Codice Civile art. 2048 - Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte.Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte. [I]. Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno [2056 ss.; 190 c.p.] cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati [316 ss.] o delle persone soggette alla tutela [343 ss., 414 ss.], che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all'affiliante (1). [II]. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno [2056 ss.] cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti [2130 ss.] nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. [III]. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto. (1) V. art. 77 l. 4 maggio 1983, n. 184. InquadramentoDel fatto illecito commesso dai figli minori non emancipati, dalle persone che sono sottoposte alla tutela, dagli allievi e dagli apprendisti rispondono rispettivamente i genitori e i tutori che abitano con i minori e con gli interdetti, i precettori e i maestri d'arte. La norma postula che l'autore del danno abbia la capacità naturale. Infatti, il codice vigente, a differenza di quello previgente, ha voluto disciplinare la materia in due norme distinte: l'art. 2047 riguarda la responsabilità di chi è tenuto alla sorveglianza di soggetti incapaci di intendere e di volere (sia maggiori che minori di età); l'art. 2048 attiene alla responsabilità dei genitori, tutori, precettori, maestri d'arte, al di fuori dell'ipotesi prevista dalla norma precedente, sul presupposto della capacità di intendere e di volere dell'autore del danno, che risponderà in solido con i soggetti designati (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 744; Bianca, 690; Mantovani, 5; Patti, 249 e 264). I soggetti indicati risponderanno del fatto illecito realizzato dal minore o dall'incapace legale con riferimento sia ai danni patrimoniali sia ai danni non patrimoniali. La responsabilità prevista dalla norma è altresì distinta dalla responsabilità delineata dagli artt. 2 e 6, secondo comma, l. n. 689/1981, in cui si accolla ai genitori il costo della sanzione amministrativa derivante dal fatto illecito commesso dal minore, imputabile o non imputabile. Al riguardo, la funzione della sanzione amministrativa è quella di prevenire gli illeciti e di punire il loro autore; mentre la funzione dell'art. 2048 è volta a garantire il risarcimento del danno ai terzi: l'illecito amministrativo non comporta la solidarietà tra genitori e minori; la solidarietà è, invece, la regola nell'illecito civile (Franzoni, 351). Anche secondo la S.C., presupposto per l'applicazione della norma ai soggetti indicati è che i minori siano capaci di intendere e di volere (Cass. n. 3242/2012; Cass. n. 8740/2001; Cass. n. 1008/1970); se i minori non sono imputabili, i genitori, il tutore, il precettore ed il maestro d'arte possono ugualmente rispondere, ma solo come sorveglianti di incapaci, ai sensi dell'art. 2047. La responsabilità ex art. 2047 e quella ex art. 2048, pertanto, sono alternative — e non concorrenti — tra loro, in dipendenza dell'accertamento dell'esistenza della capacità di intendere e di volere (Cass. n. 2606/1997; Cass. n. 5122/1979; Cass. n. 2195/1979). Per converso, la responsabilità del genitore e quella del precettore — per il fatto commesso da un minore capace di intendere e volere, mentre è affidato a persona idonea a vigilarlo e controllarlo — non sono tra loro alternative, giacché l'affidamento del minore alla custodia di terzi solleva il genitore dalla presunzione di culpa in vigilando, ma non anche da quella di culpa in educando, rimanendo comunque i genitori tenuti a dimostrare, per liberarsi da responsabilità per il fatto compiuto dal minore in un momento in cui lo stesso si trovava soggetto alla vigilanza di terzi, di avere impartito al minore stesso un'educazione adeguata a prevenirne comportamenti illeciti (Trib. Monza 12 giugno 2006). Ove il minore sia affidato ad un terzo per ragioni di lavoro, il terzo, indipendentemente dai diritti ed obblighi scaturenti dal rapporto di lavoro, assume il potere-dovere di educare e vigilare il minore stesso e di renderlo idoneo alla vita di relazione con il mondo esterno. Nondimeno, l'obbligo di vigilanza ed educazione, assunto dal datore di lavoro con l'affidamento, deve intendersi adeguato, nel suo ambito oneroso, alle esigenze dell'età, del grado di sviluppo biopsichico e dell'ambiente di origine del minore, contenuto in un giusto limite di proporzione con il tempo e modo dell'affidamento e, in ogni caso, riferito, come suo naturale parametro, al similare obbligo spettante al genitore Ne discende che sia il genitore sia il datore di lavoro devono ritenersi esenti da responsabilità quando l'evento dannoso per il minore, dipendente dal suo comportamento, assume carattere di eccezionalità ed imprevedibilità tali da non poter essere impedito con una vigilanza normale e diligente, adeguata cioè all'ambiente, all'età, alle abitudini e al carattere del minore stesso (Cass. n. 2657/1967, in Resp. civ. e prev., 1967, 359; Cass. n. 2451/1966, in Foro it., 1967, I, 2616, e in Giur. it., 1967, 1, I, 1422; Cass. n. 1137/1957). Qualora il genitore del minore danneggiato agisca in proprio per ottenere il risarcimento dei danni eventualmente derivatigli dall'illecito commesso nei confronti del figlio, è opponibile il suo concorso di colpa (per omessa vigilanza del minore stesso), essendo in tale ipotesi la relativa eccezione diretta a limitare la misura del risarcimento del danno in favore di esso genitore; tale questione non può essere, invece, utilmente proposta allorché il genitore agisca quale rappresentante del minore danneggiato per rivendicare i danni subiti da quest'ultimo (Cass. n. 11241/2003). Responsabilità dei genitori e dei tutoriSi ritiene che i soggetti elencati nell'art. 2048, primo comma (genitori, tutore ed affiliante), compongano un elenco tassativo, non estensibile per analogia a soggetti diversi (Franzoni, 355). Ovviamente la genitorialità rilevante non è solo quella che consegue all’unione matrimoniale, ma anche quella derivante dall’unione civile di cui alla l. 20 maggio 2016, n. 76 e dalla convivenza more uxorio. La tassatività dell'elencazione deriva dalla particolare gravità ed eccezionalità (De Cupis, 58; Franzoni, 355; Mantovani, 14; Monateri, 953) della responsabilità in esame, la quale non consente l'estensione oltre le ipotesi previste. Come testualmente riferisce la norma, non rispondono i genitori di minori emancipati. La responsabilità di entrambi i genitori è solidale (Bianca, 691; Visintini, 1996, 598) e, in ordine ad essa, rispondono non solo i genitori legittimi, ma anche quelli naturali (Mantovani, 14; Scognamiglio, 694) oppure adottivi, atteso che l'adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottandi ex art. 27, primo comma, l. n. 184/1983 (Morozzo della Rocca, 48), ed anche i coniugi a cui il minore sia stato dato in affidamento preadottivo (Patti, 281). Con riferimento ai figli naturali si ritiene che la responsabilità per l'illecito segua l'esercizio della potestà (oggi responsabilità genitoriale), nel senso che sarà responsabile il solo genitore che esercita la potestà (responsabilità) sul figlio (Mantovani, 14; in senso diverso Morozzo della Rocca, 49). È incerto se sussista la responsabilità dei genitori in caso di figlio non riconoscibile (Scognamiglio, 694). La norma si applica anche al tutore e, in virtù dello specifico richiamo della parte finale del primo comma, anche all'affiliante. Al tutore è equiparato il protutore, nei casi in cui egli sia tenuto ad operare in forza di legge (Mantovani, 14; Scognamiglio, 694). Si esclude l'estensione al curatore del minore emancipato o dell'inabilitato (Scognamiglio, 694). Il tutore risponde ex art. 2048 quando a cagionare il danno sia stato un soggetto interdetto, affidatogli per la custodia, ma in un momento di lucido intervallo di coscienza (Franzoni, 361; Trabucchi, Istituzioni di diritto privato, Padova, 1985, 209). La prova liberatoria per il tutore consiste nella dimostrazione di avere attuato un'idonea vigilanza sulla persona dell'incapace, senza che abbia alcun rilievo la dimostrazione di avere convenientemente educato l'interdetto (Mantovani, 15). Con riguardo all'affiliante occorre considerare che l'art. 77, l. 4 maggio1983, n. 184 ha soppresso tale figura; dunque, i nuovi istituti introdotti da tale legge rendono applicabile la responsabilità ex art. 2048 a carico dell'affidatario per gli illeciti del minore affidato (Visintini, 1996, 603). I genitori o i tutori sono obbligati a risarcire, in via solidale con il figlio minore o con l'interdetto, il danno cagionato a terzi dal fatto illecito del figlio minore o dell'incapace legale, che sia capace di intendere e di volere al momento della commissione del fatto (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 746). Particolarmente dibattuta è la questione riguardante la responsabilità dei genitori per un illecito del figlio minore nel caso di separazione personale oppure di divorzio. Detta responsabilità si estende in via solidale ad entrambi i genitori, quand'anche separati o divorziati, se coaffidatari del minore, spettando ad entrambi sia la titolarità sia l'esercizio della responsabilità genitoriale, benché uno di essi sia esclusivo collocatario o domiciliatario. Di contro, un filone della dottrina esclude la responsabilità del coniuge non affidatario, in quanto con il provvedimento di separazione o di divorzio cessa l'esercizio congiunto della responsabilità genitoriale (ma non la titolarità) e si interrompe altresì la coabitazione dei minori con entrambi i genitori (Comporti, 227; Morozzo della Rocca, 64). Altro filone, sottolineando come l'art. 337-quater , in combinato disposto con l'art. 337-ter, prevede una serie di prerogative per il coniuge non affidatario, ritengono preferibile la tesi che estende la responsabilità ex art. 2048 anche al coniuge non affidatario, soprattutto nel caso in cui l'illecito sia conseguenza di una attività consentita al minore a seguito di una decisione concordata, oppure nel caso in cui l'illecito derivi dallo svolgimento di un'attività contraria agli interessi del minore, ma contro la quale il genitore pretermesso non si sia opposto (Franzoni, 359; Monateri, 956; Mantovani, 164; Patti, 278). Nel caso di separazione di fatto concordata tra i coniugi non si verifica una deresponsabilizzazione del coniuge che si sia allontanato, nemmeno se la convivenza del figlio con uno solo dei genitori determini un inevitabile squilibrio nell'adempimento dei doveri e nell'esercizio dei poteri connessi alla potestà-responsabilità (Mantovani, 165). Si tende, inoltre, a negare l'applicazione, in sede di regresso, dell'art. 2055, secondo comma, atteso che la condotta del genitore non rileva sul piano della causalità di fatto; avrà incidenza, piuttosto, la regola di equivalenza delle cause che può desumersi dal principio generale di solidarietà di cui all'art. 2055, primo comma, (Franzoni, 354). In senso diverso si osserva che la carenza di educazione o vigilanza non integra in sé un concorso di colpa nell'illecito (De Cupis, 57), con la conseguenza che nei rapporti interni l'onere del risarcimento dovrebbe gravare interamente sul minore, tenuto per l'intero in sede di regresso (Scognamiglio, 693), salvo che questi non dimostri uno specifico concorso di colpa dei genitori, valutabile a norma dell'art. 2043 (Rovelli, 229). In senso diametralmente opposto altra tesi esclude che i genitori abbiano diritto di regresso verso il minore, essendo i destinatari finali dell'obbligo di risarcimento, in ragione della loro posizione di garanzia (Mantovani, 13). L'età ed il contesto in cui si è verificato il fatto illecito del minore, ovvero la precoce emancipazione dei minori frutto del costume sociale, non escludono né attenuano la responsabilità che l'art. 2048 pone a carico dei genitori, i quali, proprio in ragione di tali fattori, hanno l'onere di impartire ai figli l'educazione necessaria per non recare danni a terzi nella loro vita di relazione, nonché di vigilare sul fatto che l'educazione impartita sia adeguata al carattere e alle attitudini del minore, dovendo rispondere delle carenze educative cui l'illecito commesso dal figlio sia riconducibile (Cass. n. 22541/2019; Cass. n. 3964/2014; App. Bari 19 ottobre 2020). Il coniuge separato non affidatario non può, per tale solo fatto, liberarsi dalla responsabilità per culpa in educando, soprattutto allorquando le modalità dello stesso fatto illecito rivelino un grado di maturità e di educazione del minore palesemente conseguente al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori ai sensi dell'art. 147 (Trib. Monza 12 giugno 2006). La responsabilità dei genitori o precettori ex art. 2048 concorre con la responsabilità del minore (Cass. n. 8740/2001; Trib. Sciacca 28 aprile 2021): se il minore è capace di intendere e di volere, egli è direttamente responsabile del danno ingiusto posto in essere, secondo le norme generali della responsabilità civile. Sicché la responsabilità dei genitori e degli altri soggetti previsti dall'art. 2048 si cumula a quella del minore capace di intendere e di volere, ex art. 2043, configurandosi così una responsabilità solidale, con la conseguenza che la domanda di risarcimento può essere proposta sia contro i genitori sia contro il minore, che sia autore dell'illecito (Trib. Roma 28 maggio 1987). L'art. 2048 è una norma dettata a protezione dei terzi, esposti al rischio di un danno conseguente all'agire dei minori: la responsabilità prevista da detta disposizione nasce come responsabilità del minore verso i terzi e successivamente si propaga ai genitori, tutori, precettori e maestri d'arte, in funzione di garanzia (Cass. S.U., n. 9346/2002). Si nega, comunque, che la fattispecie dia luogo ad una ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. n. 5268/1996; Cass. n. 8384/1995); con la conseguenza che, se il minore non partecipa al giudizio, la sentenza non è affetta da nullità. La dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della prova, pur costituendo una modalità alternativa di definizione del giudizio penale, non contiene alcun accertamento di merito in ordine alla sussistenza del reato e alla responsabilità del minorenne, con l’effetto che il giudice civile deve indagare e valutare, alla luce delle regole probatorie che governano il giudizio civile e del materiale acquisito, la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda, compresa la conseguente sussistenza della responsabilità dei genitori per la condotta del proprio figlio (Cass. n. 31894/2019). Coabitazione La coabitazione, unitamente all'illecito del minore, è uno degli elementi costitutivi della fattispecie ovvero, secondo altra lettura, un suo presupposto (Visintini, 1987, 509; De Cupis, 60). La responsabilità dei genitori, infatti, è in stretto rapporto con i doveri di educare e di vigilare, che non possono essere assolti qualora non si viva a stretto contatto con il minore (Franzoni, 363). La prescrizione di tale requisito ha indotto a criticare l'orientamento giurisprudenziale che fa della culpa in educando un autonomo parametro di imputazione della responsabilità (Patti, 266). Con l'espressione coabitazione il legislatore ha inteso riferirsi, in modo particolare, alla consuetudine di vita comune (De Cupis, 60; Franzoni, 363; Mantovani, 17; Monateri, 952; Pogliani, 133), anziché alla materiale coabitazione. Pertanto, il concetto di vivere insieme, sotteso alla coabitazione, deve essere inteso come comunanza di interessi materiali e spirituali (Rossi Carleo, 141). Ne consegue che l'assenza temporanea del minore dalla residenza familiare non è causa interruttiva della coabitazione (Alpa, 670): su questa linea, l'allontanamento del minore per motivi di svago o di studio, come — ad esempio — il week-end trascorso con gli amici lontano dai genitori, la gita scolastica, il soggiorno estivo al campo degli scouts, non esclude la responsabilità (Mantovani, 17). Anche un'assenza prolungata del minore, come — ad esempio — un periodo di studio all'estero o ancora il collocamento in collegio per iniziativa del genitore, ispirata al perseguimento dell'interesse del figlio, non è idonea ad interrompere la coabitazione ai fini della responsabilità, non potendo la stessa cancellare gli effetti dell'educazione impartita (Mantovani, 17; Rovelli, 229; De Cupis, 60). La responsabilità dei genitori ricorre anche se l'allontanamento del genitore avviene per motivi di lavoro e di svago (Franzoni, 364), oppure se gli stessi hanno provocato o concorso a provocare l'allontanamento del minore, anche se messo in pratica in modo autonomo (Monateri, 952). Pertanto, il requisito della coabitazione difetterà solo nell'ipotesi di definitivo abbandono del tetto familiare per ragioni non imputabili ai genitori (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 746). Incombe sul danneggiato dimostrare la coabitazione oppure il difetto colposo della stessa. Infatti, il requisito della coabitazione è un elemento costitutivo dell'art. 2048; ne consegue, secondo i principi di cui all'art. 2967, che l'onere di provare il requisito della coabitazione dovrebbe incombere in capo all'attore (Comporti, 225; De Cupis, 60; Mantovani, 18; Scognamiglio, 695; Venchiarutti, 2065). Tuttavia, avverso tale soluzione si è osservato che la non coabitazione del minore, nella struttura e nelle abitudini della famiglia italiana, si pone come un fattore eccezionale rispetto alla normalità dei casi, con la conseguenza che spetterà al genitore convenuto eccepire e dimostrare l'intervenuta cessazione della comunanza di vita con il minore per un fatto a lui non imputabile (Franzoni, 364; Monateri, 953). Anche secondo la S.C., la responsabilità dei genitori non sussiste, per mancanza del presupposto della coabitazione, qualora il minore abbia stabilmente lasciato la casa familiare per un fatto non imputabile al genitore (Cass. n. 11198/2019; Cass. n. 2195/1979; Cass. n. 3491/1978; Trib. Latina 11 settembre 2020). Si è comunque evidenziato che l'eventuale allontanamento del minore dalla casa dei genitori non vale di per sé ad esimere i genitori stessi da responsabilità, ove l'illecito comportamento del figlio sia riconducibile a oggettive carenze educative (Cass. n. 7050/2008). La temporanea assenza del minore dal luogo in cui abitano i propri genitori non è causa interruttiva della coabitazione, ai fini della responsabilità dei genitori per il danno cagionato dal fatto illecito del figlio minore (Cass. n. 1895/1978; Cass. n. 2115/1976). Solo qualora il minore abbia stabilmente lasciato la casa familiare, per fatto non imputabile al genitore, sottraendosi così ad ogni possibilità di controllo e vigilanza, e senza che emergano specifiche carenze educative a loro carico, la responsabilità dei genitori per fatto illecito del minore è esclusa (Cass. n. 3491/1978, in Resp. civ. e prev., 1979, 48). Prova liberatoria L'ultimo comma dell'art. 2048 prevede che i genitori e i tutori, responsabili per il fatto illecito commesso dal figlio minore o dall'interdetto, sono liberati dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto. Nonostante il dettato letterale della disposizione, che espressamente riconduce l'esonero da responsabilità alla prova di non aver potuto impedire il fatto, il senso di prova liberatoria ha assunto in concreto un significato ben diverso, alla stregua dell'opera della giurisprudenza; cosicché la prova di essersi prodigati allo scopo di impedire il verificarsi dell'evento di danno è stata mutata e tradotta nella dimostrazione di aver vigilato sul minore e di averlo ben educato (Gentile, 599). Secondo questa impostazione, la fattispecie di cui all'art. 2048 rientrerebbe nel sistema generale della responsabilità per colpa. In particolare, sarebbe possibile considerarla o come un'ipotesi di responsabilità per fatto altrui (ma a titolo di colpa personale), in quanto atterrebbe ai danni provocati da persona diversa dal responsabile; oppure si tratterebbe di una responsabilità diretta per fatto proprio: sussisterebbe, infatti, una colpa fondata sul dovere di rispondere del proprio comportamento. In entrambi i casi opererebbe una duplice presunzione di colpa (in educando e/o in vigilando), che avrebbe per effetto un'inversione dell'onere della prova a favore del danneggiato, in deroga ai comuni principi vigenti in tema di illecito aquiliano; tale presunzione potrebbe essere vinta con la prova, a carico dei genitori stessi, di non aver potuto impedire il fatto, come dispone il terzo comma della norma in esame (De Cupis, 133). In effetti, la prova richiesta ai genitori non ha alcuna afferenza diretta ed immediata con il fatto illecito commesso dal minore, né concerne la concreta possibilità per i genitori stessi di impedirlo, ma si estende alla valutazione dell'intero sistema educativo da questi posto in essere (Mantovani, 166; Corsaro, 225). Tale orientamento è in stretta correlazione con il ruolo dei genitori, derivante dagli artt. 147 e 316 c.c. nonché dagli artt. 30 e 31 Cost.: si afferma così l'idea che il dovere dei genitori di impedire il compimento di illeciti da parte dei figli abbia fondamento nei compiti che la legge impone ai genitori in via primaria nell'interesse della prole, ma anche a salvaguardia dei terzi (Bianca, 693). Si delinea, in conseguenza, una responsabilità dei genitori per fatto altrui a titolo di colpa personale e precisamente di colpa presunta (Bianca, 692; Alpa-Bessone, 322). Altro filone della dottrina ritiene, invece, che la responsabilità dei soggetti in questione sia di natura oggettiva, poiché il criterio di imputazione per l'illecito commesso dal figlio è nella sostanza legato al loro status (Franzoni, 370; Rodotà, 153; Monateri, 971; Pardolesi, 227). Ne discende che la prova liberatoria sembra doversi piuttosto intendere alla stregua di un limite posto all'estensione di un obbligo legale di garanzia: obbligo che l'art. 2048, al fine di rendere più sicuro il risarcimento ai danneggiati dal fatto di un incapace, impone a determinati soggetti, individuati in funzione della loro qualifica, che li pone in stretto rapporto con l'incapace (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 745; Rodotà, 156; Patti, 260; Busnelli, 62). La stessa giurisprudenza finisce per assegnare ai responsabili il ruolo di garanti, restringendo drasticamente le ipotesi di esclusione della responsabilità, fino a farle coincidere con i soli casi in cui venga provato, non tanto un diligente esercizio della responsabilità genitoriale sull'incapace, quanto piuttosto una completa estraneità del fatto dannoso dell'incapace alla sfera di incidenza di tale potestà-responsabilità (Rossi Carleo, 132; Corsaro, 234). Nello stesso senso sono orientati gli autori che qualificano tale fattispecie in termini di responsabilità aggravata per fatto altrui non riconducibile a colpa, poiché il criterio di imputazione consiste nella relazione che intercorre tra il responsabile ed il soggetto che ha causato il danno (Scognamiglio, 690; Salvi, 1235). Per converso, nel caso di illecito di non particolare gravità, i genitori si liberano da responsabilità con l'esperimento di una qualsiasi generica prova che attesti la sufficienza dell'educazione impartita al minore e della vigilanza attuata sugli atti da lui compiuti (Di Ciommo, 1090). Il concetto di culpa in educando ed in vigilando viene così ad essere adattato in base alle circostanze concrete nelle quali si è verificato l'illecito. Pertanto, si può individuare una duplice natura della responsabilità in esame, derivante dalle modalità con cui avviene l'illecito: nelle ipotesi di particolare gravità, in cui il giudice desume l'inadeguatezza dell'educazione impartita dalle circostanze stesse del fatto, ricorre una responsabilità oggettiva ed indiretta. Tale responsabilità è oggettiva, dal momento che la prova liberatoria di avere educato si è trasformata nella dimostrazione del risultato educativo: se il minore ha commesso un grave illecito, il risultato non è stato raggiunto; in questi termini la prova liberatoria è una prova impossibile e la responsabilità dei genitori è anche indiretta, posto che gli stessi sono obbligati per un evento di danno che non hanno direttamente cagionato, essendo chiamati a rispondere esclusivamente in virtù del loro status. Invece, nel caso in cui l'illecito compiuto dal minore non sia particolarmente riprovevole, l'eventuale responsabilità dei genitori è una responsabilità per colpa, diretta e non indiretta, per non avere impartito al minore un'educazione conforme alle condizioni familiari e per non avere esercitato una vigilanza adeguata all'età ed al carattere del minore. Secondo la giurisprudenza, la prova liberatoria si traduce nella dimostrazione positiva di aver impartito l'educazione e l'istruzione consone alle condizioni sociali e familiari e di aver vigilato sulla condotta in misura adeguata all'ambiente, alle abitudini ed al carattere del minore (Cass. n. 26200/2011; Cass. n. 7050/2008; Cass. n. 20322/2005; Cass. n. 3088/1997; Cass. n. 13424/1992; Cass. n. 5751/1988; Cass. n. 6503/1980). Non basta, dunque, la dimostrazione di avere impartito una normale educazione al figlio, essendo necessario altresì che non sia trascurato il dovere di vigilanza, la cui intensità e grado occorrente caso per caso devono avere riguardo all'età e al grado di istruzione e di educazione, alla condotta e all'ambiente sociale dell'autore del fatto: non, quindi, come coefficiente di per sé risolutivo, ma come coefficiente di una situazione indiziante (Cass. n. 3467/1971, in Resp. civ. e prev., 1972, 407). Si è, inoltre, ritenuto che non occorre la prova della costante ed ininterrotta presenza fisica accanto al figlio quando risultino correttamente impostati i rapporti del minore con l'ambiente extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possono mai costituire fonte di pericolo per sé e per i terzi (Cass. n. 7459/1997; Cass. n. 3088/1997). La responsabilità dei genitori per i fatti illeciti commessi dal minore con loro convivente, prevista dall'art. 2048, è correlata ai doveri inderogabili posti a loro carico all'art. 147 c.c. ed alla conseguente necessità di una costante opera educativa. Per sottrarsi a tale responsabilità, essi devono, pertanto, dimostrare di aver impartito al figlio insegnamenti adeguati e sufficienti ad impostare una corretta vita di relazione, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la prova di circostanze quali l'età ormai raggiunta dal minore e le sue esperienze lavorative (Cass. n. 4395/2012; Trib. Rieti 13 aprile 2019). Dall'esame della casistica giurisprudenziale, nonostante le formule di rito che vengono solitamente utilizzate, si evince che il contenuto della prova liberatoria dipende dalle modalità stesse con cui è avvenuto il fatto: nel caso di illecito particolarmente grave o increscioso, l'inadeguatezza dell'educazione impartita e della vigilanza esercitata è desunta proprio dalle circostanze con cui si è verificato l'evento (Cass. n. 26200/2011; Cass. n. 7270/2001; Cass. n. 10357/2000; Cass. n. 6741/1998; Cass. n. 4971/1997; Trib. Sondrio 3 marzo 2021); in queste ipotesi, al fine di garantire il risarcimento del danno alla vittima, la prova liberatoria è resa estremamente rigorosa (Cass. n. 9556/2009), al limite dell'impraticabile; spesso, inoltre, l'assunzione della prova testimoniale, richiesta dai genitori, è ritenuta ininfluente (Cass. n. 12501/2000), al punto che si evidenzia la possibile inesistenza di circostanze specifiche idonee a superare la presunzione di responsabilità a carico dei genitori (Cass. n. 6741/1998). Nondimeno, la perentorietà e ristrettezza di tale orientamento si attenua notevolmente nel caso in cui l'illecito commesso dal minore non sia di particolare gravità, come — ad esempio — nel caso di incidente stradale cagionato dal minore con il suo motorino oppure nel caso di sinistro verificatosi durante un'attività di gioco ordinariamente seguita da una classe elementare (Trib. Bologna 24 aprile 2001). In queste fattispecie, ai fini della prova liberatoria, non occorre che il genitore provi la sua costante ed ininterrotta presenza fisica accanto al figlio, quando, per l'educazione impartita, per l'età del figlio e per l'ambiente in cui viene lasciato libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con l'ambiente extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possano costituire fonte di pericolo per sé e per i terzi (Cass. n. 4481/2001; Cass. n. 3088/1997). In senso diverso, con riguardo ad un incidente in motorino, si è ritenuto che il fatto illecito non può fornire la prova dell'adeguatezza dell'educazione impartita e della vigilanza adeguata, potendo soltanto, a volte, le modalità del fatto rivelare cattiva educazione e immaturità derivanti da insufficiente impegno educativo, ma non il contrario (Cass. n. 20322/2005). In senso più favorevole ai genitori, si è ritenuto che costoro non sono responsabili del danno provocato dal figlio minore nell'ipotesi in cui diano la positiva dimostrazione di aver impartito una corretta educazione, la quale può essere desunta dal curriculum scolastico, militare e lavorativo del ragazzo, oltre che dal contesto familiare in cui è cresciuto. Nel caso di specie, si è esclusa la responsabilità dei genitori di un ragazzo, ormai prossimo alla maggiore età, che aveva aggredito nell'oratorio parrocchiale durante una festa di carnevale un altro minore con un manganello di plastica (Cass. n. 831/2006). Responsabilità dei precettori e dei maestri d'arteLa responsabilità del precettore o del maestro d'arte presuppone, nonostante il silenzio della norma, la minore età dell'allievo (Rovelli, 273). Così si esclude la responsabilità dei precettori se i soggetti direttamente responsabili siano maggiorenni, essendo tale interpretazione più coerente con il sistema legislativo che ha ridotto a diciotto anni la soglia della maggiore età (Franzoni, 384; in senso contrario Corsaro, Sulla natura giuridica della responsabilità del precettore, in Riv. dir. civ. 1967, 51). L'espressione precettore è sorpassata ed arcaica e, pertanto, deve essere adattata nell'interpretazione giudiziale alla realtà odierna (Visintini, 1996, 612). L'art. 2048, secondo comma, equipara ai precettori coloro che insegnano un mestiere o un'arte con riguardo agli illeciti commessi dagli apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro sorveglianza. Per apprendista si intende colui che apprende un'arte o un mestiere, indipendentemente da uno specifico rapporto di lavoro; mentre il maestro d'arte è chi assume nei confronti del minore poteri e doveri di educazione in senso ampio, onde renderlo idoneo non solo all'arte ed al mestiere, ma anche alla vita di relazione con il mondo esterno (Monateri, 964). Nonostante l'espressione empirica usata, il maestro è colui che impartisce un insegnamento e non colui che è semplicemente tenuto ad un'attività generica di sorveglianza (Scognamiglio, 696). Pertanto, deve trattarsi di un rapporto di istruzione professionale diverso dal vincolo di subordinazione, invece disciplinato dall'art. 2049 c.c.; ne discende che la norma non si riferisce all'artigiano, che connota piuttosto la posizione del datore di lavoro (Scognamiglio, 696), e non si applica all'apprendistato, che è inquadrato nella categoria dei rapporti di lavoro (Visintini, 1987, 538). I precettori rispondono dell'illecito commesso dagli allievi limitatamente al periodo in cui essi sono sotto la loro vigilanza (Scognamiglio, 696; Visintini, 1987, 531). La responsabilità dei precettori si fonda solamente sull'omessa vigilanza; pertanto, non concerne l'intero sistema educativo, al contrario di quanto accade per i genitori (Franzoni, 381). La responsabilità del precettore, sul quale incombe l'obbligo di vigilare, si aggiunge a quella personale del minore capace di intendere e di volere: il danneggiato potrà agire contro entrambi gli obbligati in solido al risarcimento, ma anche contro uno solo di essi (Mantovani, 40; Staderini, 64; Visintini, 1996, 616). Nei rapporti interni il precettore ha azione di rivalsa nei confronti dell'allievo che ha compiuto materialmente l'illecito (Venchiarutti, 2071; in senso contrario Morozzo della Rocca, Regole di responsabilità, palline di carta e danni alla persona, in Corr. giur. 1997, 801). Anche tra genitori e precettori vi è un'obbligazione risarcitoria solidale, considerato che la responsabilità del precettore non esclude che il fatto sia conseguenza di un'omessa educazione da parte del genitore: il danneggiato può agire indistintamente nei confronti dell'uno come dell'altro, poiché l'obbligazione non fa sorgere un litisconsorzio necessario (Franzoni, 382; Mantovani, 41; Visintini, 1996, 616; contra Pogliani, 134, secondo cui la responsabilità dei precettori e maestri d'arte è alternativa rispetto a quella dei genitori). Non rientrerebbe nell'ambito applicativo della norma il caso dell'insegnante che impartisce lezioni private: dell'illecito commesso dal minore affidatogli risponderebbero i soli genitori (Visintini, 1987, 531). In base all'art. 61, l. n. 312/1980, la responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali per danni arrecati direttamente all'Amministrazione in connessione a comportamenti degli alunni è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza sugli alunni stessi. Inoltre, il secondo comma dispone che la limitazione di cui al comma precedente si applica anche alla responsabilità del predetto personale verso l'Amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza. Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l'Amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi. In questo modo, per i danni provocati a terzi dagli alunni di una scuola pubblica, è responsabile nei confronti del danneggiato soltanto il Ministero della pubblica istruzione, mentre l'insegnante ha una responsabilità interna, in sede di rivalsa, in caso di dolo o colpa grave. La normativa si applica solo agli insegnanti dipendenti di enti pubblici statali e non agli insegnanti dipendenti di enti pubblici non statali o di istituzioni private; ciò fa sorgere dubbi di legittimità costituzionale della disciplina (Franzoni, 391; Staderini, 151). Diversamente dalla dottrina prevalente, in giurisprudenza di ritiene che il raggiungimento della maggiore età (o di un'età ad essa prossima) da parte di quest'ultimo non è di per sé inidoneo a rendere inapplicabile la responsabilità ex art. 2048, comma 2, dei maestri e dei precettori per fatto illecito dell'allievo. Nondimeno, il raggiungimento di tale soglia di età incide sul contenuto della prova liberatoria a carico dell'insegnante, nel senso che la maggiore età deve ritenersi ordinariamente sufficiente ad integrare il caso fortuito, per essere stato l'evento posto in essere da persona che non necessita - quantomeno per attività materiali non specificamente correlate ad un insegnamento tecnico - di vigilanza alcuna, poiché munita di completa capacità di discernimento, tale da far presumere la non prevedibilità della condotta dannosa posta in essere, salva prova contraria da fornirsi da parte del soggetto danneggiato (Cass. n. 2334/2018, con nota di Muscillo, in Danno e resp., 2018, 3, 317; Trib. Lecce 11 febbraio 2021). In applicazione di tale principio, è stata esclusa la responsabilità dell'insegnante in una fattispecie relativa a danno provocato ad una compagna di scuola dall'accalcamento e dalle spinte verificatesi all'uscita della palestra al termine della lezione di educazione fisica tra gli allievi frequentanti l'ultimo anno di scuola superiore. Ai fini della presente norma, sono considerati precettori gli insegnanti di scuole pubbliche e private (Cass. n. 2342/1977; Cass. n. 263/1970; App. Milano 7 marzo 1980; App. Milano 22 marzo 1974), gli istruttori sportivi (Cass. 2027/1984; Trib. Milano 3 giugno 1985), gli organizzatori di una settimana bianca (Cass. n. 482/2003), gli assistenti di colonie per le vacanze dei minori (Cass. pen. 27 giugno 1989), gli addetti alla vigilanza dei minori negli istituti di osservazione dei centri di rieducazione per i minorenni (Cass. n. 3933/1968), i maestri in servizio presso un patronato scolastico (Cass. n. 826/1981); si esclude che tale qualifica spetti al direttore didattico o al preside dell'istituto scolastico ed a coloro che non svolgono attività di insegnamento, come bidelli, uscieri, inservienti (Cass. n. 5663/1994), oppure ad un soggetto, non dipendente dell'istituto scolastico, occasionalmente intervenuto, in rappresentanza del Coni, alla premiazione delle gare ginniche di fine anno degli alunni di una scuola elementare, nel corso delle quali uno degli scolari era stato ferito da un sasso scagliato da un compagno (Cass. n. 11241/2003). Infatti, va qualificato precettore ai sensi dell'art. 2048, secondo comma, il soggetto al quale l'allievo è affidato per ragioni di educazione ed istruzione, sia nell'ambito di una struttura scolastica (come avviene per i maestri), sia in virtù di un autonomo rapporto privato (qual è quello che intercorre con un institore), sempre che l'affidamento, seppure limitato ad alcune ore del giorno o della settimana, assuma carattere continuativo e non sia, quindi, meramente saltuario (Cass. n. 11241/2003). Deve escludersi la responsabilità di un maestro di tennis per i danni riportati da un allievo minore di età durante l'esecuzione di uno schema adottato dalla Federazione italiana tennis, allorché risulti fornita la prova che il maestro non ha potuto impedire il fatto, ai sensi dell'art. 2048, essendo tale evento definibile come fortuito per la sua componente casuale, per la sua dipendenza dal fatto di terzi (tra cui il danneggiato) e perché sostanzialmente non prevedibile dal maestro o dal club di tennis (Trib. Modena 15 marzo 2011). In tema di responsabilità dell'istituto scolastico nei confronti degli allievi partecipanti ad una gita, non può essere escluso l'obbligo dell'istituto di provvedere ad idonea scelta della struttura di accoglienza, sia mediante la verifica preventiva dell'oggettiva pericolosità e dei rischi connessi al suo utilizzo sulla base della documentazione visibile prima della partenza, sia mediante l'esame del luogo prima di provvedere alla destinazione effettiva degli alunni (Cass. n. 1769/2012). Il periodo della vigilanza non si limita a quello durante il quale si svolgono le lezioni, ma si estende oltre l'orario delle lezioni, sin dall'ingresso degli alunni nella scuola e per tutto il tempo in cui gli stessi si trovino legittimamente nell'ambito dei locali scolastici (Cass. n. 14701/2016; Cass. n. 1623/1994), comprese la fase della ricreazione (Trib. Firenze 24 ottobre 2016; App. Milano 22 marzo 1974), le gite scolastiche (Cass. n. 1769/2012), le ore di svago trascorse nei locali scolastici o di pertinenza della scuola (Cass. n. 263/1970), fino al momento dell'uscita e della riconsegna ai genitori (Cass. n. 2380/2002; Cass. n. 5424/1986). Costituisce onere di chi agisce per ottenere il risarcimento la prova che l'evento dannoso si è verificato nel tempo in cui l'alunno era sottoposto alla vigilanza dell'insegnante, restando indifferente che venga invocata la responsabilità contrattuale per negligente adempimento dell'obbligo di sorveglianza o la responsabilità extracontrattuale per omissione delle cautele necessarie — suggerite dall'ordinaria prudenza, in relazione alle specifiche circostanze di tempo e di luogo — affinché fosse salvaguardata l'incolumità dei discenti minori (Cass. n. 3081/2015). In giurisprudenza si ritiene che sussista responsabilità solidale tra genitori e precettori (Cass. n. 1322/2016; Cass. n. 12501/2000; Cass. n. 9742/1997; Cass. n. 2606/1997; Cass. n. 8263/1996) Una volta che la responsabilità verso gli insegnanti sia stata fatta valere in via aquiliana e sia stata disattesa nel merito, con sentenza passata in cosa giudicata, è precluso al danneggiato far valere nei confronti della stessa parte e per il medesimo fatto la responsabilità a titolo contrattuale, ostandovi la formazione di un giudicato sostanziale assorbente (Cass. n. 20629/2016). Prova liberatoria La prova liberatoria dei precettori e dei maestri d'arte ha ad oggetto il dovere di vigilanza. Il periodo di vigilanza non si limita a quello durante il quale si svolgono le lezioni. Il dovere di vigilare varia con l'età: è più rigoroso per gli insegnanti di scuola elementare, si attenua nelle scuole superiori. Il precettore si libera da responsabilità soltanto ove dimostri che era presente e che non ha potuto materialmente impedire l'evento, dato il suo carattere imprevedibile, repentino ed improvviso. Se era assente, deve provare che l'attività svolta dagli studenti era tale da non comportare alcun pericolo per loro, avuto riguardo all'età e alla maturità media che si poteva pretendere da quegli allievi. In questo caso non potrà liberarsi se l'assenza non sia giustificata e non si sia fatto sostituire da altro personale qualificato (Franzoni, 398). In giurisprudenza si è affermato che la prova liberatoria per il precettore non può dirsi raggiunta in base alla sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo, dopo l'inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, ma richiede anche la dimostrazione di avere adottato, in via preventiva, le misure cautelari, organizzative o disciplinari, idonee ad evitare la situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale (Cass. n. 9337/2016; Cass. n. 6844/2016; Cass. n. 2413/2014; Cass. n. 20743/2009; Cass. n. 9542/2009; Cass. n. 10042/2006; Cass. n. 2657/2003; Cass. n. 5668/2001; Cass. n. 2027/1984; App. Milano 27 febbraio 2020;Trib. Genova 21 ottobre 2016; App. Napoli 27 giugno 2016; Trib. Bologna 17 maggio 2012; App. Roma 16 aprile 2012). In particolare, la prova liberatoria consiste, non solo nella dimostrazione che è stata esercitata la vigilanza nella misura dovuta e che, nonostante l'adempimento di tale dovere, il fatto dannoso, per la sua repentinità ed imprevedibilità, ha impedito un tempestivo ed efficace intervento, ma anche nella dimostrazione che sono state adottate in via preventiva le misure organizzative indispensabili (Cass. n. 23202/2015; Cass. n. 9542/2009; Cass. n. 1683/1997; Cass. n. 894/1977; Trib. Aosta 4 gennaio 2021). La sorveglianza esigibile deve essere rapportata alla diligenza diretta ad impedire il fatto, essendo necessario un grado di sorveglianza correlato alla prevedibilità di quanto può accadere (Cass. n. 318/1990). Per accertare la prevedibilità del fatto il giudice del merito deve far riferimento alla sua ripetitività e ricorrenza statistica, non astrattamente intesa, ma correlata al particolare ambiente di cui si tratta, sulla base della ragionevole prospettazione secondo cui certi eventi, già verificatisi in date condizioni, possono, al riprodursi di queste, ripetersi (Cass. n. 10723/1996). Si è anche affermato che la responsabilità dei precettori può essere fondata su un ragionamento induttivo dal quale risulti la colpa dei precettori (Cass. n. 12538/1991). All'esito, il precettore o il maestro d'arte, per liberarsi della presunzione di colpa posta a suo carico dall'art. 2048, secondo comma, ha l'onere di provare che né lui, né alcun altro precettore diligente, ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., avrebbe potuto, nelle medesime circostanze, evitare il danno. Tale prova non può prescindere dalla dimostrazione della presenza fisica del precettore al momento della commissione dell'illecito da parte dell'apprendista, integrando la stessa un dovere primario del precettore diligente ai sensi dell'art. 1176, secondo comma (Cass. n. 14216/2018; Trib. Crotone 18 febbraio 2021). Danno autoprocurato dal minoreSecondo la giurisprudenza, il precettore risponde, a titolo contrattuale, anche per il danno che l'allievo si è auto-procurato. Tuttavia, secondo la dottrina, considerare come contrattuale la responsabilità del precettore nel caso in cui il minore si procuri da solo un danno alla persona non appare soluzione convincente; così facendo, infatti, si giungerebbe ad un risultato al limite del paradossale, nel senso che se un minore riceve un danno da un compagno di classe, la responsabilità del precettore è extracontrattuale; se, invece, lo stesso minore si cagiona da solo il danno la responsabilità del precettore è contrattuale; in questo modo, la natura contrattuale od extracontrattuale della responsabilità viene fatta dipendere dalle modalità con cui si verifica il danno. Per converso, siffatta natura dovrebbe dipendere soltanto dal rapporto o dal contatto instauratosi tra le parti; si consideri che in entrambi i casi prospettati, l'affidamento nella capacità e nella professionalità del precettore è identico (Facci, 1022). L'ambito di operatività dell'art. 2048 è limitato al solo caso in cui il minore, capace di intendere e di volere, cagioni ad altri un danno ingiusto; per contro, l'art. 2048, secondo comma, non riguarda il caso in cui il minore procuri a sé una lesione, poiché lo stesso testo legislativo prevede la prova liberatoria da opporre al terzo danneggiato e non, invece, al minore che si sia auto-cagionato un pregiudizio (Cass. n. 19110/2020; Cass. n. 8095/2006; Cass. n. 9758/2005; Cass. S.U., n. 9346/2002; Cass. n. 482/2003; Cass. n. 5268/1995; Trib. Rimini 8 settembre 2021; App. Reggio Calabria 25 gennaio 2021; in senso contrario Cass. n. 8390/1995). Tale danno, invece, può trovare ristoro in ragione del contatto sociale instauratosi tra il precettore e l'allievo, nel caso in cui il precettore abbia omesso la dovuta vigilanza o le necessarie misure cautelative, creando, così, le premesse per l'infortunio. Si specifica, dunque, che nella fattispecie sussiste una responsabilità contrattuale sia dell'istituto scolastico sia dell'insegnante. Pertanto, ad essa è applicabile il regime probatorio di cui all'art. 1218. Ne consegue che l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto mentre incombe sulla controparte l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile alla scuola (Cass. n. 3695/2016; Cass. n. 3612/2014; Cass. n. 2413/2014; nella giurisprudenza di merito Trib. Lecce 9 dicembre 2021; Trib. Milano 13 aprile 2021;Trib. Salerno 14 settembre 2013; Trib. Bologna 22 marzo 2012). Segnatamente, con riferimento ai danni conseguenti ad un infortunio sportivo subito da uno studente durante una gara svoltasi all'interno della struttura scolastica nell'ora di educazione fisica, ai fini della configurabilità della responsabilità della scuola ai sensi dell'art. 2048, è necessario: a) che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente partecipante alla gara, il quale sussiste se l'atto dannoso sia posto in essere con un grado di violenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato o con il contesto ambientale nel quale l'attività sportiva si svolge o con la qualità delle persone che vi partecipano, ovvero allo specifico scopo di ledere, anche se non in violazione delle regole dell'attività svolta, e non anche quando l'atto sia compiuto senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole della disciplina sportiva, né se, pur in presenza di una violazione delle regole dell'attività sportiva specificamente svolta, l'atto lesivo sia a questa funzionalmente connesso; b) che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee ad evitare il fatto. Ne consegue che grava sullo studente l'onere di provare l'illecito commesso da un altro studente, mentre spetta alla scuola dimostrare l'inevitabilità del danno, nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee ad evitare il fatto (Cass. n. 9983/2019 ; App. Cagliari 18 marzo 2021; App. Campobasso 10 marzo 2021). Con riferimento all'istituto scolastico l'accoglimento della domanda di iscrizione e la conseguente ammissione dell'allievo determina l'instaurazione di un vincolo negoziale (Cass. n. 3680/2011), in virtù del quale, nell'ambito delle obbligazioni assunte dall'istituto, deve ritenersi inclusa anche quella di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danni a se stesso. Ne consegue che, al fine di adempiere tale obbligazione di vigilanza, la predisposizione degli accorgimenti necessari, da parte della direzione scolastica, deve essere strettamente legata alle circostanze del caso concreto: da quelle ordinarie, tra le quali l'età degli alunni, che impone una vigilanza crescente con la diminuzione dell'età anagrafica; a quelle eccezionali, tra le quali deve comprendersi l'esistenza di lavori di manutenzione dell'immobile, che implicano la prevedibilità di pericoli derivanti dalle cose (cantiere aperto) e da persone estranee alla scuola e non conosciute dalla direzione didattica, ma autorizzate a circolare liberamente per il compimento della loro attività (Cass. n. 13457/2013; Trib. Genova 19 giugno 2019). Con riferimento al precettore si instaura per contatto sociale un rapporto giuridico, nell'ambito del quale il precettore assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e di vigilanza, onde evitare che l'allievo si procuri da solo un danno alla persona (Cass. S.U., n. 9346/2002; Cass. n. 24456/2005). CasisticaSi è affermata la responsabilità ex art. 2048 del genitore nel caso di guida spericolata, in guisa di esibizione, di un ciclomotore non abilitato al trasporto di due persone, da parte del minore, essendosi legittimamente desunta l'inefficacia dell'educazione da questi impartita al figlio anche dalla specifica condotta causativa del danno (Cass. n. 2518/2005). E così è stata accertata la responsabilità dei genitori, per non avere impartito al minore una sana e adeguata educazione, nel caso del minore che aveva lanciato un pugno di calce sul viso di un bambino, il quale aveva riportato, in conseguenza, la completa causticazione di un occhio e la perdita della vista (Cass. n. 1008/1970, in Resp. civ. e prev., 1970, 492, e in Giust. civ., 1970, I, 1379). Analoga soluzione è stata assunta con riguardo alla condotta di un alunno della scuola elementare che, fuori della scuola, aveva lanciato sassi contro un bambino, colpendolo ad un occhio e causando la perdita di un globo oculare (Cass. n. 3467/1971). Nella stessa prospettiva, con riferimento al caso in cui un minore aveva aggredito una compagna, durante le ore di scuola, cagionandone la morte, si è escluso che l'impartizione di un'adeguata educazione fosse dimostrata da alcuni attestati scolastici relativi al minore e riferiti, per lo più, a periodi successivi all'evento dannoso (Cass. n. 516/1980). Con riguardo alla responsabilità della madre per un incendio provocato dai due figli minori ad un fienile di montagna, durante un periodo di villeggiatura, non avendo ella provato di avere avvertito i figli dei particolari pericoli del luogo e della stagione estiva, è stata altresì dichiarata la responsabilità solidale del padre, ancorché questi, al momento del fatto dannoso, non fosse stato presente nel luogo di villeggiatura (Cass. n. 6104/1978). Il difetto di un'adeguata educazione ed istruzione, impartita dai genitori al figlio minore, è stato desunto dalle modalità del fatto e dal contesto generale, in ordine alla provocazione, da parte del minore, di un sinistro stradale, essendo risultato che questi era solito guidare l'automobile in modo sbadato, frequentava cattive compagnie ed aveva subito condanne penali per reati contro il patrimonio (Cass. n. 4937/1978). Con riguardo al risarcimento dei danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo subito da uno studente all'interno della struttura scolastica durante le ore di educazione fisica, ai fini della configurabilità di una responsabilità a carico della scuola, non è sufficiente il solo fatto di avere incluso nel programma di educazione fisica e fatto svolgere tra gli studenti una gara sportiva, in quanto è necessario che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente, e quindi che lo studente infortunato abbia subito il danno perché fatto segno di un'azione colposa da parte di altro studente impegnato nella partita, ed inoltre che la scuola non abbia predisposto tutte le misure atte a consentire che l'insegnante, sotto la cui guida si svolgeva il gioco, fosse stato posto in grado di evitare il fatto (Cass. n. 16261/2012, in Danno e resp., 2013, 1, 23;Cass. n. 15321/2003; sulla verifica che il fatto rientri nella scriminante sportiva Trib. Lecce 8 aprile 2021; Trib. Rieti 25 luglio 2019). Nel caso in cui, in una scuola, una vetrata venga rotta durante un litigio tra bambine, causando il ferimento di diversi presenti, spetta al giudice di merito stabilire la prevedibilità o meno della condotta delle bambine litigiose e della vivacità delle stesse, in considerazione, sia della circostanza che l'istituto avrebbe dovuto approntare un sistema di vigilanza adeguato alle circostanze, sia delle caratteristiche del manufatto (Cass. n. 24063/2021). Con riferimento al minore, rimasto vittima di atti di bullismo all'interno di una scuola pubblica, sussiste la responsabilità, di tipo extracontrattuale, degli insegnanti dell'istituto scolastico, accusati di culpa in vigilando ex art. 2048, per non avere vigilato sulla sicurezza ed incolumità degli allievi e non avere adottato in via preventiva le misure organizzative idonee ad evitare il compimento dei fatti illeciti in danno della vittima (Trib. Roma 30 giugno 2021). In altra vicenda processuale è stata invece esclusa la responsabilità di un'insegnante di scuola elementare che si era allontanata dalla sua classe, lasciandola momentaneamente incustodita, per evitare le possibili conseguenze dannose della fuga di un alunno, benché, durante la sua assenza, un altro alunno fosse rimasto ferito ad un occhio ad opera di un compagno, poiché, in base alle concrete modalità dell'incidente, doveva essere esclusa la culpa in vigilando (Cass. n. 2590/1972, in Resp. civ. e prev., 1973, 258). Del risarcimento del danno causato dall'allievo o apprendista, in occasione di un incidentale stradale che aveva provocato la morte di un passante, risponde altresì, ai sensi dell'art. 2048, l'istruttore, che era a fianco del conducente al momento del sinistro (Cass. n. 1637/1968, in Giust. civ., 1969, I, 517). È stata esclusa la responsabilità sia del genitore sia del datore di lavoro, cui il minore era stato affidato, per eccezionalità ed imprevedibilità della condotta del minore, per il danno che il minore si era autoprocurato, nel caso del minore, commesso in un negozio di stoffe, assunto al lavoro con il consenso del padre, che si era ferito non durante l'espletamento di prestazioni di lavoro, ma mentre, in luogo appartato, attendeva per gioco alla costruzione di una spada di legno a mezzo di telaietti di legno destinati all'avvolgimento delle stoffe (Cass. n. 2451/1966). Con riferimento al caso in cui un'alunna della terza elementare era caduta, all'entrata di scuola, sui gradini esterni sdrucciolevoli e instabili dell'istituto scolastico, riportando gravi lesioni, è stata esclusa la responsabilità ai sensi dell'art. 2048, poiché gli obblighi di sorveglianza e di tutela dell'istituto scolastico scattano solo allorché l'allievo si trovi all'interno della struttura, mentre tutto quanto accade prima può, ricorrendone le condizioni, trovare ristoro attraverso l'attivazione della responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 (Cass. n. 19160/2012). E così è stata esclusa la responsabilità dei precettori, ritenendo insussistente l'obbligo di vigilanza, con riguardo al percorso effettuato da alcuni ragazzi quattordicenni lungo un tragitto che andava da un locale all'altro della scuola, trattandosi di tragitto ben noto e privo di pericoli diversi da quelli percepibili da ragazzi di quell'età, normalmente sviluppati (Cass. n. 369/1980, in Giur. it., 1980, 1, I, 1593). BibliografiaAlpa, La responsabilità civile, in Trattato Alpa, Milano, 1999; Alpa-Bessone, I fatti illeciti, in Tr. Res., Torino, 1982; Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 3, Obbligazioni e contratti, Torino, 1990; Busnelli, Capacità e incapacità di agire del minore, in Dir. fam. e pers., I, Milano, 1982; Comporti, Fatti illeciti: le responsabilità presunte, in Comm. 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