Quando la sindrome di alienazione parentale non ostacola il criterio della bigenitorialità

Redazione Scientifica
25 Ottobre 2017

Il giudizio prognostico che il Giudice deve formulare circa la capacità dei genitori di crescere i figli nella nuova situazione determinata dal disgregarsi dell'unione deve tenere conto di diversi elementi concreti tra cui anche il modo in cui gli stessi hanno svolto in precedenza i propri compiti.

Il caso. Tizia ha impugnato presso la Corte d'appello di Napoli la sentenza con la quale, definito il giudizio di separazione personale dal marito, si disponeva l'affido condiviso dei figli minori con collocamento presso la madre e si regolavano le modalità e i tempi di frequentazione con il padre mediante incontri protetti e monitorati dal servizio sociale.

A seguito del rigetto dell'appello, determinato sia dall'accertamento dell'idoneità genitoriale di entrambe le parti che dal riscontro in uno dei figli della sindrome di alienazione parentale, circostanze che portavano a ritenere opportuno il regime dell'affidamento condiviso così come delineato dalla sentenza di primo grado, la donna ha presentato ricorso per cassazione.

Di quali elementi deve tenere conto il Giudice per valutare l'idoneità genitoriale? Secondo la Suprema Corte, la sentenza impugnata, pur menzionando l'ipotesi della PAS come emersa dalla CTU, ha fatto corretta applicazione del principio per cui, in tema di affidamento dei figli minori, tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e ad una crescita equilibrata e serena (Cass. n. 6919/2016).

Come già sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, il giudizio prognostico che il Giudice deve formulare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare i figli nella nuova situazione determinata dal disgregarsi dell'unione, deve tenere conto, in base a elementi concreti, anche del modo in cui gli stessi hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità a un assiduo rapporto, nonché della personalità del singolo genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore. Tutto ciò fermo restando il rispetto del principio della bigenitorialità, «da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione» (Cass. n. 18817/2015).

La Cassazione dichiara, pertanto, inammissibile il ricorso poiché la sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza richiamata e, nel caso in esame, non è opportuno insistere sul profilo della PAS in quanto la ratio decidendi prescinde dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica di tale teoria.

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