Aperture ad una maggiore remuneratività della locazione commerciale in un importante arresto sul canone a scaletta

Roberto Masoni
01 Settembre 2017

Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima...
Massima

Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola in cui venga pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto; e ciò, sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo; sia mediante il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione; sia correlando l'entità del canone all'incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione dei paciscenti, sull'equilibrio economico del sinallagma. La legittimità di tale clausola dev'essere peraltro esclusa là dove risulti - dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione deve ritenersi onerata la parte che invoca la nullità della clausola - che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della l. n. 392/1978 (nella formulazione originaria ed in quella novellata dall'art. 1, comma 9-sexies della l. n. 118/1985), così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, comma 1, della stessa legge.

Il caso

L'attore ha intimato sfratto per morosità in relazione ad un contratto di locazione ad uso non abitativo, mentre il convenuto ha richiesto in riconvenzionale la restituzione dei canoni indebitamente corrisposti tenuto conto della nullità della previsione contrattuale riferita ad un canone determinato in misura crescente nel tempo, a norma dell' art. 79 della l. n. 392/1978.

Il tribunale ha rigettato la domanda risolutoria accogliendo quella riconvenzionale di ripetizione d'indebito

A sua volta, la Corte d'appello, confermando l'infondatezza della domanda risolutoria ha disatteso pure la domanda riconvenzionale avanzata dalla società conduttrice.

Ha proposto ricorso la convenuta, mentre il locatore ha resistito con ricorso incidentale.

La questione

La questione trattata è la seguente: è valido il patto con cui le parti prevedono di determinare il canone in misura crescente e differenziata per frazioni successive di tempo nel corso del rapporto locatizio?

Le soluzioni giuridiche

Con riferimento alla legittimità del patto di determinazione del canone locativo degli immobili ad uso diverso dall'abitazione in misura crescente nel tempo (c.d. canone a scaletta), la nomofilachia ha espresso orientamenti non sempre univoci, al punto che la pronunzia in commento, con ampia, articolata e ponderosa motivazione, si pone l'ambizioso obiettivo di «procedere ad una ricapitolazione della questione, al fine di comporre in termini univoci, gli orientamenti interpretativi della Corte di Cassazione, succedutisi nel tempo in forma e termini che appaiono non sempre informati a criteri di reciproca e rigorosa coerenza».

Fondamentalmente due sono gli orientamenti nomofilattici che da tempo si fronteggiano in materia, come la pronuncia ha cura di ricapitolare e ricordare.

Da un canto, quell'impostazione che perviene alla declaratoria di nullità della clausola in oggetto, in forza dell'applicazione del combinato disposto degli artt. 32 e 79 della l. n. 392/1978.

Si ricorda al riguardo che tale patto non può che esprimere una sostanziale elusione del divieto di aumento del canone nei termini determinati dall'art. 32 della legge, che ammette unicamente l'aggiornamento dello stesso in misura non superiore al 75% dell'indice dei prezzi al consumo calcolato dall'ISTAT per le famiglie di operai ed impiegati per ciascuna annualità del rapporto (oltre alle pronunzie citate nel corpo della sentenza, si vedano, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2016, n. 20384; Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2016, n. 13011).

Viceversa, altro orientamento, cui la pronunzia in rassegna espressamente si richiama ad esso uniformandosi (a partire da Cass. civ., sez. III, 3 agosto 1987, n. 6695), perviene alla conclusione opposta; ovvero della legittimità della clausola di determinazione del canone in misura decrescente nel corso del rapporto, sempre che sia ancorata ad indici predeterminati dai contraenti in sede di conclusione della locazione.

A questo riguardo ed a giustificazione del principio di diritto, si richiama la facoltà che hanno le parti del rapporto locatizio commerciale di determinare liberamente il canone, non soggetto alle rigide limitazioni legislative, in precedenza previste dalla legge sull'equo canone per l'uso abitativo (artt. 12 ss. l. n. 392/1978). E questa libera autonomia delle parti nella determinazione del prezzo della locazione, secondo la Corte, può esprimersi anche nella previsione di clausole di modifica del canone in senso favorevole ed in misura accrescitiva per il locatore in corso di rapporto; sempre che tale aumento sia giustificato dall'aumento del «valore locativo dell'immobile locato», il quale sia ipotizzabile, in via esemplificativa, «in dipendenza dello sviluppo urbano, della dotazione di maggiori servizi nella zona, della concentrazione di immobili destinabili ad uso commerciale», etc. In tal modo si rende compartecipe il locatore dell'incremento nel tempo della redditività da posizione dell'immobile locato. A questo riguardo appare però indispensabile che le parti abbiano previsto nel contratto «meccanismi o formule di accrescimento del valore reale del canone ancorati a parametri certi e determinati».

Unico limite a questa libera volontà dei contraenti in tema di determinazione a «scaletta» del corrispettivo della locazione è dato dall'eventuale intento delle parti di eludere il divieto di cui agli artt. 32 e 79 della l. n. 392/1978. Tuttavia, tale intento deve essere provato da parte del conduttore, in difetto del quale «il patto di determinazione differenziata del canone per frazioni di tempo successive deve ritenersi comunque valido».

Osservazioni

La fondamentale pronunzia in rassegna, pur in assenza di un intervento delle Sezioni Unite in subiecta materia, per l'ampiezza dell'argomentare e la convincenza della motivazione, potrebbe costituire un punto fermo, di svolta, oltreché di riferimento per la futura interpretazione giurisprudenziale, in grado di apportare chiarezza ed idoneo a risolvere un contrasto da troppo tempo presente in materia.

Cruciale è la distinzione terminologica che la pronunzia sottolinea in modo marcato tra i due concetti contermini entrambi presenti nella disciplina legale del canone locatizio; quello di «aggiornamento» del canone, cui si richiama propriamente l'art. 32 della l. equo canone, e, in precedenza, per l'uso abitativo, l'abrogato art. 24, da un canto; e la nozione di «adeguamento» del canone, cui si riferiva l'abrogato art. 25 della medesima legge, dall'altro.

Il primo concetto viene utilizzato per descrivere «il fenomeno del mantenimento almeno tendenziale) del valore reale della prestazione del conduttore incidente sull'equilibrio del sinallagma nonostante la variabilità della sua espressione monetaria in dipendenza della flessione nel tempo del potere di acquisto della lira». Viceversa, l'aumento del canone, come precisa la Corte, «implica un accrescimento non solo dell'espressione monetaria ma anche del valore reale del corrispettivo dovuto dal conduttore». Significativamente, nell'art. 25 della l. n. 392/1978, il canone di locazione poteva essere aumentato al variare del valore reale della prestazione del conduttore, dato che, al mutare dei parametri e coefficienti correttivi ex artt. 13 e 15, mutava il valore reale della prestazione del locatore.

L'interpretazione della Corte sembra anticipare quell'intervento di riforma legislativa nella materia delle locazioni ad uso non abitativo da più parti invocato ed ormai divenuto ineludibile, anche in un'ottica di rilancio dell'economia da troppo tempo in fase di profonda recessione. La parte della l. n. 392 rimasta in vigore andrebbe cioè riportata al passo coi tempi, uniformandola alle specifiche esigenze dell'imprenditorialità, come ha cura di fare l'interpretazione suggerita da Cass. n. 22909/2016. Rimettere la determinazione delle condizioni di un rapporto di così lunga durata, quale quello in oggetto destinato a protrarsi oltre il decennio, senza prevedere meccanismi flessibili, anche di determinazione del corrispettivo se non nell'ottica ristretta del mero «aggiornamento del canone» ex art. 32 della l. n. 392/1978, rimesso a rigide ed inderogabili disposizioni di legge poste a pena di nullità delle pattuizioni attributive di vantaggi al locatore ex art. 79 della l. n. 392/1978, appare ormai antistorico, oltrechè anacronistico.

In effetti ciò che la legge del 1978 ha inteso limitare con riguardo alle locazioni non abitative, è l'autonomia delle parti in tema di misura dell'aggiornamento del canone, la cui «variazione non può essere superiore al 75%» degli aumenti ISTAT, a pena di nullità (art. 32, comma 2, l. cit.). Mentre ha rimesso alla privata autonomia dei contraenti (ex art. 1322, 1° comma, c.c.), la determinazione dell'importo del pattuito canone, il quale può essere (anche) previsto in aumento in corso di rapporto, come ha avuto cura di precisare la sentenza.

Da un punto di vista economico, poi, garantire un minimo di remuneratività al locatore-proprietario di immobile commerciale, in una temperie caratterizzata da una fiscalità dominicale ormai divenuta opprimente, può costituire rimedio idoneo a garantire la sopravvivenza di una precisa categoria di contribuenti in stato di sofferenza economico-finanziaria, oltre che contribuire a favorire il rilancio della stagnante economia.

Senza dire che la scelta di rendere maggiormente remunerativa la locazione commerciale, attraverso il testè descritto meccanismo pattizio, potrebbe indurre l'effetto positivo di incentivare la restituzione di immobili attualmente sfitti al mercato, così da destinare nuovamente ad usi produttivi.

Vale infine un'ulteriore conclusiva considerazione.

Garantire un adeguamento dell'importo del canone potrebbe incentivare il locatore ad effettuare opere di miglioria nello stabile sede d'impresa, ovvero, ad uniformarlo a specifiche esigenze aziendali del conduttore, come d'altro canto disponeva opportunamente l'abrogato testo dell'art. 23 della l. n. 392/1978 per le locazioni ad uso abitativo, che legittimava il locatore a richiedere «un'integrazione del canone» in aumento, a fronte dell'effettuazione di «opere di straordinaria manutenzione di rilevante entità».

In tal modo sarebbe favorito un rinnovo e ad un miglioramento del patrimonio edilizio degli immobili commerciali.

Guida all'approfondimento

Grasselli - Masoni, Le locazioni, Padova, 2013;

Izzo, in La giurisprudenza sul codice civile, a cura di Izzo - Preden - Romagnoli, Milano, 2011 (artt. 1571-1654), 850;

Di Marzio, La locazione, a cura di Cuffaro, Bologna, 2009, 322;

D'Ascola, Spunti critici in materia di locazioni ad uso diverso dall'abitazione, in Rass. loc. e cond., 2004, 269;

Bucci - Malpica - Redivo, Manuale delle locazioni, Padova, 1989, 414;

Giove, Ancora aumenti ed aggiornamenti del canone nelle nuove locazioni non abitative, in Giur. it., 1988, I, 1;

Cosentino - Vitucci, Le locazioni dopo le riforme del 1978-1985, Torino, 1986.

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