Colpa cosciente e colpa semplice: opposte conclusioni nella valutazione della fattispecie di naufragio e dei delitti di omicidio e lesioni colpose

Alessandro Arturi
24 Ottobre 2017

La Cassazione penale, con sentenza n. 35585 del 20 aprile 2017, pronunciandosi sui ricorsi presentati dal procuratore generale di Firenze e dai difensori del comandante Schettino, ha affrontato, fra le altre, la questione riguardante l'aggravante prevista dall'art. 61 n. 3 c.p. ...
Abstract

La quarta Sezione Penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 35585 del 20 aprile 2017, pronunciandosi sui ricorsi presentati dal procuratore generale di Firenze e dai difensori del comandante Schettino, ha affrontato, fra le altre, la questione riguardante l'aggravante prevista dall'art. 61 n. 3 c.p., che i giudici di merito, con la doppia conforme di condanna, hanno ritenuto sussistere con riferimento al reato di naufragio, ex art. 449 c.p., escludendola, per converso, relativamente ai delitti di omicidio colposo e lesioni colpose plurimi.

Il caso

La sentenza in esame ha definito il giudizio a carico del comandante Francesco Schettino, per la nota e tragica vicenda del naufragio della nave Concordia della società Costa Crociere, verificatosi in prossimità della costa dell'isola del Giglio, a causa dell'impatto dello scafo con il basso fondale che caratterizza quel tratto di mare e che ha provocato il decesso di 32 persone ed il ferimento di oltre cento passeggeri.

Riportandosi, per gli elementi di dettaglio, all'ampia ricostruzione esposta nella sentenza di primo grado pronunciata dal tribunale di Grosseto, interessa in questa sede evidenziare come negli sviluppi complessivi della dinamica dell'incidente i giudici di merito abbiano inteso enucleare due fasi, distinguibili sotto il profilo cronologico e delle implicazioni giuridiche, connesse ai differenti profili di responsabilità dell'imputato e, seppur in misura minoritaria, di alcuni degli altri ufficiali di bordo.

Le condotte determinanti l'impatto con il fondo roccioso, la previsione dell'evento e la gestione dell'emergenza

Il primo segmento temporale e causale comprende le condotte precedenti e concomitanti la collisione dell'imbarcazione contro gli scogli antistanti l'isola, strettamente connesse all'evento naufragio.

La seconda parentesi include, invece, il complesso di azioni e, soprattutto, di omissioni che hanno connotato l'emergenza determinata dal descritto impatto e dal progressivo, conseguente affondamento della Concordia, con particolare riguardo ai ritardi registrati nella dichiarazione dell'emergenza generale e nella emissione dell'ordine di abbandono della nave, ai quali sarebbero causalmente riconducibili la morte di 32 persone ed il ferimento di un altro centinaio, verificatisi, a partire dalle ore 24:00, durante le operazioni di evacuazione di passeggeri ed equipaggio a mezzo delle scialuppe di salvataggio.

L'opposta soluzione adottata dal giudice di merito, relativamente alla contestata aggravante della colpa cosciente, ha consentito al Supremo Collegio di soffermarsi nuovamente sulle note costitutive di siffatta forma di imputazione soggettiva e di focalizzarne i profili distintivi rispetto alle figure contigue del dolo eventuale e della colpa semplice, anche al fine di corroborare la decisione impugnata con la quale sono stati confermati l'inasprimento di pena stabilito dall'art. 61 n.3 c.p., limitatamente al reato di naufragio ed il contestuale disconoscimento della medesima circostanza aggravante, in relazione alle plurime ipotesi di omicidio e lesioni colpose.

In tale prospettiva il giudice di legittimità ha reputato utile sviluppare una breve premessa teorica diretta a definire il perimetro concettuale della colpa cosciente, come venutosi a cristallizzare allo stato dell'attuale evoluzione giurisprudenziale, per poi procedere all'esame della congruenza e tenuta logica degli approdi espressi nella pronuncia impugnata, sulla scorta dei concreti dati informativi acquisiti nel corso della lunga istruttoria dibattimentale.

Ne è scaturita un'agile e concisa ricognizione degli snodi speculativi più qualificanti del percorso dottrinario e giurisprudenziale culminato nell'attuale “esplicazione contenutistica” dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 3 c.p. che, prendendo le mosse dagli iniziali arresti, per lo più volti a discriminare la colpa cosciente dal dolo eventuale ed incentrati sul profilo rappresentativo, quale elemento differenziale connotato dalla previsione dell'evento dannoso o pericoloso in termini di certezza o di elevata probabilità di verificazione, nella colpevolezza dolosa, e dalla assoluta astrazione della rappresentazione delle conseguenze lesive della propria condotta, nella colpa aggravata, è passata ad analizzare i successivi orientamenti progressivamente sempre più inclini a porre l'accento sull'atteggiamento psicologico dell'agente riguardo al possibile esito dannoso del proprio comportamento e, cioè, sul momento della volizione.

L'excursus si conclude con l'evocazione dell'importante, recente pronunciamento articolato dalle Sezioni unite nella sentenza 24 aprile 2014, n. 38343, sul caso Thyssenkrupp che, nel ripercorrere le linee evolutive di dottrina e giurisprudenza sul tema in parola, ha sostanzialmente ravvisato il nucleo distintivo delle due specifiche ipotesi di colpevolezza dolosa (il dolo eventuale) e di colpevolezza colposa (la colpa cosciente), nell'adesione volontaristica dell'agente che, con riferimento alla prima, ricomprende l'evento accessorio e marginale della condotta, tanto che il giudizio di disvalore si impernia proprio sull'avere agito a costo di provocare l'esito infausto collaterale, mentre, nel caso della colpa con previsione, si arresta all'accettazione della situazione rischiosa, accompagnata dalla sicura convinzione della non verificazione delle conseguenze pregiudizievoli.

Orbene, seppur l'impegno speculativo della Suprema Corte nella sua composizione apicale risulti profuso nella direzione di una più appagante e definitiva demarcazione del confine tra le due forme di imputazione soggettiva, è indubbio che l'indiretta definizione del perimetro della colpa cosciente finisca per produrre riflessi chiarificatori anche sull'opposto versante del rapporto con la colpa semplice.

Tralasciando, dunque, le specificità descrittive più propriamente riguardanti il dolo eventuale, l'approdo delle Sezioni unite, accolto nella sentenza Schettino con propositi di paradigmatica applicazione alle ipotesi delittuose del naufragio e degli omicidi e lesioni colposi plurimi, è particolarmente fecondo e quanto mai illuminante per la nettezza della linea di confine che ne è dato ricavare, fra le due forme di imputazione psicologica colposa.

Ed è altrettanto indubitabile che proprio la vicenda dell'affondamento della Concordia, con la duplice, opposta declinazione della colpevolezza colposa, abbia fornito alla Corte regolatrice l'occasione per misurare il buon governo che i giudici di merito hanno fatto dei principi espressi dal Supremo Consesso nell'espletamento della sua funzione di nomofilachia, sul banco di prova rappresentato, in termini quasi icastici, dal complesso di condotte commissive ed omissive prodromiche al naufragio, per le quali si è ritenuta la sussistenza dell'aggravante della previsione e, nel contempo, dall'insieme dei comportamenti colposi, tenuti successivamente all'urto della nave con il fondale, nella fase dell'emergenza ed all'origine delle morti e delle lesioni plurime, in riferimento ai quali è stata esclusa la circostanza di cui all'art. 61 n.3 c.p.

Il diverso esito di quelle valutazioni, avallate dal giudice di legittimità, assicura un contributo informativo esemplare, perché in entrambi gli snodi motivazionali il processo mentale, lungi dall'indugiare su meri schematismi teorici ed astratti, si misura con la cruda concretezza di una realtà nel suo effettivo sviluppo, consentendo di vedere in opera la insuperabile necessità, avvertita dalle Sez. unite, di sondare le peculiarità del caso, setacciando gli elementi estrinseci ed oggettivi sintomatici di fatti, come i moti di volontà, che si svolgono in una dimensione eminentemente intima e di difficile esplorazione cognitiva.

Talché, astenendosi da enunciazioni eccessivamente teoriche, la Corte, nel suffragare la corretta inferenza logica del ragionamento svolto dal giudice di merito, ha esaltato la correlazione tra le regole cautelari specificamente violate e l'evento naufragio che ne è scaturito, come concretizzazione del rischio che quelle stesse prescrizioni prudenziali intendevano scongiurare.

La intenzionale obliterazione della rotta di 320^ preventivamente predisposta dall'ufficiale cartografo, previa consultazione delle mappe marittime, allo scopo di effettuare un accostamento più prossimo al porto dell'isola, così da conferire all'omaggio rituale dell'“inchino” una maggiore spettacolarità e, nel contempo, una inequivoca valenza celebrativa dell'abilità marinaresca del comandante del transatlantico, dà rilievo al momento volontaristico che connota la colpa aggravata, perché, i profili differenziali tra mera prevedibilità ed effettiva previsione dell'evento sono maggiormente percepibili proprio nella fase primigenia di trasgressione della regola cautelare, costituendo il riflesso della volontarietà e consapevolezza della violazione.

Con speculare e simmetrica valutazione ricostruttiva, il Suprema Corte ha certificato l'inattaccabilità dialettica del percorso inferenziale che ha persuaso la Corte territoriale ad escludere la sussistenza dell'aggravante in commento per quanto concerne i plurimi delitti colposi di omicidio e lesioni scaturiti dall'affondamento della Concordia, in quella seconda, tragica parentesi cinematica innescata dal danneggiamento subito dallo scafo in conseguenza dell'urto con il fondo roccioso dell'isola.

Il punto di maggiore labilità logico motivazionale dell'itinerario espositivo illustrato dal giudice d'appello, secondo le doglianze sollevate dal procuratore generale di Firenze, sarebbe rinvenibile nella omessa valutazione del dialogo intercorso tra il Comandante della nave ed il direttore di macchina alle ore 21:51:34, siccome dimostrativo, a parere dell'appellante, dell'acquisita consapevolezza da parte dell'imputato dell'imminente affondamento del transatlantico e della connessa previsione concreta delle conseguenze disastrose per passeggeri e personale dell'equipaggio, destinate a prodursi nelle operazioni di abbandono della nave, secondo un dato di comune esperienza riferito dallo stesso imputato in occasione dell'esame reso nel corso del dibattimento.

Sennonché, in adesione all'avviso espresso dal giudice di merito, il Suprema Corte ha ratificato il ragionamento sotteso al disconoscimento della circostanza aggravante, osservando che quegli elementi probatori corroboravano certamente la prevedibilità degli eventi luttuosi, ma non avevano valenza dimostrativa della sicura maturazione nel comandante di un approdo mentale predittivo.

Qui, il profilo dirimente sembra essere rappresentato dalla mancata individuazione ad opera dell'organo appellante della connessione tra la violazione della regola cautelare e la previsione dell'evento lesivo nel quale si sarebbe materializzato il rischio sotteso a quelle prescrizioni.

Nei limiti della natura e del contenuto del sindacato spettante al giudice di legittimità, ancorato, come noto, al mero vaglio di completezza, tenuta logica e di non contraddittorietà della motivazione, oltre che di aderenza della decisione alle evidenze istruttorie risultanti dagli atti processuali, con esclusione di qualsiasi incursione diretta nel merito delle valutazioni espresse nella sentenza gravata, la Corte ha recisamente respinto ipotesi di discontinuità logica tra l'approdo finale e la trama di elementi fattuali analizzati, concordando sulla non equivocità semantica, quale riscontro della pretesa concreta rappresentazione delle incombenti morti e lesioni, del complesso di circostanze indiziarie esaminate dai giudici di merito.

Partendo dall'assunto che, sulla scorta del giudizio controfattuale esplicitato dal tribunale di Grosseto, la dichiarazione di emergenza generale sarebbe dovuta intervenire non oltre le ore 22:00, mentre l'ordine di abbandono avrebbe dovuto essere diramato non più tardi delle 22:30, il Supremo Consesso ha condiviso l'opinione della Corte fiorentina per la quale le quattro frasi presuntivamente sintomatiche della maturata previsione degli eventi di cui agli artt. 589 e 590 c.p., intervenuta nell'intervallo temporale trascorso tra i predetti riferimenti cronologici ed il momento di effettivo compimento delle descritte operazioni emergenziali da parte dell'imputato, non consentano in realtà di ricavare ragionevolmente e con coerenza inferenziale un livello di consapevolezza da parte dell'imputato di concretezza e precisione tali da giustificare l'applicazione del più severo regime sanzionatorio previsto dall'art. 61 n.3 c.p..

Per una migliore comprensione, lo snodo motivazionale della Corte di cassazione fa richiamo al contenuto della conversazione svoltasi alle ore 22:32 tra SCHETTINO e la Capitaneria di Porto di Livorno («stiamo imbarcando acqua…mo' noi mettiamo i passeggeri nelle lance…e poi Dio ci pensi»); alla frase pronunciata dal medesimo imputato alle ore 23:05, mentre si trovava su un'ala della plancia («io non voglio..non faccio morire a nessuno qui»); alla domanda fatta sempre dal Comandante, senza manifesta sorpresa, né particolari palpitazioni, allorquando aveva appreso, dopo le 24:00, che vi erano stati dei decessi durante le operazioni di evacuazione della nave («quanti morti ci sono?»); infine, alla dichiarazione resa durante l'esame dibattimentale («in ogni abbandono di nave si verificano dei morti»).

Il Supremo Consesso si è, inoltre, soffermato diffusamente sull'analisi del testo di un'altra, importantissima interlocuzione, quella succitata delle ore 21:51:34, tra Schettino ed il direttore di macchina, che il P.G. ricorrente ha reputato illuminante dell'acquisita consapevolezza del primo, circa la concreta incombenza degli eventi e che la Corte fiorentina avrebbe irragionevolmente obliterato.

Nel condividere il convincimento dei giudici di merito, ha escluso censure di contraddittorietà per le opposte conclusioni cui gli stessi sono pervenuti, quanto alla ricorrenza degli estremi della colpa cosciente, in relazione al naufragio, da una parte, ai decessi ed alle lesioni, dall'altra.

In merito, il Supremo Consesso ha opportunamente osservato «diverso è infatti l'evento oggetto di previsione: la rappresentazione di un urto contro gli scogli, a seguito del mutamento della rotta rispetto a quella tracciata dal cartografo C, era un'evenienza che sicuramente il Comandante si era prospettato, pur nella sconsiderata e superficiale convinzione di poterlo evitare; nel momento di poco successivo all'impatto, in cui intervenne la conversazione, egli invece ha dimostrato la paura di affondamento della nave, ma non vi è prova che si fosse rappresentato anche i decessi e le lesioni che ne sarebbero derivati».

In conclusione

Se, dunque, l'imputazione colposa si caratterizza per il fatto che in ogni caso l'evento dannoso o pericoloso, sebbene preveduto, non sia voluto, ben diverso può essere l'atteggiamento psicologico dell'agente nel mettere in atto i fattori causali, ossia il comportamento del quale l'evento stesso costituisce conseguenza.

L'inosservanza intenzionale della norma specifica o delle generiche regole di diligenza, prudenza, perizia, non può che essere accompagnata dalla previsione concreta dei possibili esiti infausti, ancorché non voluti ed intimamente esclusi nella loro reale verificabilità.

Non può sfuggire che un conto è se l'attraversamento di un incrocio stradale con il semaforo rosso avvenga coscientemente ed intenzionalmente, altro se ciò si verifichi per mera disattenzione od errore di valutazione.

Nel primo caso è indiscutibilmente ravvisabile l'accettazione del rischio che siffatta condotta trasgressiva determini proprio l'accadimento che l'impianto semaforico intende impedire, ossia la collisione con altri veicoli provenienti dalle strade che intersecano quella percorsa dal trasgressore; si tratta di un atteggiamento psicologico immancabilmente accompagnato dalla sicura rappresentazione dell'evento lesivo, in ragione della strettissima connessione causale di quest'ultimo con la regola violata.

Spetta, poi, al giudice verificare se l'adesione volontaristica si sia fermata alla situazione di pericolo o abbia addirittura investito l'evento stesso, declinandosi come accettazione della sua verificazione.

Ma pare di comprendere dagli arresti della giurisprudenza di legittimità che dolo eventuale e colpa cosciente finiscono per condividere non solo il momento rappresentativo ma anche, per un segmento del fatto materiale costitutivo del reato, il profilo volitivo, che nell'imputazione dolosa si estende sino all'evento accessorio, arrestandosi nella colpa aggravata al comportamento inosservante della regola di cautela o, in altri termini, alla costituzione di una situazione di rischio.

Per certi versi molto più nitida e decifrabile la frontiera della colpa cosciente con la colpa semplice, nella quale difetta l'accettazione della situazione rischiosa e l'evento si produce per mera negligenza.

Tenendo presenti i criteri guida recentemente enucleati dalle Sezioni unite, la Corte di legittimità ha confermato la linearità logica, la congruenza argomentativa e la fedeltà al patrimonio probatorio della decisione impugnata, nella parte in cui, con riferimento al delitto ex art. 449 c.p., la prova dell'evidenza della previsione dell'evento, da parte dell'imputato, è stata correttamente estrapolata dalle emergenze dibattimentali.

In tal senso vanno valorizzati la menzionata determinazione del comandante di non affidarsi all'itinerario elaborato dall'ufficiale cartografo, comportante un passaggio dalla linea di costa isolana di circa mezzo miglio marino, intendendo portarsi ad una distanza di soli 0,3 o, addirittura, 0,2 miglia ed il successivo proposito, manifestato in plancia con un gesto della mano e concretamente attuato, di procedere egli stesso alla fase terminale della manovra mediante navigazione a vista ed abbandono delle apparecchiature di direzione automatica.

Le ulteriori concomitanti o susseguenti azioni imperite ed imprudenti si profilano come contorno di quel nucleo sostanziale di opzioni operative specificamente qualificanti il maggior disvalore, espresso dalla circostanza dell'art. 61 n. 3 c.p. del comportamento colposo complessivo ed individuano i fattori causali che hanno concorso a rendere vano il convincimento dell'imputato di poter governare la situazione di rischio volutamente provocata dalla originaria determinazione.

Si allude al ritardo con il quale Schettino ha raggiunto il ponte di comando nell'intento di provvedere in prima persona alla gestione della navigazione; alla mancata sostituzione del timoniere nel posto di vedetta; alla sequela ravvicinata e frenetica di ordini impartiti allo stesso timoniere, peraltro incapace di comprendere la nostra lingua e con scarsa padronanza anche dell'inglese; alla improvvida decisione di affidarsi alle rassicurazioni telefoniche dell'ex Comandante e maestro, circa l'effettiva profondità del fondale nel tratto di mare dove intendeva condurre la nave.

Queste ed altre più dettagliate manchevolezze dimostrate nell'amministrazione della temperie rischiosa si sovrappongono nella considerazione del Collegio di legittimità, così come dei giudici di merito, alle altre più pregnanti e radicali estrinsecazioni di colpevolezza poc'anzi richiamate, caratterizzanti il coinvolgimento psicologico di Schettino in termini di colpa aggravata.

Giova, infatti, ripetere come appaia opportuno distinguere, nel complesso andamento della vicenda, i profili di imprudenza che hanno segnato l'accettazione del rischio, mediante la violazione delle specifiche regole di cautela, dagli accenti di ulteriore imperizia e negligenza che hanno connotato la fase di gestione della situazione pericolosa, rendendo illusoria la convinzione dell'agente di poter evitare il pur previsto esito calamitoso.

Pare allo scrivente che, come anticipato sopra, la valutazione del materiale probatorio e del complesso di elementi estrinseci nei quali rinvenire risonanze sintomatiche dei processi interiori attinenti all'imputazione soggettiva, debba orientarsi ad esplorare, nel discrimine fra colpa cosciente e colpa semplice, più che il momento della rappresentazione, quello della volizione, siccome destinato a condizionare il livello di consapevolezza della situazione rischiosa.

Pur nella concatenazione ininterrotta di fatti, comportamenti e conseguenze ravvisabili nello sviluppo naturale di una vicenda come quella in esame, è indubbio che la lente del giurista sia in grado di cogliere, senza sovrapposizioni artificiali ed arbitrarie, le differenze, non solo giuridiche ma anche ontologiche esistenti tra due segmenti di azione separati da una cesura che, sul piano storico, coincide con l'impatto della nave contro gli scogli del fondale e, dal punto di vista delle implicazioni psicologiche, con un atteggiamento di non volontà di quell'evento intermedio, destinato ad innescare i drammatici esiti finali.

Da questo punto di vista, la ricostruzione analitica e selettiva dei giudici di merito appare esemplare, sul piano del rigore logico e della persuasività deduttiva.

Se, infatti, la violazione delle norme specifiche e generiche poste a presidio del pericolo di collisione con il fondo roccioso è stata il frutto di una determinazione voluta e consapevole del Comandante, tanto da legittimare la contestazione della previsione concreta dell'evento, con conseguente inasprimento del regime punitivo, l'atteggiamento psicologico opposto di non accettazione del pur rappresentato impatto contro gli scogli contrassegna, sul piano soggettivo, oltre all'esclusione degli estremi del dolo eventuale, l'innesco della inedita situazione rischiosa, ossia il graduale affondamento della Concordia, in rapporto al quale si è materializzata l'inadeguatezza dell'imputato nella gestione dell'emergenza, in difetto di anticipate previsioni sulle conseguenze drammatiche di uno stato di pericolo che all'origine era certo di sapere e potere evitare.

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