Sicurezza nei luoghi di lavoro

Ferdinando Della Corte
28 Settembre 2017

Si rileva finalmente anche in Italia lo sviluppo di una sensibilità nuova, finalmente protesa alla migliore tutela del lavoro, in tutte le sue esplicazioni, incluso l'edificio in condominio, spesso sottovalutato, forse per la scarsa rilevanza o drammaticità degli eventi che lo interessano; al contempo, va registrato che si sta onerando sempre di più l'amministratore di condominio di incombenze e di responsabilità, dovendo egli promuovere tutte le forme la sicurezza, e divenendo quasi un educatore che fa conoscere ai suoi amministrati i rischi e li porta ad avviare quegli investimenti che servono alla prevenzione di eventi dannosi.
Inquadramento

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aggiornamento della Bussola a cura di A. Celeste

Quando si parla di tutela delle condizioni di lavoro, si deve prendere le mosse dall'art. 41, comma 1, Cost., che garantisce l'iniziativa economica privata, stabilendo, però, che tale attività non possa svolgersi in contrasto con la libertà, la dignità umana e, appunto, la «sicurezza»; quest'ultimo concetto significa, quindi, lo svolgimento dell'attività lavorativa in condizioni tali che la vita, l'incolumità fisica e la salute non siano esposte a pericolo, per cui oggetto di tutela, da parte del nostro ordinamento, non è esclusivamente il lavoratore, ma in base ai principi costituzionali anche «la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività» (art. 32 Cost.).

Sul versante codicistico, va richiamato, poi, l'art. 2087 c.c., secondo il quale «l'imprenditore è tenuto ad adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».

Peraltro, anche lo Statuto dei Lavoratori, ossia la l. n. 300/1970, ha previsto che l'imprenditore è obbligato ad adottare tutte le misure che, in relazione alla particolarità del lavoro da prestarsi, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e morale dei prestatori di lavoro.

Comunque, il citato art. 2087 c.c., pur non essendo una norma incriminatrice, dispiega evidenti effetti anche in àmbito penale; invero, tale disposizione prevede che l'imprenditore sia garante dell'integrità fisica dei prestatori di lavoro, definisce l'interesse ed il contenuto della garanzia (apprestare ogni misura «necessaria») nonché il criterio di determinazione della stessa (la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica): in buona sostanza, delinea un «modello di comportamento» dell'imprenditore (o, meglio, del buon imprenditore) che rileva anche penalmente ai fini del giudizio di colpa, in quanto costituisce chiaramente una fonte dell'obbligo di garanzia per il datore di lavoro, nel caso di reati omissivi colposi.

L'importanza della norma di cui sopraè stata ribadita anche dalla giurisprudenza che ne ha esaltato il carattere generale e sussidiario di integrazione della specifica normativa antinfortunistica, con riferimento all'interesse primario della garanzia della sicurezza del lavoro: il dovere di sicurezza si realizza attraverso l'attuazione di misure specifiche imposte tassativamente dalla legge o, in mancanza, con l'adozione dei mezzi idonei a prevenire ed evitare i sinistri, assunti con i sussidi dei dati di comune esperienza, prudenza, diligenza, prevedibilità, in relazione all'attività svolta.

A livello di legislazione speciale, la tematica de qua trova il suo compendio nel recente d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 - modificato ed integrato dal d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106 - denominato anche Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, che ha abrogato le precedenti disposizioni in materia (specie il d.P.R. n. 547/1955, il d.lgs. n. 626/1994, il d.lgs. n. 494/1996), accorpando le norme, precettive e sanzionatorie, contenute in molteplici provvedimenti legislativi.

Il nuovo corpus iuris si pone in linea con la recente tendenza del legislatore, già manifestata con il d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (come modificato dal d.lgs. 19 marzo 1996, n. 242), volta - per quel che ci interessa in questa sede - ad imputare o, comunque traferire in parte, all'autonomia privata, ed in particolare al «datore di lavoro», o ad altri soggetti, a vario titolo, coinvolti nella conduzione e gestione dell'impresa, alcuni (e non secondari) compiti di tutela preventiva della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, lasciando allo Stato le attribuzioni in materia di supervisione, sorveglianza, controllo, e presidiando tale forma di partecipazione o collaborazione dei soggetti privati in tale materia con un adeguato sistema sanzionatorio, anche di rango penalistico.

La centralità della figura del lavoratore

Rimane la «centralità» della figura del lavoratore quale destinatario della suddetta tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (peraltro, la relativa figura viene individuata in modo svincolato dalla tipologia contrattuale e dall'elemento della retribuzione); lo sforzo principale è quello di adattare tale legislazione «prevenzionistica» a situazioni lavorative alquanto diverse e variegate, e sicuramente non tutte riconducibili all'ipotesi tipica relative all'impresa produttiva o commerciale di medio-grandi dimensioni.

Lo stesso lavoratore è, in primis, beneficiario delle norme prevenzionistiche, ma, al contempo, anche destinatario (art. 20 d.lgs. n. 81/2008) di obblighi specifici e può, talvolta, assumere la qualifica di soggetto attivo del reato; a tal fine rileva, in particolare, l'obbligo per il lavoratore di prendersi cura non solo della propria salute e sicurezza, ma anche di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni/omissioni (comunque, deve escludersi che sullo stesso possa gravare una posizione di garanzia ex art. 40, comma 2, c.p., in quanto privo di poteri di organizzazione e disposizione sulle potenziali fonti di pericolo del luogo di lavoro).

Per quanto ci riguarda più da vicino, si tratta di «calare» il suddetto decreto legislativo - il quale, come recita l'art. 3, comma 1, «si applica a tutti i settori di attività, pubblici e privati, e tutte le tipologie di rischio» lavorativo - al «pianeta condominio»: in altri termini, occorre analizzare le peculiarità dell'applicazione della materia prevenzionistica nella realtà condominiale ogni qualvolta ci sia un soggetto che lavora, specie in regime di subordinazione, cercando di individuare il soggetto responsabile, l'ampiezza dei suoi obblighi e, correlativamente, il limite delle sue responsabilità.

In evidenza

Ci si preoccupa di esaminare il condominio come «luogo di lavoro», con tutte le connesse problematiche in tema di tutela della sicurezza qualora qualcuno lavora «per» il condominio, non essendo sufficiente che lavori «nel» condominio; nell'edificio, infatti, di solito vivono persone, ma nulla esclude che lavorino soggetti all'interno delle unità immobiliari di proprietà esclusiva (colf, badanti, segretarie, commessi, impiegati, operai, ecc., dipendenti di famiglie, studi professionali, esercizi commerciali, e quant'altro).

Il soggetto responsabile in quanto datore di lavoro

Il primo problema, nell'applicazione del d.lgs. n. 81/2008, è verificare chi, nell'àmbito del condominio, possa indentificarsi come «datore di lavoro» (cui riconnettere, poi, obblighi e eventuali responsabilità), atteso che nel Testo Unico non si rinvengono riferimenti espliciti al riguardo.

Sul versante giurisprudenziale, si è affermato - sia pure ad altri fini - che, fra i doveri che incombono all'amministratore, vi sono anche gli interventi assicurativi che riguardano il personale dipendente del condominio, e che l'amministratore è responsabile personalmente delle relative omissioni contributive in virtù del contratto con cui egli è stato nominato a tale ufficio ed in base al quale i condomini sono esonerati da ogni penale responsabilità in ordine alla gestione (Cass. pen., sez. III, 18 marzo 1975, n. 3027), e ciò perché l'amministratore contrae verso il personale assunto le obbligazioni derivanti dal contratto di lavoro, facendosi poi rimborsare dai condomini, pro quota, le somme pagate in virtù del contratto stesso e, pertanto, assume la qualifica di «datore di lavoro» dei dipendenti.

E' stato, altresì, affermato - anche se con riferimento ai contributi I.N.P.S. (Cass. pen., sez. III, 29 dicembre 1973, n. 9814) - che l'amministratore, quando assume personale dipendente nell'interesse del condominio che per delega amministra, assume la qualifica di «datore di lavoro» nei confronti dei dipendenti stessi, ed é pertanto di conseguenza penalmente responsabile per non aver pagato i contributi previdenziali all'I.N.A.M. relativamente a tale personale dipendente; sempre con riferimento ai contributi I.N.P.S.- v., altresì, Cass. pen., sez. II, 11 novembre 2010, n. 41462; Cass. pen., sez. II, 18 marzo 2009, n. 19911 - si è ritenuto che commette il reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p. l'amministratore che, avendo ricevuto dai condomini gli importi relativi al pagamento dei contributi previdenziali relativi al portiere, ometta di versarli all'Istituto previdenziale.

Sul versante normativo, nel vigore del d.lgs. n. 626/1994, era stata emanata la circolare n. 28 del Ministro del lavoro del 5 marzo 1997, la quale aveva affermato, senza esitazione alcuna, che, ai fini della legislazione prevenzionistica in materia di lavoro negli edifici in condominio - prevista allora dall'art. 1 del d.lgs. n. 626/1994 - «il datore di lavoro va individuato nella persona dell'amministratore condominiale pro tempore».

Altrettanto sicuro è l'attuale Ministero del lavoro il quale, in risposta ad alcuni quesiti ricorrenti, con una nota pubblicata nella nuova sezione del sito internet dedicato alla sicurezza sul lavoro, ha affermato che, «con riferimento al condominio, è chiaro che questo sarà equiparato ad un'azienda nel caso in cui adibisca del personale a svolgere attività lavorativa nel proprio àmbito, e, assumendo l'amministratore condominiale la veste di datore di lavoro, devono essere rispettate le disposizioni di cui al d.lgs. n. 81/2008 in tema di salute e sicurezza sul lavoro».

Ad ogni buon conto, la soluzione appare sostanzialmente corretta, ma nient'affatto scontata e, comunque, necessita di alcune precisazioni, che devono fare i conti con il particolare istituto del condominio che - ricordiamolo - non è un ente dotato di personalità giuridica distinta dai condomini che ne fanno parte: il refrain è sempre lo stesso, per cui «il condominio è un mero ente di gestione che agisce, in campo sostanziale e processuale, attraverso l'amministratore, il quale è l'organo esecutivo cui spetta, quale mandatario dei condomini, la rappresentanza degli stessi» (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2000, n. 7891).

Prendiamo le mosse dalla definizione di «datore di lavoro» che è data all'art. 2, comma 1, lett. b): «Il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui àmbito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa».

Inoltre, la «azienda» è definita come «il complesso della struttura organizzata dal datore di lavoro pubblico o privato», mentre la «unità produttiva» è definita come «lo stabilimento o la struttura finalizzati alla produzione di beni o all'erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale» (rispettivamente, lett. c e t).

Pertanto, il datore di lavoro, quale esercente un'attività economica, deve garantire l'adozione di tutti i sistemi, in possesso della tecnica, atti a prevenire e proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché a salvaguardare la personalità morale degli stessi; egli deve avere una sensibilità tale da rendersi interprete, in via di prevedibilità, del comportamento altrui; non è invocabile, infatti, come causa esimente, una condotta anomala ed inopinata da parte di altri soggetti, se la si pone alla base del proprio errore di valutazione; segnatamente, ad avviso della giurisprudenza (Cass. pen., sez. IV, 19 aprile 2005, n. 23729), la prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente altrui, non rileva allorché chi la invoca versa in re illicita, per non avere negligentemente impedito l'evento lesivo, sicché il mancato rispetto della normativa antinfortunistica costituisce un motivo di responsabilità per il datore e per l'attribuibilità a quest'ultimo di un comportamento a titolo di colpa specifica.

D'altronde, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare il verificarsi di eventi lesivi dell'incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale imprudenza e disattenzione degli operai subordinati; nonostante anch'essi siano destinatari delle norme di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, l'inosservanza delle norme da parte dei datori, dirigenti e preposti, ha valore assorbente rispetto al comportamento del dipendente, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che, da parte dei soggetti obbligati, siano state adempiute le prescrizioni di loro competenza.

Quest'ultimo concetto è stato ulteriormente dilatato dalla giurisprudenza, secondo la quale il datore di lavoro deve tutelare anche le persone estranee all'impresa, «in quanto l'imprenditore assume una posizione di garanzia in ordine alla sicurezza degli impianti non solo nei confronti dei lavoratori subordinati o dei soggetti a questi equiparati, ma altresì nei riguardi di tutti coloro che possono comunque venire a contatto o trovarsi a operare nell'area della loro operatività» (così Cass. pen., sez. IV, 7 febbraio 2008, n. 10842).

Tuttavia, la responsabilità del datore di lavoro, nel caso in cui dovesse verificarsi l'infortunio di un soggetto estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, si può escludere «purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell'infortunio abbia i caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante e purché, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi» (così Cass. pen., sez. IV, 31 marzo 2006, n. 11360); un'ulteriore ipotesi, per il datore di lavoro, di esonero dalla responsabilità può configurarsi quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, cioè tale da essere, radicalmente e ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro (Cass. pen., sez. IV, 23 febbraio 2010, n. 7267).

La titolarità formale del rapporto di lavoro

Dunque, il legislatore ha inteso individuare il soggetto cui attribuire il ruolo ed i conseguenti obblighi prevenzionistici attraverso una duplicità di criteri, tra loro alternativi: uno formale e l'altro sostanziale.

In termini generali, ai fini specifici della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, il datore di lavoro, oltre che quello delineato dalla letteratura giuslavoristica, ossia «il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore», può essere anche quello che ha la «responsabilità» dell'organizzazione o dell'unità produttiva, «in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa»; pertanto, anche il soggetto che non è titolare formale del rapporto di lavoro, ma effettivamente dispone dei poteri di decisione, anche finanziaria, in ordine alla prestazione del lavoratore subordinato all'interno dell'organizzazione in cui quest'ultimo è inserito, va considerato come «datore di lavoro».

D'altronde, tale possibile non coincidenza tra colui che instaura il rapporto contrattuale con il lavoratore e, quindi, ne è il titolare, e colui che effettivamente ha il compito di gestire la prestazione del lavoratore e di raccordarne l'attività all'interno dell'azienda (o unità produttiva) in cui è immesso, si spiega anche con il principio di responsabilità penale di carattere personale sancita dall'art. 27 Cost., nel senso che si è inteso correlarla a chi, in concreto, deve svolgere tutti gli adempimenti prescritti dalla legislazione prevenzionistica rientranti proprio in tale attività gestionale e organizzativa.

Venendo alla particolare fattispecie del condominio, quanto al primo requisito di carattere «formale», ossia alla titolarità del rapporto di lavoro, quest'ultimo corre piuttosto tra la collettività dei condomini, in quanto comproprietari delle parti comuni dell'edificio, che operano mediante l'assemblea, ed il lavoratore (anche nel linguaggio comune, si dice «il portiere del condominio» e non «il portiere dell'amministratore»).

Invero, l'amministratore del condominio, che è un mandatario con rappresentanza, può stipulare il contratto di lavoro con il portiere - ma lo stesso dicasi con tutti gli addetti ai servizi condominiali - solo se il relativo potere gli sia conferito dall'assemblea (anche se materialmente è sempre lui che firma il contratto), come titolare formale delle relative obbligazioni retributive, previdenziali ed assistenziali è, per il tramite dell'amministratore, sempre il condominio.

Dunque, la titolarità del rapporto di lavoro subordinato va ricondotta in capo alla collettività dei condomini, e tale conclusione si pone in linea con la giurisprudenza civile - riaffermata, anche di recente, da Cass. civ., sez. un.,6 agosto 2010, n. 18331 in tema di legittimazione processuale - per la quale l'assemblea è «l'organismo supremo del condominio, dotato dei maggiori poteri deliberativi», di modo che la volontà dei condomini prevale su qualsiasi atto o disposizione dell'amministratore.

Infatti, l'assemblea può revocare l'amministratore in ogni tempo (art. 1129, comma 11, c.c.), esprimere una volontà alla quale l'amministratore è tenuto a conformarsi (art. 1130, comma 1, c.c.), e può attribuire all'amministratore minori poteri di quelli previsti dall'art. 1130 c.c. (con l'unico limite individuato nell'art. 1129 c.c. - ritenuta norma inderogabile - nel senso che l'assemblea non può arrogarsi tutti i poteri ed i compiti dell'amministratore, sino a renderlo una figura meramente nominale, annullandone le attribuzioni).

In quest'ottica, la posizione di primazia dell'assemblea, che può sempre deliberare la modificazione, o anche la soppressione, del servizio di portierato, è stata affermata sino ad ammettere che l'assemblea possa prestare direttamente il consenso necessario alla conclusione di un contratto anziché delegare l'amministratore, e possa revocare il licenziamento del portiere disposto dall'amministratore (Cass. civ., sez. II, 13 agosto 1985, n. 4437).

Il soggetto gestore della prestazione lavorativa

Orbene, se il primo degli indici rappresentativi, ossia quello formale, della posizione datoriale a fini prevenzionistici non è rinvenibile in relazione all'amministratore del condominio, quanto al secondo va rilevato che anche la definizione «sostanziale» di datore di lavoro appaia di difficile accostamento alla realtà del condominio, non qualificabile tecnicamente come «azienda» o come «unità produttiva».

Tuttavia, l'attuale testo dell'art. 2 citato parla anche di «organizzazione», e sembra definire in termini ben più ampi il campo entro il quale può individuarsi un datore di lavoro, il che rimanderebbe a qualunque complesso di attività svolte da un gruppo di individui per raggiungere uno scopo comune.

Peraltro, la giurisprudenza ritiene applicabili le norme antinfortunistiche sia al rapporto di lavoro realizzato al di fuori di un'attività imprenditoriale, sia addirittura quando manchi un rapporto di lavoro subordinato tecnicamente inteso e sussista solo una prestazione lavorativa - eseguita, ad esempio per cortesia, amicizia, riconoscenza - affermando che fonte dell'obbligo di apprestare le necessarie cautele antinfortunistiche è il fatto stesso di coinvolgere nel proprio lavoro pericoloso un'altra persona, purché detta prestazione sia stata posta in essere in un ambiente che possa definirsi di «lavoro» (Cass. pen., sez. IV, 16 gennaio 2008, n. 7730, che ha ipotizzato la responsabilità del parroco per l'infortunio occorso al fedele impegnatosi volontariamente nell'approntamento della struttura deputata allo svolgimento della festa della parrocchia).

Dunque, anche l'attività lavorativa svolta nell'ambiente di lavoro «condominio» è investita dalla normativa prevenzionistica - nei limiti di cui all'art. 3, comma 9, del T.U. citato - e pone la questione dell'identificazione del datore di lavoro, il quale va, quindi, individuato sulla base dell'esercizio di fatto (non essendo sufficiente la titolarità) del fascio di poteri che si proiettano sul godimento, sulla manutenzione e sulla conservazione della cosa comune.

Non si può nascondere, però, che, se la scelta legislativa di imputare al datore di lavoro i più importanti obblighi di sicurezza riposa sul fatto che si tratta del soggetto che dispone dell'organizzazione ed al quale fanno capo tutte le decisioni, anche di spesa, incidenti sulla vita della stessa organizzazione, questi profili sembrano caratterizzare la collettività dei condomini.

Invero, all'amministratore non appartengono l'autonomia operativa e finanziaria che si reputa caratteristica del datore di lavoro: invero, non può immaginarsi una definizione di datore che sia svincolata dalla titolarità di tutti i poteri gestionali, atteso che quei poteri devono necessariamente ricomprendere quelli funzionali ad assicurare la messa in sicurezza dell'ambiente di lavoro; in altri termini, appare inconcepibile che si parli di datore di lavoro a proposito di un soggetto, l'amministratore, che non possa assumere le scelte di fondo e disporre dei necessari mezzi finanziari perché sottoposto ad un organo deliberativo superiore, l'assemblea, la cui volontà egli è chiamato ad attuare.

Una simile figura si accosta, piuttosto, a quella del «dirigente», definito, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. d), del T.U., come la «persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa».

La puntualizzazione non è priva di ricadute pratiche, posto che l'obbligazione di sicurezza assume contenuti parzialmente diversi a seconda che il ruolo sia quello datoriale piuttosto che quello dirigenziale, anche se va dato atto che tutti, Ministero del lavoro in testa, sono pacifici nel ritenere l'amministratore di condominio come datore di lavoro, non fosse altro per riconnettervi, evitando possibili elusioni, tutte le responsabilità penali, correlate ad una serie di adempimenti contemplati dalla legislazione prevenzionistica, di natura - come sopra anticipato - solo personale (e non imputabile alla collettività dei condomini, salvo il caso in cui il condominio sia privo di amministratore, neanche operante in regime di prorogatio).

D'altronde, i singoli adempimenti richiesti per la tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro in capo al datore di lavoro nell'àmbito del condominio - v., soprattutto, gli obblighi di informazione e di formazione - sembrano rientrare nelle attribuzioni di cui all'art. 1130, n. 2), c.c., ossia «disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini» (il testo ante Riforma del 2013 si riferiva, invece, «a tutti i condomini»).

In parole povere, l'amministratore non ha il potere di assumere o licenziare il portiere, senza una delibera autorizzativa da parte dell'assemblea, ma può autonomamente impartire le direttive al portiere, controllarne l'operato, comminare sanzioni disciplinari, pagare lo stipendio, versare i contributi previdenziali, e quant'altro.

Quanto sopra porta a configurare - come sopra anticipato - in capo all'amministratore di condominio, una posizione, stabilmente ed inderogabilmente deputata, alla protezione e tutela di un «interesse comune» del condominio, che, comunque, non va confuso con la mera sommatoria degli interessi dei singoli condomini, di cui rimane mandatario, ed a fronte del fatto che il condominio non ha ancora una soggettività giuridica, distinta dai singoli partecipanti, ossia dei medesimi condomini.

Le incombenze dell'amministratore come datore di lavoro

Una volta ammesso - non senza una qualche difficoltà - che, ai fini della legislazione prevenzionistica e, in particolare, del d.lgs. n. 81/2008, che l'amministratore di condominio deve considerarsi il «datore di lavoro», come vanno delineati gli adempimenti imposti a questo soggetto?

Resta inteso che, qualora non sia presente l'amministratore, o perché il condominio non abbia più di otto unità immobiliari - soglia così innalzata dal novellato art. 1129, comma 1, c.c. - o perché i condomini non intendano nominarlo, si dovrà conferire ad un apposito soggetto le responsabilità previste dall'art. 2, comma 1, lett. b) del suddetto decreto.

Tuttavia, al condominio - che non viene espressamente menzionato dal d.lgs. n. 81/2008 - sembra interessare il disposto dell'art. 3, comma 9, secondo il quale: «Nei confronti dei lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari di fabbricati trovano applicazione gli obblighi di informazione e formazione di cui agli artt. 36 e 37. Ad essi devono inoltre essere forniti i dispositivi di protezione individuali in relazione alle effettive mansioni affidate. Nell'ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al titolo III».

Questa previsione appare una sorta di «temperamento» degli obblighi generali di sicurezza nei luoghi di lavoro a carico del datore di lavoro, una regola speciale, ma non derogatoria della ratio della stessa materia prevenzionistica.

Abbiamo sopra anticipato l'obiettivo del legislatore di coinvolgere i soggetti privati nell'attività di promozione e vigilanza per la tutela dei lavoratori, ma tali doveri di cooperazione vanno rapportati all'idoneità effettiva di tali soggetti ad assolvere tali compiti, in relazione alle concrete organizzazioni in cui gli stessi operano; calate tali considerazioni nell'àmbito condominiale, si è sentita l'esigenza di modulare i generali doveri inerenti alla tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro in relazione a realtà diverse (meno complesse e articolate) da quelle imprenditoriali e con riferimento a servizi diversi (di più modeste dimensioni) come quello di portierato o di pulizia (la cui gestione, peraltro, rientra nelle attribuzioni dell'amministratore ai sensi del citato art. 1130, n. 2, c.c.).

Ecco, quindi, che, per quanto riguarda i lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari di fabbricati, vanno adempiuti soltanto gli obblighi di informazione e formazione, perché, altrimenti, doveri più generalizzati e stringenti si rivelerebbero esorbitanti rispetto al concreto funzionamento dell'organizzazione del condominio.

I lavoratori destinatari della normativa prevenzionistica

L'art. 1, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 81/2008 definisce, in generale, «lavoratore», colui che «indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'àmbito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari».

Una volta delineati gli adempimenti prescritti in capo all'amministratore di condominio, come vanno individuati i lavoratori nei confronti di quali tali adempimenti vanno rivolti?

Il d.lgs. n. 626/1994 si riferiva, quanto alla tutela «minimale» di cui sopra, soltanto ai «lavoratori con contratto contrattuale privato di portierato», sicché ci si era chiesto se potessero ricomprendersi anche gli altri dipendenti del condominio.

La soluzione - avallata anche dalla circolare n. 30/1998 del Ministero del lavoro - era nel senso di ricomprendere tutti coloro che, all'interno del condominio, fossero adibiti a mansioni «affini», ossia non esorbitanti, se non addirittura ricomprese nel servizio di portierato, per cui potevano essere inclusi coloro che prestavano attività (purché continuativa e non occasionale) di pulizia di androne, scale, giardino, ecc., e coloro ai quali venivano specificamente affidati specifici compiti, come l'accensione e spegnimento dell'impianto di illuminazione, apertura e chiusura del portone, distribuzione della posta, e quant'altro.

Meno pacifica era l'assimilabilità di altre figure professionali, come i lavoratori addetti alla manutenzione degli immobili e degli impianti (di solito, operai qualificati), o addetti alla sorveglianza dello stabile o delle pertinenze, quali campi da tennis, piscine, spazi a verde, autorimesse (di solito, demandata a servizi di vigilanza esterni), in quanto tutte difficilmente assimilabili al portiere, come comunemente inteso.

Quanto ai soggetti passividestinatari della tutela, l'art. 3, comma 9, del d.lgs. n. 81/2008 fa riferimento, invece, più generale ai lavoratori che «rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari dei fabbricati», e quindi, oltre ai portieri, anche a tutti i lavoratori subordinati che prestino la loro attività nell'àmbito di un condominio, purché con mansioni affini a quelle dei portieri, facendo rientrare, ad esempio, lavoratori addetti alla vigilanza, custodia, pulizia e mansioni accessorie degli stabili adibiti ad uso di abitazione o ad altri usi, lavoratori addetti alla pulizia e/o alla manutenzione degli immobili, dei relativi impianti ed apparecchiature e/o alla conduzione di impianti sportivi, spazi a verde, in quanto pertinenza di immobili e/o complessi immobiliari adibiti ad uso di abitazione o ad altri usi, lavoratori con funzioni amministrative (escludendo soltanto quanti prestino la loro attività con contratto di lavoro autonomo).

In particolare, l'obbligo di «informazione» previsto dall'art. 36, a carico del condominio nei confronti di lavoratori che rientrano nel campo del contratto collettivo dei proprietari dei fabbricati, si considera adempiuto se effettuato a mezzo di una comunicazione contenente i requisiti del predetto art. 36; al riguardo, si rimarca che l'art. 36, comma 1, lett. a) e comma 2, lett. a), b) e c), prevede che vengano fornite informazioni sui «rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi all'attività di impresa in generale», e che l'art. 36, comma 4, puntualizza che il contenuto di tali informazioni debba essere facilmente comprensibile per i lavoratori e, ancora, ove l'informazione riguardi lavoratori immigrati, essa debba avvenire previa verifica «della comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo»; quindi, l'informazione deve essere realizzata tenendo conto della specificità di ogni singola posizione lavorativa e con modalità che permettano alla norma di perseguire il suo scopo (ad esempio, è stata ritenuta inidonea la semplice affissione di informazioni).

Detto in parole semplici, per quanto concerne l'informazione con specifico riguardo al portiere, si prescrive che questi debba ricevere un ragguaglio sufficiente ed adeguato in materia di sicurezza e di salute, avuto riguardo al proprio posto di lavoro ed alle mansioni affidategli, e ciò viene in rilievo ogni qualvolta il portiere venga assunto, gli vengano cambiate le mansioni, oppure vengano introdotte nuove attrezzature di lavoro, nuove tecnologie, nuove sostanze, il tutto correlato alle dimensioni del condominio.

E' opportuno, pertanto, predisporre una relazione scritta, in forma semplice ma chiara, da far sottoscrivere al dipendente per ricevuta.

Con particolare riguardo all'obbligo di informazione, rispetto al sistema precedente, la novità del d.lgs. n. 81/2008 è che l'art. 55, comma 4, punisce con l'arresto da 2 a 4 mesi o con l'ammenda da € 800,00 a € 3.000,00 il datore di lavoro (e, quindi, anche l'amministratore del condominio) che ometta di fornire al lavoratore le suddette informazioni (nulla esclude che sia configurabile il concorso tra le contravvenzioni previste dal d.lgs. n. 81/2008 ed il reato di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro di cui all'art. 437 c.p.).

Quanto all'obbligo di «formazione» - prevista dall'art. 37 del d.lgs. n. 81/2008 - che deve essere sufficiente ed adeguata in relazione ai rischi specifici di ciascuna mansione, il corso al quale il portiere ha l'obbligo di frequenza non dovrà comportare oneri economici a suo carico, ed anzi la frequenza dovrà essere svolta in orari di lavoro, o pagata a parte come straordinario (si pensi ai corsi in materia di evacuazione, prevenzione incendi, pronto soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza); tale formazione - i cui contenuti «minimi», quanto a durata e modalità, sono definiti a livello nazionale (v. l'Accordo approvato il 21 dicembre 2011) - deve essere ripetuta periodicamente (di regola, ogni 5 anni) in relazione all'evoluzione dei rischi o all'insorgenza di nuovi rischi.

Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento dell'attività di formazione sono registrate nel libretto formativo del lavoratore (previsto dall'art. 2, comma 1, lett. i, del d.lgs. n. 276/2003) ed il contenuto di tale libretto è considerato dal datore di lavoro per la programmazione della formazione, e di esso gli organi di vigilanza tengono conto ai fini della verifica dell'adempimento degli obblighi del d.lgs. n. 81/2008.

Dunque, gli obblighi di cui sopra (informazione e formazione) si applicano, ai sensi dell'art. 3, comma 9, del d.lgs. n. 81/2008, soltanto ai «lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari dei fabbricati» (portieri, giardinieri, personale addetto alla pulizia, custodia di impianti sportivi, ecc.), mentre esulano i lavoratori autonomi, ossia senza vincolo di subordinazione ex art. 2222 c.c. (si pensi ai soggetti che si occupano della manutenzione dell'impianto di ascensore, o del riscaldamento, oppure dell'autoclave), e quelli coinvolti in lavori concessi in appalto (che viene definito dall'art. 1655 c.c. «il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro»).

In queste ultime ipotesi, lo stesso condominio, e per esso il suo amministratore è, invece, tenuto alla redazione del documento di valutazione dei rischi (D.V.R.), nel rispetto delle previsioni di cui agli artt. 17, 28 e 29 del d.lgs. n. 81/2008 (attività, questa, prodromica rispetto ad ogni altra iniziativa antinfortunistica): tale documento deve, appunto, valutare i rischi nel condominio, quanto alle attrezzature di lavoro utilizzate, le misure di prevenzione attuate, i dispositivi di protezione adottati, i preparati impiegati, la sistemazione di luoghi di lavoro, in vista di possibili infortuni, malattie, allergie, infezioni, intossicazioni, ecc. (v., in proposito, Cass. civ., sez. lav., 15 settembre 1997, n. 9159, la quale, però, esclude una responsabilità risarcitoria allorché il lavoratore utilizzi nella sua attività, a sua discrezione, un mezzo non idoneo e non sicuro).

A questo punto, ci si è chiesti, ove il condominio, che sia «datore di lavoro» nei confronti di lavoratori ai quali si applichi il contratto collettivo dei proprietari di fabbricati o altra tipologia di lavoratore, affidi «lavori, servizi o forniture» ad un'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi, ex art. 26 del Testo Unico, possa indifferentemente ottemperare all'obbligo di fornire «informazioni dettagliate» (art. 26, comma 1, lett. b), e a quello di «informarsi reciprocamente» (art. 26, comma 2, lett. b), con una comunicazione (nel caso di non sussistenza di rischi da interferenze) oppure, in caso contrario, con la predisposizione del documento unico di valutazione dei rischi da interferenza (D.U.V.R.I.).

Infatti, tale documento, concepito se vi sia la possibilità di interferenza tra i rischi specifici esistenti nel condominio e le attività oggetto dell'appalto che si svolgono nel medesimo condominio, deve indicare le misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze.

Sul punto, il Ministero del lavoro ha risposto che l'art. 26, comma 3, costituisce la modalità di attuazione dell'obbligo di cooperazione e di coordinamento imposto al committente dall'art. 26, comma 2, e, pertanto, anche nel caso di non sussistenza di rischi da interferenze, non appare pertinente il richiamo ai soli obblighi di fornire «informazioni dettagliate» e a quello di «informarsi reciprocamente», dovendo comunque essere garantita anche la «cooperazione».

Dunque, nei casi in cui è prevista la sua elaborazione, il D.U.V.R.I. potrà essere utilizzato dal condominio al fine di dimostrare di avere ottemperato all'obbligo di coordinamento di cui all'art. 26, comma 2, lett. b), sempre tenendo conto della circostanza che l'obbligo in parola non può ritenersi assolto sic et simpliciter con la redazione del documento se non sia stato dimostrato che il datore di lavoro committente (ai sensi dell'art. 26) abbia concretamente ottemperato all'obbligo di coordinamento in parola.

Gli adempimenti correlati al Covid-19

Com'è noto, il coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso le goccioline del respiro delle persone infette, ad esempio quando starnutiscono o tossiscono o si soffiano il naso; in base alle informazioni preliminari, il virus (che vive e si riproduce solo all'interno delle cellule) potrebbe sopravvivere alcune ore sulle superfici.

Restano, pertanto, ferme le comuni precauzioni come: disinfettare sempre gli oggetti usati frequentemente con un panno inumidito con prodotti a base di alcol o candeggina (tenendo conto delle indicazioni fornite dal produttore); il lavaggio frequente delle mani, il quale è fondamentale per la prevenzione delle infezioni; igienizzare tutte le superfici con prodotti specifici; evitare contatti stretti e protratti con persone che presentano sintomi influenzali ed infine adottare tutte le misure di prevenzione che il datore di lavoro ritiene necessarie.

In questo momento di evidente emergenza sanitaria nazionale, a causa del diffondersi del coronavirus, si è sottolineato che anche gli amministratori di condominio si impegnino a rispettare le restrizioni imposte e a divulgare le informazioni necessarie per sensibilizzare condomini, dipendenti e fornitori.

A tal proposito, nonostante le attuali misure governative poste in essere per il contenimento e il contrasto dell'emergenza epidemiologica da Covid-19, gli esperti in materia hanno osservato che alcuni contagi sono avvenuti tra persone che non avevano contatti diretti ma abitavano nello stesso condominio.

Invero, nel condominio, il contagio può avvenire negli spazi comuni tramite il contatto con superfici varie come, ad esempio, porte, pulsantiere, maniglie, corrimano, ecc., sulle quali il virus può resistere più a lungo, come spiegano le direttive dell'Istituto Superiore di Sanità.

In argomento, il Ministero della Salute, nella circolare n. 3190 del 3 febbraio 2020, ha chiarito la responsabilità del datore di lavoro in merito alla tutela dei lavoratori per limitare la diffusione del Covid-19, ed ha inoltre invitato tutti ad adottare le comuni misure preventive; successivamente, il medesimo Ministero, con nota n. 5443 del 22 febbraio 2020, ha definito le linee guida di trattamento dei casi, con le indicazioni per la pulizia degli ambienti non sanitari dove abbiano soggiornato casi confermati di Covid-19.

Secondo quanto riportato dalle aziende specializzate di pulizie, la sanificazione è il passo successivo (secondo o terzo in base alle definizioni) dopo la pulizia di un ambiente, che attraverso azioni meccaniche e prodotti detergenti prevede la rimozione dello sporco visibile ed evidente; a seguito del risciacquo dopo la pulizia si passa alla disinfezione vera e propria, basata sul rilascio di prodotti chimici (ma anche acqua bollente, vapori, radiazioni, ecc.) al fine di ridurre la presenza di agenti patogeni come batteri, spore fungine e virus eventualmente presenti sulle superfici.

Non si tratta di una sterilizzazione come quella necessaria in determinati ambienti, ad esempio nelle sale operatorie di un ospedale o nell'industria alimentare, poiché una certa carica virale/batterica/fungina continuerà a persistere sulle superfici; la sanificazione è spesso considerata sinonimo di disinfezione, ma in alcuni casi si tratta di uno step successivo, nel quale vengono prese ulteriori misure al fine di rendere un ambiente ancora più sicuro per la presenza umana, andando ad intervenire, ad esempio, su livelli di ventilazione, temperatura, procedure per tenere lontani parassiti e via discorrendo.

Dunque, in caso di attività di operazioni straordinarie finalizzate alla sanificazione dell'ambiente per evitare il contagio da Covid-19, attesa l'attuale emergenza, l'amministratore dovrebbe intervenire soprattutto per la salute pubblica dei condomini.

Difatti, come previsto dall'art. 1135, comma 2, c.c.: “l'amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere di urgenza…”; in tal caso, l'amministratore è tenuto ad avvisare i condomini circa la data e l'ora dell'intervento, in quanto gli interventi in questione possono prevedere l'uso di sostanze potenzialmente tossiche per cui è consigliabile evitare o limitare l'accesso ai locali trattati.

Nell'attuale contingenza del pericolo da Covid-19, inoltre, l'amministratore può concordare preventivamente con la ditta di pulizie i prodotti idonei da utilizzare per sanificare periodicamente tutti gli spazi e le superfici dell'edificio, e far ratificare tale decisione in una successiva assemblea condominiale.

Ed ancora, proprio per la sicurezza, spetta all'amministratore assicurarsi che custodi, addetti alle pulizie, giardinieri, e tutti coloro che prestano servizio nel condominio siano tutti dotati dei dispositivi di protezione (guanti e mascherine); ne consegue che il portiere potrà svolgere le proprie mansioni sul posto di lavoro, con i dispositivi di protezione individuale e con la diligenza di operare mantenendo la distanza di un metro.

Per completezza, va ricordato che, in capo all'amministratore, la violazione delle norme adottate nel territorio italiano comporta conseguenze di natura penale: non rispettare l'ordine di un'autorità è, infatti, un reato previsto e punito dall'art. 650 c.p. (inosservanza dei provvedimenti dell'autorità) ,che prevede l'arresto fino a tre mesi e un'ammenda fino a 206 euro, a meno che il fatto non costituisca un reato più grave (peraltro, come tutte le contravvenzioni punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, è consentito estinguerla pagando una somma pari alla metà del massimo previsto dalla norma).

Casistica

CASISTICA

Attuazione della delibera assembleare

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, non può addebitarsi all'amministratore di condominio la mancata osservanza degli obblighi previsti dall'art. 26, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 81/2008 quando l'appalto per l'esecuzione dei lavori nel corso dei quali si è verificato l'infortunio sia stato deciso ed assegnato con delibera assembleare alla quale l'amministratore era tenuto a dare attuazione (Cass. pen., sez. III, 18 settembre 2013, n. 42347).

Caduta del portiere dalla tromba delle scale

La prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente altrui, non rileva allorché chi la invoca versa in re illicita, per non avere negligentemente impedito l'evento lesivo; il datore di lavoro, infatti, ha il dovere di accertarsi che l'ambiente di lavoro abbia i requisiti di affidabilità e di legalità quanto a presidi antinfortunistici, idonei a realizzare la tutela del lavoratore, e di vigilare costantemente a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera (in applicazione del suddetto principio, si era annullata la sentenza di non luogo a procedere emessa nei confronti di un amministratore di condominio al quale era stato addebitato di aver cagionato, per inosservanza della disciplina antinfortunistica in materia di altezza minima dei parapetti delle scale, il decesso di un dipendente di un condominio da lui amministrato, nella specie, un pulitore, il quale, perdendo l'equilibrio, presumibilmente a causa di una sua condotta imprudente, era precipitato lungo la tromba delle scale) (Cass. pen., sez. IV, 5 maggio 2011, n. 22239).

Autorimessa dichiarata inidonea dai vigili del fuoco

Ai sensi degli artt. 1130, comma 1, n. 4), e 1131 c.c., l'amministratore del condominio è legittimato, senza necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad agire in giudizio, nei confronti dei singoli condomini e dei terzi, per compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni di un edificio, ivi compresa la richiesta delle necessarie misure cautelari (nella specie, si era respinto il ricorso contro la sentenza di merito che aveva ritenuto valida la procura alle liti conferita dall'amministratore di condominio ad un avvocato, senza previa autorizzazione dell'assemblea, affinché proponesse un ricorso ai sensi dell'art. 700 c.p.c. per impedire ai condomini l'uso della rampa garage e dell'autorimessa, dopo che i vigili del fuoco ne avevano accertato l'inidoneità all'uso per motivi di sicurezza) (Cass. civ., sez. II, 1 ottobre 2008, n. 24391).

Guida all'approfondimento

Tarantino, Il condominio ai tempi del coronavirus: le operazioni di sanificazione, in Condominioelocazione.it, 20 aprile 2020;

Bisso, Sanificazione del condominio, il nuovo effetto del virus nei Comuni, in Quotidiano del condominio, IlSole24Ore, 26 marzo 2020;

Benedetti, Sicurezza negli appalti: rischi e responsabilità nel contratto di appalto di manutenzione in condominio, in Igiene e sicur. lav., 2018, 406;

Celeste, Amministratore garante della sicurezza sul lavoro e sistema sanzionatorio penale, in Amministr. immobili, 2015, fasc. 192, 19;

Del Forno - Rovero, Nota in tema di infortuni sul lavoro e responsabilità dell'amministratore di condominio, in Riv. pen., 2014, 307;

Moretti, I voucher in condominio e la sicurezza sul lavoro, in Amministr. immobili, 2014, fasc. 187, 36;

Morgante, Contenuti e limiti dell'imputazione all'amministratore di condominio della responsabilità penale a titolo di committente ex art. 26 e 55 d.leg. n. 81/2008, in Giur. it., 2014, 702;

Benedetti, La valutazione dei rischi e la formazione ed informazione dei lavoratori nel condominio, in Igiene & sicur. lav., 2011, 141;

Fava, La responsabilità del “datore di lavoro” per la morte del portiere condominiale, in Immob. & diritto, 2011, fasc. 9, 14;

Salciarini, La sicurezza sul lavoro nel condominio, in Immob. & diritto, 2010, fasc. 1, 9;

Buzzanca, Violazione delle normative in materia di sicurezza e responsabilità del condomino, in Immob. & proprietà, 2010, 9;

Primerano, Amministratore di condominio e sicurezza del lavoro, in Igiene e sicur. lav., 2002, 69;

Rosselli, La responsabilità riguardante la tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro nell'ambito del condominio, in Arch. loc. e cond., 1999, 37;

Focareta, La sicurezza sul lavoro negli interventi di manutenzione all'interno del condominio di edifici, in Lavoro giur., 1999, 129;

Mazzeo, Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e nei cantieri temporanei e mobili nell'ambito del condominio degli edifici, in Arch. loc. e cond., 1999, 573;

Angiolini, Le nuove responsabilità per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nell'àmbito del condominio di edifici, in Arch. loc. e cond., 1997, 3;

Maglia, Sicurezza nel condominio: a chi spetta?, in Arch. loc. e cond., 1997, 563.

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