La gravità della frode Iva ai fini della disapplicazione del limite massimo della prescrizione

Corrado Sanvito
31 Ottobre 2017

A seguito di contestazione di evasione Iva per omessa dichiarazione, art. 5 d.lgs. 74/2000, anno d'imposta 2006, il tribunale di Padova, in data 14 dicembre 2015, in fase predibattimentale, pronunciava sentenza di non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato.
Massima

L'articolo 133 c.p. è il più attendibile parametro oggettivo per la determinazione della gravità della frode Iva posta a fondamento della disapplicazione della prescrizione prevista dagli articoli 160 e 161 c.p. La disapplicazione comunque non opera quanto a fatti già prescritti alla data di pubblicazione della nota sentenza Taricco. La previsione di soglie di punibilità è indice di assenza di offensività delle evasioni d'importo inferiore alle stesse e, dunque, la gravità della frode, quanto al parametro della somma evasa, riguarda l'eccedenza la soglia.

Il caso

A seguito di contestazione di evasione Iva per omessa dichiarazione, art. 5 d.lgs. 74/2000, anno d'imposta 2006, il tribunale di Padova, in data 14 dicembre 2015, in fase predibattimentale, pronunciava sentenza di non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato.

Proponeva ricorso per cassazione il procuratore generale presso la Corte d'appello di Venezia, lamentando il seguente difetto di motivazione (da tradursi, così la Suprema Corte avrà a rilevare, attenendo ad aspetto di diritto, in violazione di legge): richiamata la sentenza n. 2210 del 17 settembre 2015 della Suprema Corte, secondo cui il giudice nazionale è obbligato, come da lettura datane dalla Corte di Giustizia Ue, a disapplicare gli articoli 160 e 161 c.p., il tribunale non ha spiegato la ragione della mancata adesione all'indirizzo della Suprema Corte, ritenendo, diversamente, perfezionata la prescrizione.

La questione

La questione in esame, trova presupposto nella sentenza c.d. Taricco: si dica, così, dell'assunto della Corte di giustizia Ue che impone al giudice nazionale, per dare piena efficacia all'articolo 325 T.F.Ue (Lotta contro la frode), di disapplicare la disposizione nazionale che impedisca allo Stato membro di adempiere gli obblighi Iva (interesse finanziario dell'Unione). Il giudice nazionale, tenuto a garantire la piena efficacia del diritto dell'Unione, dovrà negare applicazione alle norme nazionali che non possano essere considerate, nel loro operare, effettive e dissuasive; giudice nazionale cui unicamente spetta il compito di risolvere le antinomie tra norme di leggi nazionali e norme del diritto Ue dotate di effetto diretto, così come la Corte costituzionale, già con la sentenza Granita, n. 170/1984, afferma.

Ebbene, l'articolo 325 T.F.Ue, impone, agli Stati membri, di combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell'Unione adottando misure dissuasive e tali da permetterne una protezione efficace.

L'articolo 2, paragrafo 1, della Convenzione PIF prevede che «[…] almeno nei casi di frode grave»lo Stato membro debba prevedere «pene privative della libertà che possono comportare l'estradizione». che siano «effettive, proporzionate e dissuasive»; così incentrando l'impegno repressivo penale, del singolo Stato membro, sulla frode che sia connotata di gravità.

Quanto all'ipotesi di evasione Iva, che possa connotarsi di grave frode, nega efficacia al contrasto (secondo la Taricco) l'operare della prescrizione di cui agli articoli 160 e 161 c.p.

Connota la condotta di frode (così ricorda la Taricco) l'articolo 1 della Convenzione Pif laddove prevede che «Ai fini della presente convenzione costituisce frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee: […] b) in materia di entrate, qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa:

– all'utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale delle Comunità europee o dei bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse […]»; aggiunge, poi, la Taricco: «Tale nozione include, di conseguenza, le entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota uniforme agli imponibili Iva armonizzati determinati secondo regole dell'Unione».

Quanto all'aggettivazione della frode quale grave, (così ricorda la Taricco), l'articolo 2 della Convenzione Pif prevede che «deve essere considerata frode grave qualsiasi frode riguardante un importo minimo da determinare in ciascuno Stato membro. Tale importo minimo non può essere superiore a 50.000,00 euro». L'assunto a presupposto meriterebbe attenzione, quanto al limite minimo di 50.000,00 euro; basti pensare, del resto, alla previsione dell'articolo 4 d.lgs. 74/2000 ed alla soglia di punibilità (penale) di 150.000,00 d'imposta non pagata, per negare rilevanza penale (dunque gravità) a un comportamento che, secondo la Convenzione Pif sarebbe comunque definibile di grave frode già a partire da oltre 50.000,00 euro (come già scritto, in SANVITO, Evasione Iva lieve, interessi finanziari dell'Unione, prescrizione ordinaria, «Circa il concetto di frode espresso dalla Corte di Giustizia U.E. quanto alle ipotesi di evasione fiscale Iva, e dunque alla sua qualificazione, la connotazione di fraudolenza espressa nella descrizione della norma penale (come gli articoli 2, 3 e 11 d.lgs. 74/2000) non è determinante; la connotazione positiva di fraudolenza induce tipicità della fattispecie, mentre la caratterizzazione di frode è un dato che emerge dalle singole condotte ‘pur astrattamente ascrivibili alla tipicità di fattispecie penali prive del requisito espresso della fraudolenza'».

Peraltro specificamente, quanto in concreto circa la gravità della frode nel caso esaminato dalla Taricco, si legge, in sentenza, che la previsione della normativa nazionale di sanzioni penali per i reati di associazione per delinquere allo scopo di commettere delitti in materia Iva, nonché una frode nella medesima materia per vari milioni di euro (si ripete, i reati oggetto di contestazione nel caso concreto pervenuto all'esame della Corte di giustizia), è tale da indurre un caso di frode grave lesivo degli interessi finanziari dell'Unione.

Così ricordato il presupposto e, in sintesi, le argomentazioni di cui è portatore, la questione che ne deriva attiene la mancata disapplicazione della disposizione nazionale (prescrizione ex articoli 160 e 161 c.p.) che e, in quanto, neghi efficace protezione agli interessi finanziari dell'Unione (in materia di Iva).

Le soluzioni giuridiche

Si dirà, in primo luogo, della necessità di sciogliere nodi esegetici quanto al concreto operare della sentenza Taricco; dunque in quali casi operare la disapplicazione richiesta dalla Corte di giustizia Ue secondo criteri che, si potrebbe assumere, la stessa abbozza e non precisa.

Il riferimento corre subito al concetto di gravità della frode; anche, nel suo esplicarsi quanto all'incidenza della previsione di soglie quantitative di punibilità.

Si dirà di seguito che la sentenza in commento è occasione di soluzione anche quanto all'operatività (meglio, inoperatività) della disapplicazione con riferimento a fatti di reato per i quali la prescrizione sia già maturata alla data del pronunciamento della Corte di giustizia nel caso Taricco.

Quanto alla determinazione della gravità della frode, la soluzione giudiziale adottata dalla sentenza in commento propone il riferimento ai parametri dell'articolo 133, comma 1, c.p. in tema di determinazione della gravità del reato per la valutazione agli effetti della pena.

La soluzione giudiziale adotta, dunque, quale riferimento oggettivo di determinazione della gravità della frode, il complesso di “parametri” previsti dall'ordinamento italiano per la determinazione della gravità del reato.

L'assunto di cui all'art. 133 c.p., induce evidenza del fatto che la rilevanza del danno sarà un elemento di valutazione, ma non l'unico. «Ne consegue che, ove non si sia in presenza di un danno già di rilevantissima gravità, appaiono necessari, per connotare tale requisito (gravità), ulteriori elementi, quali in particolare l'organizzazione posta in essere, la partecipazione di più soggetti al fatto, l'utilizzazione di “cartiere” o società-schermo, l'interposizione di una pluralità di soggetti, l'esistenza di un contesto associativo criminale» (sentenza in commento). Certamente, la gravità dovrà sussistere in concreto, dunque «anche una singola frode solo qualora questa sia di rilevantissima gravità» sarà sufficiente a costituire il presupposto della gravità della frode ai fini della disapplicazione del dettato nazionale; e così anche «il numero e la gravità dei diversi episodi di frode per i quali si procede, nonché il contesto complessivo e le ragioni di connessione fra gli stessi»saranno parametri d'applicazione del requisito di gravità.

Sicuramente l'individuazione della gravità della frode dovrà tener conto della soglia quantitativa di punibilità «da considerarsi quale indice della ritenuta assenza di offensività da parte del legislatore».

Ad ogni buon conto, poi, opererà la prescrizione intervenuta, alla stregua della disciplina nazionale, prima del pronunciamento della sentenza Taricco; così a scongiurare la possibilità di applicazione ante litteram del pronunciamento della Corte di Giustizia interpretativo di norme del diritto Ue dotate di effetto diretto.

Osservazioni

Si può osservare dunque che

  • la previsione del comma 3 dell'articolo 160 c.p., laddove dispone che, se si ripetono atti interruttivi (della prescrizione), in nessun caso i termini stabiliti dall'articolo 157 c.p. possono essere prolungati oltre i termini di cui all'articolo 161, comma 2, c.p.,
  • e dunque, la previsione del comma 2 dell'articolo 161 c.p. che dispone come l'interruzione della prescrizione non possa comportare l'aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere,
  • quindi, si dirà, in generale, che il principio del limite massimo di aumento del termine di prescrizione dovuto agli effetti della interruzione deve trovare, da parte del giudice nazionale, disapplicazione, in caso di frode grave Iva.

Per inciso, dice la Suprema Corte (assunto che, della sentenza, maggiormente rileva!) con l'eccezione del caso in cui la prescrizione sia intervenuta prima dalla sentenza Taricco; a riconoscere, così, natura sostanziale all'”effetto disapplicativo” della norma interna da parte della sentenza interpretativa della Corte Ue di norme europee d'immediata applicabilità, rafforzando l'idea che la norma interna sia soggetta al principio di legalità in materia penale. Si direbbe, dunque, effetto che, oltre a non poter negare il divieto d'irretroattività, dovrà pur rispettare il principio della sufficiente determinatezza della norma relativa al regime di punibilità, che dovrà essere per ciò solo decritta in maniera analitica, tanto quanto fosse la previsione di una fattispecie di reato e di pena, da norma vigente al momento del fatto.

Si può osservare, ancora, che “effetto disapplicativo” del principio del limite massimo di aumento del termine di prescrizione dovuto agli effetti della interruzione (il combinato disposto degli articoli 160, comma 3, e 161, comma 2, c.p.), è previsto dal legislatore nazionale quanto a taluni particolari reati; dispone infatti lo stesso comma 2 dell'articolo 161 c.p., «salvo che si proceda per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale».

Si osservi, dunque, come l'eccezione al principio sia già stata prevista e dunque ammessa anche da previsione positiva del nostro ordinamento; così, nel rispetto del principio di legalità in materia penale.

Peraltro, nel caso delle frodi gravi Iva, la disapplicazione del dettato interno si rivela essere alla mercede di una valutazione giudiziale quanto al momento tipizzante il comportamento che debba assumere rilevanza penale tale da indurre disapplicazione di una norma sostanziale.

Il limite all'operare effetti dell'interruzione non è una fattispecie di reato, dunque tipizzato nella sua previsione positiva e nel rimando per cui operi l'eccezione, bensì un comportamento i cui tratti sono dettati a posteriori in ragione della lettura del fatto ai sensi dell'articolo 133 c.p.

Si può osservare, a proposito, che la Corte di Cassazione, confina il giudizio tipizzante nell'alveo del dettato dell'articolo 133 c.p.

Del resto, si tratta di assumere, da parte del giudice nazionale, la disapplicazione degli articoli 160 e 161 c.p. quanto alla condotta di frode grave Iva; fatto che, peraltro, il legislatore interno non contempla, salvo, è noto, individuare illeciti di rilevanza penale di cui al d.lgs. 74/2000. La determinazione giudiziale, così “costretta” a trovare applicazione solutiva, individua, nello strumento preposto al momento della commisurazione della pena (laddove considera la gravità di un reato), il riferimento per cui fatti connotati dall'ordinamento interno di rilevanza penale, possano dirsi reati gravi.

Si osserva, così, peraltro, oltremodo evidente l'assoluto rimando alla discrezionalità giudiziale; fatto che, com'è noto, ha indotto la Corte costituzionale al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue e di cui si è in attesa di sentenza (cui, peraltro, le conclusioni dell'Avvocato generale Ue, prodromiche alla decisione, non lasciano ben sperare).

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