L'amministratore che distacca l'energia elettrica al condomino moroso può rispondere del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni

31 Luglio 2017

Più pregnanti poteri/doveri di recupero coattivo in capo all'amministratore nei confronti del condomino moroso: l'art. 63, comma 3, disp. att. c.c. contempla, in caso di mancato pagamento dei contributi che si protragga per oltre sei mesi...
Massima

Risponde del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose di cui all'art. 392 c.p., oltre che tenuto al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, l'amministratore il quale, nella sua qualità di gestore di un residence, disattiva la derivazione della corrente elettrica verso l'unità abitativa di un condomino che non ha provveduto al pagamento di utenze condominiali.

Il caso

In particolare, i giudici di merito avevano accertato che l'imputato, nella sua qualità di gestore di un residence, aveva «disattivato la derivazione della corrente elettrica verso l'unità abitativa di un condomino che non aveva provveduto al pagamento di utenze condominiali».

Secondo i suddetti giudici, l'imputato, quantunque non fosse il rappresentante della società che amministrava il condominio, doveva considerarsi il gestore di quest'ultimo, essendo emerso che agiva sempre per conto di tale società, provvedendo direttamente a pagare le spese condominiali e le utenze elettriche.

Avverso la sentenza, emessa dal giudice del gravame e confermativa di quella di prime cure, ricorreva per cassazione l'imputato.

La questione

Si trattava di verificare se, nel caso concreto, si fosse concretizzata la violazione dell'art. 392 c.p. e degli artt. 125, comma 3, e 546, lett. e), c.p.p. - in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p. - in quanto si poneva in dubbio che i giudici di merito non avessero preso in considerazione la circostanza documentata in sede di appello, rilevante anche ai fini della valutazione del dolo, che l'amministratore della società, che gestiva il residence, aveva comunicato alla parte offesa di aver dato incarico ad un tecnico addetto della manutenzione di staccare l'energia elettrica del suo alloggio, per cui l'imputato avrebbe agito come mero esecutore di direttive adottate dalla società in questione.

Le soluzioni giuridiche

I magistrati di Piazza Cavour hanno ritenuto tale lagnanza «palesemente infondata», in quanto la prova che si assumeva essere stata pretermessa dai giudici di merito non aveva la forza di disarticolare l'intero ragionamento probatorio della gravata sentenza.

E' stato ribadito, in proposito, che il vizio di «travisamento della prova», desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo (purché specificamente indicati dal ricorrente), è ravvisabile solo se l'errore accertato sia idoneo appunto a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per l'essenziale forza dimostrativa del dato processuale (v., tra le tante, Cass. pen., sez. VI, 16 gennaio 2014 n. 5146).

Nel caso in esame, la circostanza che l'imputato avesse eseguito decisioni o direttive del titolare del diritto non escludeva affatto, di per sé, la punibilità dell'agente, in quanto - per costante giurisprudenza, v., ex multis, Cass. pen., sez. VI, 16 marzo 2001, n. 14335; Cass. pen., sez. VI, 30 aprile 1985, n. 8434 - il soggetto attivo del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni può essere anche colui che eserciti un diritto pur non avendone la titolarità, ma agendo per conto dell'effettivo titolare.

Né tale circostanza poteva escludere, nel caso di specie, il dolo dell'agente: è stato rammentato, sul punto, che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, previsto dall'art. 392 c.p., richiede, oltre il dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà di farsi ragione da sé, pur potendo ricorrere al giudice, anche quello specifico, rappresentato dall'intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità.

In particolare, la sentenza impugnata aveva affermato che, dalle deposizioni testimoniali, era emerso che l'imputato si era occupato da sempre della riscossione, per conto della società, delle quote condominiali (tra cui quelle dell'energia elettrica).

Pertanto, l'imputato, nel momento in cui aveva effettuato l'illecito distacco dell'utenza, era ben consapevole di agire per esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa competesse alla società.

Osservazioni

La sintetica motivazione della pronuncia degli ermellini non consente di capire se, alla base dell'iniziativa dell'amministratore del condominio (o della sua longa manus), ci fosse o meno una morosità ultrasemestrale, fatto sta che, al fine di non incappare nel delitto previsto dall'art. 392 c.p. - che punisce «chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo» - sembra che necessariamente si debba richiedere al magistrato l'autorizzazione al distacco del servizio comune a carico del condomino inadempiente.

In tal modo, riemergerebbe quel temperamento che era scomparso nella versione definitiva dell'art. 63, comma 3, disp. att. c.c., laddove, in un primo momento durante il percorso parlamentare della Riforma del 2013, si era stabilito che il suddetto potere di sospensione dalla fruizione dei servizi comuni, in capo all'amministratore, era così limitato: «salvo che l'autorità giudiziaria, adita anche in via d'urgenza, riconosca l'essenzialità del servizio per la realizzazione di diritti fondamentali della persona e l'impossibilità oggettiva del ricorso a mezzi alternativi».

Un'ulteriore esimente per l'amministratore potrebbe essere costituita dall'autorizzazione prevista in via generale nel regolamento di condominio, con una sorta di ritorno al passato, ossia alla vecchia versione del capoverso in esame, essendo ragionevole opinare che debba trattarsi comunque di un regolamento non necessariamente contrattuale, potendosi rinvenire tale previsione anche in uno approvato con le maggioranze di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., richiamato dall'art. 1138, comma 3, c.c.; d'altronde, atteso che la sanzione é volta a colpire l'inadempienza del condomino, l'unanimità sarebbe difficile da raggiungere in quanto presumibilmente proprio quest'ultimo esprimerebbe sempre il veto, perché non propenso ad approvare una misura sostanzialmente «masochistica».

In argomento, è intervenuta anche la magistratura amministrativa - v. T.A.R. Lazio, Sez. distac. di Latina, 2 novembre 2015 n. 711 - la quale ha affermato che «il Sindaco non può ordinare al gestore del servizio idrico il ripristino immediato della fornitura di acquaa favore del condomino che non paga puntualmente le rate condominiali» con ciò annullando l'ordinanza emessa, a difesa di alcuni cittadini, ai quali era stata interrotta la relativa erogazione dell'acqua per gravi morosità.

Al riguardo, si è ribadito che il Sindaco non può intervenire d'autorità, in quanto il Comune è «estraneo al rapporto contrattuale utente-gestore»; peraltro, lo stesso strumento amministrativo utilizzato per imporre il riallaccio dell'acqua - ordinanza ex art. 50 del d.lgs. n. 267/2000 - risultava illegittimo e del tutto sproporzionato all'obiettivo da raggiungere, in carenza dei presupposti di «contingibilità» e di «urgenza» richiesti dalla legge.

Nella specie, il gestore del servizio idrico aveva proceduto alla sospensione della fornitura di acqua nei confronti di alcuni utenti per gravi morosità (da € 3.000,00 fino a € 20.000,00); successivamente, il Sindaco aveva adottato l'ordinanza per ripristinare immediatamente il servizio idrico, ritenendo, tra l'altro, che il suddetto gestore non potesse procedere al distacco completo del servizio idrico, ma soltanto alla riduzione del flusso al «minimo vitale»; quest'ultimo aveva impugnato l'ordinanza de qua, ritenendola contraria alle norme sulle competenze del Sindaco fissate dal Testo unico degli Enti locali, poiché non esistevano pericoli per l'igiene e la salute pubblica, tutelavano «esclusivamente gli interessi dell'utente privato», e si basavano su irrilevanti «aspetti di natura socio-assistenziale».

I giudici amministrativi hanno accolto il ricorso sulla base del principio - più volte affermato in giurisprudenza, v., da ultimo, T.A.R. Sardegna n. 855/2015- secondo il quale il Sindaco non può intervenire con l'ordinanza prevista dall'art. 50, comma 5, T.U.E.L. a vietare al gestore del servizio idrico l'interruzione della fornitura nei confronti di singoli utenti morosi, poiché in questo caso si realizza uno «sviamento di potere», che vede il Comune, estraneo al rapporto contrattuale gestore-utente, impedire al medesimo gestore di azionare i rimedi di legge tesi ad interrompere la somministrazione di acqua nei confronti di utenti non in regola con il pagamento della prevista tariffa.

La giurisprudenza amministrativa sembra, dunque, oramai concordare sul fatto che il Comune e, più in generale, la P.A., non possa intervenire d'autorità nella sfera dei rapporti tra privati utilizzando gli strumenti del diritto pubblico (cui adde T.A.R. Piemonte n. 996/2015, il quale ha annullato l'ordinanza con cui il Sindaco aveva imposto al condominio il ripristino del riscaldamento centralizzato e l'eliminazione degli impianti autonomi, a tutela dei condomini rimasti senza riscaldamento).

Con questo, non si vuole assolutamente provocare la lesione del diritto alla salute, all'incolumità e all'integrità fisica dei condomini privati del godimento del servizio condominiale, atteso che non si deve oltrepassare mai quella «soglia minima di solidarietà e di rispetto» comunque necessaria e doverosa nella gestione dei rapporti condominiali.

Tuttavia, si cerca di evitare quegli inconvenienti correlati alla difficoltà nei pagamenti nei confronti dei terzi creditori del condominio, mettendo in atto uno degli strumenti più persuasivi e diretti per combattere le morosità condominiali, mediante la possibilità di escludere il condomino inadempiente dall'utilizzazione dei servizi comuni, segnatamente sospendendone la fruizione di quelli suscettibili di godimento separato.

In buona sostanza, nella nuova ottica delineata dall'art. 63, comma 3, disp. att. c.c., l'interruzione di un servizio comune, qualora leda un diritto costituzionalmente tutelato - quale, nel caso concreto, il diritto alla salute - non dovrebbe trovare applicazione nei confronti di un condominio moroso, comportando che il nuovo strumento dissuasivo dovrà essere applicato con estrema prudenza da parte dell'amministratore, tanto più che ora non si prevede alcun passaggio preventivo in sede assembleare, né che vi sia un'apposita clausola del regolamento che autorizzi siffatta iniziativa.

Solo l'esperienza e la professionalità sapranno suggerire all'amministratore quando è opportuno, oltre che legittimo, esercitare tale forma di autotutela (che comporta il vivere in un appartamento gelato o il farsi la doccia fredda): è vero che ci sono condomini che non arrivano a fine mese, riuscendo con difficoltà a «sbarcare il lunario», vivendo stentatamente e mettendo insieme il denaro appena sufficiente alla sopravvivenza quotidiana, ma è anche vero che alcuni intenzionalmente non pagano le rate condominiali, optando per l'acquisto in leasing del fuoristrada o preferendo non privarsi del cellularedi ultima generazione!

Nell'ottica più prettamente civilistica, l'art. 67, comma 3, disp. att. c.c. ha trovato soverchie difficoltà applicative, sia per il ristretto àmbito giuridico di operatività di tale norma, sia per la non agevole realizzazione pratica dell'iniziativa, sia per gli interventi ostativi da parte della magistratura, tanto che ragionevolmente si ritiene che l'arma de qua si rivela spuntata, per cui l'amministratore di condominio si trova con sempre meno frecce al suo arco.

Nello specifico, la relativa controversia ha registrato sostanzialmente due modalità di «accesso» all'autorità giudiziaria, nel senso che il ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. è stato proposto o da parte del condomino moroso che si è visto sospendere il servizio suscettibile di godimento separato ad opera dell'amministratore, oppure da parte di quest'ultimo il quale ha invocato dal magistrato l'autorizzazione per entrare nell'appartamento del suddetto condomino per adottare gli accorgimenti tecnici idonei a realizzare la sospensione del servizio medesimo.

Nella maggior parte dei casi sottoposti all'esame dei giudici di merito e nella prospettiva di un equo bilanciamento dei contrapposti interessi, hanno prevalso quelli del condomino moroso piuttosto che quelli del condominio.

Invero, sul versante del c.d. fumus boni iuris, si è ritenuto che la privazione di una fornitura essenziale per la vita, quale il riscaldamento in periodo invernale o l'acqua potabile, sia suscettibile di ledere i diritti fondamentali della persona, di rilevanza costituzionale, quale il diritto alla salute (art. 32 Cost.).

Sul versante del c.d. periculum in mora, si è sottolineato che il diritto che, con la sospensione del servizio, si intende tutelare, è puramente economico e sempre riparabile, nel senso che il recupero di eventuali crediti é sempre possibile, potendo il creditore contare anche sulla garanzia costituita dagli immobili dei singoli condomini.

Per completezza sull'argomento, va segnalato che, nel collegato ambientale alla c.d. legge stabilità 2016 - l. 28 dicembre 2015, n. 221 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 18 gennaio 2016, n. 13) recante «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali» - all'art. 60 si prevede che l'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (AEEGSI), sentiti gli Enti di ambito, assicuri agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate «l'accesso a condizioni agevolate alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali» (poi quantificato in 50 litri abitante/giorno dal d.p.c.m. 20 agosto 2016); quindi, l'obbligo di garantire il suddetto quantitativo vitale minimo di acqua dovrebbe comportare il divieto di staccare l'acqua negli appartamenti dei condomini morosi che si trovino nelle condizioni economiche di cui sopra.

Guida all'approfondimento

Semeraro, Profili dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in Indice penale, 2012, 243;

Gallucci, Condominio: tutela del possesso ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in www.dirittoegiustizia.it, 2010;

Annunziata, Chiudere un'area destinata a parcheggio di autovettura per impedirne l'uscita costituisce violenza privata od esercizio privato delle proprie ragioni?, in Giust. pen., 2004, II, 602;

Genovese, Recinzione di fondo rustico idonea ad interrompere il transito: esercizio arbitrario delle proprie ragioni?, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 2001, 500;

Ardizzone, Esercizio arbitrario delle proprie ragioni [aggiornamento 2000], in Dig. pen., Torino, 260;

Vecchi, Esercizio arbitrario delle proprie ragioni da parte del proprietario in materia di sfratto, in Arch. loc. e cond., 1994, 144;

Regina, Esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in Encicl. giur. Treccani, Roma, 1989, vol. XIII.

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