È inefficace il pagamento del terzo pignorato dopo il fallimento del debitore, anche se in forza di assegnazione anteriore

Gianluca Cascella
19 Ottobre 2017

La questione affrontata dalla sentenza in commento è quella relativa all'opponibilità o meno al fallimento del pagamento eseguito dal terzo debitore in favore di un singolo creditore del fallito, allorquando vi sia una discrasia temporale tra il titolo che legittima il predetto creditore a richiedere il pagamento, l'ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c., anteriore alla dichiarazione di fallimento, ed il pagamento da parte del terzo pignorato, invece posteriore a quest'ultima.
Massima

Il fallimento del debitore, che abbia in precedenza subito un pignoramento presso terzi, con conseguente assegnazione in favore del creditore, comporta l'inefficacia, ex art. 44 l.fall, dell'eventuale pagamento che il terzo pignorato abbia eseguito in epoca posteriore al momento in cui il debitore principale sia stato dichiarato fallito, anche nel caso in cui l'assegnazione del credito in favore del creditore pignorante sia avvenuta anteriormente alla dichiarazione di fallimento, inefficacia conseguente al fatto che l'eventuale assegnazione, pur se anteriore al fallimento, non è idonea a far immediatamente estinguere il debito del debitore principale, poiché tale effetto è prodotto solo dal pagamento del terzo pignorato, che tuttavia è idoneo ad estinguere il debito del soggetto inadempiente solo se interviene prima del fallimento.

Il caso

Tizio propone ricorso in Cassazione avverso una decisione di appello che, in riforma della decisione di primo grado, lo aveva condannato, quale appellato, a restituire, con interessi dalla domanda, la somma che il medesimo aveva conseguito, in via esecutiva, tramite pignoramento presso terzi, pretesa per vantati crediti da lavoro, da altro soggetto, debitore del proprio datore di lavoro, avendo il terzo pignorato poi corrisposto la medesima somma anche alla curatela del fallimento del datore di lavoro del primo creditore, a seguito di declaratoria di inefficacia del primo pagamento, pagamenti coattivi eseguiti dal terzo pignorato dopo il fallimento del datore di lavoro del ricorrente, originario creditore procedente.

La questione

Il caso descritto propone sostanzialmente tre diverse questioni: i) la prima attiene ad una presunta violazione di legge – e segnatamente dell'art. 1676 c.c., per un verso, e del d.l. n. 35/2005, per altro verso - da parte della Corte di appello, per avere escluso che il ricorrente, in quanto lavoratore, da un lato poteva agire direttamente, per il recupero dei propri crediti da lavoro, nei confronti dei soggetti che, come l'appaltante, erano obbligati in solido verso il datore di lavoro del creditore, poi fallito e, dall'altro, che in ragione di tale sua qualità soggettiva, tale pagamento non era assoggettabile alla revocatoria fallimentare invece accolta nei suoi confronti; ii) la seconda riguarda l'ipotizzato errore, da parte del giudice d'appello, nella qualificazione dell'indebito dal punto di vista soggettivo, per avere detto giudicante ritenuto che esso creditore era soggetto privo di legittimazione a ricevere il pagamento; iii) infine, la terza involge la problematica della opponibilità o meno al fallimento del pagamento eseguito dal terzo debitore in favore di un singolo creditore del fallito, allorquando vi sia una discrasia temporale tra il titolo che legittima il predetto creditore a richiedere il pagamento, nel caso di specie una ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c., anteriore alla dichiarazione di fallimento, ed il pagamento da parte del terzo pignorato, invece posteriore a quest'ultima.

Le soluzioni giuridiche

La prima questione viene dalla Cassazione risolta scrutinando la natura dell'azione che aveva permesso al ricorrente di conseguire il pagamento del vantato credito, azione la cui indubbia natura esecutiva, attraverso la formazione di un titolo nei confronti del proprio datore di lavoro, poi azionato nelle forme del pignoramento presso terzi, nei confronti di un terzo soggetto, quale debitor debitoris, evocato in giudizio appunto in tale sua qualità, e non in quella, diversa, che presuppone l'art. 1676 c.c. per la sua applicazione - ovvero di soggetto solidalmente responsabile - per i Giudici di legittimità, escludendo l'applicabilità dell'art. 1676 c.c., conseguentemente esclude anche che possa ritenersi violata la disposizione da ultimo richiamata; in aggiunta, rileva poi la Corte, che non coglie nel segno neanche il richiamo ad una presunta violazione del d.l. n. 35/2005, e ciò in ragione, innanzitutto, dell'assoluta genericità con cui tale decreto è stato invocato, come tale preclusiva della possibilità di individuare il principio normativo, rientrante in tale disposizione, che dovrebbe ritenersi violato; inoltre, e tanto appare dirimente, osservano i Giudici di legittimità, che, se anche il ricorrente avesse correttamente indicato il principio, contenuto in tale corpus normativo fissato, asseritamente violato dalla decisione di appello, in ogni caso sarebbe stato irrilevante, visto che la norma in questione, per quel che rileva in astratto, per espressa volontà del legislatore risulta applicabile solo ai fallimenti apertisi dopo l'entrata in vigore del decreto medesimo, cioè dopo il 17 marzo 2005, mentre nel caso deciso il fallimento era molto anteriore. I Giudici di legittimità ritengono infondata anche la questione posta dal ricorrente con il secondo motivo di impugnazione, con il rilevare che, avendo il terzo errato nella individuazione del destinatario cui eseguire il pagamento, detto soggetto si è trovato ad eseguire due volte lo stesso pagamento per il medesimo titolo, la prima a volta a seguito dell'azione esecutiva del creditore, e la seconda volta perché tale pagamento è stato dichiarato inefficace ad iniziativa della curatela, ai sensi dell'art. 44 l. fall., avendolo dovuto reiterare nelle mani della curatela, per cui, essendo mancato l'accertamento di una diversa ed autonoma responsabilità da parte di esso committente che potesse giustificare una sua condanna diretta ed in proprio a tale pagamento in favore del creditore/lavoratore, tanto giustificava l'azione indennitaria proposta da parte del committente/terzo pignorato, parallelamente dimostrando l'infondatezza del motivo di ricorso con cui è stata sollevata tale questione.

La terza questione viene dalla Corte risolta prendendo in considerazione, da un lato, l'efficacia non estintiva del rapporto di debito-credito, propria dell'ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. (cui si riconosce, sostanzialmente, esclusivamente valenza di datio in solutum), con la logica e conseguente considerazione che il creditore-assegnatario necessita, per il soddisfacimento del proprio credito, della collaborazione del terzo pignorato, al cui effettivo pagamento è ricollegato l'effetto satisfattivo, ex latere creditoris, ed estintivo, ex latere debitoris, del rapporto di credito-debito in contestazione; e, dall'altro, l'oggettiva considerazione che, perdendo il debitore, a seguito della dichiarazione di fallimento, la disponibilità del proprio patrimonio, eventuali pagati eseguiti dal medesimo, dopo il fallimento, anche indirettamente, a creditori singoli, e non alla curatela, sono inefficaci e non opponibili al fallimento medesimo, prendendosi quindi in considerazione, per tale declaratoria di inefficacia, il momento temporale in cui l'atto solutorio concretamente sia intervenuto.

Osservazioni

La prima questione si caratterizza per il fatto che, a ben guardare, è proprio la scelta processuale posta in essere dal creditore/ricorrente, quella cioè di agire in via esecutiva contro il debitore del proprio debitore, che esclude a monte la possibilità di invocare poi, come invece fatto dallo stesso in sede di legittimità, una presunta violazione dell'art. 1676 c.c.; infatti, per poter validamente poter invocare, in Cassazione, la violazione di detta norma, il creditore avrebbe dovuto, nei gradi di merito, azionare detta disposizione in via autonoma, agendo contro il soggetto invece evocato come terzo, con il dedurre che il medesimo era non solo obbligato in solido con il proprio datore di lavoro, ma altresì che era da ritenersi responsabile in via concorrente, nella sua qualità di committente di quei lavori dai quali nasceva il credito da retribuzione azionato in via esecutiva dal ricorrente; il ricorrente, cioè, avrebbe dovuto, con un giudizio ordinario di cognizione, formarsi un titolo esecutivo direttamente nei confronti del committente, per ragioni proprie a quest'ultimo (in quel caso, una diversa ed autonoma responsabilità a carico di tale soggetto); un titolo, quindi, ulteriore e diverso che, andando ad aggiungersi a quello vantato verso il proprio datore di lavoro, avrebbe giustificato il ricorso all'art. 1676 c.c., e la conseguente legittima possibilità di escludere dal campo di applicazione della revocatoria fallimentare quanto ottenuto in pagamento, come del resto conferma una giurisprudenza di legittimità invero consolidata al riguardo (Cass. civ., sez. I, 14 gennaio 2016, n. 515, Giust. civ., Mass., 2016). A tanto va poi aggiunto che, con riferimento alla presunta violazione del d.l. n. 35/2005, appare dirimente – per cui il percorso motivazionale della decisione qui commentata andava verosimilmente capovolto – la considerazione che già il mero dato temporale escludeva in radice ogni questione in ordine all'applicabilità o meno di tale corpus normativo, essendo stato, il fallimento in questione, dichiarato moltissimi anni prima dell'entrata in vigore di tale decreto; e del resto, al riguardo la stessa Suprema Corte, respingendo i sospetti di incostituzionalità sollevati dal ricorrente in un caso sottoposto al suo esame, aveva ritenuto che la scelta di disciplinare in modo diverso situazioni identiche era frutto di una precisa e non sindacabile discrezionalità del legislatore (Cass. civ., sez. I, 5 marzo 2008, n. 5962, in Giust. civ., Mass., 2008, 3, 364); il che, allora, considerato che anche nel caso esaminato dalla decisione (Cass. civ., sez. I, 2 ottobre 2015, n. 19729, in Giust. civ., Mass., 2015) richiamata in motivazione dalla sentenza qui in commento, i giudici di legittimità hanno respinto analoghi dubbi di costituzionalità, (ri)confermando che le profonde innovazioni alla disciplina dell'azione revocatoria fallimentare, introdotte dal legislatore con il d.l. n. 35/2005, proprio per volontà del medesimo erano da ritenere prive di efficacia retroattiva, avrebbe reso preferibile che il relativo motivo di ricorso venisse dichiarato inammissibile, e non infondato, siccome palesemente contrario alla costante giurisprudenza della Cassazione medesima (ex multis, Cass. civ., Sez. Un., 21 marzo 2017, n. 7155, in Foro it., 2017, 4, I, 1177).

Con riguardo alla seconda questione, appare evidente che nel caso in esame la sussistenza o meno di un eventuale errore scusabile da parte del soggetto che, dopo aver eseguito il duplice pagamento, ha poi chiesto la restituzione al creditore pignorante, ricorrente nella controversia decisa dalla decisione di legittimità che qui si commenta, di quello eseguito in favore di quest'ultimo, è stata ritenuta dalla Cassazione giuridicamente inconferente - con conseguente esclusione, a monte, dell'ipotizzato errore da parte del giudice di seconde cure - dal momento che, per la Suprema Corte, come è indiscusso che il ricorrente era e resta creditore del debitore principale, rispetto al quale, però, non possiede altro strumento, per provare a soddisfare il suo credito, della ammissione al passivo del relativo fallimento, altrettanto pacifico è il fatto che il pagamento eseguito dal terzo pignorato (appunto in quanto terzo pignorato, e non come soggetto coobbligato, nei confronti del creditore, per un motivo proprio ed autonomo) ad un soggetto diverso dalla curatela, e del quale poi ha anche subito la declaratoria di inefficacia, venendo quindi costretto a pagare nuovamente la stessa cifra alla curatela, comportando che il terzo si vede costretto a pagare due volte lo stesso debito, senza una sua autonoma responsabilità (e quindi in assenza di un titolo autonomo e diverso dal rapporto di debito che egli a sua volta intrattiene con il debitore principale, suo creditore) giustifica la richiesta di restituzione avanzata dal terzo pignorato; anzi, in una simile ipotesi, secondo alcuni, proprio in quanto non vi è alcuna incertezza sulla identificazione di un soggetto (il creditore, in questo caso), non può in alcun modo ipotizzarsi un errore, ma, al massimo, una falsa demonstratio (GAZZONI F., Manuale di Diritto Privato, XIV^ ed., Napoli, 2009, p. 964), la quale, come è noto, non nocet. Da altro punto di vista, occorre in ogni caso rilevare che la dottrina appare divisa sulla ricostruzione degli effetti prodotti dalla corretta o meno identificazione della legittimazione attiva alla ricezione del pagamento (quindi, sostanzialmente, sulla persona del creditore, reale e/o apparente che sia), affermandosi, da parte di alcuni, che esso spiega la propria rilevanza con riguardo alla esistenza o meno di un adempimento, involgendo il profilo contenutistico dell'obbligazione (BRECCIA U., Le obbligazioni, Milano, 1991, 533 e ss.) mentre, secondo altra opinione, essa invece dispiega la propria incidenza in un momento successivo, in quanto incide sull'efficacia o meno dell'adempimento, risultando inefficace un pagamento fatto al soggetto privo della legittimazione a riceverlo (DI MAJO A., Sub art. 1188, in Commentario al codice civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, 1988, 234 e ss.); del resto, non appaiono sussistere, nel caso di specie, i presupposti perché il terzo, al fine di evitare la declaratoria di inefficacia del pagamento, potesse invocare l'art. 1189 c.c., ed il principio dell'apparenza del diritto da esso portato; a riguardo di tale principio, poi, si ricorda il consolidato orientamento della Suprema Corte, in ordine ai presupposti perché possa invocarsi il principio in questione (Cass. civ., sez. I, 5 aprile 2016, n. 6563, in Giust. civ., Mass., 2016).

Infine, la questione principale affrontata dalla sentenza in commento, e che merita un opportuno approfondimento, è senza dubbio l'ultima, quella relativa all'opponibilità o meno, al fallimento, del pagamento eseguito da parte del debitor debitoris, in favore di un singolo creditore del fallito e non, invece, alla curatela. Tale problematica viene concordemente dalla giurisprudenza, di legittimità e di merito, risolta ricorrendo ad un parametro temporale, legato al momento in cui detto pagamento interviene, rispetto alla dichiarazione di fallimento del debitore principale; elemento che, sostanzialmente, rileva come uno spartiacque tra l'opponibilità, nel caso di pagamento anteriore, e l'inefficacia, e conseguente inopponibilità, alla massa dei creditori, se invece intervenuto successivamente al fallimento del predetto soggetto; ciò in quanto, come afferma la giurisprudenza, la dichiarazione di fallimento determina, come effetto erga omnes, l'automatica indisponibilità, per il fallito, quale soggetto passivo della procedura, del proprio patrimonio, a decorrere dal giorno stesso della pubblicazione della sentenza (Trib. Latina, 21 settembre 2016, in IlCaso.it, 2016, I, 16272). Rispetto ad una tale situazione, potrebbe teoricamente ipotizzarsi la concorrente applicabilità di due disposizioni contenute nella legge fallimentare, ovvero la revocatoria ex art. 67 l. fall., e la declaratoria di inefficacia, ex art. 44 l. fall.. Dal primo punto di vista, infatti, potrebbe pensarsi che, essendo intervenuta l'assegnazione in un momento in cui il debitore principale era ancora in bonis, tale circostanza renderebbe il pagamento astrattamente revocabile, ricorrendo i presupposti previsti dall'art. 67, l.fall., e non, invece, del tutto inefficace, ex art. 44 l. fall. In realtà, anche se la sopra prospettata concorrenza di rimedi non è teoricamente da escludere, alla soluzione della prospettata alternativa, con riferimento al caso in esame, si perviene indagando la natura dell'ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c., la quale, essendo appunto non definitiva – nel senso che essa assegna sì il credito, ma salvo comunque esazione, in quanto necessita del successivo pagamento da parte del terzo pignorato per realizzare il concreto soddisfacimento della pretesa del creditore procedente - sposta inevitabilmente in avanti nel tempo il verificarsi di tale effetto, collegandolo indissolubilmente al momento in cui concretamente il pagamento interviene; inoltre, va tenuto presente che l'ordinanza di assegnazione, come ritiene la giurisprudenza, di merito e di legittimità, incontra ulteriori limiti, in quanto, per un verso, la stessa, ove emanata a seguito di pignoramento presso terzi, potrà dirsi in possesso di efficacia esecutiva nei confronti del debitor debitoris, in quanto il credito indicato nel relativo titolo possa dirsi concretamente esigibile (Trib. Arezzo, 20 marzo 2008, in www.iusexplorer.it); per altro verso, poi, tale ordinanza non solo non può valere quale titolo esecutivo nei confronti del debitore principale, ma nemmeno può contenere una condanna per il caso di incapienza del residuo credito (Cass. civ., sez. VI, 30 dicembre 2011, n. 30457, in Giust. civ., Mass., 2011, 12, 1919). La predetta natura dell'ordinanza di assegnazione comporta, ovviamente con riferimento al caso deciso dalla sentenza qui commentata, l'esclusiva applicabilità dell'art. 44 l. fall., visto che la par condicio creditorum viene ad essere concretamente pregiudicata non al momento dell'assegnazione, ma al momento, che è fisiologicamente ed inevitabilmente successivo, in cui il terzo pignorato esegue il pagamento precedentemente “assegnato”, perché è solo in questo momento che il patrimonio del debitore subisce quella deminutio che pregiudica gli interessi della massa, con conseguente inapplicabilità, invece, dell'art. 67 l.fall.. Del resto, a proposito della ratio dell'art. 44, l. fall., non è superfluo ricordare che esso, per la dottrina «disponendo l'inefficacia di tutti gli atti compiuti, i pagamenti eseguiti e quelli ricevuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento, ha la precipua funzione di "cristallizzare" il patrimonio del debitore alla data del fallimento e di renderlo indisponibile, per il futuro, a garanzia della par condicio. Lo sbarramento ad una certa data, prescindente, per sua natura, da qualunque altro accertamento di tipo soggettivo, ha quindi una valenza oggettiva che è percepita quale condizione necessaria per lo svolgimento della procedura» (TISCINI R., Brevi osservazioni in tema di legittimità costituzionale dell'art. 44 l. fall., in Giust. civ., 1998, 9, 2093 e ss.). Per cui si tratta di una disposizione che svolge la duplice funzione, da un lato, di concreto strumento di garanzia della par condicio e, dall'altro, di strumento volto ad assicurare che il fallimento possa regolarmente svolgersi sino alla sua conclusione, attesa la finalità di carattere pubblicistico che la procedura fallimentare svolge, quella, appunto, di assicurare la concreta realizzazione della par condicio creditorum; sempre a proposito dell'art. 44 l. fall., non appare superfluo aggiungere che, per la dottrina, l'accoglimento della domanda proposta ai sensi della richiamata disposizione produce effetti relativi in termini di inefficacia, da un duplice profilo, quello oggettivo e quello soggettivo: dal primo punto di vista, infatti, è solo nei confronti di quei crediti insorti prima che venga dichiarato il fallimento, che l'accoglimento della domanda in questione produce il suo effetto tipico, mentre, dal secondo punto di vista, sono solo gli atti dispositivi che riguardano i beni rientranti nello spossessamento, che sono destinati ad essere colpiti dalla sanzione della inefficacia (JORIO A., Le crisi d'impresa. Il fallimento, in Trattato di Diritto privato, a cura di Iudica G. e Zatti P., Milano, 2000, 341 e ss.). Ricostruzione, questa, che pare trovare conferma innanzitutto nell'orientamento della Suprema Corte, che è pervenuta ad affermare che, intervenuto il fallimento, non è possibile dare esecuzione ad eventuali ordinanze di assegnazione, anche se anteriori alla dichiarazione di fallimento (Cass. civ., sez. I, 6 settembre 2007, n. 18714, in Giust. civ., Mass., 2007, 9) ed, inoltre, quale logico corollario della precedente statuizione, precisa che oggetto della revoca, come dell'inefficacia, è l'atto di pagamento, in quanto è ad esso che si riconnette la violazione della par condicio creditorum (Cass. civ., sez. I, 6 settembre 2007, n. 18714, in Giust. civ., Mass., 2007, 9);orientamento, questo, condiviso dalla giurisprudenza di merito, secondo cui, conseguendo l'effetto satisfattivo solo al materiale pagamento della somma, e non anche alla mera emissione dell'ordinanza assegnativa - in quanto la stessa è condizionata all'effettivo pagamento, per cui è da ritenersi una cessione pro solvendo - se il pagamento è successivo al fallimento del debitore originario, allora sussistono i presupposti applicativi dell'art. 44 l.fall.(Trib. Milano, sez. II, 9 maggio 2012, n. 5346, in www.iusexplorer.it). Anche la dottrina, del resto, ritiene che l'assegnazione di un credito avvenga sempre e solo con efficacia pro solvendo, e mai, di contro, pro soluto, risultando pertanto condizionata, per la produzione dell'effetto estintivo del debito, all'effettivo pagamento della somma assegnata (DE STEFANO G., Assegnazione nell'esecuzione forzata, in Enc. dir., III, Milano 1958, 270 e ss.); si precisa inoltre, da parte di autorevole dottrina, che per effetto dell'ordinanza di assegnazione il creditore assegnatario non acquista un diritto a pretendere una prestazione, bensì diviene titolare del medesimo diritto di credito vantato dal debitore principale nei confronti del terzo pignorato (SATTA S., Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965, 213 e ss.).

In conclusione, sulla scorta dei richiamati orientamenti di legittimità, deve ritenersi che, sia con riguardo all'art. 44 l. fall (e quindi tema di inefficacia di atti dispositivi, segnatamente di pagamenti nel caso in esame) sia con riguardo all'art. 67 l. fall (e quindi in tema di revocatoria fallimentare) ai fini dell'applicazione dell'una o dell'altra norma, e quindi dei relativi e diversi rimedi dalle stesse apprestati, deve guardarsi unicamente all'atto satisfattivo del creditore, e cioè al pagamento; atto che, come insegna la Suprema Corte, al tempo stesso è anche estintivo di un debito del fallito, ed a quest'ultimo è riferibile siccome posto in essere in sua vece e con l'utilizzo di denaro appartenente al medesimo (ex multis, Cass. civ., sez. I, 19 luglio 2016, n. 14779, in Giust. civ., Mass., 2016). Pertanto, si agirà per dichiarare detto atto dispositivo inefficace ai sensi dell'art. 44, l. fall., se posto in essere in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento, ovvero per revocarlo, ex art. 67 comma 2 l. fall., se posto in essere entro il termine previsto da detta norma per tale tipologia di atti; con la conseguenza che, in un caso come quello esaminato dalla decisione di legittimità qui commentata, il pagamento al singolo creditore eseguito dal terzo pignorato ex art. 553 c.p.c. in forza dell'ordinanza di assegnazione, se eseguito dopo il fallimento, sarà soggetto alla dichiarazione di inefficacia ex art. 44 l. fall., in ragione della sua natura di atto satisfattivo comunque riconducibile al debitore, in quanto, come afferma la Suprema Corte, è solo tale atto che possiede effettiva idoneità ad estinguere il debitore del fallito e, conseguentemente, a giustificare l'applicazione della sanzione prevista dall'art. 44, l. fall.(ex multis, Cass. civ., sez. I, 13 agosto 2015, n. 16838, in Guida al Diritto, 2015, 47, 54). In ogni caso, occorre ricordare come la giurisprudenza di legittimità accolga una nozione ampia della figura del “terzo” che esegue un pagamento per il debitore, ai fini della sua revocabilità (Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2017, n.14975, in www.ilfallimentarista.it). Diversamente, se il pagamento del terzo pignorato è anteriore, la sua revocabilità, per la Suprema Corte, si giustifica ai sensi dell'art. 67 l. fall. in ragione del fatto che detto pagamento, siccome attuato con denaro di cui il terzo era debitore nei confronti del fallito, precedentemente sottoposto ad esecuzione forzata individuale, non solo ha provocato una diminuzione del patrimonio del fallito medesimo, ma anche un duplice effetto estintivo, avendo appunto estinto sia il debito che esso terzo aveva verso il debitore principale, sia quello di quest'ultimo verso il procedente (Cass. civ. sez. I, 20 dicembre 2012, n. 23652, in Giust. civ., Mass., 2012, 12, 1440); revocatoria che, inoltre, rinviene come destinatario passivo della relativa azione il solo creditore assegnatario, in quanto, come ritiene la giurisprudenza di legittimità, è solo tale soggetto che, avendo beneficiando di tale atto solutorio, si è sottratto al concorso ed alla par condicio, per cui, al fine di ripristinare la stessa, distribuendo ogni attività recuperata secondo le regole della procedura fallimentare, è obbligato a restituire la somma ricevuto tramite l'assegnazione (Cass. civ., sez. VI, 3 novembre 2016, n. 22160, in Giust. civ., Mass., 2017).

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