Frazionamento di un appartamento in due unità abitative

05 Settembre 2017

Qualora il proprietario di un appartamento decida di dividere lo stesso in due o più unità abitative, non dovrebbero esserci rilevanti conseguenze per i quorum costitutivi e deliberativi di cui all'art. 1136 c.c...
Massima

Il condomino può dividere il suo appartamento in più unità immobiliari ove da ciò non derivi un concreto pregiudizio agli altri condomini - salva l'eventuale revisione delle tabelle millesimali - non ostando il fatto che il regolamento contrattuale del condominio preveda un certo numero di unità immobiliari, qualora esso non ne vieti espressamente la suddivisione.

Il caso

Il Tribunale, in accoglimento della domanda proposta da un condominio nei confronti di un condomino, aveva dichiarato illegittima la suddivisione, da quest'ultimo compiuta, dell'appartamento di sua proprietà in due unità immobiliari nonché la sopraelevazione del lastrico solare.

La Corte d'Appello, in parziale riforma della decisione impugnata dalla convenuta, aveva rigettato la domanda relativamente alla soprelevazione, confermando però l'illegittimità della suddivisione dell'appartamento.

Ad avviso del giudice distrettuale:

a) la suddivisione in due unità immobiliari dell'appartamento del convenuto era illegittima, atteso che il regolamento condominiale prevedeva un edificio costituito da sole quattordici unità immobiliari;

b) la creazione di un altro appartamento non avrebbe potuto non comportare, in caso di futura vendita, l'insediamento nell'edificio di un ulteriore nucleo familiare e, quindi, un'utilizzazione dei beni e dei servizi comuni da parte di un numero di soggetti verosimilmente maggiore;

c) la possibilità di suddividere gli appartamenti avrebbe potuto portare a raddoppiare i condomini, con deprezzamento del valore dell'edificio.

Avverso tale decisione, proponeva ricorso per Cassazione il condomino soccombente in ordine alla suddetta divisione.

La questione

Si trattava, quindi, di verificare - premesso che l'art. 1122 c.c. doveva essere coordinato con le previsioni di cui all'art. 1102 c.c. - se le opere compiute dal ricorrente all'interno della sua proprietà esclusiva fossero o meno illegittime, pur in assenza di alcun pregiudizio per le cose comuni, non essendo stata neppure dedotta «l'esistenza di regole di godimento delle parti comuni stravolte dall'aumento del numero di appartamenti».

Inoltre, doveva verificarsi se la sentenza impugnata, avendo il regolamento condominiale previsto esclusivamente quattordici appartamenti ed essendo in esso contenuta una «mera descrizione delle unità immobiliari esistenti» e le relative quote di comproprietà, senza alcun divieto di suddivisione, avesse offerto una lettura del significato in contrasto con il dato letterale, non avendo specificato i passi del regolamento in cui sarebbe rinvenuta una «indicazione cogente» sul numero delle unità immobiliari.

Le soluzioni giuridiche

In effetti, appariva censurabile il procedimento presuntivo con cui la gravata sentenza aveva tratto, dalla duplicazione degli appartamenti, la conseguenza dell'utilizzazione di un «numero verosimilmente maggiore di persone che sarebbero ospitati od ospitabili», circostanza, quest'ultima, in alcun modo dimostrata; invero, si era ritenuto che la creazione di un nuova unità immobiliare avrebbe comportato l'aumento degli abitanti del condominio, quando piuttosto, a stregua del regolamento di igiene del Comune - che imponeva requisiti minimi di ampiezza, cubatura, areazione ed illuminazione dei locali - poteva derivare una diminuzione e non l'aumento del numero di abitanti, atteso il necessario raddoppio dei servizi di cucina e di igiene.

Si contestava, infine, il ragionamento compiuto dai giudici di merito, laddove avevano fatto, in modo apodittico, riferimento al «deprezzamento dell'immobile» in caso di raddoppio dei condomini, non potendo al riguardo utilizzarsi le nozioni di fatto di comune esperienza.

Si rivelava, peraltro, erroneo il riferimento all'incidenza della divisione sul regime di costituzione dell'assemblea e sulle relative maggioranze, senza tenere conto delle norme che regolavano il funzionamento delle assemblee e senza esplicitare quale sarebbe stata la ricaduta sugli altri condomini, segnatamente evidenziando che la circostanza relativa all'aumentato numero di condomini sarebbe stata «calmierata» con il mantenimento del quantità complessiva dei millesimi e che, comunque, l'art. 69, comma 2, disp. att. c.c. consentiva il «riequilibrio dalle quote di proprietà» in ipotesi di mutamento delle condizioni di una parte dell'edificio.

Tutti i suddetti motivi di doglianza - che, per la stretta connessione, potevano essere esaminati congiuntamente - sono stati ritenuti fondati dai magistrati di Piazza Cavour.

Invero, l'art. 1122 c.c. - nel testo ratione temporis applicabile, ma l'attuale versione, a seguito della Riforma del 2013, non presenta modifiche rilevanti ai fini per cui è causa - disciplina l'ipotesi in cui il condomino realizzi opere ed innovazioni all'interno dell'appartamento di proprietà esclusiva, consentendo in particolare l'esercizio dei poteri dominicali, sempreché non arrechi pregiudizio alle parti comuni (e comunque nel rispetto dell'altrui proprietà esclusiva del vicino).

In altri termini, il condomino ha il diritto di godere e disporre dell'appartamento, apportandosi modifiche o trasformazioni che ne possano migliorare l'utilizzazione, con il limite di non ledere i diritti degli altri condomini.

In pratica, al fine di verificare la legittimità dell'intervento edilizio compiuto nell'appartamento, occorre accertare se tale realizzazione abbia determinato o sia comunque in concreto, seppure potenzialmente, in grado di arrecare pregiudizio all'utilizzazione e al godimento delle cose comuni che, ai sensi dell'art. 1102 c.c., spetta ai comproprietari.

Orbene - secondo l'autorevole parere degli ermellini - in base agli accertamenti posti a fondamento della ritenuta illegittimità della suddivisione dell'appartamento del convenuto, la Corte territoriale aveva fatto riferimento soltanto ad «eventuali, ipotetiche e più intense utilizzazione della cosa comune» che, in caso di vendita di una delle unità immobiliari, si sarebbero realizzate.

E ancora, il rilievo secondo cui l'inserimento di un nuovo nucleo familiare nell'edificio condominiale avrebbe comportato pregiudizi alla collettività è stato dedotto senza verificare in concreto (e dare conto della) effettiva incidenza che l'aumentato numero di condomini avrebbe determinato sull'uso delle cose comuni; al riguardo, sarebbe stata necessaria, invece, un'indagine che avesse tenuto necessariamente conto dell'ubicazione, della struttura e delle dimensioni dell'edificio condominiale, con la descrizione in particolare delle parti comuni, in modo da accertare «la potenziale compromissione dei diritti degli altri condomini per effetto del concorrente uso di un ulteriore nucleo familiare».

Osservazioni

Talvolta, può capitare che il proprietario di un appartamento lo ritenga troppo grande per le sue esigenze, per varie ragioni, ad esempio, perché era stato (fortunosamente) ereditato da un parente a fronte della titolarità di un'altra unità immobiliare, o perché i figli che vi abitavano si erano (naturalmente) nel frattempo trasferiti, o perché l'originario nucleo familiare si era (purtroppo) ridimensionato a causa di successivi decessi.

Lo stesso proprietario, quindi, potrebbe ritenere opportuno, qualora lo stato dei luoghi lo consenta, dividere il suddetto appartamento in due o più unità abitative, dotate ovviamente di servizi autonomi, come tali, maggiormente appetibili in caso di future vendite o, attualmente, a fini locativi (si pensi alle città universitarie).

Tale mutamento non avrebbe rilevanti conseguenze a livello dei quorum costitutivi e deliberativi di cui all'art. 1136 c.c., in quanto il medesimo proprietario sarebbe pur sempre titolare, sotto il profilo soggettivo, di una «testa» mentre, sul versante oggettivo, il suo «peso» all'interno dell'assemblea risulterebbe correlato alla sommatoria delle carature millesimali dei nuovi appartamenti di sua proprietà.

Problemi potrebbero sorgere, invece, dalla contestazione (o dall'invidia) degli altri partecipanti che vedrebbero aumentare o moltiplicarsi le persone che abitano lo stabile rispetto a quelle originarie, con potenziali pregiudizi alla tranquillità e serenità dell'edificio, nonché maggiore utilizzo e usura degli spazi e degli impianti comuni.

Alle motivazioni sopra riportate, il massimo consesso decidente aggiunge che non potrebbe desumersi tale compromissione dalla menzione nel regolamento condominiale contrattuale della (mera) esistenza di sole quattordici unità, senza che sia stato in alcun modo accertata alcuna «prescrizione vincolante» o, meglio, alcun divieto di suddivisione degli appartamenti.

Per quel che concerne, infine, l'eventuale incidenza sulla costituzione dell'assemblea e la formazione delle maggioranze che potrebbe derivare in futuro dall'inserimento di un ulteriore condomino, si osserva giustamente che, se, da un lato, la partecipazione al condominio in base alla complessiva somma dei millesimi sarebbe comunque inalterata, dall'altro, l'art. 69, n. 2), disp. att.c.c. - nel testo anteriore alla modifica dì cui alla l. n.220/2012 - consentiva la revisione delle tabelle millesimali per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, quando era «notevolmente alterato» il valore proporzionale dei piani.

L'attuale testo - entrato in vigore il 18 giugno 2013 - prevede che, quando per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superficie o di incremento delle unità immobiliare, risulta «alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare», sia possibile la revisione delle tabelle millesimali (nel caso di specie, difficilmente la somma dei valori dei due appartamenti superava di un quinto il valore originario dell'appartamento).

Indipendentemente dalla non applicabilità della normativa vigente al momento dei fatti di causa, si impone - ad avviso dei giudici di legittimità - anche una «interpretazione evolutiva» della disciplina, che consente di ritenere la legittimità delle opere di suddivisione dell'appartamento, nel rispetto evidentemente dei diritti degli altri condomini.

In quest'ordine di concetti, che vanno sempre «calati» nella fattispecie in concreto sottoposta all'esame, si é, ad esempio, considerata vietata dall'art. 1102 c.c. la divisione orizzontale di un appartamento, che comportava la totale utilizzazione del preesistente margine di sicurezza statica dell'edificio condominiale, pur non pregiudicando la funzione portante dei muri comuni e così la stabilità dell'edificio, in quanto le opere eseguite dal singolo condomino finivano con il precludere sostanzialmente agli altri condomini sia l'utilizzazione dei muri comuni secondo il loro diritto che la facoltà di sopraelevazione consentita dall'art 1127 c.c. (Cass. civ., sez. II, 23 aprile 1980 n. 2673).

Di contro, è stato, altresì, affermato (Cass. civ., sez. II, 17 giugno 1967 n. 2493) che il condomino, che aveva diviso il proprio appartamento inserendo, a metà altezza di esso una soletta, in modo da formarne due parti, collegate da una scala interna all'appartamento medesimo, senza peraltro alterare le parti comuni dell'immobile e senza apportare alcuna modifica interna o esterna alle parti stesse, neppure nella parte architettonica, non violava l'art. 1102 c.c., perché non alterava la destinazione della cosa comune e non impediva agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (nella specie, si era acclarato che, nella divisione in senso orizzontale dell'appartamento, erano state rispettate tutte le prescrizioni della sovraintendenza ai monumenti e non era stata apportata alcuna modifica ai finestroni ed alla facciata del fabbricato condominiale).

Guida all'approfondimento

Terzago, Condominii di due sole persone e indivisibilità delle parti comuni, in Giust. civ., 1986, I, 2266;

Salis, Patto di indivisione della comunione e regolamento di condominio, in Riv. giur. edil., 1963, I, 1121.

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