Decreto Legge - 12/09/2014 - n. 132 art. 3 - Improcedibilita'

Mauro Di Marzio

Improcedibilita'

 

1. Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l'altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Allo stesso modo deve procedere, fuori dei casi previsti dal periodo precedente e dall'articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro. L'esperimento del procedimento di negoziazione assistita e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale. L'improcedibilita' deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice quando rileva che la negoziazione assistita e' gia' iniziata, ma non si e' conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 2 comma 3. Allo stesso modo provvede quando la negoziazione non e' stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la comunicazione dell'invito. Il presente comma non si applica alle controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori. Il ricorso a un sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie istituito ai sensi dell'articolo 187.1 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, tiene luogo della stipula di una convenzione di negoziazione assistita ai sensi delle presenti disposizioni1.

2. Quando l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se l'invito non e' seguito da adesione o e' seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione ovvero quando e' decorso il periodo di tempo di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a).

3. La disposizione di cui al comma 1 non si applica:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione;

b) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'articolo 696-bis del codice di procedura civile;

c) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;

d) nei procedimenti in camera di consiglio;

e) nell'azione civile esercitata nel processo penale.

4. L'esperimento del procedimento di negoziazione assistita nei casi di cui al comma 1 non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari, ne' la trascrizione della domanda giudiziale.

5. Restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati. Il termine di cui ai commi 1 e 2, per materie soggette ad altri termini di procedibilita', decorre unitamente ai medesimi2.

[6. Quando il procedimento di negoziazione assistita e' condizione di procedibilita' della domanda, all'avvocato non e' dovuto compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 e successive modificazioni. A tale fine la parte e' tenuta a depositare all'avvocato apposita dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorieta', la cui sottoscrizione puo' essere autenticata dal medesimo avvocato, nonche' a produrre, se l'avvocato lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicita' di quanto dichiarato.]3

7. La disposizione di cui al comma 1 non si applica quando la parte puo' stare in giudizio personalmente.

8. Le disposizioni di cui al presente articolo acquistano efficacia decorsi novanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

[2] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 10 novembre 2014, n. 162, in sede di conversione.

[3] Comma abrogato dall'articolo 9, comma 1, lettera e), del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, con applicazione a decorrere dal 30 giugno 2023, come stabilito dall'articolo 41, comma 4, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera c), punto 3) della Legge 29 dicembre 2022, n. 197.

Inquadramento

Un largo settore del contenzioso che impegna gli uffici giudiziari del paese, quello della responsabilità civile per i danni cagionati dalla circolazione dei veicoli, è oggi sottoposto ad una condizione di procedibilità costituita dall'espletamento del procedimento di negoziazione assistita (v. in generale Di Marzio, 17; Chiarloni, 221; Dalfino, 2015). D'altro canto la negoziazione assistita costituisce condizione di proponibilità anche delle controversie aventi ad oggetto il pagamento «a qualsiasi titolo» (dunque anche a titolo di responsabilità civile) di somme non eccedenti cinquantamila euro. Essa si aggiunge all'ampio numero degli strumenti di soluzione concordata della lite, tra cui, oltre alla mediazione di cui al d.lgs. n. 28/2010, quelli previsti da numerose altre norme (art. 2 l. n. 580/1993; l. n. 481/1995; l. n. 135/2001; d.lgs. n. 5/2003; art. 322 c.p.c.). La negoziazione assistita, in particolare, si articola in un invito che una parte rivolge all'altra, per il tramite di un avvocato, a partecipare al procedimento e si conclude, in caso di esito positivo, con un accordo dotato di un'ampia efficacia esecutiva, e così in grado di consentire il conseguimento di utilità pressoché identiche a quelle della sentenza.

Il d.l. n. 132/2014 prevede una negoziazione assistita facoltativa ed una obbligatoria, la quale, cioè, come accennato, funziona come condizione di procedibilità dell'eventuale successivo giudizio; nondimeno, il procedimento di negoziazione è il medesimo nell'uno e nell'altro caso, con tratti di somiglianza con il procedimento di mediazione. Si tratta di un procedimento disciplinato in modo alquanto scheletrico, anche nell'intento di rimettere quanto più possibile alla volontà delle parti il suo svolgimento, nell'ottica, indicata dall'art. 2 del richiamato d.l., di una loro cooperazione «in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia». In particolare, il testo normativo regola: i) l'atto di impulso della procedura, cioè l'invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita (artt 4 e 8); ii) forma e contenuto della medesima convenzione (art. 2); iii) gli obblighi dei difensori, anche in punto di riservatezza (articoli 9 e 11) e di deontologia (art. 2); iv) i poteri certificativi dei difensori (articoli 2, 4 e 5); v) gli effetti dell'accordo eventualmente raggiunto (art. 5).

Negoziazione assistita e mediazione

Come accennato, la «negoziazione assistita», in Italia, si aggiunge al numero degli strumenti di soluzione concordata della lite, tra cui, oltre alla mediazione di cui al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, quelli previsti da altre norme. Ad esempio:

- l'art. 2 della legge 29 dicembre 1993 n. 580, recante: «Riordinamento delle Camere di commercio, industria, artigianato, agricoltura», ha devoluto alle Camere di commercio il compito di «costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori e utenti»;

- la legge 14 novembre 1995, n. 481, recante «Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità», ha previsto la possibilità di rimettere la composizione di controversie tra utenti e gestori dei servizi a commissioni arbitrali e di conciliazione istituite presso le Camere di commercio, con la precisazione, all'art. 24, che il verbale di conciliazione o la decisione arbitrale costituiscono titolo esecutivo;

- la legge 18 giugno 1998, n. 192, recante: «Disciplina della subfornitura nelle attività produttive», ha previsto all'art. 10 un tentativo obbligatorio di conciliazione presso la Camera di commercio del luogo in cui ha sede il subfornitore;

- la legge 30 luglio 1998, n. 281, recante: «Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti», poi abrogata dal Codice del consumo, ha previsto che gli organismi pubblici indipendenti, le associazioni rappresentative di consumatori ed utenti e le organizzazioni riconosciute in un altro Stato membro dell'Unione europea possano attivare un tentativo di conciliazione presso le Camere di commercio, precedentemente ad un giudizio ordinario; il processo verbale di conciliazione ha valore di titolo esecutivo; si veda oggi l'art. 140 del codice del consumo;

- la legge 29 marzo 2001, n. 135, recante: «Riforma della legislazione nazionale del turismo», poi abrogata dall'art. 3, comma 1, lettera h), del d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79, ha disposto la costituzione ad opera delle Camere di commercio di commissioni arbitrali e conciliative aventi ad oggetto la risoluzione di controversie riguardanti la fornitura di servizi turistici tra imprese e tra imprese e consumatori ed utenti;

- il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, recante: «Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'art. 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366», ha previsto, agli articoli 34 ss., in materia societaria, la risoluzione delle controversie mediante tentativo stragiudiziale di conciliazione;

- l'art. 322 c.p.c. prevede la conciliazione in sede non contenziosa delle cause avanti il Giudice di pace;

- il d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, recante il «Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'art. 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246» prevede all'art. 36 un'ulteriore ipotesi di conciliazione tra uomo e donna.

Tornando alla mediazione, ossia a quello che era finora il principale degli strumenti di soluzione concordata della lite, le differenze di fondo rispetto alla negoziazione assistita, in prima approssimazione, sono evidenti.

Una prima differenza concerne la struttura:

a) nella mediazione è centrale, ai fini della composizione della lite, il ruolo del mediatore, ossia di un soggetto terzo rispetto alle parti ed ai loro difensori; il mediatore, si rammenta, è «la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio», ai sensi dell'art. 1 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28;

b) nella negoziazione la composizione della controversia è affidata alle parti stesse, con l'assistenza dei difensori, senza l'intervento di un terzo che svolga, in posizione neutrale, il compito di sollecitare l'avvicinamento delle reciproche posizioni, indicando soluzioni utili a smussare il contrasto.

Naturalmente, la differenza strutturale derivante dall'assenza del mediatore si riflette non solo sull'osservanza della complessa disciplina procedurale richiesta per la mediazione e non per la negoziazione assistita, ma anche sui costi della procedura, dal momento che la negoziazione assistita non richiede gli esborsi necessari al funzionamento dell'organismo di mediazione.

Una seconda differenza concerne la durata:

a) la mediazione è sottoposta esclusivamente, nel massimo, ad un limite di durata, che è di tre mesi, ai sensi dell'art. 6 d.lgs. 28/2010;

b) la negoziazione assistita è sottoposta anche ad un limite minimo di durata, che è di un mese, secondo l'art. 2, secondo comma, lett. a, del decreto-legge 12 settembre 2014 n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.

Una terza differenza concerne gli obblighi di riservatezza:

a) nella disciplina della mediazione è stabilito, all'art. 10 d.lgs. n. 28/2010, che il solo mediatore non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all'autorità giudiziaria ne davanti ad altra autorità;

b) nella disciplina della negoziazione è stabilito, all'art. 9, terzo comma, del decreto-legge 132/2014, che sia i difensori delle parti, sia, più in generale, coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite.

Nondimeno, sia nella mediazione che nella negoziazione assistita vige per il resto un analogo regime di riservatezza: ed infatti, tanto l'art. 10 d.lgs. n. 28/2010 quanto l'art. 9 decreto-legge 132/2014 contemplano un generale obbligo di riservatezza delle informazioni ricevute e recano il divieto di utilizzazione processuale di esse in giudizi aventi in tutto o in parte il medesimo oggetto.

Una quarta differenza concerne l'efficacia esecutiva degli accordi che possono stipularsi all'esito della mediazione e della negoziazione assistita:

a) nella disciplina della mediazione l'art. 12 d.lgs. 28/2010 stabilisce che detti accordi costituiscono «titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale»;

b) nella disciplina della negoziazione assistita l'art. 5, primo comma, decreto-legge 132/2014, stabilisce che detto accordo «costituisce titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale», senza ulteriore precisazione, il che induce ad interrogarsi, come vedremo più avanti, se l'efficacia esecutiva degli uni e degli altri accordi sia diversa ovvero più o meno ampia.

Una quinta differenza concerne il rapporto tra la mediazione e la negoziazione assistita, da un lato, e l'eventuale successivo giudizio, dall'altro:

a) nella disciplina della mediazione l'art. 8, comma 4 bis, d.lgs. n. 28/2010 stabilisce che la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione consente al giudice di desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'art. 116, secondo comma, c.p.c.; inoltre, in caso di mediazione prevista quale condizione di procedibilità, il giudice condanna la parte costituita che non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio;

b) l'art. 4 decreto-legge 132/2014 stabilisce, con maggiore severità, che la mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutata dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 (lite temeraria) e 642, primo comma (esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo), c.p.c.; in caso di negoziazione prevista quale condizione di procedibilità non è contemplata alcuna sanzione ulteriore.

Una sesta differenza tra la negoziazione obbligatoria e la mediazione obbligatoria consiste in ciò, che la legge non prevede alcuna ipotesi di negoziazione assistita «delegata» dal Giudice, mentre l'art. 5, secondo comma, d.lgs. n. 28/2010 consente al giudice, anche in sede di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, di disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello.

Infine, a differenza della mediazione «obbligatoria» la negoziazione «obbligatoria» è un istituto concepito come permanente, non essendo prevista alcuna fase di sperimentazione o limitazione temporale, mentre la mediazione; al contrario, la mediazione come condizione di procedibilità è prevista in via sperimentale per quattro anni (successivi alla data dell'entrata in vigore della legge 98/2013), con istituzione di un monitoraggio biennale. In teoria, nel 2017 potremmo avere la sola negoziazione assistita e non la mediazione.

Ciò detto, tanto l'introduzione della negoziazione assistita, quanto talune modifiche introdotte con riguardo alla mediazione dopo la nota dichiarazione di incostituzionalità (Corte cost. 6 dicembre 2012, n. 272), paiono dirette a valorizzare il contributo dell'avvocatura allo svolgimento delle procedure di ADR, intese quali strumenti indispensabili alla deflazione del contenzioso civile e, dunque, alla restituzione di efficienza al servizio giustizia.

La mediazione come si sa ha riscosso critiche asperrime dal mondo forense: molte sono state le doglianze avanzate, non tanto rivolte contro l'istituto in se stesso considerato, quanto contro la sua concreta realizzazione normativa, ritenuta farraginosa e pesante. Senza scendere in dettaglio, si può dire che la mediazione è stata percepita come introdotta «contro» l'avvocatura, al che sembra che il legislatore abbia voluto ovviare (pur lasciando inalterato l'impianto della legge) prevedendo oggi come necessaria la partecipazione degli avvocati al procedimento di mediazione «obbligatoria», secondo quanto previsto dall'art. 1 bis d.lgs. n. 28/2010, nel testo inserito, a seguito della ricordata dichiarazione d'incostituzionalità, dall'art. 84, comma 1, lett. b, decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98. Va considerato infatti:

- che: «Chi intende esercitare in giudizio un'azione ... è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione» (art. 1 bis d.lgs. 28/2010);

- che inoltre: «Gli avvocati iscritti all'albo sono di diritto mediatori», ai sensi del comma 4 bis del pure esso novellato art. 16 d.lgs. n. 28/2010;

- che gli avvocati delle parti, ai sensi dell'art. 12 dello stesso decreto legislativo, hanno oggi il potere non soltanto di autenticare le sottoscrizione delle parti e di attestare la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico, ma anche di conferire all'accordo di conciliazione, attraverso la propria sottoscrizione, efficacia esecutiva, senza che occorra un provvedimento giudiziale in tal senso.

D'altro canto, protagonisti della negoziazione assistita sono senz'altro gli avvocati la cui assistenza è obbligatoria: sebbene essi siano chiamati a svolgere il proprio compito — va subito detto — secondo un approccio ed una prospettiva diversi da quelli tradizionali, giacché devono operare non in un'ottica «avversariale», rapportando la formulazione dell'accordo finale a quanto ritengano di poter realizzare all'esito della pronuncia della sentenza, bensì, secondo quanto si è accennato, in relazione alle reali esigenze delle parti.

In definitiva mediazione e negoziazione assistita convivono, muovendosi su binari che, fatte salve le differenze già evidenziate e quelle che si esamineranno man mano, nel valorizzare ruolo dell'avvocato, corrono parallelamente.

Negoziazione assistita e transazione

Possiamo dare per scontato che la professione forense comporti sovente, non solo in corso del giudizio, ma più spesso prima di esso, la ricerca di accordi transattivi, mediante l'individuazione di un accettabile punto di equilibrio tra le rispettive posizioni, che scongiurino l'insorgenza della lite. E, anzi, non sembra errato dire che la «negoziazione assistita» si risolve in definitiva nel recepimento normativo, nell'istituzionalizzazione, di simile «buona prassi» che la professione forense conosce probabilmente da sempre, con l'attribuzione all'accordo raggiunto di una particolare forza.

Non v'è dubbio, infatti, che l'accordo raggiunto in esito alla negoziazione assistita manifesti forti tratti di comunanza con il contratto di transazione, mediante il quale, secondo la previsione degli artt. 1965 ss. c.c., le parti pongono fine a una lite già insorta o prevengono una eventuale lite futura: nel caso della negoziazione assistita si tratta peraltro di prevenire la lite, prima che essa si sia radicata in sede giudiziaria. L'accordo transattivo può anche dar luogo all'estinzione di un'obbligazione ed al sorgere di una obbligazione nuova e diversa (transazione novativa), e può condurre alla totale estinzione dei preesistenti rapporti, così come alla composizione solo di una parte della controversia, con riserva di stipulazione di un successivo accordo sulla residua materia in discussione.

Secondo il prevalente orientamento, la transazione è un contratto tipico, a titolo oneroso, necessariamente bilaterale (o, eventualmente, plurilaterale), a prestazioni corrispettive, consistenti nell'reciproche concessioni (aliquid datum, aliquid retentum).

La funzione economica-sociale del contratto si individua nella composizione, mediante reciproche concessioni, di una lite attuale, ovvero nella prevenzione di una lite futura.

La stipulazione del contratto presuppone la lite (res litigiosa), la quale presenti un carattere di obiettiva incertezza (res dubia). Si intende per lite un conflitto giuridico dato dalla contrapposizione tra una pretesa e una resistenza, sicché non sussiste la res litigiosa nel caso di affermazione di una pretesa non contestata dall'altra parte.

Per lite «già cominciata» si intende per lo più la lite già introdotta in via giudiziale (o arbitrale) o comunque già manifestatasi. Per lite «futura» si intende una lite in nuce, ossia una situazione in cui non sia stata ancora formalmente avanzata una pretesa alla quale si sia contrapposta una resistenza. La transazione può dunque concernere anche liti non ancora instaurate, ed eventuali contrasti non ancora manifestatisi. In tal senso si trova ribadito che, in tema di transazione, le reciproche concessioni possono riguardare anche liti future non ancora instaurate ed eventuali danni non ancora manifestatisi, purché questi ultimi siano ragionevolmente prevedibili, ed il relativo accertamento è riservato all'apprezzamento del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione logica e completa (p. es. Cass. n. 12320/2005). Non occorre che le rispettive tesi delle parti abbiano assunto la determinatezza proprio della pretesa, essendo sufficiente l'esistenza di un dissenso potenziale, anche se ancora da definire nei più precisi termini di una lite e non esteriorizzata in una rigorosa formulazione (Cass. n. 17817/2005; Cass. n. 11142/2003).

Tanto nella negoziazione assistita quanto nella transazione possono dunque ravvisarsi la medesima natura negoziale, funzione ed oggetto. Con il contratto di transazione, l'accordo di composizione della controversia in esito alla negoziazione assistita ha in particolare senz'altro in comune la funzione di composizione della lite. Nella transazione occorrono però «reciproche concessioni», delle quali non v'è espressa menzione nella disciplina della negoziazione assistita. Tuttavia, tale elemento si risolve nell'abbandono di una parte della pretesa e, correlativamente, di parte della contestazione, ed esso, pur non figurando nella definizione data dall'art. 2 d.l. n. 132/2014, caratterizza con tutta evidenza la causa in concreto dell'accordo al quale è volta la negoziazione assistita. Della transazione, poi, l'accordo di negoziazione può condividere la natura non novativa, novativa o mista a seconda che il rapporto controverso rimanga in essere in tutto o in parte, sebbene modificato dalla transazione, ovvero venga estinto a mezzo del sorgere di una nuovo rapporto.

Ambito di applicazione della negoziazione assistita

La negoziazione assistita può essere utilizzata soltanto in materia di diritti disponibili, escluso il campo del lavoro, dal momento che l'art. 2, secondo comma, lett. b, stabilisce che «l'oggetto della controversia, non deve riguardare diritti indisponibili o vertere in materia di lavoro».

Per quanto riguarda i diritti indisponibili, la norma si pone in parallelo con l'art. 2, primo comma, d.lgs. n. 28/2010, ove è disposto, in tema di mediazione, che: «Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto». Le due disposizioni meritano di essere lette in collegamento con taluni antecedenti provenienti dalla legislazione comunitaria, quali la direttiva 2008/52/CE ed il «Libro verde relativo ai modi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale» del 19 aprile 2002, che esclude esplicitamente dal proprio ambito di applicazione «le questioni relative ai diritti indisponibili e che interessano l'ordine pubblico, quali un certo numero di disposizioni del diritto delle persone e della famiglia, del diritto della concorrenza, del diritto del consumo».

D'altro canto occorre rammentare che, in tema di transazione, l'art. 1966, primo comma, c.c. stabilisce che: «Per transigere le parti devono avere la capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite», soggiungendo, al secondo comma, che: «La transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti». L'art. 806 c.p.c., poi, esclude l'arbitrato per le controversie che «abbiano per oggetto diritti indisponibili».

Il significato di tali disposizioni, ed in particolare della norma dettata per la transazione, è oggetto di contrastanti opinioni alle quali è il caso qui di accennare assai sommariamente. Con riguardo all'art. 1966 c.c. si suole tradizionalmente distinguere tra requisiti di idoneità della transazione soggettivi ed oggettivi. L'art. 1966 c.c. prenderebbe cioè in considerazione tanto l'elemento soggettivo della «capacità di disporre», quanto quello oggettivo, laddove si riferisce ai diritti che formano «oggetto della lite». Più di recente si è fatta strada l'opinione che tale norma non faccia riferimento a due concetti distinti, attinenti l'uno al versante soggettivo e l'altro a quello oggettivo, ma debba essere oggetto di lettura organica e unitaria: sussiste in questa prospettiva la capacità di transigere ove il titolare del diritto in contesa abbia il potere di disporre del medesimo.

Sui caratteri distintivi dei diritti indisponibili è ancora decisivo il riferimento all'art. 1966, secondo comma, c.c., secondo il quale l'indisponibilità può discendere o da espressa disposizione di legge, ovvero dalla «natura» stessa del diritto. Nel primo caso nulla quaestio. Il problema è invece stabilire quando un diritto è indisponibile per natura. Ciò che rileva, al riguardo, è l'esistenza del potere negoziale del titolare del diritto rispetto al medesimo, ossia del potere di costituire, modificare o estinguere rapporti che lo concernano, sia pure entro gli eventuali limiti fissati dall'ordinamento.

Qualche caso di indisponibilità del diritto può essere tratto dalla giurisprudenza formatasi in materia di transazione, nei riguardi dell'art. 1966 c.c.

Sarebbero certamente nulle, ad esempio, ipotetiche transazioni (e parimenti accordi di negoziazione assistita) sullo status di figlio. Si può ricordare il caso scrutinato da Trib. Catania 4 settembre 2000, in Dir. Famiglia, 2001, 1032, che ha dichiarato la nullità di un contratto con il quale il figlio olim naturale riconosciuto di un defunto aveva dato atto dello status di altri figli naturali del medesimo defunto, che non erano stati però riconosciuti, sicché gli interessati si erano poi divisi conseguentemente il patrimonio del proprio dante causa. È stata analogamente ritenuta nulla la transazione relativa al «giudizio promosso dal genitore nell'interesse del figlio minorenne per ottenere la dichiarazione della paternità o maternità naturale» (Cass. n. 6309/1993).

Allo stesso modo sono indubbiamente indisponibili i diritti della personalità. Si badi bene, però, che l'indisponibilità non si estende alle conseguenze patrimoniali della violazione di quei diritti: sicché sono senz'altro transigibili le controversie in tema di risarcimento del danno aquiliano derivante dalla violazione del diritto al nome, all'immagine, all'onore, all'identità sessuale eccetera. In questo senso può ricordarsi la recente decisione della S.C. che ha ammesso la cessione del credito al risarcimento del danno non patrimoniale per lesione della salute, ossia di un diritto evidentemente indisponibile (Cass. n. 22601/2013). Da sempre, del resto, è riconosciuta l'ammissibilità della transazione concernente le conseguenze patrimoniali di un atto illecito, ex art. 2043 c.c. (v. già Cass. n. 2633/1982; Cass. n. 1335/1996).

Si discute della transigibilità di diritti non patrimoniali connessi a taluni aspetti dello svolgimento della vita familiare. Si trova ad esempio affermato che: «Gli accordi preventivi tra coniugi sul regime economico del divorzio sono affetti da radicale nullità, per illeceità della causa, avendo sempre l'effetto, se non anche lo scopo, di condizionare il comportamento delle parti nel giudizio concernente uno status, in un campo, cioè, in cui la libertà di scelta ed il diritto di difesa esigono invece di essere indeclinabilmente garantiti; né a diverso avviso può indurre la possibilità innovativamente introdotta dall'art. 4 della legge 6 marzo 1987 n. 74, di proporre congiuntamente la domanda di divorzio, poiché in questa evenienza le intese raggiunte dalle parti sul relativo assetto economico attengono ad un divorzio che esse hanno già deciso di conseguire, e quindi non semplicemente prefigurato» (Cass. n. 9494/1992; nello stesso senso Cass. n. 9416/1995; Cass. n. 5244/1997; Cass. n. 8057/1996; Cass. n. 2955/1998). A ben vedere, però, proprio la riforma che ha introdotto la negoziazione assistita anche in materia di separazione e divorzio, come vedremo più avanti, sembra indurre a riconsiderare tale orientamento.

Le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell'interesse collettivo dei soci o dei terzi; peraltro, l'area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell'ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio; pertanto, non è compromettibile in arbitri l'azione di revoca per giusta causa di un amministratore di società in accomandita semplice ex art. 2259 c.c., in relazione agli artt. 2315 e 2293 c.c., non facendo eccezione la avvenuta insorgenza della controversia fra coniugi altresì soci in detta società (Cass. n. 18600/2011, e già Cass. n. 1739/1988, tra le molte).

Al di fuori della nozione di indisponibilità si colloca l'eventuale inderogabilità delle norme che regolano il diritto stesso, le quali impediscono al titolare di adottare regolamenti negoziali contrastanti con la disciplina inderogabile, ma non lo privano della libera disponibilità dei diritti, una volta che questi siano sorti.

Un esempio in materia di locazione sarà utile a chiarire il concetto. Le locazioni urbane, sia quelle ad uso abitativo che non abitativo, sono tutte sottoposte al limiti di durata non derogabili nel minimo: ma ciò non toglie che il conduttore, nel cui favore tale disciplina è dettata, possa disporre del suo diritto (a che la locazione abbia una certa durata, secondo quanto previsto dalla legge) una volta che esso sia sorto e possa essere fatto valere (Cass. n. 12320/2005; Cass. n. 2148/2006; Cass. n. 11947/2010).

Traendo le fila del discorso, si può dire che il legislatore, circoscrivendo il campo della negoziazione assistita ai soli diritti disponibili, così come per la mediazione, per l'arbitrato e per la transazione, ha inteso ribadire la necessità di un controllo dell'ordinamento in merito alla natura dei diritti coinvolti nelle diverse fattispecie.

Per quanto riguarda la materia del lavoro, occorre dire che, nell'originaria stesura del decreto-legge 132/2014, era prevista, all'art. 7, l'aggiunta di un periodo all'art. 2113, quarto comma, c.c. (concernente le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro), e cioè della frase: «o conclusa a seguito di una procedura di negoziazione assistita da un avvocato». In tal modo la negoziazione assistita avrebbe fatto massicciamente ingresso nel campo del diritto del lavoro, attribuendo all'accordo raggiunto all'esito della negoziazione gli stessi effetti della «conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410 e 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile», ossia in determinati contesti per così dire «protetti», secondo quanto prevede l'ultima parte del citato art. 2113.

In sede di conversione, tuttavia, il citato art. 7 è stato soppresso, parrebbe sulla scia del parere inviato il 18 settembre 2014 dal CSM alla Sesta Commissione Giustizia del Senato, in cui si legge: «qui sembra poter vacillare l'intero impianto della disciplina del rapporto di lavoro, basato proprio sulla premessa che in presenza di una sproporzione di potere contrattuale tra le parti, la disciplina dei diritti derivanti dal rapporto di lavoro non può essere affidata alla libera determinazione individuale dei soggetti coinvolti».

Articolazione del procedimento di negoziazione assistita

Il d.l. n. 132/2014 prevede una negoziazione assistita facoltativa ed una obbligatoria, la quale, cioè, come accennato, funziona come condizione di procedibilità dell'eventuale successivo giudizio: nondimeno, il procedimento di negoziazione è il medesimo nell'uno e nell'altro caso, con tratti di somiglianza con il procedimento di mediazione.

Si tratta di un procedimento disciplinato in modo alquanto scheletrico, anche nell'intento di rimettere quanto più possibile alla volontà delle parti il suo svolgimento, nell'ottica, indicata dall'art. 2 decreto-legge 132/2014, di una loro cooperazione «in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia». In particolare, il testo normativo regola:

- l'atto di impulso della procedura, cioè l'invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita (articoli 4 e 8);

- forma e contenuto della medesima convenzione (art. 2);

- gli obblighi dei difensori, anche in punto di riservatezza (articoli 9 e 11) e di deontologia (art. 2);

- i poteri certificativi dei difensori (articoli 2, 4 e 5);

- gli effetti dell'accordo eventualmente raggiunto (art. 5).

L'informativa della possibilità di «negoziazione assistita»

Occorre anzitutto dire che, una volta che il cliente, varcata la soglia dello studio legale, abbia esposto il proprio caso all'avvocato, manifestando l'intento di ottenere tutela di un proprio diritto nei confronti di un terzo, il professionista deve avvisarlo, ai sensi dell'art. 2, settimo comma, decreto-legge 132/2014, della «possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita».

La previsione fa il paio con quanto stabilito in tema di mediazione dall'art. 4, terzo comma, d.lgs. n. 28/2010, e, più in generale, si inserisce nel contesto dei doveri informativi dell'avvocato previsti dall'art. 27 del codice deontologico forense, approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 31 gennaio 2014 ed in vigore dal 15 dicembre 2014. I primi tre commi, di nove complessivi, di quest'ultima disposizione stabiliscono che:

«1. L'avvocato deve informare chiaramente la parte assistita, all'atto dell'assunzione dell'incarico, delle caratteristiche e dell'importanza di quest'ultimo e delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione.

2. L'avvocato deve informare il cliente e la parte assistita sulla prevedibile durata del processo e sugli oneri ipotizzabili; deve inoltre, se richiesto, comunicare in forma scritta, a colui che conferisce l'incarico professionale, il prevedibile costo della prestazione.

3. L'avvocato, all'atto del conferimento dell'incarico, deve informare la parte assistita chiaramente e per iscritto della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione previsto dalla legge; deve altresì informarla dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti dalla legge».

Sembra anzitutto che l'obbligo informativo in questione debba ritenersi operante nei soli confronti di colui il quale si appresti altrimenti ad intraprendere un giudizio in veste di attore. Ciò si desume, in tema di mediazione, già sul piano letterale, dalla circostanza che l'informativa deve essere allegata «all'atto introduttivo». Con riguardo alla negoziazione assistita, pur mancando un dato analogo, merita di essere condivisa la medesima conclusione: il procedimento di negoziazione assistita, infatti, è finalizzato ad impedire che la causa venga introdotta, sicché non avrebbe senso che colui il quale abbia già ricevuto la notificazione di un atto di citazione o di un ricorso, venga informato dall'avvocato di una possibilità che, pendendo ormai la lite in giudizio, è andata definitivamente perduta.

La disposizione dettata per la negoziazione assistita non dice espressamente che: «L'informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto», come è invece previsto in tema di mediazione ed è ribadito dal codice deontologico. Tuttavia, sembrerebbe senz'altro opportuno, ad evitare possibili controversie sul punto, che sia lasciata traccia scritta anche dell'informativa sulla negoziazione assistita.

L'informativa, stando al dato normativo, deve essere fornita, come quella sulla mediazione, «all'atto del conferimento dell'incarico». Orbene, il momento del «conferimento dell'incarico» non è quello del rilascio della procura alle liti. Considerato che la procura altro non è che il profilo esterno del contratto di patrocinio stipulato tra le parti, logicamente e cronologicamente successivo ad esso, è «all'atto» della stipulazione del contratto di patrocinio che l'informativa va fornita: o, per meglio dire, nella fase preparatoria del contratto di patrocinio, giacché, una volta che il contratto sia stato stipulato, l'informativa, evidentemente, non ha più senso. E dunque, con riguardo alla mediazione, l'inserimento dell'informativa nella procura soddisfa la previsione normativa solo nella misura in cui dà conferma di un'attività già espletata in precedenza.

L'invito

Il procedimento si attiva con l'invito rivolto all'altra parte a stipulare una «convenzione», che è un «accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati iscritti all'albo». Per la verità, il d.l. n. 132/2014 si occupa dell'invito anzitutto nel disciplinare la negoziazione assistita «obbligatoria», prevista, cioè, a pena di improcedibilità dell'eventuale successivo giudizio. Difatti, l'art. 3 esordisce con lo stabilire che chiunque «intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l'altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita». La stessa previsione è immediatamente dopo estesa alle cause di «pagamento somma» entro i 50.000,00 euro. Non v'è dubbio, tuttavia, che anche nel caso di negoziazione «volontaria» il procedimento di negoziazione assistita debba essere introdotto mediante l'invito rivolto dall'una all'altra parte. Anche in tal caso, infatti, il procedimento è nel suo complesso ancorato ad un momento iniziale, che è necessariamente quello dell'invito, dal quale vanno calcolati i tempi della sua durata ed in relazione al quale si producono taluni effetti (in particolare, quelli di interruzione-sospensione della prescrizione e dell'impedimento alla decadenza).

L'invito, come risulta dalla norma, è rivolto dalla parte «tramite il suo avvocato » che, senza alcun dubbio, deve essere abilitato a prestare assistenza alla stipulazione della convenzione di negoziazione, secondo quanto stabilisce l'art. 2, comma 1, d.l. n.132/2014, ossia di un avvocato iscritto all'albo (pure in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale: art. 6, d.lgs. n. 96/2001). Deve escludersi, peraltro, che, per l'inoltro dell'invito, occorra il rilascio di una procura in calce o a margine tenuto conto che tale atto si colloca al di fuori del processo, con conseguente esclusione del disposto dell'art. 83 c.p.c. che si riferisce per l'appunto al giudizio. Certamente nell'invito rivolto da una parte all'altra tramite l'avvocato vi è quel contratto di prestazione d'opera professionale noto come « contratto di patrocinio, che, in linea di principio, non è sottoposto ad alcun requisito formale, sicché la prova del conferimento dell'incarico, pur indispensabile ai fini della validità del procedimento, ben può essere desunta dalla sottoscrizione apposta dalla parte in calce all'invito e dalla certificazione della sua autografia da parte dell'avvocato, richiesta dalla norma.

L'oggetto dell'invito

L'invito a stipulare la convenzione «deve indicare l'oggetto della controversia e contenere l'avvertimento che la mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96 e 642, comma 1, c.p.c. ». (art. 4 d.l. n. 132/2004), La norma si riferisce indubbiamente sia alla negoziazione assistita «obbligatoria» che a quella « facoltativa ». La necessità dell'indicazione dell'« oggetto della controversia » è intuitiva, dal momento che in mancanza di essa non è pensabile che possano intavolarsi trattative o negoziazioni di alcun genere. L'indicazione dell'« oggetto della controversia », tuttavia, non è da confondere con la « determinazione della cosa oggetto della domanda » e tantomeno con « l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni », di cui all'art. 163, comma 3 e 4,c.p.c.: si tratta di una formula più elastica ed atecnica, volta ad evidenziare il concreto contrasto tra le parti. È allora sufficiente, oltre all'identificazione della parte e dell'avvocato, una sommaria descrizione dei fatti sui quali la controversia si innesta e dei termini di essa (ad es., in tema di incidente stradale, basterà descrivere sommariamente l'incidente e le conseguenze patite). È poi da escludere— in quanto distonico rispetto alla stessa idea non « avversariale » che sta alla base della negoziazione assistita — che l'invito contenga l'esatta esplicitazione di una circostanziata domanda e delle ragioni giuridiche su cui essa si fonda. Questa considerazione è da tener presente soprattutto nei casi in cui la negoziazione assistita è condizione di procedibilità, giacché l'improcedibilità non potrà essere fatta discendere dalla circostanza che il petitum o la causa petendi avanzate in giudizio siano più ampie di quelle risultanti dall'invito come, ad es., qualora l'invito concernente un incidente stradale evidenzi esclusivamente un danno biologico e, nella successiva causa, la domanda risarcitoria venga estesa alle ricadute della lesione biologica sulla capacità reddituale del soggetto). Per altro verso, l'elasticità nell'indicazione dell'oggetto della controversia va problematicamente esaminato con riguardo agli effetti dell'invito (così come della successiva convenzione) sulla prescrizione e sulla decadenza.

In proposito l'art. 8 d.l. n. 132/2014 stabilisce che « dal momento della comunicazione dell'invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero della sottoscrizione della convenzione si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale ». Ebbene, l'art. 2943 c.c. stabilisce che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio e, inoltre, « da ogni atto che valga a costituire in mora il debitore ». Che l'atto introduttivo del giudizio comporti l'interruzione della prescrizione è del tutto ovvio, giacché esso altro non è — secondo l'opinione prevalente — che un atto di esercizio di quel diritto e, in esso, sono specifici i contenuti che valgono a identificare il diritto nei cui confronti l'interruzione della prescrizione opera, con la conseguente esclusione dell'interruzione al di fuori di quel circoscritto campo. Sembra allora da credere che, ferme le conclusioni in precedenza illustrate in ordine alle elasticità dell'indicazione dell'oggetto della controversia nell'invito alla negoziazione assistita, l'avvocato che inoltra l'invito debba volta per volta interrogarsi se il diritto controverso è sottoposto ad un rischio prescrizione, comportandosi diversamente, nella definizione dell'oggetto, quando un tale rischio effettivamente sussista (Di Marzio, 36).

L'avvertimento

Per quanto riguarda l'avvertimento cui si è già accennato, è sufficiente che l'avvocato mittente riproduca la formula di legge (« la mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96 e 642, comma 1, c.p.c. », senza che occorrano ulteriori aggiunte o chiarimenti. Nell'ipotesi in cui la negoziazione assistita costituisca condizione di procedibilità, è da credere, pur dubitativamente, che la mancanza dell'avvertimento non determini l'improcedibilità, ma solo il limitato effetto di impedire il trattamento sanzionatorio richiamato (Di Marzio, 36). L'applicazione degli artt. 96 e 642, comma 1, c.p.c., in caso di mancata risposta o di rifiuto entro 30 giorni, costituisce manifestazione del disfavore legislativo per gli atteggiamenti non collaborativi, disfavore che si rinviene nell'art. 91, comma 1, secondo periodo, c.p.c. (accoglimento della domanda in misura non superiore alla proposta conciliativa), nell'art. 420, comma 1, c.p.c. (mancata comparizione personale delle parti senza giustificato motivo), nonché negli artt. 8 e 13 d.lgs. n. 28/2010. L'applicazione degli artt. 96 e 642, comma 1, c.p.c., peraltro, è soltanto eventuale, sicché bene il giudice può ritenere, a seconda delle circostanze, che almeno il rifiuto motivato, se non il silenzio puro e semplice, sia giustificato. Ché, anzi, potrebbe verificarsi un possibile uso strumentale dell'invito alla negoziazione assistita: si immagini il debitore che paventi contro di sé un prossimo ricorso per decreto ingiuntivo e che, al fine di guadagnare tempo, inviti la controparte a negoziare. Pare chiaro che in questo caso il destinatario dell'invito possa rifiutarlo senza correre rischio di sanzione. Quanto al mezzo per portare l'invito a conoscenza della controparte, nel solo art. 8, comma 1, d.l. n. 132/2014 si fa riferimento ad una «comunicazione dell'invito » dalla quale si producono gli effetti di interruzione della prescrizione e della decadenza. Non v'è dubbio, tuttavia, che occorra un mezzo di comunicazione idoneo a documentare la ricezione dell'atto, in funzione delle conseguenze che da essa discendono. È inutile dire dunque che l'invito sarà inviato dall'avvocato con raccomandata con avviso di ricevimento anche se oggi — quando ciò sia possibile essendone il destinatario munito — tramite Pec, che deve essere considerato lo strumento per così dire normale dal momento che oramai il processo di è avviato sul binario informatico.

Effetti della comunicazione

Dalla comunicazione dell'invito discende una pluralità di effetti. Sul piano del procedimento, con l'invito prende avvio l'iter diretto alla stipulazione della convenzione di negoziazione assistita, con la decorrenza dei termini minimo e massimo per detta stipulazione e, conseguentemente, per il venire ad esistenza della condizione di procedibilità, nel caso di negoziazione assistita « obbligatoria ». Con l'invito sorgono altresì gli obblighi di lealtà e riservatezza previsti dall'art. 9 d.l. n. 132/2014. Sul piano sostanziale, l'invito produce gli effetti della domanda giudiziale in ordine alla prescrizione. La norma dice espressamente, infatti, che con la comunicazione dell'invito « si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale », osservandosi che quantunque la norma parli di « comunicazione dell'invito », detti effetti si realizzano con la ricezione di esso, dato l'indubbio carattere ricettizio dell'atto interruttivo della prescrizione, quale che sia.

Non si può dubitare, poi — dato il riferimento agli « effetti della domanda giudiziale » — che la ricezione dell'invito produca non soltanto l'interruzione della prescrizione, ai sensi dell'art. 2943, comma 1, c.c., ma anche l'effetto sospensivo di cui all'art. 2945, comma 2, c.c. Ciò significa che con la ricezione dell'invito il corso della prescrizione è interrotto ed un nuovo termine di prescrizione inizia a decorrere dopo lo spirare dell'effetto sospensivo, che permane per l'intero corso del procedimento. Se immaginiamo una negoziazione assistita sottoposta al termine di prescrizione ordinario decennale, la ricezione dell'invito fa decorrere ex novo il termine decennale, non già, però, dal giorno della ricezione, bensì, alternativamente, dalla scadenza del termine per l'accettazione dell'invito medesimo; dal rifiuto dell'invito, se anteriore; dalla scadenza del termine per la conclusione dell'accordo, in caso di invito accettato ma non seguito da un esito positivo. Bisogna anche osservare che l'invito alla negoziazione, possedendo un'efficacia interruttiva analoga a quella della domanda giudiziale, produce l'effetto interruttivo non soltanto nei riguardi della prescrizione dei diritti di credito, come accade per l'atto di costituzione in mora di cui all'ultimo comma dell'art. 2943. ult. co., c.c., bensì nei riguardi di tutti i diritti suscettibili di estinzione per prescrizione, ivi compresi i diritti reali.

L'art. 8 d.l. n. 132/2014 dispone, ancora, che « dalla stessa data è impedita, per una sola volta, la decadenza, ma se l'invito è rifiutato o non è accettato nel termine di cui all'art. 4, primo comma, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati». La disposizione riproduce quella dettata per la mediazione ai sensi dell'art. 5, comma 6, d.lgs. n. 28/2010. Sembra da ritenere che l'effetto sulla decadenza riguardi sia la decadenza legale che quella convenzionale stabilita dalle parti in un contratto. Il congegno, in astratto, si spiega abbastanza agevolmente. È intuitivo che il ricorso alla negoziazione assistita debba impedire la decadenza, giacché, se così non fosse, l'accesso ad essa sarebbe precluso in tutti i casi in cui il diritto in contesa debba essere fatto valere in giudizio entro un termine decadenziale destinato a spirare nell'arco temporale di svolgimento del procedimento di negoziazione. Per conseguenza, se all'invito alla negoziazione rivolto dall'una all'altra parte non segua la stipulazione della convenzione ovvero il raggiungimento dell'accordo di composizione della controversia, il diritto controverso deve poter essere ancora esercitato in giudizio: e lo sarà, secondo la previsione legislativa, entro il medesimo termine originariamente previsto, con decorrenza dal decorso del termine per l'accettazione dell'invito; dal rifiuto dell'invito se antecedente; dalla scadenza del termine per la conclusione dell'accordo, in caso di invito accettato ma non seguito da un esito positivo. È per questo ovvio che l'impedimento alla decadenza possa essere utilizzato una volta soltanto, al fine di neutralizzare l'eventualità di possibili strumentalizzazioni (Di Marzio, 39).

La stipula della convenzione di negoziazione assistita

Una volta che il destinatario abbia prestato adesione all'invito, le parti possono (ma non necessariamente debbono) stipulare la convenzione di negoziazione assistita, ossia l'accordo con cui si obbligano a «cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia» con l'assistenza (nell'ipotesi più comune) di due avvocati. La convenzione ha natura negoziale ed in particolare contrattuale, giacché impegna le parti e i difensori, una volta sottoscritta, a negoziare al fine di trovare la soluzione alla lite: né può dubitarsi della sussistenza del requisito della patrimonialità richiesto dall'art. 1321 c.c. Detta convenzione, dunque, non dà luogo ad un accordo dispositivo in ordine agli effetti giuridici finali, ma, fissando i tempi e l'oggetto della controversia da negoziare e stabilendo l'obbligo per le parti di porre in essere le trattative diretta alla conclusione, soltanto eventuale, dell'accordo di composizione della lite, può essere qualificato come pactum de contrahendo.

Vale inoltre osservare, alla luce di quanto si è finora osservato, che la convenzione di negoziazione pare poter essere stipulata soltanto a seguito di uno specifico invito riferito ad una controversia avente uno specifico oggetto: e, dunque, già virtualmente sorta, quantunque non ancora sfociata in una lite giudiziale. Utilizzando a fini descrittivi il vocabolario dell'arbitrato, potrebbe dirsi che la convenzione di negoziazione funziona come una «compromesso» e non come una «clausola compromissoria». Sembra dunque da ritenere che non possa concepirsi una convenzione di negoziazione, contenuta in un contratto, la quale impegna le parti in relazione alle ipotetiche future controversie derivanti dalla stipulazione del contratto. Del resto, se si ammettesse una simile eventualità, si consentirebbe alle parti di creare negozialmente condizioni di procedibilità, la qual cosa non pare conforme ai principi dell'ordinamento. Conferma di ciò può trarsi dalla disciplina dettata in proposito per la mediazione: essa è condizione di procedibilità anche quando è prevista contrattualmente (art. 5, quinto comma, d.lgs. n. 28/2010), ma può esserlo soltanto perché è la legge a disporre in tal senso.

Conseguentemente una convezione riferita a controversie future non sarebbe vincolante, potendo essere condizione di procedibilità solo se previsto dalla legge (la mediazione è condizione di procedibilità anche quando è prevista contrattualmente perché così dispone la legge).

Gli avvocati con l'assistenza dei quali la convenzione è stipulata, come si è già visto, devono essere iscritti all'albo «anche ai sensi dell'art. 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96», riferito agli avvocati in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita lqualifica professionale. Non può trattarsi, dunque, di avvocati cancellati dall'albo e tantomeno di praticanti.

Va chiarito, qui, che la convenzione di negoziazione assistita può essere stipulata con l'assistenza anche di un solo avvocato. In tal senso depongono non soltanto la rubrica, l'esordio ed il quinto comma dell'art. 2 decreto-legge 132/2014, secondo cui: «La convenzione è conclusa con l'assistenza di uno o più avvocati», formula che potrebbe essere intesa anche nel senso che ciascuna delle parti può essere assistita da uno o più avvocati, ma, soprattutto, l'art. 6 dello stesso decreto legge, dove viene precisato che, nel caso di convenzione di negoziazione in materia di separazione personale, cessazione degli effetti civili, scioglimento del matrimonio, modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, occorre «almeno un avvocato per parte».

Ora, la negoziazione assistita introdotta dal legislatore italiano è stata criticata da alcuni per il fatto di non prevedere il divieto per l'avvocato che abbia assistito la parte nella negoziazione di rappresentarla successivamente nell'eventuale giudizio, in tal modo discostandosi dal modello originario statunitense. Ma è certo che, se l'avvocato è uno soltanto, al quale entrambe le parti si affidano, egli si era senz'altro sottoposto al dovere deontologico di non patrocinare una delle parti nel successivo giudizio (v. art. 24, punto 3, del codice deontologico in vigore dal 15 dicembre 2014).

Certo è che la negoziazione con l'assistenza di un solo avvocato sembra snaturare l'essenza stessa del procedimento, che sta nel confronto diretto tra le parti, senza la presenza di un terzo in posizione neutrale, come accade nel caso della mediazione: se l'avvocato è uno solo, egli non potrà che assumere la veste neutrale del conciliatore o paciere, ossia del tecnico che, avvalendosi delle sue competenze, lavora per avvicinare la volontà delle parti.

Per le «amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165», il comma 1 bis impone «di affidare la convenzione di negoziazione alla propria avvocatura, ove presente».

Il richiamo alle clausole generali di «buona fede» e «lealtà» manifesta un certo carattere retorico, dal momento che, ove pure esso fosse stato pretermesso, avrebbero comunque trovato applicazione degli articoli 1337 e 1175 c.c.. Nondimeno l'obbligo di lealtà compare nuovamente nell'art. 9, secondo comma (obblighi di riservatezza), e quarto comma bis (conseguenze disciplinari).

Ai fini dell'individuazione del contenuto dell'obbligo normativamente previsto di buona fede e lealtà sembra potersi far riferimento all'elaborazione giurisprudenziale in punto di obblighi prenegoziali, secondo la previsione del citato art. 1337. In forza di tale disposizione le parti sono sottoposte ad un reciproco obbligo di informare la controparte in ordine circostanze rilevanti ai fini della stipulazione della dell'accordo (possibili cause di invalidità o inefficacia del contratto, vizi della cosa et similia) nonché di cooperare perché il contratto possa effettivamente apportare al contraente le utilità che egli si propone. È poi noto che le trattative, ai sensi dell'art. 1337 c.c., non possono essere introdotte in modo del tutto arbitrario ed ingiustificato.

Ora, l'importazione degli obblighi prenegoziali sanciti dall'art. 1337 c.c. nell'ambito della negoziazione assistita non manca di suscitare problemi di adattamento: nelle trattative le parti non stanno ancora litigando, mentre nella negoziazione assistita la lite già c'è, quantunque non si sia ancora tradotta in un'inezia di giudiziaria. E non sembra che gli obblighi di buona fede e lealtà possano spingersi fino al punto di spingere una parte in lite a favorire la vittoria della controparte: immaginiamo il caso della vendita del tornio fatta poc'anzi, non si potrebbe certo pretendere che l'acquirente, nella fase di negoziazione assistita, informi il venditore di essere decaduto dalla denuncia dei vizi e delle difformità della cosa.

Quanto al contenuto della convenzione occorre far riferimento all'art. 2, secondo comma, decreto-legge 132/2014, secondo il quale la convenzione deve indicare i termini di durata del procedimento e l'oggetto della controversia.

In particolare la convenzione deve indicare il termine concordato per lo svolgimento del procedimento, che in ogni caso non deve essere inferiore a un mese e non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni, previo accordo delle parti stesse, decorso il quale, comunque, la condizione di procedibilità, se si tratta di negoziazione «obbligatoria», si considera avverata.

Viene in proposito anzitutto spontaneo chiedersi perché il legislatore abbia previsto un termine non inferiore ad un mese: perché mai, cioè, le parti non possano stipulare l'accordo di composizione della controversia, con l'efficacia esecutiva che detto accordo possiede, prima del decorso di un mese. Probabilmente il legislatore ha inteso scongiurare l'ipotesi che la negoziazione assistita possa trasformarsi, in particolare nei casi di negoziazione «obbligatoria», in un vuoto adempimento formale destinato a chiudersi in un solo primo incontro svolto senza alcuna reale volontà di cercare un accordo.

L'interrogativo concernente la ratio della previsione del termine sorge anche con riguardo a quello massimo pari a tre mesi prorogabili per ulteriori trenta giorni su accordo delle parti: in questo caso il legislatore ha voluto evitare che il procedimento di negoziazione assistita possa essere strumentalizzato a fini esclusivamente dilatori, individuando una soglia temporale certa oltre la quale le parti rimangono libere di agire in giudizio.

Sorge, dunque, il problema dell'efficacia di un eventuale accordo di composizione raggiunto dopo lo spirare del termine previsto dalla legge: e, cioè, se tale accordo possegga i caratteri previsti dall'art. 5 decreto-legge 132/2014 oppure abbia i caratteri della semplice scrittura privata, come tale priva di efficacia esecutiva. Sia pur dubitativamente, sembra da credere che l'accordo di composizione raggiunto a termini scaduti possegga nondimeno l'efficacia prevista dall'art. 5, dal momento che il termine massimo di durata del procedimento di negoziazione assistita non è perentorio o previsto a pena di decadenza, ma al solo scopo di fissare un traguardo certo oltre il quale le parti possono liberamente adire il giudice. Ragionando diversamente, d'altronde, non si farebbe altro che costringere i due avvocati a reiterare invito e stipulazione della convenzione, sì da far risultare il successivo accordo come tempestivo.

Sembra superfluo soffermarsi poi ad evidenziare che la norma combina termini a mese (da uno a tre) con termini a giorni (la proroga eventuale è difatti prevista non in un'ulteriore mese ma in 30 giorni): ed è inutile ricordare che i termini a mese hanno durata variabile secondo i casi da 28 a 31 giorni.

È il caso invece di sottolineare che la convenzione, quantunque la legge nulla disponga in proposito, deve essere certamente datata, dal momento che proprio dalla data di stipula della convenzione che decorre il termine, eventualmente prorogabile, per lo svolgimento del procedimento di negoziazione.

È da credere che l'omessa indicazione del termine concordato dalle parti non sia causa di nullità del contratto, trovando in difetto applicazione la previsione del termine di tre mesi normativamente previsto.

Quanto all'oggetto della controversia, al quale si è già accennato nel discorrere dell'invito, nulla vieta che esso, all'esito dell'eventuale dibattito tra le parti seguito all'invito, venga precisato rispetto al contenuto del precedente invito; non sembra invece, nei casi di negoziazione «obbligatoria», che possa darsi una radicale immutazione dell'oggetto della controversia rispetto a quella risultante dall'invito, nel qual caso verrebbe a mancare la sequenza invito-accettazione dell'invito-convenzione che la legge delinea come necessaria.

Poiché la convenzione di negoziazione assistita è un contratto che ha per oggetto l'obbligazione di «cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia», la totale mancanza o l'incertezza assoluta circa l'oggetto della controversia e, di conseguenza, del contenuto stesso dell'impegno a negoziare, sembra comportare la nullità della convenzione ai sensi dell'art. 1346 c.c., per la mancanza di un requisito essenziale.

La convenzione richiede la forma scritta a pena di nullità, probabilmente in considerazione sia dell'importanza che il legislatore riconnette all'atto, sia dell'esigenza di documentazione dei termini della convenzione nel successivo eventuale giudizio.

La convenzione è sottoscritta dalle parti e dagli avvocati che certificano l'autografia delle sottoscrizioni «sotto la propria responsabilità professionale» (art. 2, sesto comma, d.l. n. 132/2014).

In mancanza dei requisiti indispensabili previsti dalla legge (assistenza di avvocati iscritti all'albo, forma scritta, identificazione dell'oggetto, sottoscrizioni relative certificazioni) la convenzione è nulla e dunque inidonea a produrre né gli effetti di cui all'art. 3 (avveramento della condizione di procedibilità), né quelli di cui all'art. 5 (esecutività dell'accordo). La stipula di una convenzione di negoziazione assistita rispondenti ai requisiti di legge è cioè indispensabile ad aprire il procedimento di negoziazione con la conseguente attribuzione all'eventuale accordo di composizione della controversia il valore di «titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale» previsto dall'art. 5 del d.l. n. 132/2014. In difetto della convenzione ovvero in presenza di gravi vizi di essa, l'accordo eventualmente sottoscritto dalle parti avrà un valore di transazione, e sarà cioè valido sotto tale aspetto, ma senza beneficiare dei vantaggi che l'accordo di composizione della controversia presenta. Né, d'altro canto, potrà dirsi integrata, come accennato, la condizione di procedibilità.

Doveri di riservatezza ed altri obblighi deontologici

Ai sensi dell'art. 9 d.l. n. 132/2014:

- gli avvocati «non possono essere nominati arbitri ai sensi dell'art. 810 del codice di procedura civile nelle controversie aventi il medesimo oggetto o connesse»; vi è dunque un'incompatibilità tra la posizione di assistenza della parte nel procedimento di negoziazione assistita e quella di arbitro: ed è evidente che sia così, dal momento che l'avvocato che abbia partecipato al procedimento di negoziazione assistita verrebbe a decidere la lite pur avendo avuto, nella fase di negoziazione, una conoscenza della causa coperta da riservatezza; dalla norma in questione si desume inoltre a contrario che la controversia oggetto della negoziazione assistita, non esitata in un accordo di composizione, ben può essere decisa in sede arbitrale;

- le parti e gli avvocati devono «tenere riservate le informazioni ricevute», mentre: «Le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto»; si tratta di una disposizione analoga a quella dettata per la mediazione dagli articoli 9 e 10 d.lgs. 28/2010 e la cui ratio è nota: si tratta di lasciare ampio spazio alle parti di negoziare senza remore che le dichiarazioni fatte in fase di negoziazione possano poi ritorcersi in sede giudiziale contro di esse; per quanto riguarda gli avvocati, in realtà, essi, a monte, sono tenuti al segreto professionale, in collegamento con il quale, tra l'altro, sono tenuti di regola a non produrre in causa la corrispondenza con la controparte (si vedano gli articoli 13, 28, 35, 48 del codice deontologico forense precedentemente citato);

- parallelamente «i difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite».

- inoltre, nella stessa prospettiva, «a tutti coloro che partecipano al procedimento» si applicano le disposizioni dell'art. 200 c.p.p., il quale esclude l'obbligo di deporre su quanto conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione; ai medesimi si applicano altresì le garanzie previste per il difensore dall'art. 103 c.p.p. «in quanto applicabili»; l'espressione «tutti coloro che partecipano al procedimento» merita di essere attentamente considerata, giacché con essa il legislatore sembrerebbe volersi riferire non soltanto alle parti e agli avvocati, e ciò induce a credere nella fase di negoziazione sia consentita la nomina congiunta di consulenti, la cui utilità per il raggiungimento dell'accordo di componimento della controversia non ha bisogno di essere sottolineata.

A corollario del dovere di riservatezza di cui si è detto sta l'art. 10 d.l. n. 132/2014, che ha modificato l'art. 12, secondo comma comma, d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, recante «Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione». La norma novellata stabilisce che l'obbligo di segnalazione di operazioni sospette ... non si applica, tra gli altri, agli avvocati per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso in vari frangenti, «anche tramite una convenzione di negoziazione assistita».

Esito negativo del procedimento di negoziazione assistita

Può accadere, ovviamente, che una parte inviti l'altra alla negoziazione assistita, che l'altra accetti l'invito con conseguente conclusione della convenzione di negoziazione e che, tuttavia, dalla negoziazione non scaturisca un accordo che compone la controversia.

Sembra che a tale ipotesi debba essere riferita la previsione dettata dall'art. 4, terzo comma, decreto-legge 132/2014, secondo il quale «la dichiarazione di mancato accordo è certificata dagli avvocati designati».

È ben vero che la disposizione si colloca al terzo comma di un art. che, nei primi due, è invece dedicato all'invito finalizzato alla conclusione della convenzione di negoziazione, sicché la previsione di una certificazione del mancato accordo non sembra ben collocato. E tuttavia l'impiego dell'espressione «accordo», che nell'economia della negoziazione assistita possiede un significato ben preciso, riferito per l'appunto all'accordo raggiunto all'esito della negoziazione, conduce ad escludere che il legislatore abbia inteso riferirsi ad una certificazione della mancata accettazione dell'invito e, dunque, della mancata convenzione di negoziazione.

D'altro canto, la necessità di una certificazione del mancato accordo di composizione della lite, a fronte di una precedente convenzione di negoziazione risultante da un atto scritto, sembra trovare un'evidente giustificazione sia nell'esigenza di documentare la realizzazione della condizione di procedibilità, in caso di negoziazione «obbligatoria», sia di comprovare la tempestività della domanda giudiziale nei casi in cui essa sia sottoposta ad un termine di decadenza è impedita, secondo quanto si è visto, dal procedimento di negoziazione.

L'esito negativo della negoziazione può essere causa di incremento del contenzioso. Si è visto che la convenzione di negoziazione assistita è un contratto che ha per oggetto l'obbligazione di «cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia». È dunque ben possibile che una delle parti (non necessariamente quella che ha effettuato l'invito) lamenti che il mancato raggiungimento dell'accordo di composizione è stato determinato dall'altrui mala fede o slealtà, sia, ad esempio, per aver disertato gli incontri con pretesti e stratagemmi, sia per aver rifiutato di sottoscrivere un accordo ormai sostanzialmente raggiunto, nella prospettiva sanzionata dall'art. 1337 c.c.. Insomma, è possibile che una parte accusi l'altra di aver affrontato la negoziazione in un'ottica esclusivamente dilatoria. Ed è dunque possibile che, nel successivo giudizio, vada ad innestarsi anche una domanda di risarcimento del danno per la violazione delle obbligazioni assunte con la stipulazione della convenzione.

Accordo di composizione della controversia.

L'esito fisiologico della negoziazione assistita da uno o più avvocati è la stipulazione dell'accordo di composizione della controversia al quale è dedicato l'art. 5 decreto-legge 132/2014.

Si tratta di un contratto, la cui affinità con la transazione, disciplinata dagli articoli 1965 c.c., è già stata posta in evidenza.

Trattandosi di contratto, la cui efficacia è in generale quella stabilita dall'art. 1372 c.c., esso è in linea di principio impugnabile con l'intera gamma dei rimedi previsti dall'ordinamento: nullità, annullamento, risoluzione, rescissione, eccetera. Tuttavia, l'affinità con la transazione induce ad interrogarsi se tali impugnative siano sottoposte agli stessi limiti della impugnazione della transazione (in particolare per errore di diritto ex art. 1969 c.c., per lesione ex art. 1970 c.c., ed in caso di transazione novativa ex art. 1976 c.c.).

A tal riguardo, l'art. 5, quarto comma, stabilisce che: «Costituisce illecito deontologico per l'avvocato impugnare un accordo alla cui redazione ha partecipato». Analogo è il precetto dettato dall'art. 44 del codice deontologico forense. Si tratta di una limitazione certo non particolarmente incisiva: basterà far sottoscrivere l'impugnazione da un collega di studio.

Passiamo ora ad esaminare l'aspetto di maggior rilievo del nuovo procedimento di negoziazione assistita: ossia i vantaggi che l'accordo di definizione della controversia, secondo quanto previsto dall'art. 5 citato, è idoneo ad apportare. L'accordo, infatti, costituisce titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale, ai sensi dell'art. 5, primo comma.

Anche una transazione conclusa al di fuori del procedimento di negoziazione assistita può avere efficacia esecutiva: occorre a tal fine, però, che essa sia autenticata, ai sensi dell'art. 474, secondo comma, n. 2, c.p.c., ed in ogni caso l'efficacia esecutiva è limitata alle obbligazioni di somme di denaro, esclusa l'esecuzione forzata per consegna o rilascio, per la quale, a parte i titoli di formazione giudiziale ed equiparati, occorre l'atto pubblico, ai sensi del n. 3 della stessa disposizione.

Al contrario, l'accordo di composizione della controversia possiede di per sé efficacia esecutiva, per il solo fatto di essere stato stipulato con l'assistenza degli avvocati e debitamente sottoscritto: se si guarda al n. 1 del citato art. 474, secondo il quale sono titoli esecutivi «le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva», l'accordo di composizione della controversia va per l'appunto a collocarsi nell'ambito di quegli speciali atti «ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva». Inoltre, a differenza di quanto accade per gli atti ricevuti da notaio, ai sensi dell'art. 475 c.p.c., per l'accordo di composizione raggiunto all'esito della negoziazione assistita non occorre la spedizione in forma esecutiva, ossia la posizione del «comandiamo».

Si è già detto, in apertura, che la norma in materia di negoziazione assistita differisce da quella dettata per la mediazione, giacché l'art. 12 d.lgs. 28/2010 stabilisce, con maggiore specificità, che l'accordo raggiunto all'esito della mediazione costituisce «titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare». Nel nostro caso si dice invece che l'accordo di composizione della controversia costituisce titolo esecutivo senza altra specificazione: tuttavia l'ampiezza del espressione utilizzata («titolo esecutivo»), non consente di avanzare alcun dubbio sull'idoneità di detto accordo a costituire titolo non solo per l'espropriazione forzata, ma anche per l'esecuzione per consegna o rilascio e per l'esecuzione degli obblighi di fare e di non fare.

Il secondo comma bis dell'art. 5 chiarisce poi che che: «L'accordo di cui al comma 1 deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell'art. 480, secondo comma, del codice di procedura civile».

L'accordo deve essere sottoscritto anche dagli avvocati, come detto, i quali devono certificare l'autografia delle firme delle parti e la conformità dell'accordo stesso alle norme imperative e all'ordine pubblico (analogamente l'art. 12 d.lgs. n. 28/2010 in materia di mediazione). Il compito in tal modo attribuito agli avvocati coincide con quello che, nei procedimenti di omologa, compete al giudice. E tale compito avvicina il ruolo dell'avvocato, in questa materia, a quello del notaio, a carico del quale la legge prevede espressamente la responsabilità per danni quando l'atto sia nullo per causa a lui imputabile (art. 76, legge n. 89/1913: « (Il notaio non può ricevere o autenticare atti ... se essi sono espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all'ordine pubblico ...»). Si tratta, dunque, di un passaggio assai delicato, alla quale prestare la massima attenzione, data la vastità delle disposizioni inderogabili (inderogabilità che, d'altronde, non sempre è pacifica neppure in giurisprudenza) e l'ampiezza della nozione di ordine pubblico. Per questa via può accadere che l'avvocato venne chiamato a rispondere dei danni eventualmente cagionati dalla stipulazione di un accordo di composizione nullo.

Per la trascrizione dell'accordo, quando questo sia soggetto a trascrizione, non sono sufficienti, tuttavia, la sottoscrizione e la certificazione degli avvocati. L'art. 5, terzo comma, stabilisce che: «Se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato».

La disposizione riproduce il contenuto dell'art. 11, terzo comma, d.lgs. n. 28/2010, dettato per la mediazione, norma che la dottrina aveva assoggettato a critiche.

Se a mezzo dell'accordo di composizione della controversia le parti concludono uno dei contratti o pongono in essere uno degli atti previsti dall'art. 2643 c.c., tale accordo deve essere reso pubblico con il mezzo della trascrizione. Ai sensi dell'art. 2657 c.c. la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente. E non v'è dubbio che i contratti e gli atti elencati dall'art. 2643 c.c. richiedano la forma scritta ad substantiam indipendentemente dalle previsioni formali contenute nella disciplina della negoziazione assistita, ed in particolare nell'art. 5, primo comma, decreto-legge 132/2014, secondo il quale l'accordo deve essere sottoscritto dalle parti e dagli avvocati e, dunque, è necessariamente redatto in forma scritta.

Non si spiega, dunque, se non come un refuso, il testo del terzo comma dello stesso art. 5, laddove richiede, per procedere alla trascrizione, l'autenticazione «del processo verbale di accordo», dal momento che con l'espressione processo verbale si intende (non già un atto negoziale, bensì una dichiarazione di scienza recante) la narrazione per iscritto, in maniera sintetica ma fedele, fatta dalla persona incaricata, di dichiarazioni, operazioni o altri fatti giuridici avvenuti in sua presenza, allo scopo di ricordarli e costituirne prova: processo verbale che il decreto-legge 132/2014 non prevede affatto, né tantomeno impone, sicché pare ben possibile che le parti, una volta accordatesi verbalmente all'esito della discussione, redigano l'atto di accordo di composizione della controversia senza passare affatto per la redazione di un processo verbale.

Insomma, sembrerebbe doversi credere che, laddove parla di autenticazione del processo verbale di accordo la norma (che si ripete essere stata copiata da quella sulla mediazione, in cui ha un senso l'idea di un processo verbale di conciliazione redatta dal mediatore, similmente al verbale di conciliazione giudiziale previsto dall'ultimo comma dell'art. 185 c.p.c.) intenda in realtà riferirsi alla autenticazione dell'accordo medesimo. Il fatto è che notai e conservatori dei registri immobiliari prediligono (più che comprensibilmente) la fedeltà alla lettera della legge, sicché è da credere che essi esigeranno il verbale di cui la norma parla, verbale che, comunque, tenuto conto della sua natura non negoziale, certamente non supplisce o sostituisce la redazione dell'atto di accordo di composizione della lite.

Sembra in definitiva necessario che entrambi gli atti siano sottoposti al controllo notarile: il primo, il verbale, ai fini formali ed il secondo, l'atto di accordo, ai fini sostanziali.

Infine, l'art. 11, primo comma, stabilisce che: «I difensori che sottoscrivono l'accordo raggiunto dalle parti a seguito della convenzione sono tenuti a trasmetterne copia al Consiglio dell'ordine circondariale del luogo dove l'accordo è stato raggiunto, ovvero al Consiglio dell'ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati». Ciò al fine di consentire al Consiglio nazionale forense di provvedere al monitoraggio annuale delle procedure di negoziazione assistita e di trasmetterne i dati al Ministero della giustizia e a quest'ultimo di trasmettere alle Camere, annualmente, «una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni di cui al presente capo, contenente, in particolare, i dati trasmessi ai sensi del comma 2, distinti per tipologia di controversia, unitamente ai dati relativi alle controversie iscritte a ruolo nell'anno di riferimento, a loro volta distinti per tipologia».

La negoziazione assistita nelle controversie per risarcimento danni da sinistro stradale

La negoziazione assistita costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale: a) «in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti »; b) nelle controversie relative al « pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro ».

Le controversie sugli incidenti stradali erano in precedenza sottoposte alla condizione di procedibilità della mediazione ai sensi dell'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, ma, come si sa, nel 2012 la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità della norma per eccesso di delega. Nel 2013 il legislatore ha ripristinato la condizione di procedibilità in materia di mediazione, sostituendo il comma 1 (che non c'è più) con il comma 1-bis, che ha ripristinato in buona sostanza la disposizione precedente, escludendo però le cause in materia di incidenti stradali dal numero di quelle sottoposte alla mediazione « obbligatoria ».

Occorre subito dire che anche la disposizione in discorso, per quanto riguarda le controversie in materia di incidenti stradali, è stata oggetto di censure di costituzionalità, che, tuttavia, il giudice delle leggi ha respinto, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, d.l. 12 settembre 2014, n. 132, conv., con modif., in l. 10 novembre 2014, n. 162, censurato, per violazione degli artt. 2, 3 e 24 Cost., nella parte in cui sottopone la procedibilità della domanda giudiziale relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti all'esperimento del procedimento di negoziazione assistita.

Ha osservato la Consulta che la tutela garantita dall'art. 24 Cost. — la quale non comporta l'assoluta immediatezza dell'esperibilità del diritto di azione — non è, infatti, compromessa dal meccanismo della negoziazione assistita, attesa la sua complementarità rispetto al previo procedimento di messa in mora dell'assicuratore, agli effetti dell'auspicata realizzazione anticipata, in via stragiudiziale, dell'interesse risarcitorio del danneggiato. Né è sostenibile che la compresenza dei due istituti sia idonea a protrarre sine die l'esercizio del diritto di azione, attesa la brevità del termine («non superiore a tre mesi», prorogabile solo «su accordo delle parti» per non più di trenta giorni) entro il quale deve essere comunque conclusa la negoziazione. Quanto ai costi di tale procedura, deve parimenti escludersi che questi — certamente inferiori ai costi del giudizio, che l'interessato ha la possibilità, peraltro, di risparmiare — siano tali da limitare o rendere eccessivamente difficoltosa la tutela giurisdizionale. Pertanto, il meccanismo della negoziazione assistita riflette un ragionevole bilanciamento tra l'esigenza di tutela del danneggiato e quella (di interesse generale), che il differimento dell'accesso alla giurisdizione intende perseguire, di contenimento del contenzioso, anche in funzione degli obiettivi del «giusto processo», per il profilo della ragionevole durata delle liti, oggettivamente pregiudicata dal volume eccessivo delle stesse. Insussistente è poi la disparità di trattamento tra danneggiati, cui darebbe luogo la disposizione denunciata con il prescrivere l'obbligatorietà della mediazione assistita con riferimento alle sole azioni risarcitorie di valore non superiore ad euro 50.000,00. Un tal limite di valore è riferito, infatti, alle domande di «pagamento a qualsiasi titolo di somme» proposte fuori dei casi previsti dalla disposizione impugnata, che impone l'obbligo di «invitare l'altra parte a stipulare una convenzione di mediazione assistita» a «chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti», senza ulteriori specificazioni e senza la detta soglia di valore (Corte cost. n. 162/2016).

Sussiste una controversie in materia di « circolazione di veicoli e natanti » quando la circolazione si pone in rapporto di causalità e non di mera occasionalità con il danno. Rientrano nella previsione legale: a) le controversie concernenti il risarcimento del danno proposte mediante azione diretta nei confronti del responsabile e del suo assicuratore (art. 144 d.lgs. n. 209/2005, codice delle assicurazioni); b) le controversie concernenti il risarcimento del danno proposte dal danneggiato nei confronti del proprio assicuratore (art. 149 d.lgs. n. 209/2005); c) le controversie introdotte nei confronti del Fondo di garanzia, del Commissario liquidatore, dell'Uci, nei casi previsti dalla legge. Al contrario, si collocano al di fuori della nozione di « circolazione » nel senso indicato: d) le controversie in tema di risarcimento dei danni da c.d. « insidia o trabocchetto », quale pericolo occulto, oggettivamente non visibile e soggettivamente non prevedibile, dal quale il danno si sia generato; dunque non rientrano nella categoria le « classiche » controversie in materia di autovetture e motocicli usciti fuori strada a causa di macchie d'olio, buche, brecciolino e simili; e) le analoghe controversie ricondotte all'ambito di applicazione dell'art. 2051 c.c. dettato in tema di danno da cose in custodia; f) le controversie volte al risarcimento del danno derivante da inadempimento del contratto di trasporto; g) le controversie in tema di regresso, proposte da colui il quale abbia risarcito il danneggiato dal sinistro stradale, come nel caso del corresponsabile che agisce nei confronti degli altri condebitori, ovvero in tema di surrogazione, come nel caso dell'assicuratore del responsabile che propone domanda ex art. 1916 c.c. nei confronti degli altri coobbligati, quando la condotta illecita sia ascrivibile a più soggetti; h) le controversie in tema di rivalsa ex art. 144, comma 2, c.a., alla stregua del quale « per l'intero massimale di polizza l'impresa di assicurazione non può opporre al danneggiato eccezioni derivanti dal contratto, né clausole che prevedano l'eventuale contributo dell'assicurato al risarcimento del danno. L'impresa di assicurazione ha tuttavia diritto di rivalsa verso l'assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione ». Tuttavia, anche le controversie appena elencate sono o possono essere sottoposte a condizioni di procedibilità, differenti da quelle sopra considerate. Così, ad es., le controversie in materia di rivalsa attengono ad un contratto assicurativo e sono come tali sottoposte a mediazione « obbligatoria », le altre richiedono comunque la negoziazione assistita sempre che abbiano ad oggetto le domande di pagamento contenute entro euro 50.000.

Negoziazione e previa richiesta scritta ex art. 145 d.lgs. n. 29/2005

Il problema pratico più rilevante che discende dall'inclusione tra le cause sottoposte a negoziazione assistita obbligatoria e quelle in tema di risarcimento del danno derivante dalla circolazione dei veicoli consiste nel coordinamento dell'una condizione di procedibilità con quella prevista dall'art. 145 c.a.

Quest'ultima disposizione, la cui conformità a Costituzione è stata più volte ribadita, anche nei riguardi del suo noto antecedente, ossia l'art. 22 l. n. 990/1969, stabilisce che l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore del responsabile, di cui all'art. 144 d.lgs. n. 209/2005, non è proponibile se prima la vittima non gli abbia inviato una richiesta scritta di risarcimento, e non sia trascorso un certo periodo di tempo, il c.d. spatium deliberandi, che nelle ipotesi più comuni è di 60 o 90 giorni. La ratio della norma è illustrata con chiarezza nella relazione al d.d.l. n. 345/1968, da cui sarebbe scaturita la citata legge n. 990/1969: « con tale norma si e inteso favorire la possibilità di accordi transattivi per la liquidazione del danno, in modo da evitare, per quanto possibile, azioni giudiziarie ». Allo stesso modo la Corte costituzionale ha affermato che l'obbligo della previa richiesta « intende porre le imprese in grado di istruire la pratica e raccogliere tutti gli elementi di valutazione e favorire la possibilità di liquidazione dell'indennizzo in via di composizione stragiudiziale, evitando una troppo sollecita proposizione di giudizi, le cui spese, quando non finissero col gravare, almeno in parte, sullo stesso danneggiato, nel caso di eccessività delle sue pretese risarcitorie, si risolverebbero comunque in un aggravio del costo di gestione delle imprese, con riflessi pregiudizievoli per l'intero settore del servizio assicurativo » (Corte cost. n. 24/1973). La previa richiesta scritta è necessaria anche in caso di domanda riconvenzionale nei confronti dell'attore, sempre che la controversia abbia ovviamente ad oggetto il risarcimento del danno causato da un sinistro stradale (Cass. n. 22597/2009; Cass. n. 2269/2006; Cass. n. 12189/1998, tutte riferite al previgente art. 22 l. n. 990/1969).

Chiamata in causa di un terzo

Secondo l'orientamento prevalente, in caso di chiamata in causa del terzo, la previa richiesta scritta ex art. 145 d.lgs. n. 209/2005: i) non è necessaria nell'ipotesi in cui uno dei danneggianti, convenuto in giudizio per l'integrale risarcimento, proceda alla chiamata in garanzia impropria contro altro danneggiante per sentirlo dichiarare corresponsabile dei danni lamentati dall'attore, ai fini della ripartizione interna dell'obbligazione solidale, stabilita dall'art. 2055 c.c. » (Cass. n. 8115/2013). Non trova pertanto applicazione il convenuto chiami in causa un terzo ed il suo assicuratore, invocandone la responsabilità o corresponsabilità; ii) è necessaria quando l'attore intenda estendere la propria domanda nei confronti del terzo chiamato in causa dal convenuto, ovvero dell'assicuratore del convenuto, da quest'ultimo chiamato in causa a scopo di garanzia. L'onere posto a carico del danneggiato per la richiesta di risarcimento del danno, infatti, va osservato anche nei confronti dei terzi chiamati in causa dal convenuto, quando l'attore estenda a costoro la domanda di risarcimento, senza che tale onere possa considerarsi soddisfatto mediante l'atto di chiamata in causa da parte del convenuto, atteso che il chiaro tenore letterale della norma non consente alcuna distinzione a seconda delle modalità con cui il danneggiato proponga la propria domanda contro il danneggiante (Cass. n. 8074/2007; Cass. n. 9700/2004). Quanto al contenuto, può osservarsi come la raccomandata, in questo caso, debba essere più dettagliata di quanto non fosse quella prevista dal previgente art. 22 l. n. 990/1969.

Cumulo delle condizioni di procedibilità

L'assoggettamento alla negoziazione assistita non fa venir meno l'altra condizione di procedibilità; per altro verso, i termini da osservarsi nei riguardi dell'uno e dell'altro « filtro » decorrono, o, per meglio dire, possono decorrere simultaneamente. Va osservato, in particolare che l'art. 3, comma 5, d.l. n. 132/2014 stabilisce che: « restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati. Il termine [...] per materie soggette ad altri termini di procedibilità, decorre unitamente ai medesimi ». È dunque da escludere che il danneggiato da sinistro stradale debba imboccare prima la strada dell'invio della raccomandata, attendendo secondo i casi 60 o 90 giorni, e poi la strada della negoziazione assistita (o viceversa), per introdurre il giudizio solo dopo aver separatamente realizzato le due distinte condizioni di procedibilità. Naturalmente, nulla esclude che una simile soluzione venga adottata, se il danneggiato ritiene di poterne ricavare un qualche beneficio. Per altro verso, è da credere che il danneggiato possa redigere un solo atto il quale abbia al tempo stesso il contenuto dell'invito alla negoziazione assistita ed il contenuto della raccomandata di cui all'art. 145 c.a.: dalla ricezione della missiva decorreranno simultaneamente i termini per il perfezionamento di entrambe le condizioni di procedibilità (v. sul tema Giorgetti, 1320).

In tema di responsabilità da incidente stradale è possibile che non vi sia integrale coincidenza tra i destinatari dell'invito alla negoziazione assistita e quelli della raccomandata di cui all'art. 145 d.lgs. n. 209/2005 la quale ultima disposizione prevede che destinatario debba essere: a) l'assicuratore del responsabile (cioè del proprietario del veicolo « danneggiante ») nel caso tuttora più comune, ossia quello dell'azione diretta intentata nei confronti dell'assicuratore del danneggiante nel litisconsorzio necessario con il responsabile del danno; b) l'assicuratore del danneggiato, nei casi di procedura di risarcimento diretto di cui all'art. 149 d.lgs. n. 209/2005, con la precisazione che, in questo caso, la raccomandata va inviata anche «per conoscenza» (art. 145 d.lgs. n. 209/2005) all'assicuratore del responsabile, senza però, che l'omissione dell'invio della lettera «per conoscenza» comporti l'improcedibilità della domanda; c) l'impresa designata per conto del Fondo di garanzia e la Consap, in via cumulativa e non alternativa, nelle ipotesi previste dall'art. 283 d.lgs. n. 209/2005 (art. 287, comma 1, d.lgs. n. 209/2005); d) il commissario liquidatore dell'impresa in l.c.a. che sia stato autorizzato a liquidare i sinistri, nelle ipotesi di cui all'art. 293 d.lgs. n. 209/2005; e) l'impresa cessionaria del portafoglio, nel caso di l.c.a. con cessione del portafoglio, limitatamente ai sinistri verificatisi a partire dal 60° giorno successivo alla pubblicazione del provvedimento di liquidazione (art. 257 d.lgs. n. 209/2005); f) l'U.C.I., quando il sinistro sia stato causato da veicolo con targa straniera, i cui danni debbano essere indennizzati in Italia ai sensi dell'art. 126 c.a. (art. 125, comma 2, lett. c, d.lgs. n. 209/2005). Ora, in tutte le ipotesi in cui la domanda risarcitoria deve essere spiegata nel litisconsorzio necessario con il responsabile del danno — in primo luogo nel caso più comune indicato sub a) — l'invito alla negoziazione assistita deve essere inviato anche a quest'ultimo soggetto. Ed inoltre, quando il danneggiato abbia in programma di agire eventualmente in giudizio (qualora non venga soddisfatto nell'ambito dell'uno o dell'altro procedimento previsto quale condizione di procedibilità) non solo nei confronti dell'assicuratore e del proprietario del veicolo « danneggiante », ma anche, come sovente accade, nei confronti del conducente del veicolo « danneggiante » che non ne sia al tempo stesso proprietario, l'invito alla negoziazione assistita per essere inviato anche a quest'ultimo. Avviene sovente che il danneggiato intenda agire in giudizio nei confronti dell'assicuratore del danneggiante e di quest'ultimo, ossia del proprietario del veicolo « danneggiante », lamentando un danno alla persona. In questo caso: a) la raccomandata prevista dall'art. 145 d.lgs. n. 209/2005 deve essere indirizzata necessariamente al solo assicuratore; b) l'invito alla negoziazione assistita deve essere indirizzato necessariamente sia all'assicuratore, sia al responsabile del danno. Nulla peraltro impedisce che la raccomandata venga inviata anche al responsabile del danno. L'avvocato del danneggiante predisporrà così un'unica missiva (che invierà sia all'assicuratore che al danneggiante) contenente sia i requisiti della raccomandata dell'art. 145 d.lgs. 209/2005, sia i requisiti dell'invito alla negoziazione assistita. In tale frangente potrà accadere: a) tanto l'assicuratore che il danneggiante rifiutano l'invito alla negoziazione assistita ovvero non si pronunciano al riguardo entro il termine di 30 giorni: con lo spirare della relativa scadenza, si realizza la condizione di procedibilità prevista dal primo comma dell'art. 3 d.l. n. 132/2014; b) inviata la menzionata missiva, il danneggiante rifiuta l'invito alla negoziazione assistita ovvero non si pronuncia nel termine di 30 giorni, mentre l'assicuratore accetta l'invito, con conseguente stipulazione della convenzione di negoziazione assistita; in questo caso prende corso la fase di negoziazione tenuto conto che nulla impedisce la stipulazione dell'accordo di composizione della controversia — stante la sua natura transattiva — con uno soltanto dei condebitori solidali (art. 1304, comma 1, c.c.), senza che assuma rilievo l'esistenza del litisconsorzio necessario, nell'eventuale successivo giudizio, nei loro confronti; c) inviata la missiva, la negoziazione assistita non prende il via: l'assicuratore non risponde nel termine di 90 giorni ovvero formula un'offerta che il danneggiato non ritiene congrua e dunque non accetta. Con lo spirare di tale ulteriore termine si realizza anche la condizione di procedibilità prevista dall'art. 145 d.lgs. n. 209/2005. Sembra, poi, che la condizione di procedibilità della negoziazione assistita debba trovare applicazione anche nel caso di domanda riconvenzionale e, nei limiti precedentemente indicati, di chiamata in causa, potendosi fare applicazione dei principi già formatisi con riguardo alla condizione di procedibilità prevista dall'art. l. n. 990/1969 e, quindi, dall'art. 145 d.lgs. 209/2005. Ciò, tanto più, considerando che l'art. 3, comma 1, d.l. n. 132/2014 — contemplando espressamente l'eventualità che la negoziazione assistita non sia stata ancora portata a termine o non sia stata per nulla eseguita—afferma che « il giudice quando rileva che la negoziazione assistita è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'art. 2 comma 3. Allo stesso modo provvede quando la negoziazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la comunicazione dell'invito». È dunque da credere che il danneggiante convenuto con l'azione diretta, unitamente al suo assicuratore, il quale voglia spiegare domanda riconvenzionale, previa chiamata in causa dell'assicuratore dell'attore, possa costituirsi in giudizio chiedendo al giudice, se necessario, l'assegnazione di un termine per l'espletamento della negoziazione assistita. Oltre ai casi in cui la condizione di procedibilità della negoziazione assistita concorra con l'altra condizione di procedibilità da porsi in essere direttamente nei confronti della controparte, possono darsi casi di concorso della negoziazione assistita concondizioni di procedibilità da porsi in essere nei confronti di soggetti terzi, chiamati ad operare in funzione conciliativa. Così, in materia di comunicazioni elettroniche è previsto un tentativo di conciliazione dinanzi al Co.re.com ovvero agli enti di cui all'art. 13 del regolamento approvato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con delibera n. 173/2007/Cons, in base a quanto stabilito dall'art. 1, comma 11, l. n. 249/1997, successivamente confluito, nel d.lgs. n. 259/2003, ossia nel codice delle comunicazioni elettroniche. Anche in simile ipotesi, però, non sembrano individuarsi difficoltà alla simultanea instaurazione delle diverse condizioni di procedibilità.

In giurisprudenza si è sul tema osservato che il cumulo tra negoziazione assistita obbligatoria e altre condizioni di procedibilità (art. 3, comma 5, d.l. n. 132/2014) va limitato ai casi in cui la medesima domanda o una pluralità di domande distinte siano soggette a condizioni di procedibilità diverse (Trib. Verona 12 maggio 2016, che, assegnato il termine per presentare la mediazione, ha precisato che la suddetta norma esclude dalla negoziazione assistita le controversie che rientrano nel novero di quelle contemplate dall'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010, come la prospettata diffamazione).

Bibliografia

Chiarloni, Minime riflessioni critiche su trasferimento in arbitrato e negoziazione assistita, in Riv. trim. di dir. proc. civ. 2015, 221; Dalfino, La procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, in Dalfino (a cura di), Misure urgenti per la funzionalità e l'efficienza della giustizia civile, Torino, 2015; Di Marzio, La negoziazione assistita, in Di Marzio-Giordano-Lazzaro-Scarpa, Procedimenti non contenziosi, Milano, 2016; Giorgetti, Ammissibile il cumulo fra negoziazione assistita e messa in mora di cui al cod. assicurazioni, in Giur. cost. 2016, 1320.

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