsi rieducativi già intrapresi (come nel caso di specie) prima del passaggio in giudicato della sentenza ma rischia di compromettere quella risocializzazione in modo definitivo. Per un verso, come osserva la Corte, ove si tratti di pene miti (dovrebbe essere non infrequente, per i minorenni) non essendo brevi i tempi della concessione di una misura alternativa è possibile che il provvedimento del giudice di sorveglianza giunga solo quando l'esecuzione è prossima al termine. Per altro verso, occorre considerare l'impatto dell'ingresso in carcere, specie del primo ingresso, sulla personalità in evoluzione del giovane condannato; impatto che potrebbe essere inutilmente traumatico ove la detenzione carceraria abbia fine in tempi brevi, senza alcun trattamento intramurario.

L'idea di fondo sottesa alla declaratoria di incostituzionalità è alla base dei principi della legge delega per la riforma dell'ordinamento penitenziario (art. 85, l. 23 giugno 2017, n. 103) richiede al legislatore delegato l'«adeguamento delle norme dell'ordinamento penitenziario alle esigenze educative dei detenuti minori di età» (lett. p)) provvedendo all'«ampliamento dei criteri per l'accesso alle misure alternative alla detenzione» (n. 5) e alla «eliminazione di ogni automatismo e preclusione per la revoca o per la concessione dei benefìci penitenziari, in contrasto con la funzione rieducativa della pena e con il principio dell'individuazione del trattamento»; quale – per l'appunto – la preclusione di cui all'art. 656, comma 9, lett. a), che la Corte costituzionale, anticipando la riforma, ha dichiarato illegittima.

Guida all'approfondimento

APRILE, Osservazioni a C. cost. 28 luglio 2017, n. 90, in Cass. Pen. 2017, 2737;

DELLA CASA, Il problematico impiego della sospensione dell'esecuzione in chiave ‘‘antiovercrowding''. La parola alla Corte costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 997 ss., sull'evoluzione dell'istituto della sospensione dell'ordine di esecuzione;

MAGGIO, La Corte costituzionale afferma il diritto del minore alla sospensione dell'esecuzione, Proc. pen. giust., 2017, f. 5, 901 ss.;

PULVIRENTI, La “riforma Simeone” tra questioni interpretative e intenti di razionalizzazione, in Giust. pen., 1999, II, 545 sulla disposizione di cui all'art. 656, comma 9, lett. a) c.p.p.

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