Decreto legislativo - 7/09/2005 - n. 209 art. 145 - Proponibilità dell'azione di risarcimentoProponibilità dell'azione di risarcimento
1. Nel caso si applichi la procedura di cui all' articolo 148, l'azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all'impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, anche se inviata per conoscenza, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti all' articolo 148 2. Nel caso in cui si applichi la procedura di cui all'articolo 149 l'azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto alla propria impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, inviata per conoscenza all'impresa di assicurazione dell'altro veicolo coinvolto, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti dagli articoli 149 e 150. InquadramentoA norma dell'art. 144 del d.lgs. n. 209/2005 il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante per il quale vi è obbligo di assicurazione, ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile civile, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l'assicurazione. La disposizione, che costituisce la trasposizione nel codice delle assicurazioni private dell'abrogato art. 18 l. n. 990/1969, attribuisce al danneggiato il potere di agire direttamente nei confronti dell'assicuratore del danneggiante civilmente responsabile dell'illecito, inserendosi, di propria iniziativa, nel rapporto intercorrente tra il responsabile civile — assicurato e il suo assicuratore e facendo valere le proprie pretese direttamente nei confronti di quest'ultimo. L'unico limite all'operatività di tale meccanismo è costituito dal massimale di polizza stabilito nel contratto di assicurazione. Non possono, inoltre, essere opposte al danneggiato le eccezioni derivanti dal contratto di assicurazione, né le clausole in esso contenute che prevedano l'eventuale contributo dell'assicurato al risarcimento del danno provocato. L'assicuratore può, ciò non di meno, esercitare il diritto di rivalsa nei confronti del proprio assicurato nella misura in cui avrebbe potuto rifiutare o ridurre la propria prestazione secondo gli accordi contrattuali stipulati. L'introduzione dell'azione diretta verso l'assicuratore non ha, comunque, fatto venir meno il diritto del danneggiato di agire nei confronti del responsabile civile ai sensi dell'art. 2054 c.c. Sin dall'entrata in vigore della l. n. 990/1969 si è discusso sulla correlazione esistente tra il rapporto tra il danneggiato e il danneggiante assicurato e il rapporto tra il danneggiato e l'assicuratore del danneggiante, ovvero sulla relazione intercorrente tra l'obbligazione risarcitoria discendente dall'art. 2054 c.c. e quella posta a carico dell'assicuratore del danneggiante dall'art. 18. In dottrina, accanto alla teoria dell'alternatività (Cipparone, 284 ss.), si è affermata la tesi della sussidiarietà, per la quale l'obbligazione del responsabile civile diventa esigibile solo dopo che l'esperimento dell'azione diretta non abbia consentito il pieno ristoro dei danni subiti dalla vittima, e la teoria, divenuta prevalente, della solidarietà tra le due obbligazioni (Franzoni, 1039 ss.). L'azione diretta costituisce una fattispecie di assunzione legale del debito del responsabile civile da parte della sua impresa di assicurazione. Secondo l'opinione dominante in dottrina si tratta, dunque, del medesimo debito e tale assunto è confermato dall'uniformità con cui viene disciplinata l'azione diretta rispetto a quella ordinaria nei confronti del responsabile danneggiante. La previsione del quarto comma dell'art. 144, a mente del quale l'azione diretta che spetta al danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione è soggetta al termine di prescrizione cui sarebbe soggetta l'azione verso il responsabile, consente, infatti, di ritenere che la pretesa risarcitoria azionata nei confronti dell'assicuratore sia identica a quella vantata nei confronti del responsabile civile, da cui si discosta esclusivamente per la diversa direzione soggettiva. Secondo la giurisprudenza di legittimità, la solidarietà che vincola il responsabile assicurato all'assicuratore dipende esclusivamente dall'attribuzione al danneggiato, in deroga ai principi che regolano l'assicurazione per la responsabilità civile, dell'azione diretta nei confronti dell'assicuratore ed integra un'ipotesi di solidarietà atipica ad interesse unisoggettivo (Cass. n. 6428/1982; Cass. n. 7019/1999), giustificata dalla diversità dei titoli in base ai quali l'assicuratore e il responsabile-assicurato sono rispettivamente tenuti nei confronti del danneggiato (il primo ex lege e il secondo ex delicto) (Cass. n. 481/1990; Cass. n. 5218/1983). In caso di cumulo dell'azione diretta e di quella ex art. 2054 c.c. l'obbligazione dell'assicuratore è contenuta nelle somme costituenti il c.d. massimale di polizza, in quanto la solidarietà esistente tra assicurato ed assicuratore ha natura atipica. Ne consegue che l'unicità della prestazione non muta la natura indennitaria nei confronti dell'assicuratore, né l'oggetto del contratto di assicurazione, che è l'indennizzo, mentre il debito del danneggiante, di carattere risarcitorio, è illimitato (Cass. n. 24752/2008). L'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile in materia di circolazione stradaleL'azione diretta ex art. 144 d.lgs. n. 209/2005 rinviene il suo fondamento nell'obbligo legale di assicurazione della responsabilità civile in materia di circolazione dei veicoli e dei natanti. La dottrina ha tentato di spiegare le deviazioni che caratterizzano la disciplina di tale fattispecie dal modello dell'assicurazione volontaria elaborando una serie di ipotesi ricostruttive riconducibili a due fondamentali orientamenti interpretativi, di cui il primo ha proposto una considerazione unitaria dell'istituto ed ha tentato di ricondurlo in modelli negoziali codicistici; il secondo, sostenendone l'autonomia, ne ha evidenziato la natura bivalente (Rossetti, 2013, 139). Secondo una prima tesi (Gentile, 19) l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per la circolazione dei veicoli deve essere ricondotta entro il paradigma del contratto a favore di terzo ex art. 1411 c.c. Si tratta, in particolare, di un contratto di assicurazione contro i danni a favore di terzo, dove il titolare dell'interesse ex art. 1904 c.c. è, appunto, il terzo danneggiato. Secondo altri si tratterebbe di un contratto di assicurazione della responsabilità civile a favore di terzi (Marchetti, I, 271). Altra opinione vi intravede, invece, un contratto misto scaturente dalla fusione di elementi dell'assicurazione di responsabilità e del contratto a favore di terzi (Ippolito, 340), mentre secondo una diversa tesi la fattispecie va ricondotta nelle figure dell'accollo, della delegazione e della fideiussione. Ciascuna di tali impostazioni è stata sottoposta a critiche. Alla tesi che riconduce l'assicurazione obbligatoria entro il paradigma del contratto di assicurazione contro i danni a favore di terzo, è stato obiettato che la responsabilità obbligatoria per la responsabilità civile per la circolazione stradale si fonda sul presupposto della responsabilità del danneggiato. Alla tesi che propone l'inquadramento della figura nello schema del contratto a favore di terzo si è replicato che, a differenza dello stipulante, che può revocare la stipulazione fino a che il terzo non ne abbia profittato, l'assicurato non può in alcun modo disporre del contratto di assicurazione. Inoltre l'assicuratore non può opporre al terzo danneggiato le eccezioni fondate sul contratto come espressamente previsto dall'art. 1413 c.c. Sono state mosse osservazioni anche alle tesi dell'accollo e della delegazione, posto che il primo, se esterno, necessita dell'adesione del creditore, che nella specie non è affatto prevista, posto che il terzo danneggiato ha diritto al risarcimento senza la necessità che esprima un consenso. Alla teoria della delegazione si è obiettato che, a differenza che in tale fattispecie, l'assicuratore ben può formulare eccezioni attinenti al rapporto tra assicurato (che sarebbe assimilato al delegante) e il danneggiato (che sarebbe assimilato al delegatario). Alla tesi della fideiussione è stato, infine, obiettato che detta garanzia integra un negozio unilaterale posto in essere dal fideiussore a favore del creditore, mentre nel caso in esame vi è un contratto tra debitore e garante finalizzato a tutelare il terzo danneggiato (creditore). Per un altro gruppo di opinioni l'assicurazione della r.c.a. ha natura bivalente (concezioni dualistiche) (Rossetti, 2013, 141). Secondo una prima tesi (Vocino, 205) il contratto di assicurazione della responsabilità civile automobilistica ha natura dualistica perché garantisce due interessi e, quindi, due rischi, autonomi, ovvero quello del danneggiato a vedere ristorato il danno patito e quello del responsabile ad essere tenuto indenne dalle pretese del terzo. Si tratta di diritti distinti ed autonomi, posto che il diritto del danneggiato può essere azionato anche quando il diritto dell'assicurato non sussiste in quanto il contratto manca o è inefficace. Secondo altra impostazione (Fanelli, 347) l'assicurazione ha natura dualistica perché in tutti i casi in cui un contratto esiste ed è efficace essa costituisce un'autentica assicurazione della responsabilità civile secondo lo schema dell'art. 1917 c.c., dove il titolare dell'interesse assicurato e l'assicurato responsabile del sinistro. Quando il responsabile non è assicurato si è, invece, in presenza di un'assicurazione diretta contro il danno. In questo caso, infatti, il soggetto tenuto al pagamento dell'indennizzo — di norma l'impresa designata per conto del fondo di garanzia — ha azione di rivalsa nei confronti del responsabile o della procedura di liquidazione coatta amministrativa. In tale ultima ipotesi l'interesse assicurato non è quello del responsabile all'integrità del proprio patrimonio, ma quello della vittima a vedersi risarcita. Le due assicurazioni coesistono e sono sussidiarie. A tale tesi si è obiettato che nella responsabilità della responsabilità civile per la circolazione di veicoli presupposto di operatività dell'obbligo di risarcimento da parte dell'assicuratore è la responsabilità dell'assicurato, la quale, invece, non è necessaria nella responsabilità contro i danni ai sensi dell'art. 1904 c.c.. Per un terzo e maggioritario orientamento (La Torre, I, 526) occorre distinguere la posizione del responsabile da quella del danneggiato. Rispetto al responsabile si configura una vera e propria assicurazione per la r.c.a., sia pure soggetta ad una disciplina speciale. Nel rapporto tra danneggiato e assicuratore il diritto del terzo non postula l'esistenza di un valido contratto di assicurazione, nel senso che detto contratto non ne costituisce il fondamento, ma rappresenta solo un criterio di imputazione, ossia serve ad individuare l'assicuratore tenuto al pagamento (Rossetti, 2013, 143). Se il contratto esiste ed è efficace è tenuto al pagamento l'assicuratore; se il contratto non esiste o è inefficace tenuto al pagamento è l'impresa designata dall'Ivass per conto del Fondo di garanzia per le vittime della strada. Ne deriva che il rapporto tra danneggiato e assicuratore non è un rapporto contrattuale assicurativo. Non è né un contratto di assicurazione per la responsabilità civile, né un contratto di assicurazione contro i danni. Si tratta, al contrario, di un rapporto obbligatorio scaturente dalla legge, in conseguenza della commissione di un fatto illecito. In questa prospettiva il contratto di assicurazione costituisce per il danneggiato non un atto, ma un fatto giuridico dal quale scaturisce al contempo l'obbligo dell'assicuratore e il diritto del danneggiato. La giurisprudenza costituzionale ha aderito a tale ultima ricostruzione affermando che la disciplina dell'assicurazione della responsabilità per la circolazione dei veicoli è preordinata al conseguimento di uno scopo che è quello di apprestare la maggiore tutela possibile alle vittime della strada (Corte cost. n. 77/1983) e il danneggiato deve avere sempre e comunque un debitore cui domandare il risarcimento (il principio è stato affermato più volte dalla Cgce, tra cui cfr. la pronuncia del 28 marzo 1996, causa C 129/94). Anche la giurisprudenza di legittimità ha aderito alla tesi del rapporto obbligatorio nascente direttamente dalla legge, sostenendo che l'obbligazione risarcitoria dell'assicuratore non deriva da un fatto illecito, né da un contratto, i quali non costituiscono la fonte, ma solo il presupposto del diritto del terzo danneggiato. L'obbligazione dell'assicuratore verso il terzo danneggiato scaturisce, infatti, ex art. 1173 c.c., direttamente dalla legge e, in particolare, dall'art. 144 d.lgs. n. 209/2005. In quest'ottica, secondo la Suprema Corte, ha, a fortiori, natura di obbligazione ex lege anche quella dell'impresa designata per conto del Fondo di Garanzia delle Vittime della Strada (Cass. n. 14537/2013; Cass. n. 7993/2002; Cass. n. 11336/1993; Cass. n. 6402/1988; Cass. n. 7633/1986). L'azione diretta. Natura giuridica, presupposti, legittimazioneL'azione diretta è disciplinata dall'art. 144 d.lgs. n. 209/2005 a mente del quale il danneggiato in conseguenza di un sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante per i quali vi è obbligo di assicurazione ha un'azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile civile, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l'assicurazione. La dottrina è concorde nel ritenere che quella che viene chiamata azione diretta è, in realtà, un vero e proprio diritto sostanziale attribuito al creditore (la vittima del sinistro) nei confronti dell'assicuratore del responsabile (Rossetti, 2013, 314). Si tratta, come si è già evidenziato, del medesimo diritto azionabile dal danneggiato nei confronti del responsabile. Tale diritto è autonomo, nel senso che prescinde, comunque, dall'effettiva sussistenza del debito che ha l'assicuratore verso il responsabile assicurato, ma presuppone l'effettiva sussistenza di un debito di quest'ultimo verso la vittima. Ne discende che il danneggiato da un sinistro stradale è, in definitiva, creditore dell'assicuratore del responsabile al quale è legato da un rapporto giuridico autonomo rispetto al rapporto tra assicuratore ed assicurato – responsabile. Da ciò deriva, come si è già detto, la facoltà per il danneggiato di proporre alternativamente o cumulativamente l'azione exart. 2054 c.c. nei confronti del responsabile e l'azione diretta exart. 144 d.lgs. n. 209/2005 nei confronti dell'assicuratore di questi. La legittimazione all'azione diretta spetta al danneggiato per tutti i tipi di danno ed è riconosciuta sia alla vittima diretta, che alla vittima c.d. secondaria. L'azione diretta, in quanto diritto sostanziale, si trasmette agli eredi. Di norma la legittimazione passiva spetta all'assicuratore del responsabile, ma può competere, in via sostitutiva, all'impresa designata per conto del Fondo di Garanzia delle Vittime della Strada o, in via alternativa, all'assicuratore del danneggiato nel sistema di indennizzo diretto. Le azioni dirette previste dal codice delle assicurazioni sono: a) l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore del responsabile nel caso di sinistro causato da veicolo immatricolato e assicurato in Italia; b) l'azione diretta nei confronti dell'Uci nell'ipotesi di sinistro causato da veicolo immatricolato all'estero ex art. 126 comma 3 lett. c) d.lgs. n. 209/2005; c) l'azione diretta contri l'impresa designata nel caso di sinistro causato da veicolo circolante prohibente domino, sconosciuto, non assicurato o assicurato con impresa posta in liquidazione coatta amministrativa (art. 283 d.lgs. n. 209/2005); d) l'azione diretta del trasportato nei confronti del proprio vettore (art. 141 d.lgs. n. 209/2005); e) l'azione diretta del danneggiato nei confronti del proprio assicuratore (art. 149 d.lgs. n. 209/2005); f) l'azione diretta nei confronti del commissario liquidatore dell'impresa del responsabile posta in liquidazione coatta amministrativa, se autorizzato alla liquidazione dei sinistri (art. 294 d.lgs. n. 209/2005); g) l'azione nei confronti del mandatario per la liquidazione dei sinistri nel caso di sinistri avvenuti all'estero e la cui vittima risiede in Italia (art. 152 d.lgs. n. 2009/2005). Presupposto dell'azione diretta è che il veicolo sia stato causato da un veicolo a motore rientrante tra quelli indicati dall'art. 122 c. 1 e che si sia verificato su un'area pubblica o a questa equiparata. Oggetto dell'indennizzo è la somma per la quale è stata stipulata l'assicurazione. L'esigenza di tutela del danneggiato sottesa all'istituto in esame è soddisfatta dal Legislatore attraverso l'inopponibilità delle eccezioni relative al contratto di assicurazione espressamente prevista dall'art. 144 c. 2 d.lgs. 209/2005. A maggiore tutela del danneggiato, il quarto comma di tale disposizione prevede che l'azione diretta che spetta al danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione è soggetta al termine di prescrizione cui sarebbe soggetta l'azione del responsabile (c.d. uniformità dei termini di prescrizione). Ne deriva che si applica all'assicuratore il più lungo termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da illecito costituente reato ai sensi dell'art. 2947 c. 3 c.c. Trova, infine, applicazione l'art. 2953 c.c. in caso di passaggio in giudicato della sentenza di condanna al risarcimento del danno (Rossetti, 2013, 324). Secondo la giurisprudenza di legittimità non tutte le eccezioni relative al rapporto assicurativo sono precluse all'assicuratore. Questi può, infatti, eccepire la nullità del contratto di assicurazione e l'inesistenza, sia per mancanza dei requisiti ex art. 1325 c.c. sia per l'inesistenza del rischio (Cass. n. 8460/1994); il mancato pagamento delle rate di premio successive alla prima, dopo il decorso del periodo di tolleranza se l'assicurato non sia in possesso del certificato (Cass. n. 6635/2006); il limite del massimale (Cass. n. 646/1987); che il rimorchio era attaccato alla motrice e in movimento da parte dell'assicuratore del rimorchio. L'obbligazione risarcitoria nel caso in cui vengano convenuti in giudizio tanto l'assicuratore che il responsabile e venga proposta domanda nei confronti di entrambi è solidale (Cass. n. 6824/2001; Cass. n. 4005/2001). Con riferimento al danno dolosamente provocato, la Suprema Corte ha stabilito che anche in questo caso il danneggiato ha diritto di ottenere dall'assicuratore del responsabile il risarcimento del danno, non trovando applicazione la norma di cui all'art. 1917 c.c. - che non costituisce il paradigma tipico della responsabilità civile da circolazione stradale, rinvenibile, invece, nelle leggi della RCA e nelle direttive europee che affermano il principio di solidarietà verso il danneggiato - salva la facoltà della compagnia assicuratrice di rivalersi nei confronti dell' assicurato-danneggiante, per il quale la copertura contrattuale non opera ( Cass. n. 20786/2018; Cass. n. 19368/2017 ). La proponibilità della domandaL'art. 145 d.lgs. n. 209/2005 prevede quale condizione di proponibilità dell'azione diretta contro l'assicuratore del responsabile l'invio di una richiesta scritta di risarcimento e il decorso di un termine per il c.d. spatium deliberandi. Detto arco di tempo varia a seconda delle ipotesi: a) sessanta giorni nel caso di sinistri che abbiano provocato danni solo alle cose; b) novanta giorni nella caso di sinistri che abbiano provocato danni anche solo alle persone; c) sei mesi nel caso di sinistri che abbiano provocato danni alle cose o alle persone in caso di domanda proposta nei confronti dell'impresa designata perché l'impresa assicurativa è stata posta in liquidazione coatta amministrativa. La ratio della necessità di una previa richiesta scritta si desume dalla relazione al d.d.l. che ha preceduto la l. n. 990/1969, secondo cui con tale norma si è inteso favorire la possibilità di accordi transattivi per la liquidazione del danno in modo da evitare, per quanto possibile, le azioni giudiziarie. I destinatari della richiesta sono: a) l'assicuratore del responsabile in caso di azione diretta ex art. 144 d.lgs. n. 209/2005; b) l'assicuratore della vittima nell'azione ex art. 149 d.lgs. n. 209/2005; c) l'impresa designata e la Consap s.p.a. nel caso di azione promossa ai sensi dell'art. 283 d.lgs. n. 209/2005; d) il commissario liquidatore autorizzato dal Ministero per lo sviluppo economico nel caso di impresa in liquidazione coatta amministrativa; e) l'Uci in caso di sinistro causato da veicolo immatricolato all'estero i cui danni debbano essere indennizzati dal bureau italiano. Il luogo della notificazione della richiesta è, secondo l'art. 10 d.P.R. n. 45/1981, l'ufficio sinistri incaricato della liquidazione, l'agenzia presso la quale è stato concluso il contratto o alla quale quest'ultimo è stato assegnato e in ogni caso la sede sociale dell'assicuratore. La richiesta di risarcimento completa sotto il profilo contenutistico, ossia conforme al paradigma degli artt. 148 e 149, produce i seguenti effetti: a) dà avvio alla procedura stragiudiziale di liquidazione; b) rende proponibile l'azione di risarcimento una volta spirato il termine di legge (spatium deliberandi); c) costituisce in mora l'assicuratore e, quindi, interrompe la prescrizione. L'art. 145 d.lgs. n. 209/2005 dispone che la richiesta scritta di risarcimento all'assicuratore deve essere inviata avendo osservato le modalità e i contenuti previsti dall'art. 148. Se, da un lato, l'assicuratore nella fase di accertamento e liquidazione stragiudiziale dell'indennizzo deve comportarsi alla stregua di un parametro diligenziale qualificato (art. 1176 comma 2 c.c.), così che non può sottrarsi alla formulazione di un'offerta opponendo obiezioni formalistiche sullo scostamento dal parametro legale, d'altra parte il danneggiato non può formulare richieste del tutto generiche e prive di riscontri documentali. Risponde, invero, al principio di buona fede l'obbligo di cooperazione del creditore finalizzato a consentire l'adempimento da parte del debitore, sancito dall'art. 1206 c.c.. Da ciò consegue che, a prescindere dal pedissequo rispetto delle prescrizioni dell'art. 148, la domanda deve ritenersi proponibile se il danneggiato abbia inserito nella richiesta elementi sufficienti alla stima del danno, mentre è improcedibile se manchino elementi a tal fine indispensabili. In giurisprudenza è da tempo condiviso il principio per il quale, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti (Cass. S.U., n. 390/2000; Cass. S.U. , n. 389/2000; Cass.S.U., n. 108/2000), la mancanza della condizione di proponibilità della previa richiesta scritta è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, salva la preclusione del giudicato, sia pure implicito (Cass. n. 23696/2004; Cass. n. 18493/2006; Cass. n. 22597/2009). Il mancato rilievo dell'improponibilità, integrando tale vizio un error in procedendo, è deducibile con ricorso per cassazione anche contro le pronunzie rese dal giudice di pace secondo equità (Cass. S.U., n. 875/2003), atteso che le norme processuali attengono alla tutela del diritto di difesa costituzionalmente protetto ai sensi dell'art. 24 Cost., mentre l'equità di tale giudice si riferisce alle sole norme sostanziali (Cass. n. 2332/2006; Cass. n. 270/2006; Cass. n. 14454/2005). L'onere della previa richiesta scritta deve essere osservato quale che sia la causa petendi della domanda risarcitoria, ossia tanto se l'attore agisca ex art. 2054 c.c., quanto se eserciti l'azione contrattuale facendo valere, ad esempio, un contratto di trasporto (Cass. n. 16263/2012), e tanto se formuli la domanda in via principale, quanto se la proponga in via riconvenzionale. È, altresì necessaria la previa richiesta scritta nel caso in cui sia intercorsa tra le parti una transazione e il danneggiato intenda richiedere il risarcimento di una nuova ed autonoma lesione rispetto a quella in relazione alla quale ha ottenuto ristoro (non così in caso di richiesta di risarcimento del c.d. aggravamento del danno (Trib. Reggio Emilia, 25 marzo 1996, in Giur. merito, 1996, 648). La richiesta di risarcimento che la vittima di un sinistro stradale deve inviare all'assicuratore del responsabile, a pena di improponibilità della domanda giudiziale ex art. 145 d.lgs. n. 209/2005, è idonea a produrre il suo effetto in tutti i casi in cui contenga gli elementi necessari e sufficienti affinché l'assicuratore possa accertare le responsabilità, stimare il danno e formulare l'offerta, essendo pertanto irrilevante, ai fini della proponibilità suddetta, la circostanza che la richiesta sia priva di uno o più dei contenuti previsti dall'art. 148 d.lgs. n. 209/2005, qualora gli elementi mancanti siano superflui ai fini della formulazione dell'offerta risarcitoria da parte dell' assicuratore (Cass. n. 19354/2016 ) e l'azione risarcitoria non può essere promossa dal danneggiato che, in violazione dei principi di correttezza (art. 1175 c.c.) e buona fede (art. 1375 c.c. ) , con la propria condotta abbia impedito all'assicuratore di compiere le attività volte alla formulazione di una congrua offerta ai sensi dell'art. 148 del medesimo Codice della assicurazioni private (Cass. n. 1829/2018 ). All'onere della previa richiesta scritta non può assolversi mediante la notificazione della citazione, neanche nell'ipotesi in cui il termine a comparire sia superiore a quello minimo ex art. 163-bis c.p.c., né quando l'attore notifichi l'atto di citazione, non iscriva la causa a ruolo e poi notifichi un altro atto di citazione (Cass. n. 6058/2010). Non è, invece, necessaria inviare una nuova richiesta scritta nel caso in cui venga introdotto un giudizio preceduto da detta richiesta e definito in rito e, quindi, venga riproposta la medesima domanda in un nuovo autonomo giudizio (Cass. n. 18493/2010). L'onere di inviare la preventiva richiesta scritta sussiste anche in relazione alla chiamata di terzo. Con riguardo a tale ipotesi, grava sul convenuto che chiami in causa il terzo quale responsabile o corresponsabile o in garanzia l'onere di formulare la previa richiesta scritta. Nel caso in cui, a fronte della chiamata in garanzia, l'attore intenda estendere la propria domanda nei confronti del terzo, è lo stesso attore che deve assolvere all'onere della richiesta. È, invece, superflua nelle ipotesi in cui il convenuto, senza proporre alcuna domanda di rivalsa, si limiti ad indicare nel terzo l'unico responsabile dell'incidente senza proporre alcuna domanda (Trib. Palermo, 22 febbraio 1980, in Riv. giur. circ. e trasporti, 1980, 989), ovvero nel caso di chiamata del terzo iussu iudicis, ovvero se il terzo chiami in causa il proprio assicuratore per essere manlevato. La previa richiesta scritta non è, poi, necessaria quando l'azione civile per il risarcimento del danno venga proposta in sede penale, attraverso la costituzione di parte civile nel procedimento promosso a carico del responsabile (Cass. pen. IV, 27 settembre 2005; Cass. n. 3278/1997; Cass. n. 20651/2009). L'obbligatorietà dell'invio della previa richiesta scritta collide, infatti, con i principi pubblicistici che regolano il processo penale e, in particolare, con l'esigenza del sollecito accertamento del fatto reato. Non è necessaria la richiesta neanche nel caso in cui il giudice penale pronunci una sentenza di condanna generica al risarcimento del danno perché il giudizio civile costituisce il prolungamento della medesima azione già utilmente esercitata in sede penale. È, invece, necessaria quando venga instaurato il giudizio civile sul quantum e in sede penale non sia stato citato l'assicuratore quale responsabile civile (Cass. n. 6840/1993). Non deve, infine, essere inviata una nuova richiesta in caso di cessione del credito risarcitorio e di azione promossa dal cessionario. La richiesta deve essere inviata dal danneggiato o da un suo incaricato. Si discute in giurisprudenza circa la necessità, in tale ultima ipotesi, che il mandatario sia o meno munito di procura scritta. La risposta a tale interrogativo riposa sulla natura giuridica, ossia di atto giuridico in senso stretto ovvero di negozio giuridico che intenda attribuirsi alla richiesta. L'atto giuridico in senso stretto o mero atto giuridico è un fatto giuridico caratterizzato dalla coscienza e dalla volontarietà dell'atto, ma non degli effetti che ne derivano, i quali sono determinati direttamente dalla legge e non sono disposti e programmati dal disponente. È noto come il regime giuridico di tali atti sia diverso rispetto a quello dei negozi giuridici, proprio con riferimento alle disposizioni che postulano la rilevanza della volontà del disponente e secondo taluni anche con riferimento alla rappresentanza. Nel caso di specie viene, in particolare, in rilievo l'art. 1392 c.c. a mente del quale la procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere (norma estensibile in virtù dell'art. 1324 c.c. anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale). Orbene, per una parte della giurisprudenza tale disposizione non trova applicazione in caso di meri atti giuridici (Cass. sez. lav., n. 7866/2012), mentre per altre pronunce la norma è compatibile con gli atti giuridici unilaterali (Cass. sez. lav. n. 8412/2000; Cass. sez. lav., 15888/2012; Cass. n. 9182/2014). La richiesta deve essere inviata a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento. La Suprema Corte ha escluso la validità di forme equipollenti, come ad esempio il fax (Cass. n. 15749/2015), se essi non consentono di provare l'avvenuta ricezione da parte del destinatario. Non si ravvisano ostacoli a ritenere valido ed efficace l'invio della richiesta a mezzo posta elettronica certificata. Trattandosi, infatti, di un sistema che consente di inviare e-mail con valore legale, equiparato ad una raccomandata con ricevuta di ritorno, come stabilito dal d.P.R. n. 68/2005, non si ravvisano ostacoli per ritenere la raccomandata equiparabile alla messa in mora inviata via Pec dal danneggiato, o dal suo procuratore, alla compagnia assicurativa. Va, in ogni caso, evidenziato che la mancanza di avviso di ricevimento è ininfluente se l'assicuratore non contesta la ricezione della lettera e il mancato rispetto dello spatium deliberandi (Cass. n. 1769/1981). Con riferimento alla rilevanza della completezza contenutistica della richiesta di risarcimento sulla procedibilità dell'azione, la Corte costituzionale nella sentenza n. 111/2012 ha chiarito la finalità rafforzativa delle difese del danneggiato della procedura stragiudiziale cui si dà inizio con la previa richiesta scritta. Proprio in ragione della specificità della richiesta imposta dal Legislatore l'assicuratore non può pretestuosamente disattenderla essendo tenuto alla formulazione di una proposta adeguata nel quantum. Alla luce di tale principio è stata ritenuta completa la richiesta priva del codice fiscale (Trib. Torino, 13 giugno 2011). Sulla questione si è espressa la Suprema Corte (Cass. n. 4754/2016), richiamando il principio espresso dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 111/2012 ed evidenziando che la ratio dell'istituto è quella di rafforzare, e non già quella di indebolire, le possibilità di difesa offerte al danneggiato, attraverso il raccordo dell'onere di diligenza, a suo carico, con l'obbligo di cooperazione imposto all'assicuratore, «il quale, proprio in ragione della prescritta specificità di contenuto della istanza risarcitoria, non potrà agevolmente o pretestuosamente disattenderla, essendo tenuto alla formulazione di una proposta adeguata nel quantum». Ciò, secondo la sentenza richiamata, anche in considerazione del fatto che l'eventuale pronuncia di improponibilità della domanda per vizi di contenuto (come per mancato rispetto dello spatium deliberandi per l'assicuratore) di cui agli artt. 145 e 148 d.lgs. n. 209/2005, esaurisce i suoi effetti sul piano processuale, non investendo il merito della controversia e, quindi, non preclude la reiterabilità della domanda nel rispetto delle condizioni di cui alle predette disposizioni, mediante autonoma vocatio in ius, senza che la durata del precedente giudizio rilevi ai fini del decorso del termine di prescrizione. Con riferimento all'idoneità della richiesta di ulteriori informazioni da parte dell'assicuratore ad interrompere il termine per la formulazione dell'offerta e, soprattutto, del termine per l'introduzione del giudizio, per una parte della giurisprudenza di merito la richiesta di informazioni non interrompe il termine per la proposizione dell'azione (Trib. Nocera Inferiore 24 marzo 2007, in Corr. mer., 2007, 873). Secondo altra tesi il termine di cui all'art. 148, c. 5, è un termine di adempimento imposto dalla legge con la conseguenza che prima della scadenza di tale termine l'adempimento è inesigibile, così che la richiesta incompleta, ove l'assicuratore si avvalga della facoltà prevista dalla legge di chiedere integrazioni, produce l'effetto di differire tanto il termine per formulare l'offerta, quanto il termine dilatorio per l'introduzione del giudizio. Quanto, invece, all'ipotesi in cui l'assicuratore non formuli istanza di integrazione documentale, pur a fronte di una richiesta risarcitoria incompleta, ma si attivi per istruire la richiesta e per sopperire alle lacune della richiesta stragiudiziale, ad esempio invitando il danneggiato a sottoporsi alla visita medica ovvero incarichi un proprio perito per la stima del danno al mezzo, una parte della giurisprudenza propende per la tesi della procedibilità della domanda. Di conseguenza il mancato esercizio della facoltà di richiesta di integrazione comporta unicamente le conseguenze previste dalla legge stessa, ossia, la mancata interruzione del termine per la formulazione dell'offerta (Trib. di Nola, 4 dicembre 2007; nonché, con ampia motivazione sul punto, Trib. Salerno, 23 settembre 2015; Trib. Messina, 3 dicembre 2012). La Corte di cassazione ha chiarito che l'onere del preventivo invio da parte del danneggiato di una richiesta risarcitoria configura una condizione di procedibilità della domanda, avente finalità deflattiva del contenzioso giudiziario, sicché è manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 145 del d.lgs. n. 209 del 2005, nella parte in cui non esclude la possibilità di dichiarare, per l'ipotesi di violazione, l'improponibilità dell'azione anche dopo l'udienza di trattazione del giudizio di primo grado, atteso che, per un verso, si tratta di materia sottratta alla disponibilità delle parti in ragione dell'interesse pubblico sotteso alla disciplina e, per un altro, anche a seguito della definizione in rito del procedimento la domanda è riproponibile (Cass. n. 18940/2017 ). La rivalsa tra le azioni recuperatorie dell'assicuratoreLe istanze pubblicistiche e solidaristiche che hanno ispirato il complesso sistema dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità per la circolazione di veicoli e natanti si sono tradotte nella ricerca di un soggetto nei cui confronti il danneggiato potesse di volta in volta esperire l'azione risarcitoria senza correre il rischio di non ottenere il soddisfacimento delle proprie pretese. È questa la finalità sottesa all'istituto dell'azione diretta nelle sue molteplici versioni disciplinate dal codice delle assicurazioni private. A fronte della prevalenza accordata al danneggiato, il quale può rivolgersi direttamente all'assicuratore del responsabile per il risarcimento senza subire le eccezioni ex contractu, il Legislatore ha elaborato un sistema di riequilibrio patrimoniale che si attua attraverso le azioni recuperatorie dell'assicuratore tipiche, ossia disciplinate nel codice delle assicurazioni private, a cui si aggiungono le azioni recuperatorie di carattere generale previste dal codice civile. Appartengono alla prima categoria la c.d. rivalsa prevista dall'art. 144 c. 2, il regresso e la surrogazione previsti dall'art. 292 d.lgs. n. 209/2005, le rivalse dell'assicuratore del vettore nell'azione ex art. 141, dell'assicuratore della vittima nell'azione ex art. 149 d.lgs. n. 209/2005, dell'impresa designata ex art. 286 d.lgs. n. 209/2005. Costituisce, invece, rimedio generale in favore dell'assicuratore la surrogazione ex art. 1916 c.c.. Considerato che il codice delle assicurazioni non solo non delinea il regime giuridico dei rimedi recuperatori, ma spesso impiega termini atecnici, come, appunto, quello della «rivalsa», sin dall'entrata in vigore della l. n. 990/1969 si è posto il complesso problema dell'inquadramento giuridico di dette azioni entro le categorie codicistiche generali della surrogazione ex art. 1203 c.c. e il regresso ex art. 1299 c.c. In generale il debitore che ha pagato può scegliere se agire in surrogazione (art. 1203 n. 3 c.c.) o esercitare l'azione di regresso. Ancora oggi è discusso il rapporto intercorrente fra le due azioni. L'elemento che le accomuna è il fatto che in entrambi i casi il soggetto che paga un debito altrui (o anche altrui) viene dalla legge collocato nella posizione che precedentemente spettava al creditore. Su tale profilo si sono registrate diverse soluzioni ermeneutiche. Secondo un primo orientamento, surrogazione legale e regresso sono in rapporto di genus a species, in quanto il regresso è la forma di surrogazione di colui che ha pagato il debito solidale, così che l'art. 1299 sarebbe meramente riproduttivo dell'art. 1203 n. 3 c.c. (Amorth, 133 e ss.). Alla stregua di altra impostazione, in fase di regresso i condebitori possono opporre al debitore adempiente i fatti estintivi, impeditivi o limitativi del debito comune solo se tali fatti sono precedenti all'adempimento e potevano essere opposti al creditore all'epoca dell'adempimento. La tesi opposta, seguita da dottrina prevalente, distingue le due azioni sulla base della successione, o meno, nel debito. La surrogazione configura, infatti, un'ipotesi di successione nel lato attivo dell'obbligazione, sostituendosi il solvens nella posizione del creditore originario; diversamente, il regresso è un diritto autonomo e nuovo, che si basa sul rapporto solidale fra i condebitori (Bianca, 346 e ss.). Secondo tale impostazione le azioni sono fra loro alternative. Altra parte della dottrina evidenzia, per contro, che al debitore solidale adempiente spetta il solo diritto di regresso, in quanto adempiente di un debito proprio e non di altri (Busnelli, 426 e ss.). L'inquadramento del rimedio recuperatorio nella surrogazione o nel regresso comporta rilevanti conseguenze, posto che, mentre il debitore surrogato può far valere le garanzie proprie del creditore originario, tale facoltà non è riconosciuta a chi agisce in regresso, trattandosi di un diritto non dipendente dal rapporto precedente. Con specifico riguardo alla rivalsa assicurativa, si osserva che l'art. 144 comma 2, accorda tale diritto all'assicuratore che ha versato l'indennizzo assicurativo al terzo danneggiato «nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione». Per una parte della dottrina la rivalsa assicurativa non è, invece, un'ipotesi di regresso, ma di surroga posto che il rapporto di solidarietà che lega l'assicuratore all'assicurato è di tipo ineguale o ad interesse unisoggettivo. Di conseguenza l'assicuratore che ha pagato ha diritto di riavere l'intero e non la quota del rapporto interno tra coobbligati solidali. Il regresso costituisce, infatti, un'eccezione alla regola della surrogazione e si giustifica proprio al fine di consentire al solvens il recupero pro quota di quanto versato. Ove questa esigenza non si ponga, riemerge il regime generale della surrogazione. La domanda di rivalsa può essere proposta dall'assicuratore anche nel medesimo giudizio risarcitorio, a condizione che formuli apposita domanda che, se è proposta nei confronti del responsabile evocato in giudizio, si è in presenza di una domanda riconvenzionale c.d. orizzontale, ossia proposta da un convenuto nei confronti di un altro convenuto. Se viene proposta nei confronti del conducente ed esso non è in causa, occorre apposita chiamata in causa. Tra le situazioni che secondo il contratto di assicurazione consentono la rivalsa assicurativa le più ricorrenti sono: la guida senza patente, la guida in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, il ritardo di denuncia del sinistro, l'uso del veicolo non conforme a quello pattuito, le clausole che prevedono il contributo dell'assicurato (le franchigie). Costituiscono, altresì, situazioni che consentono la rivalsa la circolazione invito domino, prohibente domino non derivante da furto (perché in questo caso opera il Fondo di Garanzia delle Vittime della Strada) e il sinistro doloso. Secondo la giurisprudenza di legittimità il diritto di rivalsa va ricondotto nello schema del regresso (Cass. n. 11510/1997, secondo cui il diritto di rivalsa dell'assicuratore nei confronti del proprio assicurato ex art. 18 l. n. 990/1969 (ora abrogata dal d.lgs. n. 209/2005). In particolare configura un diritto operante in modo autonomo fra le dette parti e che deriva dal contratto di assicurazione, con la conseguenza che esso è assoggettato alla prescrizione annuale ai sensi dell'art. 2952 c. 2, c.c. e non all'ordinaria prescrizione decennale. Di segno contrario è altra parte della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 19766/2003; Cass. n. 6752/1993; Cass. n. 6396/1994). 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